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LETTERE AL DIRETTORE

GIOVANNI CESCHI * ISTRUZIONE: « DI COSA HA BISOGNO LA SCUOLA TRENTINA? DI PRENDERE COSCIENZA CHE L’AUTONOMIA È FATTA DI STRUMENTI E IDEALITÀ »

Scritto da
12.51 - martedì 16 gennaio 2024

Gentile direttore Franceschi,

 

allego quanto oggi pubblicato sul quotidiano “L’Adige”, anche per consentire la visione ai lettori di Opinione.

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Giovanni Ceschi
insegna greco e latino al Liceo “Prati” e presiede il Consiglio del sistema educativo

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un’agenda per la scuola trentina. Quasi come nell’imminenza del Natale con le letterine a Santa Lucia, Francesca Gerosa sta ricevendo nel nuovo ruolo di Assessore all’istruzione trentina numerosi biglietti augurali, di prospettiva, di schieramento e di marcatura del territorio. Vi si parla di urgenze non differibili per la nostra scuola dell’autonomia; e per gran parte tali affermate urgenze partono dalla sottolineatura di contorni sempre più incerti fra gli organi della scuola (dirigenza, consiglio dell’istituzione, collegio dei docenti, assemblee di studenti e genitori istituite con i decreti delegati). Analisi anche condivisibili, nel dato di fondo: che un’autonomia autentica, come quella di cui il Trentino si fregia con idee però sempre meno nitide, dovrebbe dimostrare più coraggio nel progredire anziché cautela nel difendere un fortino privilegiato.

Il problema è che poi la lingua degli occasionali editorialisti batte dove il dente duole: si concentra cioè sulle esigenze osservate da un punto di vista (in molti casi quello della dirigenza scolastica) anziché svincolarsi da qualsiasi logica corporativa – fors’anche nutrita di buone intenzioni, ma pur sempre corporativa – per analizzare il problema in modo complessivo e organico. Un’analisi di tal fatta, sola, consente di dettare un’agenda delle priorità vere, come risposta ai problemi reali e ai rischi oggettivi che la divaricazione tra il sistema-scuola provinciale e nazionale sta comportando, senza produrre significativi benefici per i destinatari del sistema.

E dunque: al Trentino serve più o meno autonomia? Dipende. Se essa consiste davvero nella possibilità del sistema tutto di auto-determinarsi, a beneficio di una maggiore qualità e di risultati migliori della filiera educativa, ben venga. Quindi un’Autonomia maiuscola, partecipata, flessibile alle caratteristiche di ogni comunità educativa, refrattaria a logiche autoritarie. Se invece qualcuno intende per autonomia mani più libere e procedure più snelle al fine di ottenere meglio e prima certi risultati, secondo logiche aziendalistiche che sono il problema e non la soluzione, ebbene: quest’autonomia minuscola rischia di essere a danno dei reali destinatari.

Curioso osservare che, passato ormai oltre un ventennio dalla supposta svolta morattiana, le parole-chiave dell’istruzione continuino a incartarsi sulle fatidiche “tre i”, con un semplice maquillage linguistico: inglese (internazionalizzazione?), impresa, informatica. Vendendo come innovative perfette banalità: è ovvio che agli studenti, cittadini del futuro, si spalanchino più occasioni se sono capaci di relazionarsi in contesti internazionali e multietnici, se entrano in relazione precoce e intelligente con il mondo del lavoro, se conoscono i rischi e sanno bene avvalersi delle nuove tecnologie. Di converso, il rischio che la scuola sia confinata nelle quattro mura dell’edificio è ormai totalmente scongiurato.

Eppure, a ogni nuova legislatura riaffiorano immancabili gli stessi slogan: a ben pensarci, cos’altro era l’infatuazione per il trilinguismo (e quindi per un CLIL malinteso e sciagurato che tanti danni ha prodotto in Trentino)? E cos’altro è l’attuale mantra dell’orientamento e dell’alternanza scuola-lavoro pompati con ore obbligatorie che in molti casi costringono a ipocrisie e contorsionismi per un formale ossequio alla norma? Per non parlare dell’impennata che i fondi PNRR hanno impresso alla terza “i”, sostanziata di tanti oggetti anche superflui e ben poco sostanziosa in termini di contenuti e competenze reali degli studenti.

Fin qui ho distrutto. Mi si chiederà: di cosa ha bisogno allora la Scuola trentina? Sull’autonomia: di prendere coscienza che essa è fatta di strumenti e idealità. Più potenti sono i suoi strumenti e più labili, o discutibili, le sue idealità (cioè non supportate da autentica premura in campo educativo ma alimentate da interessi travisati) maggiori saranno i danni provocati. Quindi l’obiettivo per una Scuola migliore non può passare da più potere alle scuole in sé, ma da un potere d’incidenza maggiore garantito alla comunità educativa tutta, con strumenti effettivi di controllo delle rispettive competenze da parte degli organi collegiali. Che collegiali devono essere, non solo di nome.

Poiché alla tentazione dei decaloghi è difficile sottrarsi, in un prossimo intervento entrerò nel merito di una decina di priorità che ravviso nell’attuale contingenza: solo come promemoria a chi, come Gerosa, si è dichiarato lodevolmente in ascolto di tutte le componenti; e nella consapevolezza che poi gli orientamenti per una nuova stagione politica sono politici e ne portano tutta la responsabilità. Qui mi limito a ribadire l’assoluta urgenza di una riforma radicale della legge provinciale sulla scuola – l’ormai famigerata 5/06 – che raggiunge nel 2024 la “maggiore età” ma è nei fatti decrepita per la progressiva concrezione di strati aggiunti dal legislatore in questi diciott’anni per rispondere, non di rado con impianto più regolamentare che normativo, a obiettivi di piccolo cabotaggio. L’obiettivo primo? Il ripristino di un nuovo dialogo fra gli attori della Scuola, scevro dall’ipocrita presunzione che chi va in classe debba essere guidato o anche solo “orientato”, che ci sia chi conosce il reale “bene” degli studenti, assecondando tendenze e opinioni dominanti, o interessi esterni, anziché rispondere a una consapevole e condivisa responsabilità educativa.

 

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