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BONFANTI – VALER – ERLICHER -TESSADRI – CIANCI * CIRCONVALLAZIONE FERROVIARIA: « INTERVENTO RFI SU AREE INQUINATE DI TRENTO NORD, PRESENTATO UN ESPOSTO ALLA PROCURA DELLA REPUBBLICA »

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16.10 - lunedì 7 marzo 2022

E’ la circonvallazione ferroviaria ad essere esiziale. Scomodando l’Accademia della Crusca, in un recente intervento il Sindaco di Trento ha definito “esiziale” la posizione di chi è contrario alla circonvallazione ferroviaria AC/AV di Trento ed ha paragonato detta opera allo spostamento da parte degli austriaci, per esigenze militari, del fiume Adige avvenuto attorno al 1860.

“Esiziale” è parola desueta, e può essere opportuno ricorrere al Vocabolario per restituirne il significato pieno; significa “provocare un danno irreparabile e rovinoso” e ancora “pregiudicare irrimediabilmente la salute, mortale” mentre nel “vocabolario dei sinonimi e dei contrari” il sostantivo esiziale è associato a parole come ferale, incurabile, pernicioso, catastrofico, funesto, dannoso, micidiale, pregiudizievole, nocivo.

Siamo sicuramente d’accordo con il Sindaco Ianeselli ad associare questa parola con la circonvallazione ferroviaria di Trento, così come ci pare esplicativo e calzante l’esempio dello spostamento dell’Adige operato per ragioni militari dagli austriaci nel 1869, purché ci si intenda su alcune questioni ed in primis a chiamare quell’intervento “sciagura urbanistica e paesaggistica” (documentata dagli stupendi disegni e quadri del Durer) e non “opportunità” come Ianeselli e Facchin (ormai smaccatamente uomo di RFI in Giunta Comunale) chiamano la circonvallazione ferroviaria.

Trento sarebbe in assoluto una delle più affascinanti città d’Europa se il corso dell’Adige non fosse stato deviato. Quella scelta oltre a rendere più impetuoso il corso del fiume, rendendone impossibile la navigazione e mettendo in pericolo la città in caso di alluvioni (è ancora in predicato la realizzazione della diga di Valda proprio per prevenire simili eventi calamitosi), ha spostato l’Adige verso la montagna, mutato antropologicamente ed in profondità i due quartieri originari della città, Piedicastello e San Martino, impedendo che crescessero attorno al fiume e marginalizzandoli.

Ed ancora ha profondamente modificato lo stesso centro storico cittadino, prima costituito attorno a via Lunga (le attuali via San Marco, Via Manci e Via Roma) ed a via Larga (via Belenzani) sedi delle manifestazioni storiche e capolinea del potere temporale (il Castello del Buonconsiglio) e spirituale (la cattedrale di San Vigilio), ed oggi ridotto al Giro al Sass.

Il “nuovo” centro storico ha declassato tutte le vie ed i vicoli che conducevano al fiume, a cominciare da via del Suffragio e espulso dal centro stesso il Castello del Buonconsiglio, da decenni separato dal centro città da una barriera viaria che lo isola. Isolamento che neppure il recente e discutibile progetto di riqualificazione di piazza Mostra si è posto il problema di superare, nonostante ancora alla fine negli anni ’80 l’architetto Di Carlo avesse redatto una proposta che metteva sotto terra via dei 21 e piazza Raffaello Sanzio, permettendo al prato antistante allo storico maniero di declinare su piazza Mostra ricongiungendolo al centro storico e che in più occasioni il Consiglio Comunale avesse chiesto che ad un intervento di questa qualità fosse data priorità.

Trento ha impiegato 150 anni a minimizzare quella sciagura urbanistica e paesaggistica senza riuscirci del tutto (la vicenda del Castello del Buonconsiglio parla per tutte) ed a contribuire a questo è stato senz’altro l’intervento di riqualificazione del Centro Storico operato con i fondi FIO a cavallo degli anni 90, che ci ha consentito di creare una vera e propria “eccellenza” con ricadute positive in termini di qualità della vita e di turismo.

Parlando di “opportunità”, e di “metaprogetto”, Ianeselli fa invece esplicito riferimento a quella fase di grandeur urbanistica (e speculativa) che ha avuto nel quartiere delle Albere il suo apice e che con il PRG dell’archistar catalana Busquets ha pensato all’interramento della linea ferroviaria esistente, dal Magnete fino a via Monte Baldo, per realizzarvi un boulevard e che ci lascia in eredita ancora oggi ben 3 milioni di metri cubi edificabili.

Una fase urbanistica della città che è coincisa con la crisi mondiale dei “subprime” e che a Trento ha visto gli enti locali andare in soccorso agli azzardi della speculazione, la quale senza l’iniziale concorso pubblico (la realizzazione del Muse) e l’acquisto di parte dell’ invenduto (la realizzazione della biblioteca universitaria) avrebbe rischiato un pesante bagno di sangue nella operazione “Albere”.

Operazione ancora oggi tutt’altro che conclusa e che nonostante lo spostamento in quel quartiere delle sedi delle finanziarie e degli istituti assicurativi localmente più prestigiosi e di numerosi negozi ed attività, è un quartiere fantasma, con centinaia di alloggi di lusso sfitti. Non è un caso che le Albere nascano propagandandosi come “il nuovo centro storico cittadino”: per vivere il boulevard avrà bisogno infatti che su di esso siano spostate funzioni oggi caratteristiche del centro storico, finendo per depauperarlo, e per svilire quella che è una eccellenza della nostra provincia.

A Trento non servono certo nuove costruzioni ma serie politiche edilizie, basate sul riuso dell’esistente, che diano risposta ai bisogni di quella parte di popolazione che non può accedere alla casa in proprietà; una fascia di bisogno urbano che la crisi mondiale dl 2008 ed ora la pandemia da covid ha allargato significativamente e per la quale mancano totalmente risposte.

Tornando alla esternazione del Sindaco, anche l’altra parte del significato del termine “esiziale”, quello che parla di “pregiudicare irrimediabilmente la salute, mortale”, non può che trovarci assolutamente d’accordo. Anche qui purché si capisca di cosa stiamo parlando. Noi, unitamente ad altri cittadini ed alle Associazioni ambientaliste (Lega Ambiente, WWF, Mountain Wilderness), abbiamo presentato alla Procura della Repubblica un esposto denuncia circa i pericoli connessi all’intervento previsto da RFI sulle aree inquinate di Trento Nord.

RFI vorrebbe passare su quello che da ormai quasi 20 anni è un sito inquinato di interesse nazionale senza dare alcuna garanzia né tecnica (sul come fare la bonifica) né ambientale (sui pericoli per la popolazione connessi allo scavo su quelle aree ed al deposito sulle stesse di circa 1,3 milioni di metri cubi di terre e rocce provenienti ipotizzata della galleria a due canne sotto la Marzola) sulla qualità della bonifica. Siamo in presenza del concreto rischio che questo intervento produca un “disastro ambientale”, che nella legislazione italiana è un “reato di pericolo” di cui va prevenuto il consumo, ed è per questo che abbiamo chiesto alla Magistratura il “sequestro preventivo” di quelle aree, proprio per impedire che l’intervento di RFI “pregiudichi irrimediabilmente la salute” della popolazione di Trento.

E non ci siamo limitati a questo: abbiamo proposto di operare su quei terreni una fitobonifica e che sull’area SLOI sia realizzato un “Parco della Memoria”, essendo quella vicenda e quel territorio un vero e proprio paradigma dello sviluppo capitalistico, del primato del profitto sull’ambiente e sulla salute dei lavoratori, di una idea di sviluppo basata sui combustibili fossili, sul mito della velocità e dell’auto, oltreché una pagina nera per la città di Trento che a causa dell’incendio scoppiato nella notte del 14 luglio 1978 ha rischiato la sua esistenza.

Anche in questo caso il Sindaco Ianeselli, unitamente al Presidente della Giunta Provinciale, non sanno fare di meglio che auspicare da parte di RFI “la bonifica totale delle aree” evitando però di assumersi le proprie responsabilità. Il risanamento di quelle aree è compito degli enti locali territoriali (Comune e Provincia) dopo che la attuale proprietà (i più grandi immobiliaristi e costruttori regionali) ha beneficiato di enormi ed ingiustificati aumenti della volumetria da realizzare su quell’area, promettendo in cambio un disinquinamento mai realizzato e tentando ripetutamente di far passare per tale qualche insignificante palliativo.

Comune e Provincia continuano a nascondersi dietro il fatto che trattandosi di un SIN (un sito di interesse nazionale) deve essere il Ministero dell’Ambiente a dare il via libera al risanamento di quelle aree, anche se la legislazione vigente li rende in grado di sostituirsi ai proprietari nella bonifica, rivalendosi poi sugli stessi circa per i costi della stessa, anche in termini di ripubblicizzazione di quei terreni. Le norme nazionali sui “siti orfani”, ovvero su quei siti dove chi ha realizzato l’inquinamento non è più proprietario dell’area, permettono di operare in questo senso, senza considerare che il Sindaco è anche Autorità sanitaria sul proprio territorio e quindi dotato di competenza per agire in tal senso e dell’obbligo, giuridico oltre che politico, di assumersene la responsabilità.

Infine il Sindaco Ianeselli ha parlato dell’obbligo di fare qualcosa in prospettiva della apertura del tunnel del Brennero. Anche qui siamo d’accordo. Non è un caso, infatti, che fin dalla prima lettera che gli abbiamo indirizzato (le ormai famose 11 domande…) abbiamo proposto che si intervenisse da subito (!) per risolvere il vero problema del traffico merci attraverso il valico del Brennero, ovvero la presenza del traffico deviato, che costituisce più del 30% dell’intero traffico merci che transita attraverso quel valico alpino, richiamato sulla A22 dal basso costo delle tariffe autostradali.

E che poi si intervenisse anche attraverso una reale riqualificazione della linea esistente, sia in termini di tecnologie, in modo da consentirne un pieno utilizzo (la capacità delle linea arriva a 28 milioni di tonnellate merci all’anno, mentre oggi ne trasporta meno di 14), che dal punto di vista dell’ammodernamento del parco circolante (Austria, la Svizzera e la Germania hanno reso obbligatori carrelli e vagoni enormemente più silenziosi di quelli circolanti in Italia). Non ci risulta però che il Sindaco abbia cercato di coinvolgere la Provincia su questa strada né che abbia dato al proprio rappresentante in Consiglio di Amministrazione dell’Autobrennero indicazioni in tal senso.

Si continua invece a difendere un’opera che si prefigge di portare in Trentino, e segnatamente sull’interporto della città capoluogo, 630.000 camion in più all’anno (più di 2000 al giorno!), di approvare un PUP che con la prevista realizzazione della Valdastico drenerà sul Trentino altro traffico deviato proveniente dalla Pedemontana veneta e da Padova e diretto a nord, di trasformare, insomma, la valle dell’ Adige in un nastro trasportatore di merci verso la Germania ed il Centro Europa.

Nonostante la vera eccellenza trentina da salvaguardare sia il paesaggio e la montagna.

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Elio Bonfanti, Antonella Valer, Lorenza Erlicher, Franco Tessadri, Marco Cianci

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