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LETTERE AL DIRETTORE

RENATA ATTOLINI * SCUOLA: « LA PROF. BERARDI RILANCIA IL NECESSITÀ DI RIPRISTINARE GLI ESAMI DI RIPARAZIONE, SVILISCE RISULTATI E TEST INVALSI »

Scritto da
17.51 - mercoledì 20 marzo 2024

Gentile direttore Franceschi,

 

Su “l’Adige” dei giorni scorsi la professoressa Lucia Berardi rilancia il dibattito sulla necessità di ripristinare gli esami di riparazione a settembre. Ci sono alcune affermazioni del suo discorso che vorrei riprendere.

La professoressa svilisce i risultati dei test invalsi, che, sebbene ci pongano ai primi posti in Italia, per lei sono parziali – come qualsiasi altro oggetto di valutazione sarebbe il caso di dirle – e sono una “modalità di quiz per patente” che “valuta più l’intuito e la prontezza che le effettive conoscenze”. Le prove INVALSI sono state progettate per avere informazioni campionarie sui livelli di apprendimento degli studenti italiani e quindi sul funzionamento del sistema di istruzione nazionale. La comparazione dei risultati, interpretati alla luce della conoscenza del contesto specifico in cui la propria scuola opera, può servire per individuare i punti di forza e di debolezza del percorso effettivamente realizzato in classe e delle scelte didattiche effettuate.

Il valore dei test, poco compreso da molti insegnanti, sta nel fatto che non si limitano a valutare i contenuti, ma si spingono molto più in là a valutare la capacità degli studenti di mettere in pratica processi di apprendimento che li accompagneranno per tutta la vita e che la scuola dovrebbe preoccuparsi seriamente di fornire loro. Gli studenti che conseguono risultati soddisfacenti non sono quelli che sono stati addestrati ad affrontare tipologie valutative simili, ma quelli che hanno vissuto un ambiente scolastico dove si cura la crescita di quel retroterra cognitivo e culturale di cui le prove INVALSI dovrebbero rilevare e valutare l’esistenza, per poi stimolarne lo sviluppo.

L’affermazione che “una certa tipologia di studenti si impegnerà solo se minacciata” é quanto di più triste possa ascoltare chi ha passato la sua vita nella scuola. Il senso di responsabilità si coltiva, deve essere un obiettivo dell’insegnamento, il risultato di un processo che fornisce allo studente gli strumenti per diventare consapevole di sé, della sua relazione con gli altri e con l’ambiente in cui sta interagendo. Deve essere costruito attraverso la creazione di contesti adeguati, dove si valorizzino i contributi e si riconoscano gli errori, dove si possa dare importanza a quello che si sta facendo, dove sia evidente il senso di quello che si sta imparando.

L’apprendimento significativo necessita di insegnanti che stimolino curiosità attraverso esperienze, siano esse la lettura di una poesia come un’esperimento scientifico, sulle quali “interrogare” gli studenti, per progettare ed avviare quel processo di ristrutturazione delle idee in grado di promuovere una rielaborazione cognitiva, utilizzando lo specifico linguaggio disciplinare come ulteriore sguardo sul mondo.
Cambia anche la valutazione: è una componente dell’apprendimento, non la sola e unica, e con esso si evolve. Non può più limitarsi a verificare conoscenze misurando standard e performance, non può essere affidata a schede e prove finali, ma va piuttosto indagata, con opportuni strumenti ed attenzioni, nella quotidianità dell’esperienza, conservando traccia di tutto quello che fanno i ragazzi. Non può restare indifferente a differenti punti di partenza e modi di apprendere, ma deve valutare in modo personalizzato il progresso di ognuno e, su questa base, verificare la funzionalità dell’organizzazione didattica rispetto agli obiettivi dati e l’efficacia dell’intervento educativo.
In una scuola dove si costruisce un contesto collaborativo di crescita, cala drasticamente fino quasi ad annullarsi, il numero di studenti che “non si impegna”.

Infine ben venga la proposta del dirigente Pendenza di aprire le classi per livello. La realizzazione di un ambiente scolastico che renda possibile l’apprendimento in tutte le sue forme e che permetta agli studenti di impadronirsi delle conoscenze e di un’ampia gamma di abilità intellettuali, espressive e sociali, necessita di una particolare flessibilità organizzativa di spazi, tempi, strategie, percorsi di apprendimento differenziati.

Non ci venga a dire la professoressa che un tale modello non tiene conto delle dinamiche psicologiche e relazionali del gruppo classe, fondamentali per la delicata età degli utenti e della trasversalità delle discipline. Fin dalla scuola dell’infanzia gli alunni sono allenati a formare gruppi di lavoro diversi, dentro spazi duttili, tali da adattarsi agli itinerari didattici che si andranno a delineare e alle esigenze degli studenti, al loro bisogno di personalizzazione e di cooperazione, alle attività di laboratorio.

Le risposte ad un questionario sottoposto agli studenti di un liceo trentino durante il covid dipingono una realtà molto diversa, ossia un quadro degli insegnanti caratterizzato da mancanza di fiducia nei confronti degli studenti; lezioni, quasi esclusivamente frontali, poco coinvolgenti; eccessiva insistenza sull’esigenza di finire il programma; ossessione per la verifica come unica fonte di valutazione; mancanza di collegialità e persino di dialogo tra professori; disinteresse per ogni forma di ascolto e confronto con gli studenti.

Per concludere, trascrivo parte dell’articolo 3 della Costituzione:
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Ebbene professoressa Berardi, una scuola che voglia rimuovere gli ostacoli di ordine sociale, deve prendersi cura proprio di quella “certa tipologia di studenti che si impegnerà solo…” lei dice se minacciata, io dico se coinvolta e motivata.

 

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Renata Attolini, già insegnante e formatrice IPRASE

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