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LETTERE AL DIRETTORE

GAIA GIONGO * FEMMINICIDI: « UNIVERSITÀ STATALE E BICOCCA ORGANIZZANO CORSI CONTRO LA VIOLENZA DI GENERE, PER MAGISTRATURA E FORZE DELL’ORDINE »

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11.24 - venerdì 11 agosto 2023

Gentile direttore Franceschi,

sono Gaia Giongo, laureata in Scienze Criminologiche e Dottoranda in Studi di Genere presso l’Università di Palermo-Università Statale di Milano.

Le invio un mio contributo circa i recenti femminicidi di Mara Fait e Iris Setti hanno sconvolto la comunità trentina, ma si inseriscono in una serie di crimini, su base di genere, che travalica geografie e culture. In Italia nel 2022, 124 donne sono state uccise per femminicidio. Non è un’emergenza, è una violenza strutturale e capillare. Strutturale perché affonda le proprie radici in una storica disparità di potere tra generi; capillare perché se è vero che il reato è sempre in capo al singolo, è nella cultura collettiva che trae forza e validazione.

I femminicidi sono la punta di un ecosistema patriarcale distorto e asimmetrico, che legittima quotidianamente una certa maschilità alle discriminazioni e che intesta, nell’immaginario di molti uomini (troppi per pensare a mele marce di una società giusta ed egualitaria) il diritto alla prevaricazione.

Le donne non hanno bisogno di “aiuto”, ma di veder il proprio diritto di persone libere essere garantito. Occorrono operatori della Giustizia, esponenti delle forze dell’ordine e magistrati che sappiano riconoscere, senza se e senza ma, la pericolosità sociale dei futuri assassini e che abbiano più ampie capacità di analisi del rischio. Incertezze, valutazioni parziali, mancata cooperazione tra livelli: le falle nel sistema giudiziario si giocano sulla pelle delle singole donne.

Se di fronte a un caso di femminicidio la risposta dello Stato è: “È stato fatto tutto il possibile” o “Più di così non si poteva fare”, allora lo Stato suggerisce che tale violenza è una dimensione che va accettata. Al contrario, bisognerebbe triplicare gli interventi su più piani, anche quello formativo e anche verso magistratura e Forze dell’ordine. A Milano, l’Università Bicocca e l’Università Statale organizzano specifici corsi di formazione sulla violenza di genere aperti a magistratura e/o forze dell’ordine.

Anche in Trentino, la Trentino School of Management ha avviato un percorso di formazione per le/gli operatori di settore. Il problema è che la formazione è su base volontaria, lasciata allo slancio deontologico di singolo professionista.

A livello internazionale, invece, si sta tentando di lavorare in modo più stringente. In Ontario (Canada), per esempio, è stata introdotta una legislazione che prevede per le/i giudici e giudici di pace nominati a livello provinciale una formazione specifica e obbligatoria sulla violenza da parte di partner ed ex-partner e sul controllo coercitivo nelle relazioni.

Una formazione che parte dal presupposto che magistratura e forze dell’ordine siano immersi nella stessa arena culturale da cui emergono gli episodi di violenza: il rischio, dunque, è che l’operato risenta non solo di una mancanza di conoscenza empirica, ma anche di pregiudizi e stereotipi di genere che possono portare gli operatori della giustizia a non inquadrare corre7amente i casi, e a non rispondere con gli strumenti più idonei.

Va da sé che la formazione, insieme agli altri strumenti di contrasto, è un punto chiave per eradicare la violenza di genere e per garantire efficaci percorsi di giustizia. Una giustizia che lo Stato italiano si è impegnato a garantire anche attraverso la firma e la rettifica della Convenzione di Istanbul nel 2012, al cui articolo 49 è esplicitato: “Le Parti adottano le misure legislative o di altro Cpo, in conformità con i principi fondamentali in materia di diriF umani e tenendo conto della comprensione della violenza di genere, per garantire indagini e procedimenti efficaci nei confronti dei reati stabiliti conformemente alla presente Convenzione”.

La comprensione della violenza di genere, attraverso una formazione altrettanto strutturale e capillare, è quindi una condizione sine qua non per affrontarla.

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