News immediate,
non mediate!
Categoria news:
OPINIONEWS

ISTAT * NOZZE: « NEL 2022 CELEBRATI 189.140 MATRIMONI, IL 4,8% IN PIÙ RISPETTO AL 2021 / 2.813 LE UNIONI TRA PARTNER DELLO STESSO SESSO (+31%) »

Scritto da
12.08 - lunedì 18 dicembre 2023

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –

///

Matrimoni in lieve crescita, unioni civili in aumento quasi di un terzo. Nel 2022 sono stati celebrati in Italia 189.140 matrimoni, il 4,8% in più rispetto al 2021 e il 2,7% in più in confronto al 2019, anno precedente la crisi pandemica (durante la quale molte coppie hanno rinviato le nozze). I matrimoni religiosi, pressoché stabili rispetto al 2021 (-0,5%), diminuiscono sensibilmente (-5,6%) rispetto al periodo pre-pandemico. Nei primi otto mesi del 2023 i dati provvisori indicano una nuova diminuzione dei matrimoni (-6,7%) rispetto allo stesso periodo del 2022.

 

Matrimoni in lieve aumento anche rispetto al periodo pre-pandemico
Nel 2022 i matrimoni sono stati 189.140, in ripresa rispetto non solo all’anno precedente (+4,8%) ma anche al 2019 (+2,7%). I dati provvisori dei primi otto mesi del 2023 mettono in luce però una nuova diminuzione, confermando l’andamento altalenante, molto legato a fenomeni di tipo congiunturale, che negli ultimi decenni sta contraddistinguendo il numero di matrimoni.
Nel 2000, ad esempio, si rilevò un aumento dei matrimoni da collegare al desiderio di celebrare le nozze all’inizio del nuovo millennio. All’opposto, nel triennio 2009-2011, il calo fu particolarmente accentuato per il crollo delle nozze dei cittadini stranieri, scoraggiati dalle modifiche legislative volte a limitare i matrimoni di comodo. Inoltre, non va dimenticata la crisi economica del 2008 il cui impatto produsse effetti sulle intenzioni nuziali delle coppie. Infine, nel 2020 si è assistito a un dimezzamento del numero dei matrimoni per effetto del dispiegarsi degli effetti della pandemia da Covid-19 e delle misure di contenimento della stessa.
A livello tendenziale, invece, un ridimensionamento della nuzialità si osserva in Italia da oltre quarant’anni.

La transizione alla vita adulta segue percorsi molto diversi rispetto al passato, quando il motivo prevalente di uscita dal nucleo di origine era legato alla necessità di formare una nuova famiglia attraverso le nozze . Secondo i dati dell’Indagine Famiglie e soggetti sociali (2016) per le giovani generazioni di uomini (nati tra il 1982 e il 1986) la convivenza more uxorio è preferita al matrimonio (22,5% contro 21,8% di coloro che lasciano la casa dei genitori entro il trentesimo compleanno); seguono le altre motivazioni quali, per esempio, lavoro, studio e autonomia. Per le donne, l’uscita dalla famiglia di origine si contraddistingue ancora per la scelta preponderante del matrimonio (40% tra le nate negli anni Ottanta), seguita da quella della convivenza, con percentuali via via crescenti di generazione in generazione.

A livello territoriale il lieve aumento dei matrimoni del 2022 è la sintesi di due situazioni contrapposte: nel Centro e nel Nord la variazione positiva è stata ben più consistente (rispettivamente 14,2% e 10,5%) mentre nel Mezzogiorno la variazione è negativa rispetto sia al 2021 (-4,5%) sia al 2019 (-2,3%). Nel 2022 i primi matrimoni (146.222 nel 2022, 77,3% dei matrimoni totali), dopo aver subito un dimezzamento nel 2020, tornano ai livelli del 2019. La diminuzione tendenziale dei primi matrimoni, al netto delle oscillazioni di breve periodo, è strettamente connessa alla progressiva diffusione delle libere unioni (convivenze more uxorio) . Queste ultime sono più che triplicate tra il biennio 2000-2001 e il biennio 2021-2022 (da circa 440mila a più di 1 milione e 500mila), un incremento da attribuire soprattutto alle libere unioni di celibi e nubili. Negli ultimi decenni, inoltre, il netto ridimensionamento numerico delle nuove generazioni, dovuto alla bassa fecondità, che dalla metà degli anni Settanta si è sempre mantenuta ben sotto il livello di sostituzione, sta producendo un effetto strutturale negativo sui matrimoni. Man mano che le generazioni più giovani, meno numerose di quelle dei loro genitori, entrano nella fase della vita adulta si riduce la numerosità della popolazione in età da matrimonio e, di conseguenza, anche a parità di propensione a sposarsi, cala inesorabilmente il numero assoluto di nozze.

 

Aumentano in maniera decisa le seconde nozze
L’aumento dell’instabilità coniugale contribuisce alla diffusione delle seconde nozze e delle famiglie composte da almeno una persona che abbia vissuto una precedente esperienza matrimoniale, fenomeno che genera nuove tipologie familiari. Al tendenziale aumento di questa tipologia di matrimoni, registrato soprattutto nel biennio 2015-2016 come conseguenza dell’introduzione nel 2015 del “divorzio breve”, ha fatto seguito una progressiva stabilizzazione che si è protratta fino al 2019.
Nel 2022 le seconde (o successive) nozze sono state 42.918, finora il valore più alto mai registrato (la quota sul totale dei matrimoni è del 22,7%). Tale percentuale solo nel 2020 era stata più elevata (28,0%) ma tale circostanza si verificò in realtà come conseguenza di una congiuntura sfavorevole che fece contrarre in modo più deciso i primi matrimoni e, all’interno di questi ultimi, quelli religiosi. L’aumento delle seconde nozze è del 12,9% rispetto al 2021, del 13,1% rispetto al 2019. La tendenza all’aumento, quindi, appare confermata mentre gli effetti congiunturali della pandemia risulterebbero superati.
I matrimoni successivi al primo sono più diffusi nei territori in cui si registrano tassi di divorzio più elevati, ovvero nelle regioni del Centro-nord. Le percentuali più alte di matrimoni con almeno uno sposo alle seconde nozze sul totale delle celebrazioni si osservano in Liguria (34,5%), Friuli-Venezia Giulia (32,6%) e Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (32,1%). Le incidenze più basse si rilevano, invece, in Basilicata (9,5%) e Calabria (10,9%) (Figura 1).

 

In crescita i matrimoni con almeno uno sposo straniero
Nel 2022 sono state celebrate 29.574 nozze con almeno uno sposo straniero (il 15,6% del totale dei matrimoni), in aumento del 21,3% rispetto all’anno precedente. La quota di matrimoni con almeno uno sposo straniero è notoriamente più elevata nelle aree in cui è più stabile e radicato l’insediamento delle comunità straniere, cioè al Nord e al Centro (Figura 1). In queste due aree del Paese un matrimonio su cinque riguarda almeno uno sposo straniero mentre nel Mezzogiorno questa tipologia di matrimoni è pari all’8,9%. A livello regionale in cima alla graduatoria vi sono la provincia autonoma di Bolzano/Bozen (27,9%) e la Toscana (23,0%).
I matrimoni misti (in cui uno sposo è italiano e l’altro straniero) ammontano a 20.678 e continuano a rappresentare la parte più consistente dei matrimoni con almeno uno sposo straniero (69,9%). Quasi i tre quarti dei matrimoni misti riguardano coppie con sposo italiano e sposa straniera (15.138, l’8,0% delle celebrazioni a livello nazionale nel 2022). Le donne italiane che hanno scelto un partner straniero sono 5.540, il 2,9% del totale delle spose.
La cittadinanza degli sposi nei matrimoni misti presenta diversità rispetto al genere. Nel 2022 gli uomini italiani hanno sposato una cittadina rumena nel 18,9% dei casi, ucraina nel 10,2% e russa nel 6,9%. Le donne italiane hanno contratto matrimonio più frequentemente con uno sposo di cittadinanza marocchina (12,6%) o albanese (8,5%).

 

 

“Turismo matrimoniale” in ripresa ma ancora non ai livelli pre-pandemia
Il nostro Paese esercita una forte attrazione per numerosi cittadini provenienti dall’estero, soprattutto da paesi a sviluppo avanzato, che scelgono l’Italia come luogo di celebrazione delle nozze. Nel 2022 si rilevano 3.754 nozze tra sposi entrambi stranieri e non residenti. Un dato, questo, più che raddoppiato rispetto al 2021 ma ancora distante dai livelli pre-pandemia (-8,3% rispetto al 2019). Infatti, a partire dal 2020 questa tipologia di nozze (coppie di entrambi stranieri e non residenti) ha subito una consistente flessione a causa delle restrizioni imposte alla mobilità internazionale, passando dai 4.094 del 2019 ai 918 del 2020 (-77,6%); nel 2021 si è avviata una fase di ripresa (1.574) consolidatasi poi nel 2022.

I matrimoni tra stranieri in cui almeno uno dei due sposi risulti residente in Italia (depurati quindi dall’effetto del “turismo matrimoniale”) nel 2022 sono stati 5.142 (+14,1% rispetto all’anno precedente). I più diffusi sono quelli tra cittadini rumeni (1.207 nel 2022; 23,5% dei matrimoni tra sposi stranieri residenti) e quelli tra nigeriani (887; 17,3%). Le ragioni di questi diversi comportamenti nuziali vanno ricercate, verosimilmente, nei progetti migratori e nelle caratteristiche culturali proprie delle diverse comunità, oltre che nella prevalenza maschile o femminile che le collettività presentano. In molti casi i cittadini immigrati arrivano in Italia dopo aver già contratto il matrimonio nel paese di origine, oppure vi fanno temporaneamente ritorno per questo scopo; questo per dire che un significativo numero di celebrazioni di cittadini stranieri residenti in Italia non viene rilevato dagli Uffici di Stato Civile in quanto celebrati all’estero.

 

Aumentano i matrimoni misti con nuovi cittadini
La possibilità di distinguere la cittadinanza degli sposi italiani, dalla nascita o per acquisizione, permette di far luce sui comportamenti nuziali in base al background migratorio. Tra i matrimoni misti, oltre uno su 10 coinvolge uno sposo italiano per acquisizione; se consideriamo i matrimoni misti tra sposa italiana e sposo straniero, in più di uno su quattro la sposa italiana è di origine straniera (Figura 2). Questa quota era molto più contenuta, circa il 6%, nel 2012. Il consistente aumento della presenza di italiani per acquisizione al momento del matrimonio è dovuto a molteplici fattori. Innanzitutto, negli anni recenti l’acquisizione della cittadinanza è diventata più consistente, in linea con un più avanzato processo di integrazione dei cittadini stranieri, ma, allo stesso tempo, si è registrata una progressiva diminuzione della quota di acquisizioni per matrimonio. La tipologia di matrimonio misto, quindi, sta cambiando nel tempo, includendo una quota crescente di neo-cittadini italiani che alla nascita avevano la stessa cittadinanza del partner straniero.

 

 

Più di un matrimonio su due celebrato con rito civile
Nel 2022 il 56,4% dei matrimoni è stato celebrato con rito civile, in continuità con il valore dell’anno precedente (54,1%) e in linea con l’aumento tendenziale osservato negli anni pre-pandemici (52,6% nel 2019). La quota particolarmente elevata di matrimoni civili osservata nel 2020 (71,1%) ha costituito quindi un’eccezione, determinata dalle misure di contenimento dell’emergenza sanitaria che hanno colpito soprattutto le celebrazioni con rito religioso.
Il rito civile è chiaramente più diffuso nelle seconde nozze (95,0%), essendo in molti casi una scelta obbligata , e nei matrimoni con almeno uno sposo straniero (90,3% contro il 50,1% dei matrimoni di sposi entrambi italiani). La scelta del rito civile va però diffondendosi sempre di più anche tra i primi matrimoni (45,1% nel 2022).
Considerando i primi matrimoni tra sposi entrambi italiani (86,5% del totale dei primi matrimoni) l’incidenza di quelli celebrati con rito civile è del 38,7% nel 2022 (33,4% nel 2019 e 20,0% nel 2008). La variabilità territoriale per tale tipologia di coppia è spiccata: si riscontrano incidenze di celebrazioni con rito civile più basse nel Mezzogiorno (23,4%) e più alte nel Centro (49,3%).
La scelta del regime patrimoniale di separazione dei beni, tendenzialmente in crescita rispetto al passato (62,7% nel 2008, 40,9% nel 1995), conferma la stessa quota del 2021 (73,4%), in lieve contrazione rispetto al 2020 (74,7%).

 

Ci si sposa più tardi
Il mutamento nei modelli culturali, nonché l’effetto di molteplici fattori quali l’aumento diffuso della scolarizzazione e l’allungamento dei tempi formativi, le difficoltà nell’ingresso nel mondo del lavoro e la condizione di precarietà del lavoro stesso hanno comportato, negli anni, una progressiva posticipazione del calendario di uscita dalla famiglia di origine. La quota di giovani che resta nella famiglia di origine fino alla soglia dei 35 anni è pari al 61,2%, quasi tre punti percentuali in più in meno di 20 anni .
Questa protratta permanenza comporta anche un effetto diretto sul rinvio delle prime nozze. Tale effetto si amplifica nei periodi di congiuntura economica sfavorevole spingendo i giovani a ritardare ulteriormente, rispetto alle generazioni precedenti, le tappe dei percorsi verso la vita adulta, tra cui quella della formazione di una famiglia . Sul posticipo del primo matrimonio, inoltre, incide anche la diffusione delle convivenze prematrimoniali.
L’analisi del tasso di primo-nuzialità totale, una misura trasversale attraverso la quale si può valutare quanti primi-matrimoni siano attesi da una ipotetica generazione di 1.000 individui, consente di far luce sui processi di formazione delle coppie, di quelle giovani in particolare. Tale indice segnala, in base a quanto registrato nel 2022, un’intensità di 421 primi matrimoni per 1.000 uomini e 471 per 1.000 donne; valori in aumento rispetto sia all’anno precedente (0,9 e 1,4 punti percentuali in più rispettivamente per maschi e femmine) sia al 2019 (+1,1% e +1,7%).

 

Nonostante gli incrementi dell’intensità dei primi matrimoni, frutto più del recupero sul periodo pandemico che di una reale crescita delle intenzioni nuziali, la propensione a sposarsi tra i più giovani tende a diminuire e scende, rispetto al 2021, di 0,3 e di 0,6 punti percentuali rispettivamente per uomini e donne sotto i 30 anni di età. Viceversa, dai 30 anni di età in poi si registra un recupero, rispettivamente, dell’1,2% e del 2,0% (Figura 3). A livello aggregato, la tendenza al rinvio porta l’età media alle prime nozze a 34,6 anni per gli uomini (+0,3 punti rispetto all’anno precedente) e a 32,5 anni per le donne (+0,4).

 

Unioni civili in evidente aumento
Il 5 giugno 2016 è entrata in vigore la legge che ha introdotto in Italia l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso . Nel corso del secondo semestre 2016 si costituirono 2.336 unioni civili, un numero particolarmente consistente che ha riguardato coppie da tempo in attesa di ufficializzare il proprio legame affettivo. Al boom iniziale ha fatto poi seguito una progressiva stabilizzazione, anche accentuata dalle difficoltà legate al periodo della pandemia.
Le 2.813 unioni civili tra coppie dello stesso sesso costituite presso gli Uffici di Stato Civile dei Comuni italiani nel 2022 mostrano un apprezzabile aumento rispetto all’anno precedente (+31,0%) e un sostanziale incremento anche rispetto al 2019 (+22,5%). Considerando i dati provvisori dei primi otto mesi del 2023 la tendenza all’aumento appare confermata se confrontata con i dati dello stesso periodo del 2022 (circa il 10% in più).

Il 35,7% delle unioni civili è nel Nord-ovest, seguito dal Centro (26,3%). Tra le regioni, in testa si posiziona la Lombardia con il 22,8%; seguono il Lazio (13,7%) e l’Emilia-Romagna (9,9%) (Figura 4).
Considerando i tassi per 100mila residenti, a livello nazionale il valore è di 4,8 mentre nel Mezzogiorno è all’incirca la metà. La Liguria si colloca al primo posto tra le regioni (7,6 per 100mila) seguita dalla Toscana (7,1) e dal Lazio (6,8).
Emerge con evidenza il ruolo attrattivo dei grandi comuni: più di un quarto delle unioni si sono costituite nel complesso dei 12 grandi comuni. In testa si trova il comune di Roma (con l’8,6%), seguito da quello di Milano (5,9%).
Si conferma anche nel 2022 la prevalenza di unioni tra uomini (1.594 unioni, il 56,7% del totale), stabili rispetto all’anno precedente (57,0%). La ripartizione con la più alta incidenza delle unioni tra uomini è il Nord-ovest (57,9%) mentre quella con la quota più bassa è il Sud (51,4%).
Le unioni civili con almeno un partner straniero sono il 17,3%; nel Centro si attestano al 20,5% mentre nel Mezzogiorno sono il 15% circa.

 

Sabato il giorno preferito per nozze e unioni
Il 45,3% di nozze e unioni civili del 2022 (considerate nel loro complesso) si sono svolte di sabato. Anche osservando distintamente matrimoni religiosi, matrimoni civili e unioni civili i profili per giorno della settimana in cui si decide di formalizzare il proprio legame affettivo sono molto simili. La preferenza per il sabato è particolarmente accentuata nel caso dei matrimoni religiosi (50,8%) mentre nel caso delle unioni civili è del 38,4%. Il giorno meno opzionato per i matrimoni è il martedì: in tale giorno si sono celebrati il 4,0% dei matrimoni religiosi e il 6,3% di quelli civili. Il giorno della settimana, invece, in cui si sono costituite meno unioni civili è la domenica (6,3%), seguita dal lunedì (7,5%).
La preferenza per giorno della settimana è legata ovviamente a valutazioni di ordine organizzativo ed economico: da una parte, alla necessità di decidere in largo anticipo la data per opzionare luoghi di celebrazione e di festeggiamento più “gettonati”; dall’altra, a quella di scegliere giorni meno richiesti per trovare posto più a ridosso dell’evento e magari usufruire di agevolazioni in termini economici.

Al di là di questo aspetto, la stagionalità dei matrimoni è da sempre legata al calendario del lavoro e a quello delle festività religiose. Storicamente, soprattutto nelle aree rurali, il calendario seguiva il ciclo naturale dei lavori agricoli e si osservava una rarefazione dei matrimoni in corrispondenza dell’attività stagionale agricola, soprattutto nei periodi estivi di raccolta dei prodotti. Ora l’andamento delle ferie estive e scolastiche sembra, invece, rappresentare un elemento centrale nella stagionalità del fenomeno della formazione di una famiglia attraverso il matrimonio (Figura 5) o l’unione civile, dove ancora una volta i profili appaiono molto simili al di là del rispettivo peso numerico.

Si osservano sostanzialmente due picchi: uno a inizio settembre che poi degrada lentamente fino a ottobre inoltrato, l’altro nella seconda metà di giugno al culmine di un periodo più ampio che va da fine aprile a fine luglio.
Le quattro date del 2022 in cui ci si è sposati e uniti di più sono, in graduatoria decrescente: 10 settembre, 3 settembre, 25 giugno e 18 giugno, tutte di sabato. Per i matrimoni religiosi la graduatoria ricalca quella del complesso dei matrimoni, per quelli civili c’è uno scambio di preferenze tra le date favorite al terzo e quarto posto. Per le unioni civili, invece, la data più opzionata è stata sabato 11 giugno, seguita da altre date che hanno contraddistinto anche i matrimoni: 10 settembre, 18 giugno e 25 giugno.

 

Età più matura per chi si unisce civilmente
Fino al 2019 gli uniti civilmente hanno evidenziato una struttura per età in progressivo “ringiovanimento” rispetto al biennio 2016-2017. L’introduzione nel nostro ordinamento di questo istituto giuridico, infatti, ha consentito inizialmente a coppie anche in età più avanzata – che da tempo aspettavano tale possibilità – di ufficializzare la propria famiglia e da qui il profilo più maturo che aveva contraddistinto questa prima fase (con un’età media superiore ai 49 anni per gli uomini e intorno ai 46 anni per le donne). Negli anni a seguire il profilo per età delle unioni si è progressivamente ringiovanito (nel 2019 l’età media degli uomini era di 44,5 anni, delle donne di 39,6).

Nell’anno della pandemia, tuttavia, l’età media all’unione civile cresce in misura eccezionale: 47,2 anni per gli uomini (quasi 3 anni in più) e 41,8 per le donne (oltre 2 anni in più). Nel 2022 prende avvio un nuovo trend di ringiovanimento, che fa scendere l’età media all’unione a 45,9 anni tra gli uomini e a 38,6 anni tra le donne.
Nel 2022 la quota degli uomini con meno di 40 anni che si unisce civilmente è pari al 37,4%, ben al di sopra del 21,6% del 2020, per quanto ancora inferiore ai livelli pre-pandemici (40,3% nel 2019).

Per le donne nel 2022 si consolida il processo di ringiovanimento già avviatosi nel periodo
pre-pandemico, mettendo in evidenza che ben oltre la metà di esse (58,3%) ha meno di 40 anni (51,8% del 2019).
La struttura per età di chi entra in unione è molto diversa da quella di chi si sposa, soprattutto tra gli uomini (Figura 6). La quota di uomini che ha costituito un’unione civile sotto i 40 anni di età è molto più bassa di quella osservata tra gli sposi (rispettivamente 37,4% e 61,2%). In altre parole, gli uniti civilmente presentano valori consistenti di unioni in classi di età in cui i matrimoni solitamente cominciano a diradarsi. Nel 2022 per le donne si osservano differenze evidenti prima dei 30 anni: in questa fascia di età si colloca il 16,1% delle unite civilmente contro il 26,4% delle spose; valori simili si osservano invece nella fascia di età 30-39 anni (rispettivamente 42,3% e 43,9%).

 

Separazioni in rallentamento, divorzi stabili
Nel 2022 le separazioni sono state complessivamente 89.907 (-8,2% rispetto all’anno precedente). I divorzi sono stati 82.596, stabili rispetto all’anno precedente (-0,7%) e il 16,6% in meno nel confronto con il 2016, anno in cui sono stati finora i più numerosi (99.071). Il trend dei divorzi è stato sempre crescente dal 1970 (anno di introduzione del divorzio nell’ordinamento italiano) fino al 2015. In tale anno il numero di divorzi subì una forte impennata (+57,5%) in relazione all’entrata in vigore di due importanti leggi che hanno modificato la disciplina dello scioglimento e della cessazione degli effetti civili del matrimonio: il Decreto legge 132/2014, che ha introdotto le procedure consensuali extragiudiziali (quindi presso gli Uffici di Stato Civile o tramite negoziazioni assistite da avvocati senza più il ricorso ai Tribunali) e soprattutto la Legge 55/2015 (c.d. “Divorzio breve”) che ha fortemente ridotto l’intervallo di tempo tra separazione e divorzio (12 mesi per le separazioni giudiziali e sei mesi per quelle consensuali) determinando un vero boom del fenomeno (Figura 7).

Dopo l’aumento registrato tra il 2015 e il 2016 – che ha riguardato in misura più attenuata anche le separazioni – l’andamento fino al 2019 si è mantenuto stabile con piccole oscillazioni. Nel 2020 è stato invece ben visibile l’impatto della pandemia, soprattutto per effetto delle chiusure degli uffici e delle restrizioni alla mobilità, con conseguenze, nel caso dei provvedimenti presso i Tribunali, anche sui procedimenti di separazione o divorzio avviati negli anni precedenti. Tale impatto è stato poi riassorbito nel 2021, quando i livelli sono tornati sostanzialmente quelli pre-pandemici.

Nel 2022 si nota un ridimensionamento (-10,5%) della componente consensuale delle separazioni (considerando nel loro complesso quelle in Tribunale e quelle extragiudiziali). L’83,3% delle separazioni si è concluso consensualmente tornando ai livelli del biennio 2015-2016; negli ultimi anni si erano osservate, invece, quote pari o superiori all’85%. Le separazioni giudiziali, caratterizzate da una maggiore durata dei procedimenti, mostrano un trend di aumento più diluito nel tempo (+27,8% considerando l’aumento del 2022 rispetto al 2020), mentre per le separazioni consensuali in Tribunale un aumento molto consistente era stato già registrato nel 2021 (+29,0% rispetto all’anno precedente).

Tradizionalmente più contenuta rispetto alle separazioni è la quota della componente consensuale nei divorzi (71,5%); nel 2022 appare sostanzialmente in linea con l’anno precedente (70,9%). Dopo il picco del 2016 (78,2%) la proporzione di divorzi consensuali decresce per tornare in prossimità del valore di inizio decennio (72,4% nel 2010). Per i divorzi presso i Tribunali nel 2022 si osserva un lieve aumento della componente consensuale (+2,8%) – già in deciso rialzo nel 2021 – e parallelamente un calo speculare dei divorzi con rito giudiziale (-2,8%).

Separazioni e divorzi non più soltanto in Tribunale
Nel 2022 una separazione su quattro e il 28,9% dei divorzi si sono conclusi con procedure extragiudiziali. Le due fattispecie introdotte dal Decreto legge 132/2014 per chi intenda separarsi o divorziare consensualmente, in alternativa alla tradizionale ratifica da parte del giudice, sono: la convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte (ex art. 6); l’accordo innanzi all’Ufficiale di Stato Civile in assenza di patti di trasferimento patrimoniale e di figli minori, di figli maggiorenni incapaci/portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti (ex art. 12). Il peso di queste due “nuove” procedure nel 2022 corrisponde rispettivamente al 29,7% delle separazioni consensuali e al 40,4% dei divorzi consensuali.
Negli accordi extragiudiziali per separarsi o divorziare la componente più consistente è quella degli accordi direttamente presso gli Uffici di Stato Civile (ex art. 12). Nel 2022, 13.701 separazioni e 17.134 divorzi sono stati effettuati direttamente presso il Comune (con tempi e costi molto più bassi rispetto alle altre procedure): si tratta del 15,2% di tutte le separazioni e del 20,7% di tutti i divorzi.
Nel 2022 le quote delle negoziazioni assistite da avvocati (ex art. 6) sono il 9,5% delle separazioni e l’8,1% dei divorzi. Rispetto all’anno precedente si nota, in entrambi i casi, una diminuzione (rispettivamente -11,8% e -7,3%) che ha fatto seguito a una più larga adozione di questa procedura nel corso del periodo pandemico.

La propensione a ricorrere agli accordi extragiudiziali di divorzio è diffusa soprattutto nel Centro-nord, ma con alcune differenze per tipologia: la procedura ex art.12 (direttamente presso lo Stato Civile) è più presente nel Nord-est (28,9%), seguita dal Nord-ovest (27,1%), mentre quella ex art.6 (negoziazioni assistite da avvocati) nel Centro (11,7%) (Figura 8). Le regioni in cui il ricorso alle procedure ex art. 12 è più diffuso, con il vincolo di tutte le condizioni già ricordate, sono la provincia autonoma di Bolzano/Bozen (34,9%), quella di Trento (30,5%) e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (30,3%). La quota di accordi ex art. 6 raggiunge il suo valore massimo nel Lazio (15,6%), in Campania (12,1%) e in Sicilia (10,1%).

I divorzi consensuali conclusi in Tribunale sono quelli che presentano una minore variabilità territoriale mentre il ricorso ai divorzi giudiziali è più diffuso nel Mezzogiorno (38,5%) con picchi nei Tribunali di Sardegna (41,3%), Puglia (41,1%) e Campania (39,3%).
Considerando i divorzi per 1.000 abitanti, a livello nazionale l’indicatore è pari a 1,4, stabile rispetto all’anno precedente. La variabilità territoriale va riducendosi e si assiste a una progressiva convergenza tra i livelli registrati nel Nord e nel Mezzogiorno. A livello regionale, in cima alla graduatoria ci sono Liguria e Sicilia (entrambe con un valore dell’1,6 per mille) mentre il valore più basso è quello della Provincia Autonoma di Bolzano/Bozen (1,0 per mille).

Categoria news:
OPINIONEWS
© RIPRODUZIONE RISERVATA
DELLA FONTE TITOLARE DELLA NOTIZIA E/O COMUNICATO STAMPA

È consentito a terzi (ed a testate giornalistiche) l’utilizzo integrale o parziale del presente contenuto, ma con l’obbligo di Legge di citare la fonte: “Agenzia giornalistica Opinione”.
È comunque sempre vietata la riproduzione delle immagini.

I commenti sono chiusi.