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LANCIO D'AGENZIA

CCIAA – TRENTO * PALAZZO ROCCABRUNA: OLIVO, « IL RECUPERO DEL PATRIMONIO ARTISTICO, CAMPANELLO E QUADRO PERDUTO DEL MORONI » (PHOTOGALLERY)

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02.29 - giovedì 11 gennaio 2024

Palazzo Roccabruna celebra l’anniversario dei vent’anni dalla sua inaugurazione (2004), presentandosi al pubblico in una veste rinnovata, grazie ad un accurato lavoro di ricerca storica e di restauro che ne valorizza il prestigioso patrimonio artistico e ne accresce l’interesse culturale.
Nell’ambito di una conferenza stampa tenutasi questa mattina, l’Ente di via Calepina – proprietario della nobile dimora, oggi sede delle attività di rappresentanza e di promozione del territorio – ha illustrato l’esito di un’ampia collaborazione istituzionale che oggi consente ai visitatori non solo di scoprire aspetti inediti dell’apparato decorativo del Palazzo, ma anche di ammirare le copie di due opere di epoca conciliare che sono parte integrante della sua storia, e della storia del nostro territorio: il campanello di Gerolamo II Roccabruna (il cui prezioso originale è conservato presso il Castello del Buonconsiglio) e il “San Gerolamo penitente”, dipinto di Giovan Battista Moroni, il cui originale è perduto.

L’evento è stato aperto dal saluto dell’Assessore provinciale alla cultura, Francesca Gerosa: “Palazzo Roccabruna – ha esordito la Vicepresidente della Giunta provinciale – è uno dei palazzi più belli della città dove storia, cultura ed enogastronomia si incontrano all’insegna delle eccellenze del territorio. Come assessore alla cultura sono lieta di poter partecipare a questo evento frutto di una virtuosa collaborazione fra le istituzioni del territorio”

Alberto Olivo, segretario generale della Camera di Commercio di Trento, ha sottolineato la volontà dell’Ente di mantenere vivo l’interesse per la nobile dimora di via S. Trinità non solo attraverso eventi ed iniziative culturali o enogastronomiche, ma anche tramite un’attenta opera di valorizzazione del suo pregevole patrimonio artistico. “Tale attività – ha concluso il Segretario generale – culmina oggi con la presentazione dei recenti interventi di restauro, della copia del Campanello di Gerolamo II Roccabruna e di quella del quadro perduto del Moroni”
“Come Soprintendente ai beni e alle attività culturali della Provincia autonoma di Trento – ha osservato Franco Marzatico – non posso che rilevare la perfetta sintonia che ha caratterizzato la collaborazione fra Soprintendenza e Camera di Commercio nel corso del restauro. Il fatto che ci sia chi, come l’Ente camerale, si prende cura di questi luoghi con interventi di valorizzazione anche onerosi dal punto di vista economico, non può che essere motivo di soddisfazione”,

L’architetto Manuela Baldracchi, responsabile del progetto di restauro, ha illustrato gli aspetti salienti dell’intervento con particolare riferimento all’integrazione delle parti mutile della decorazione parietale della Sala conte di luna, e della pulitura e del consolidamento dei soffitti lignei policrimi: “L’esempio della Camera di Commercio – ha sottolineato l’architetto – sta dimostrando che col tempo si va affermando una buona pratica: non basta solo recuperare i palazzi storici, bisogna anche sottoporli a periodica manutenzione. Un restauro non può essere eseguito e poi abbandonato per decenni, come spesso succede, ma va seguito con un monitoraggio costante fatto anche di piccoli interventi, come in questo caso”.

Laura Dal Prà, direttrice del Castello del Buonconsiglio – che su autorizzazione della Soprintendenza provinciale – ha messo a disposizione il campanello per la copia, ha ripercorso la biografia di Gerolamo II Roccabruna focalizzando il suo ruolo nell’entourage della famiglia dei principi-vescovi Madruzzo. Il campanello, la cui pregevole decorazione ripropone i motivi araldici di casa Roccabruna, “non fa solo luce sulla rilevanza della figura del Canonico nella Trento dell’epoca, ma permette anche di aprire uno squarcio sul dibattito culturale di quel periodo in merito al ruolo della Fortuna intesa, come sorte, caso, forza in grado di assecondare o ostacolare l’agire umano, la cui presenza viene evocata dal motto inciso sul campanello: “Nec sorte movebor” (“neppure la sorte riuscirà a distogliermi”).

Il ruolo del Laboratorio Bagolini, Archeologia, Archeometria e Fotografia (LaBAAF) dell’Università di Trento, che ha realizzato il modello digitale del campanello per la stampa 3D, è stato illustrato dalla professoressa Annaluisa Pedrotti, docente associata di Preistoria e Protostoria della Facoltà di lettere che ha sottolineato l’attività della struttura da lei diretta nel campo della scansione fotogrammetrica dei reperti archeologici. Paolo Chistè, responsabile della sezione fotografica del LaBAAF, ha descritto la tecnica utilizzata per creare il modello digitale del manufatto: “Sono state scattate oltre 700 fotografie che hanno consentito di creare una nuvola di minuscoli poliedri che descrive nello spazio la morfologia del campanello in tutti i suoi dettagli con circa 16milioni di punti. Ne è seguito un lavoro al computer di oltre 40 ore che ha consentito di creare un modello virtuale fedele al decimo di millimetro”. La stampa in 3D del manufatto è stata successivamente eseguita da Prom Facility di Trentino Sviluppo. La Prom Facility ha realizzato non una, ma due copie del campanello, una delle quali -successivamente decorata a mano- destinata alla cappella gentilizia del Palazzo, l’altra al Castello del Buonconsiglio per le attività didattiche a favore dei non vedenti. Matteo Perini, ingegnere responsabile del settore “manifattura additiva” di Prom Facility e artefice della stampa in 3D dell’oggetto, ha citato anche la recente realizzazione da parte della sua organizzazione “di un software che crea oggetti utilizzando il linguaggio Braille” come supporto alle attività di manipolazione e lettura dei non vedenti.

In conclusione lo storico dell’arte Ezio Chini, ripercorrendo le tappe della storia del dipinto perduto del Moroni, il “San Gerolamo penitente”, esposto fino agli inizi del Novecento nella cappella del Palazzo, ha ricordato come nei primi anni del secolo scorso il patrimonio artistico trentino abbia patito una ferita di grandi proporzioni: “Ben quattro capolavori della pittura, tre Moroni e un Tiziano, che erano presenti in città fin dalla metà del Cinquecento emigrarono all’estero per sempre. Tra questi c’era anche “Il san Gerolamo penitente” di Palazzo Roccabruna. Di quel quadro è rimasta solo una fotografia di Gino Fogolari degli inizi del Novecento in bianco e nero che la Camera di Commercio di Trento è riuscita a recuperare e da cui è partita per una riproduzione a dimensioni originali dell’opera, oggi tornata alla sua originaria sede nella cappella gentilizia del Palazzo”.

 

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Servizio fotografico Daniele Mosna
Link immagini

 

In allegato le schede sul restauro, sul campanello e sul quadro del Moroni.

SAN GEROLAMO PENITENTE
Olio su tela (211cm x 110cm)
di Giovan Battista Moroni

Nato ad Albino (BG), in Val Seriana, tra il 1521 e il 1524, Giovan Battista Moroni si è formato nella bottega d’arte di Alessandro Bonvicino, detto il Moretto, uno dei grandi maestri del Rinascimento bresciano assieme al Romanino e al Savoldo. Dal suo maestro egli riprende l’intonazione severamente devozionale visibile nei dipinti di soggetto religioso. Famoso soprattutto per la sua attività di ritrattista, con dipinti che possono essere definiti “ritratti in azione”, presenta i personaggi nell’attimo in cui stanno compiendo un gesto, evitando in questo modo l’arida fissità del ritratto ufficiale. La data di morte non è certa: viene collocata presumibilmente fra il 1578 e il 1579.

A quanto risulta dagli studi di Simone Facchinetti (SIMONE FACCHINETTI, Giovan Battista Moroni. Opera Completa, ed. La Grande Officina, 2021, p. 120 sqq.), il dipinto dal titolo “San Gerolamo penitente” – che raffigura il Santo con il petto scoperto, genuflesso davanti ad un crocefisso, circondato da libri – era così descritto dal podestà di Trento, Benedetto Giovanelli: “San Gerolamo nel deserto al naturale, già nella cappella dei Roccabruna, opera sovra ogni dire bellissima e squisitissima”.

Entrato a far parte della Collezione Salvadori per donazione degli eredi dei Roccabruna, il quadro è stato venduto alla Galerie Trotti a Parigi nel 1906 ed è passato nel 1907 alla collezione di James Stillman a New York. Georges Lafenestre, storico dell’arte francese, racconta che i responsabili del Museo del Louvre avevano avviato trattative per acquisire l’opera, ma il loro emissario diretto a Trento ricevette all’altezza di Verona un dispaccio in cui si comunicava che le disposizioni della famiglia Salvadori erano cambiate e che il viaggio a Trento sarebbe stato inutile. L’opera era già stata venduta.

La prima riproduzione fotografica in bianco e nero è stata pubblicata da Gino Fogolari. La sua ultima attestazione risale al 1925 quando è stato venduto all’asta di Lepke (Katalog Lepke 1925, p.18, n. 111) proveniente dalla collezione di Marcel Nicolle. Da quel momento se ne sono perse le tracce.

Secondo la storica dell’arte e accademica dei Lincei, Mina Gregori, il quadro sarebbe un’opera del giovane Moroni, ancora strettamente legato alle morfologie del Maestro. La studiosa precisa: “Al tarchiato San Gerolamo penitente, oggi (ndr 1979) irreperibile – ma che fu eseguito su commissione del Madruzzo – conviene, per le strette relazioni con i disegni datati, una collocazione non lontana dal 1544-1545, quando furono avviati i lavori del Concilio”.

Con l’ausilio della computer grafica l’Ente camerale ha commissionato un ingrandimento in scala 1:1 della fotografia superstite all’agenzia PLUS di Trento, al fine di poter esporre al pubblico una copia del quadro nella sua sede originaria (“la cappella dei Roccabruna”). L’intento dell’Ente camerale è quello di mostrare al pubblico l’immagine di un’opera pittorica che rientrava fra i beni del Palazzo e di cui negli anni la comunità trentina è stata privata.

La copia del quadro è stata riprodotta da Digital Carton di Trento su pannello Dibond di 3mm mediante stampa diretta UV con protettivo opaco e fissata alla nicchia con distanziali. La riproduzione in scala 1:1, partendo da un’immagine di piccole dimensioni, come la foto superstite, ha comportato la necessità di accettare una risoluzione finale di compromesso che a distanza ravvicinata evidenzia, in alcuni punti, i pixel della grafica. Per evitare l’effetto si sarebbe dovuto sovrascrivere il tratto pittorico del Moroni, scelta per la quale si è deciso di non optare nel rispetto dell’originale.

 

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PALAZZO ROCCABRUNA: IL CAMPANELLO DI GROLAMO II ROCCABRUNA

Opera di Vincenzo e Gian Gerolamo Grandi, il campanello, nella sua versione originale, è realizzato in un metallo imprecisato (forse una lega di stagno); è cesellato, inciso e ricoperto di lacca incolore. Ha un’altezza di 15,5cm e un diametro massimo di 10cm. E’ datato 1554.

Alla base presenta una fascia circolare con scritta in lettere maiuscole HIER[ONYMUS]. ROCHAB[RUNA]. CAN[ONICUS]. ET. SUM[MUS]: SCHO[LASTICUS]. TRIDEN[TINUS]. 1.5.5.4 (“Gerolamo Roccabruna, canonico e sommo scolastico tridentino 1554”).

Al di sopra spicca un fregio con delicati tralci di elitropi avvolti in un filatterio che riporta il motto del Canonico: NEC SORTE MOVEB[OR] (“Neppure la sorte mi distoglierà”; per il significato del motto cfr. la scheda su Palazzo Roccabruna). I putti rappresentati sul corpo esterno dell’oggetto sorreggono uno scudo con due torri sormontate, lo stemma della famiglia Roccabruna ed oggi delle attività camerali presso Palazzo Roccabruna. Funge da impugnatura un manico con testa di grifone.

L’apparato decorativo fa del campanello un monumento araldico in miniatura. Il motto personale, che circoscrive la cerchia dei possibili utenti, caratterizza il manufatto come un oggetto familiare, riferito ad una persona ben determinata. L’insieme della decorazione, rievocando gli stilemi pittorici che adornano le pareti della Sala Conte di Luna, contribuisce ad illuminarne il significato e caratterizza l’oggetto come parte integrante del patrimonio artistico del Palazzo.

L’originale è conservato presso il Castello del Buonconsiglio, Monumenti e collezioni provinciali. La copia è stata realizzata in poliammide 12, tramite stampa 3D e decorata a mano.

 

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PALAZZO ROCCABRUNA: ELEMENTI DI STORIA E INTERVENTO DI RESTAURO

Introduzione
Palazzo Roccabruna deriva dall’accorpamento di più unità abitative preesistenti, ristrutturate e rifunzionalizzate nella seconda metà del XVI secolo per volontà di Gerolamo II Roccabruna, canonico e sommo scolastico nel capitolo della cattedrale di Trento, esponente illustre dell’entourage madruzziano. L’edificio dichiara la propria funzione di rappresentanza fin dalla facciata su cui spiccano i simboli del cardinale Cristoforo Madruzzo e del Canonico, suo collaboratore. Il compimento dell’opera dovrebbe collocarsi entro la fine del 1562, poiché nel gennaio 1563 il Palazzo fu nella disponibilità del Conte di Luna, Claudio Fernandez de Quiñones, delegato del re di Spagna, Filippo II, presso il Concilio di Trento (1542 – 1563) che lo abitò dalla primavera del 1563 fino alla fine del Concilio (dicembre 1563). Il Conte di Luna morì a Trento nei giorni successivi al Natale del 1563. A lui è intitolata la splendida sala di rappresentanza del piano nobile. Dal 2002 Palazzo Roccabruna è proprietà della Camera di Commercio Industria, Artigianato e Agricoltura di Trento, e dal 2007 accoglie la sede dell’Enoteca provinciale del Trentino, struttura dell’Ente camerale.

 

SALA CONTE DI LUNA

La sala affrescata del piano nobile, dedicata al Conte di Luna, è caratterizzata da un apparato decorativo che insiste su tutta la superficie parietale, organizzato su due registri orizzontali ben distinti: la fascia sommitale che riporta un fregio manierista con un criptogramma, grottesche, cariatidi e stemmi, e la fascia inferiore che è interessata da un motivo modulare con elementi simbolici reiterati, coevo alla realizzazione del Palazzo: un sole antropomorfo raggiante e un elitropio fiorito, insieme alle iniziali del motto di Gerolamo II Roccabruna “N-S-M”. Nell’immagine dipinta sopra l’imponente camino il motto latino è riportato per esteso in un filatterio che avvolge un elitropio rivolto verso il sole: Nec sorte movebor ovvero “Nemmeno la sorte mi distoglierà”. Il motto, l’elitropio e il sole raggiante (figura di Cristo) costituiscono l’impresa del Canonico: come l’elitropio ruota seguendo il corso del sole, così il Canonico non si distoglie dai suoi doveri religiosi.
L’impresa ricorre anche nei cassettoni dello splendido soffitto ligneo (abete rosso), dove è affrontata dallo stemma di famiglia, costituito da due torri nere sormontate in campo oro, oggi simbolo delle attività camerali che si svolgono nel Palazzo. L’impresa e lo stemma di famiglia ricompaiono nella decorazione esterna del campanello che, riproponendo in modo esplicito i motivi araldici di casa Roccabruna, si qualifica come parte integrante del patrimonio artistico del Palazzo.

Nel fregio mutilo, sottostante al soffitto, fra figure teriomorfe ed elementi decorativi, si riconoscono alcune lettere che secondo il gusto rinascimentale costituiscono un criptogramma, cioè una frase cifrata. Si è congetturato, sulla base dell’epigrafe datata 1566 conservata all’interno del castello Roccabruna di Fornace – in cui il Canonico viene definito consiliarius et oeconomus dei Madruzzo (“consigliere e maestro di casa”) – che il criptogramma celi una frase celebrativa del ruolo di Gerolamo II Roccabruna all’interno dell’entourage del cardinale Cristoforo, suo protettore. D’altra parte lo stemma del Cardinale campeggia sulla facciata del Palazzo con la dedica Tu decus omne meum (“In te sta tutto il mio onore”) e sul portale d’ingresso della sala fa bella mostra di sè uno stemma della famiglia del Principe-Vescovo. Le lettere superstiti (RN OS D R C) consentono, di congetturare la decifrazione di una parte del criptogramma, la cui composizione probabilmente si estendeva anche sul lato est oggi irrimediabilmente danneggiata: [Hieronymus] R[ochabru]N[a] [Consiliarius] O[economu]S D[omini] R[everendissimi] C[ardinalis Christophori Madrucii] ovvero “Gerolamo Roccabruna, consigliere (e) maestro di casa del reverendissimo signor cardinale Cristoforo Madruzzo”.

 

Restauro
“Le superfici dipinte – osserva Manuela Baldracchi, progettista degli interventi di restauro – si presentavano molto frazionate dalle “tracce” eseguite verso la metà del secolo scorso per la realizzazione dell’impianto di illuminazione, quando la superficie delle pareti riportava ancora strati sovrammessi di tempera bianca. La decorazione era andata perduta anche su zone più ampie, che ora risultano trattate con intonaco “neutro”. Nel restauro dei primi anni 2000 era stata applicata una regola d’intervento di assoluto rigore, lasciando le lacune prive di decorazione, mentre recentemente è stato attivato un nuovo confronto con la Soprintendenza per i Beni culturali al fine di proporre una rivalutazione formale delle superfici, mediante un intervento di risarcimento pittorico, in modo da riproporre l’armonia d’insieme della sala. Lo stato di conservazione degli affreschi era abbastanza buono: sia la pellicola pittorica che l’arriccio e le lacune integrate a malta neutra si presentavano ben coesi e ancorati, senza accenni di spolvero. Il maggior degrado si è riscontrato a livello del I° registro di affreschi, dove, oltre alle zone mancanti, particolarmente evidenti erano i segni di graffiature verticali. Su tutta la superficie pittorica del II° registro era presente invece una leggera, ma diffusa patina biancastra, che causava una percezione confusa e nebulosa dell’apparato decorativo delle grottesche. Per le stuccature del registro inferiore si è proposto un intervento differenziato: le campiture di ampie dimensioni sono state mantenute a finitura neutra, mentre quelle lineari, corrispondenti alle “tracce” dell’impianto elettrico, sono state oggetto di un’integrazione pittorica, resa possibile grazie alla modularità dell’impianto decorativo caratterizzato dall’alternanza del motivo a sole raggiante e dell’eliotropio fiorito, eseguita sottotono e con il metodo dell’impronta. Per le lacune del registro superiore si è proceduto ad un abbassamento cromatico del tono delle malte attuali e a contenute integrazioni sottotono”.

 

SOFFITTO LIGNEO DELLA SALA CONTE DI LUNA

“Il soffitto di Sala Conte di Luna – scrive Manuela Baldracchi – è composto da 15 cassettoni ottagonali, in legno policromo, con rosoni circolari intagliati applicati al centro. Negli spazi tra i lacunari trovano posto 8 specchiature quadrangolari, mentre lungo il perimetro sono disposti 12 piccoli cassettoni triangolari più i 4 elementi d’angolo. Ogni lacunare è dipinto con una raffinata e articolata decorazione a grottesche con fondo a finto mosaico monocromo su modello del fregio rinascimentale ad affresco delle pareti. Tra cherubini, fogliame e motti spiccano l’emblema dei Roccabruna e l’elitropio dell’impresa canonicale. La profondità dello scatolato è affidata ad una tavola piana posta inclinata e decorata da una triplice modanatura dipinta. La cornice perimetrale, direttamente a contatto con la muratura è in gran parte stata sostituita in precedenti interventi manutentivi così come alcuni elementi che compongono il tavolato e le corniciature del soffitto. La decorazione è realizzata probabilmente ad olio su un sottilissimo strato preparatorio in parte lasciato a vista. Numerose lacune e abrasioni dello strato pittorico rendevano talvolta poco leggibile la decorazione, ingiallimenti e gore provocate da infiltrazioni d’acqua dal piano superiore segnavano la superficie pittorica. La cromia si presentava estremamente arida e interrotta da numerose cadute. L’analisi di identificazione della specie legnosa del soffitto, eseguita dal laboratorio del CNR – Istituto per la Bioeconomia di San Michele all’Adige (TN), ha permesso di individuare l’impiego dell’abete rosso”.

 

Restauro

L’intervento di restauro del soffitto ha avuto finalità conservative (consolidamento, integrazione, pulitura), conoscitive (tecniche di pittura, materiali usati) ed estetiche (ricomporre l’unitarietà di lettura).

 

ORATORIO/CAPELLA DI SAN GIROLAMO  

La Cappella gentilizia dedicata a San Gerolamo, con accesso dalla Sala del Conte di Luna, propone uno dei pochi esempi cittadini di apparato pittorico della seconda metà del Cinquecento conservatosi nella sua interezza. Organizzato su due registri, presenta in quello superiore episodi tratti dalla vita del Santo: sul lato Est elementi tratti dalla biografia (battesimo; estasi; traduzione della Bibbia; fondazione di monasteri in Terra Santa; leggenda del leone), sul lato Ovest aneddoti agiografici post mortem. Nella fascia pittorica inferiore l’affresco propone un ambiente architettonico prospettico, scandito da un finto colonnato, che produce un allargamento percettivo dello spazio. Vi è rappresentato il Canonico Roccabruna ritratto in un atteggiamento devozionale. Sopra la sua figura si trova l’iscrizione: ANNO DOMINI – M.D.LXXXVIII – AETATIS SVAE – ANNO LXIII (“Anno del Signore 1588 – All’età di 63 anni”) che assume una valenza molto importante in quanto indica non solo la data, 1588, in cui fu ultimata la decorazione ad affresco della Cappella, ma ci dà anche l’esatta indicazione dell’età (63 anni) del Canonico in quel preciso momento.

 

Restauro

“Lo stato di conservazione del ciclo pittorico – osserva Manuela Baldracchi – era abbastanza buono, ad eccezione delle scene nell’angolo nord-ovest dove la muratura presentava segni di vecchie infiltrazioni di acqua piovana, che hanno comportato la perdita di gran parte delle immagini rappresentate. L’intervento eseguito è stato di riordino pittorico, mediante pulitura, ristabilimento della coesione della pellicola pittorica nei casi di disgregazione, estrazione dei Sali solubili, consolidamento, stuccatura delle fessurazioni e leggera integrazione pittorica in alcuni specifiche zone”.

L’intervento di restauro del Palazzo, sotto la guida dell’architetto Manuela Baldracchi, ha interessato anche l’ambiente prospiciente la sala Conte di Luna (Sala dei Damaschi), i soffitti lignei e policromi del secondo piano e il pavimento ligneo della Sala della Stella al primo piano.

 

 

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