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BANKITALIA * ASSEMBLEA ABI: « L’INTERVENTO DEL GOVERNATORE DELLA BANCA D’ITALIA IGNAZIO VISCO, TESTO INTEGRALE » (LINK DIRETTA VIDEO LIVE STREAMING – VEDI / RIVEDI)

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10.44 - mercoledì 5 luglio 2023

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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Associazione Bancaria Italiana Assemblea degli Associati – Intervento del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco.

 

 

Politica monetaria e congiuntura economica e finanziaria
Sulla base della valutazione complessiva delle prospettive dei prezzi, dell’andamento dell’inflazione di fondo – al netto, cioè, delle componenti energetica e alimentare – e dell’intensità della trasmissione della politica monetaria all’economia, a metà giugno il Consiglio direttivo della Banca centrale europea (BCE) ha ulteriormente aumentato i tassi ufficiali di 25 punti base portando quello sui depositi detenuti dalle banche presso l’Eurosistema al 3,5 per cento, 4 punti percentuali in più rispetto al luglio dello scorso anno. Il Consiglio ha altresì confermato l’interruzione dei reinvestimenti nell’ambito del programma di acquisto di attività finanziarie, ribadendo l’intenzione di proseguire sino alla fine del 2024 quelli connessi con il programma per l’emergenza pandemica.

Le decisioni continueranno a essere basate, volta per volta, sulla valutazione dell’impatto dei nuovi dati economici e finanziari sulle prospettive dei prezzi al consumo nell’area dell’euro, così da garantire un rientro sufficientemente veloce dell’inflazione all’obiettivo del 2 per cento. Anche a fronte del marcato irrigidimento delle condizioni di finanziamento e del forte indebolimento del credito si dovrà procedere con la necessaria prudenza al fine di evitare indesiderate ripercussioni sull’attività economica, sulla stabilità finanziaria e sulla stessa stabilità dei prezzi nel medio termine. Oltre che sui rialzi dei tassi di riferimento, la politica monetaria può contare sul loro mantenimento a un livello e per un periodo di tempo adeguati a riportare l’inflazione al valore obiettivo. Ora che i tassi sono in territorio restrittivo, calibrare la durata della stretta monetaria, piuttosto che aumentarne eccessivamente l’ampiezza, avrebbe il vantaggio di agevolare un’analisi più informata degli effetti dell’azione fin qui condotta.

Andrà seguita soprattutto l’evoluzione della percezione del rischio da parte degli intermediari. Le crisi del passato hanno infatti messo in evidenza che essa è una determinante importante dell’intensità di una contrazione dell’offerta di credito. Finora, nell’area dell’euro la qualità dei prestiti ha risentito in misura contenuta del peggioramento del quadro congiunturale; il maggiore onere del debito innescato dai notevoli rialzi dei tassi potrebbe però determinarne un progressivo deterioramento. La restrizione sarebbe inoltre accentuata se il riassorbimento della liquidità da parte dell’Eurosistema portasse a un aumento del costo della raccolta bancaria più rapido e ampio di quanto oggi previsto.

In Italia, la robusta ripresa del prodotto indotta dalla piena riapertura delle attività economiche dopo la fine della fase di emergenza sanitaria si sta attenuando. Nel contesto di un indebolimento della congiuntura internazionale, di una restrizione monetaria volta a contrastare l’inflazione e della necessaria riduzione dei sostegni assicurati dalla politica di bilancio, il conseguimento di un adeguato, stabile, ritmo di sviluppo richiederà un elevato livello di investimenti, pubblici e privati, e l’efficace attuazione di riforme strutturali. La capacità di reazione di imprese e famiglie di fronte a shock inattesi e particolarmente violenti, quali quelli degli ultimi tre anni, deve costituire la base per un’azione pubblica volta a rendere la nostra economia meno rigida e lenta. Nei prossimi anni un impulso considerevole all’attività economica è atteso dagli interventi delineati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR); sarà cruciale l’attuazione nei tempi concordati dell’insieme di investimenti e riforme in esso definiti.

Nel primo trimestre di quest’anno il prodotto è tornato a crescere, sospinto dal recupero dei consumi e dall’ulteriore espansione degli investimenti. Come nel resto dell’area dell’euro, all’indebolimento dell’attività manifatturiera si sono contrapposti i buoni risultati dei servizi privati; in questo settore al vigore della domanda, in particolare nel comparto turistico e ricreativo, si associano non trascurabili rialzi dei prezzi finali. Date le condizioni di finanziamento più restrittive e il rallentamento del commercio globale ci attendiamo che il PIL aumenti in misura moderata nei prossimi trimestri. Nell’anno, secondo le stime pubblicate a metà giugno, la crescita del prodotto potrebbe superare l’1 per cento; si manterrebbe in media intorno a questo valore nel prossimo biennio.

Si tratta di previsioni ancora caratterizzate da elevata incertezza e da rischi orientati prevalentemente al ribasso. Al conflitto in Ucraina, da cui possono scaturire nuovi rincari delle materie prime e un deterioramento della fiducia di imprese e famiglie, si aggiungono i timori connessi con l’evoluzione dell’attività economica globale, che potrebbe risentire della restrizione monetaria in atto nelle maggiori economie in misura maggiore delle attese, nonché quelli derivanti dal rischio di un eccessivo irrigidimento delle condizioni di offerta del credito.

Dal dicembre del 2021 al maggio di quest’anno i tassi di interesse sui nuovi prestiti alle imprese e sui nuovi mutui alle famiglie sono cresciuti in Italia rispettivamente di circa 360 e 280 punti base, portandosi al 4,8 e 4,2 per cento. Anche il costo della raccolta bancaria è in aumento, ma gli effetti dei rialzi dei tassi ufficiali sui rendimenti dei depositi a vista sono ancora molto contenuti. Questo fenomeno è in parte riconducibile alla abbondante liquidità accumulata dagli intermediari a seguito delle misure accomodanti adottate nell’ultimo decennio dal Consiglio direttivo della BCE per contrastare i rischi di deflazione, mantenute durante la pandemia. Ciò può aver comportato una minore pressione concorrenziale tra le banche sul segmento dei depositi in conto corrente cui dovrebbe ora seguire un graduale innalzamento, con corrispondenti, più decisi, incrementi dei tassi.

Coerentemente con l’obiettivo della banca centrale di conseguire in tempi non eccessivamente lunghi la stabilità dei prezzi, l’inasprimento delle condizioni di finanziamento per le famiglie e le imprese contribuisce a frenare la domanda di credito. Le indagini condotte presso gli intermediari segnalano tuttavia che in Italia, come nel resto dell’area, l’andamento dei prestiti risente anche del deciso irrigidimento delle politiche di offerta, in prevalenza guidato dalla maggiore avversione al rischio e dai timori sulle prospettive di crescita. La dinamica del credito, ampiamente positiva fino all’estate scorsa, è divenuta negativa sia per le imprese sia per le famiglie.

Il modesto rialzo dei tassi applicati sui depositi a vista sta favorendo una marcata riallocazione del risparmio a favore di attività più remunerative, in particolare verso i titoli di Stato e, in misura minore, verso le altre tipologie di depositi e le obbligazioni bancarie. Alla progressiva contrazione dei conti correnti, in atto dallo scorso anno, contribuiscono lo stesso riassorbimento della liquidità in eccesso da parte dell’Eurosistema e i suoi effetti sul credito all’economia.

A fronte delle mutate circostanze e del permanere di una forte incertezza sugli sviluppi della congiuntura, le condizioni del sistema bancario italiano sono complessivamente soddisfacenti. Nel primo trimestre la redditività è rimasta elevata; in ragione d’anno, il rendimento del capitale e delle riserve è stato di poco inferiore al 13 per cento, continuando a beneficiare dell’aumento del margine di interesse e di rettifiche di valore basse anche nel confronto storico. Secondo le previsioni degli analisti di mercato la redditività dei maggiori gruppi quotati (che rappresentano oltre i due terzi del totale dell’attivo del settore) dovrebbe confermarsi su livelli elevati anche nel complesso del 2023.
Il rapporto tra il capitale di migliore qualità e gli attivi ponderati per il rischio (CET1 ratio) è lievemente diminuito nei primi tre mesi dell’anno, al 15,1 per cento, a seguito sia della fine del regime transitorio introdotto nel 2018 con l’entrata in vigore dei nuovi principi contabili (IFRS9), che ne aveva distribuito su cinque anni l’impatto patrimoniale, sia della distribuzione di utili. L’indicatore rimane comunque superiore di oltre un punto percentuale a quello osservato al momento dello scoppio della pandemia; per le banche significative è sostanzialmente in linea con la media degli altri intermediari vigilati direttamente dalla BCE.

Anche gli indicatori di liquidità si collocano su livelli ampiamente superiori ai minimi regolamentari. La restituzione di parte dei fondi ottenuti per mezzo delle operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (TLTRO) li ha finora solo marginalmente ridotti.
In relazione al complesso dei finanziamenti, restano su valori contenuti sia il flusso di nuovi crediti deteriorati sia la loro consistenza. Il miglioramento della qualità dei prestiti osservato nel corso degli ultimi anni si deve al rafforzamento della condizione finanziaria delle imprese, che rispetto al picco toccato nel 2011 hanno ridotto la leva finanziaria di circa 10 punti percentuali, al 39,7 per cento; vi hanno contribuito le misure di sostegno varate per attenuare gli effetti della crisi pandemica e dell’aumento dei costi dell’energia. La riduzione dei crediti deteriorati nei bilanci delle banche è stata favorita dallo sviluppo di un mercato secondario, che ha fatto sì che le cessioni continuassero anche nei periodi di rallentamento economico.
Ha altresì svolto un ruolo di rilievo la maggiore capacità degli intermediari di selezionare e gestire il rischio di credito, in particolare nella fase di erogazione dei finanziamenti, anche in risposta agli stimoli provenienti in tal senso dalle autorità di vigilanza. Dal 2014, dopo la crisi dei debiti sovrani, nei portafogli di prestiti delle banche il peso delle imprese finanziariamente solide è cresciuto in proporzione di più del loro peso sul totale dell’attivo delle società non finanziarie.

L’incertezza sulle prospettive per il sistema bancario rimane tuttavia ancora elevata. I rischi principali sono connessi con il rallentamento ciclico e con gli effetti di medio periodo del rialzo dei tassi sulla capacità della clientela di sostenere il servizio dei debiti. Nei primi tre mesi di quest’anno si sono registrati primi, possibili segnali in questa direzione: l’incidenza del flusso di prestiti che presentano ritardi nei pagamenti, anche se non ancora tali da richiedere una classificazione come deteriorati, è infatti raddoppiata, all’1,6 per cento del complesso dei finanziamenti in bonis in ragione d’anno.
Di recente si è però anche osservato un calo dell’ammontare dei prestiti per i quali le banche rilevano un significativo peggioramento del merito creditizio (classificati nello “stadio 2” della gerarchia prevista dai principi contabili internazionali). Il calo potrebbe essere in parte dovuto al miglioramento della qualità di esposizioni classificate in questa categoria subito dopo lo scoppio della pandemia; ne seguiamo gli sviluppi, per intercettare una eventuale sottovalutazione dei rischi da parte degli intermediari. Un pronto riconoscimento delle perdite attese è fondamentale anche per ridurre i possibili effetti prociclici connessi con la fase di rallentamento economico. Altrettanto importante è assicurare un adeguato livello di copertura dei crediti deteriorati, soprattutto per le banche meno significative.

Oltre che nel caso di maggiori perdite su crediti, pressioni sulla redditività potrebbero emergere se la trasmissione dell’aumento dei tassi di interesse ufficiali al costo della raccolta, al momento ancora graduale, divenisse più rapida del previsto. Inciderebbero anche la sostituzione di provvista a basso costo, quale quella effettuata per mezzo delle TLTRO, con strumenti più onerosi e la necessità di emettere nuove passività idonee a rispettare i requisiti previsti dalle norme sulla risoluzione delle crisi.

I rischi posti dagli intermediari non bancari rimangono contenuti, anche se non vanno sottovalutati. La raccolta dei fondi aperti italiani è rimasta sostanzialmente invariata nel primo trimestre; i pochi fondi che hanno registrato deflussi netti rilevanti (superiori al 10 per cento del valore dell’attivo netto) non hanno incontrato difficoltà nei rimborsi. Coerentemente con il contesto di tassi crescenti, la liquidità dei fondi è diminuita, ma rimane comunque soddisfacente. Le linee di credito sono rimaste stabili e l’indebitamento contenuto.

Anche i rischi riguardanti i fondi di investimento alternativi italiani sono limitati; la leva finanziaria è in media inferiore a quella degli analoghi fondi europei e l’indebitamento verso le banche è basso. Tra i fondi caratterizzati da un maggior grado di leva vi sono quelli immobiliari, attivi principalmente nel settore commerciale. Sebbene in Italia la probabilità di una forte diminuzione dei prezzi in questo segmento di mercato sia decisamente minore che in altri paesi europei, un ulteriore calo del valore degli immobili commerciali ridurrebbe la qualità del credito bancario concesso a questi intermediari.

 

Approfondimenti di vigilanza
Negli ultimi anni, superata la fase più critica della pandemia da Covid-19, l’emergere di una molteplicità di nuovi fattori di rischio, legati all’aumento delle tensioni geopolitiche, alle conseguenze della crisi energetica e agli effetti negativi del cambiamento climatico, ha reso sempre più importante, per la Vigilanza e per gli stessi intermediari, l’utilizzo di strumenti che permettano di intercettare precocemente possibili vulnerabilità. È anche per questo che nel processo di revisione e valutazione prudenziale viene data particolare enfasi, ancor più che negli anni passati, all’affidabilità dei processi interni di verifica dell’adeguatezza patrimoniale e delle condizioni di liquidità. Per raccogliere elementi di valutazione ulteriori rispetto a quelli desumibili dalle ordinarie segnalazioni di vigilanza sono state al riguardo condotte diverse indagini ad hoc.

Nel primo trimestre di quest’anno, analogamente a quanto già fatto per le banche significative, è stato richiesto a quelle sotto la diretta supervisione della Banca d’Italia e agli altri intermediari da noi vigilati di trasmettere piani industriali aggiornati con gli scenari macroeconomici più recenti. Sulla base di queste informazioni sono ora in corso analisi volte a valutare la sostenibilità dei modelli di business e identificare per tempo eventuali fattori di vulnerabilità, inclusa la dinamica dei costi. I risultati di queste analisi costituiranno una base importante per il confronto con gli intermediari.
Nello stesso periodo, anche in vista delle scadenze delle operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine, abbiamo chiesto alla quasi totalità delle banche meno significative di aggiornare i piani di raccolta, già rilevati su base sistematica dalla BCE per quelle significative. Lo scorso 28 giugno sono stati rimborsati circa 150 dei 300 miliardi di finanziamenti TLTRO ancora in essere. Coerentemente con quanto indicato nei piani, le banche hanno utilizzato quasi esclusivamente la liquidità in eccesso, recentemente aumentata grazie a emissioni obbligazionarie e alla provvista in pronti contro termine. Il ricorso a nuove operazioni di rifinanziamento presso la banca centrale è stato per il momento contenuto.

A queste ultime gli intermediari dovrebbero invece attingere in misura maggiore per fronteggiare i prossimi rimborsi. Le banche significative prevedono inoltre ulteriori emissioni di obbligazioni, anche al dettaglio, e, in misura inferiore, una crescita dei depositi da clientela. Su quest’ultima componente farebbero invece più affidamento le banche di minori dimensioni. L’ipotesi di aumentare la provvista in depositi contrasta con le attese di una ulteriore riduzione (a livello aggregato) di questa forma di raccolta, che già risente della concorrenza di forme di investimento alternative. Al momento l’abbondante disponibilità di attivi stanziabili in garanzia per operazioni di rifinanziamento garantisce comunque la possibilità di soddisfare le esigenze di provvista, sebbene a costi probabilmente maggiori di quelli preventivati.

Con riferimento agli intermediari non bancari sottoposti alla nostra supervisione, essi sono soggetti a regole in molti casi più stringenti rispetto a quelle vigenti negli altri paesi europei. Oltre ad avere affinato il processo di revisione e valutazione prudenziale anche nei riguardi di questi intermediari, verifichiamo periodicamente la rilevanza sistemica dei fondi di investimento alternativi, le cui attività gestite, sebbene ancora nel complesso contenute, sono raddoppiate negli ultimi dieci anni. Particolare attenzione viene posta nei confronti dei fondi di credito e di quelli immobiliari.
Per mantenere l’efficienza del mercato secondario del credito, che ha avuto un ruolo fondamentale nel processo di riduzione dei prestiti deteriorati nei bilanci bancari attraverso operazioni di cartolarizzazione, sono state avviate specifiche azioni di vigilanza sui servicer. Dai primi risultati emergono carenze negli assetti di governo e di controllo, nonché ritardi nell’aggiornamento dei piani di recupero. Il confronto in corso è volto a valutare l’adeguatezza delle misure di rimedio, anche al fine di un miglioramento della qualità delle informazioni fornite al mercato riguardo all’andamento delle operazioni gestite. Per talune di esse si registrano infatti ritardi rispetto alle previsioni iniziali, attribuibili in parte al blocco delle procedure esecutive avvenuto durante le fasi più acute della pandemia. Relativamente alle operazioni con garanzia pubblica, gli scostamenti più rilevanti si concentrano su quelle con maggiore anzianità, per le quali i piani di recupero risultano redatti secondo approcci meno rigorosi.

Il recente aumento dei rendimenti di mercato ha inoltre accresciuto gli interessi dovuti ai sottoscrittori delle obbligazioni emesse dalle società veicolo a fronte dei crediti deteriorati, spesso a tasso variabile, riducendo la parte di incassi destinata al rimborso della quota capitale. Alla fine del 2022 l’ammontare complessivo delle obbligazioni senior garantite dallo Stato e ancora da rimborsare era pari a circa 12 miliardi. Considerando le poche operazioni secondo i cui piani aggiornati i recuperi non sarebbero sufficienti a rimborsare completamente le obbligazioni senior, potrebbero essere escusse garanzie per circa 220 milioni. Tale somma sarebbe tuttavia coperta dal fondo alimentato dalle commissioni pagate dalle banche a fronte della garanzia e dalle somme già contabilizzate nel bilancio pubblico a copertura di queste operazioni, senza la necessità di ulteriori stanziamenti governativi.
Recenti riforme regolamentari hanno riguardato specifici segmenti dell’operatività degli intermediari, come i servizi di crowdfunding, o specifici prodotti, come le obbligazioni bancarie garantite e le cartolarizzazioni. Si sono stabiliti in questo modo presidi potenzialmente più efficaci. È però necessario inquadrare sempre queste forme di operatività nell’ambito della complessiva gestione aziendale, per continuare a disporre di una visione unitaria dell’esposizione ai rischi dei soggetti vigilati. Siamo impegnati, al riguardo, a rafforzare la cooperazione e il confronto tra le diverse autorità coinvolte.

 

Intermediazione finanziaria e tecnologia
L’innovazione tecnologica trasforma il mercato dei servizi finanziari, consentendo agli intermediari di superare le barriere derivanti dalla necessità di una interazione fisica con la clientela, di conseguire risparmi di costo, di sperimentare nuove forme di collaborazione con soggetti vigilati e non. La necessità di cogliere queste opportunità da parte degli intermediari, adattando opportunamente i propri modelli di attività, non deve, tuttavia, portare a sottovalutare i rischi insiti nel cambiamento tecnologico né da parte degli intermediari stessi né da parte delle autorità di vigilanza.

Per stimolare le riflessioni su questi temi, lo scorso anno abbiamo condotto presso le banche meno significative una indagine sulle strategie di digitalizzazione. Ne è emersa una generale consapevolezza dell’importanza degli investimenti in innovazione tecnologica, sebbene l’utilizzo di questa leva risulti essere limitato all’obiettivo di aumentare i volumi e i ricavi, raggiungendo clienti che non possono essere serviti dalla rete di distribuzione fisica. Meno rilevanti sembrano invece essere le considerazioni sulle potenzialità di sviluppo in termini di riduzione dei costi e di innovazione di processo e di prodotto; ancor più marginale risulta essere l’identificazione dei benefici derivanti dall’utilizzo del patrimonio informativo acquisito nell’attività di intermediazione. Sviluppare una buona capacità di elaborazione e controllo dei dati è invece importante non solo per rispondere prontamente alle richieste informative dell’autorità di supervisione, ma soprattutto per fornire tempestivamente ai vertici aziendali le informazioni necessarie per assumere decisioni consapevoli.

La digitalizzazione favorisce la cooperazione tra gli intermediari e i fornitori di servizi tecnologici. Ne possono derivare guadagni di efficienza per l’industria finanziaria e un miglioramento della qualità dei servizi per gli utenti, ma è necessario che autorità e operatori accrescano le capacità di valutazione dei rischi connessi con questi fenomeni. Una nuova rilevazione in materia di esternalizzazione, di prossimo avvio, consentirà di raccogliere informazioni sugli accordi di outsourcing dei soggetti vigilati, nonché elementi utili a valutare il grado di concentrazione presso i principali fornitori di servizi e a tenerne conto per minimizzare l’impatto di eventuali incidenti.

Dall’attività ispettiva condotta presso i principali fornitori di servizi informatici delle banche meno significative è emerso un miglioramento della capacità di dialogo tra le parti, necessaria sia per meglio presidiare i rischi sia per definire le strategie di digitalizzazione. Affinché il dialogo sia pienamente efficace è però necessario accrescere le competenze informatiche degli esponenti aziendali: attualmente solo la metà delle banche meno significative dichiara la presenza tra gli amministratori di almeno un membro con conoscenze specifiche e rimane esigua anche la quota di addetti con competenze informatiche nelle funzioni di controllo.

Queste iniziative anticipano quanto previsto dal regolamento europeo sulla resilienza operativa digitale del settore finanziario (Digital Operational Resilience Act, DORA), applicabile dal 2025, che ha l’obiettivo di garantire un approccio unificato tra le autorità di vigilanza europee sul tema della resilienza digitale dell’intero settore dei servizi finanziari. Esse consentono alla Banca d’Italia sia di portare la propria esperienza nelle sedi in cui si sta definendo la normativa secondaria, sia di meglio preparare gli intermediari alla scadenza del 2025.

In stretto contatto con il Ministero dell’Economia e delle finanze (MEF) e con la Consob stiamo lavorando all’attuazione in Italia del regolamento europeo sui mercati delle cripto-attività (Markets in Crypto-Assets Regulation, MiCAR). Il regolamento distingue tali strumenti finanziari anche in relazione alle differenti funzioni economiche che possono svolgere, introduce un quadro giuridico armonizzato per questi strumenti e costituisce, quindi, un riferimento per l’attribuzione di ruoli e competenze alle diverse autorità di supervisione coinvolte.

Siamo tuttavia consapevoli che non potrà risolvere tutti i problemi legati allo sviluppo dei mercati: restano al di fuori del suo ambito di applicazione i cosiddetti unhosted wallets, i portafogli digitali per lo scambio di cripto-attività che non richiedono l’intervento di intermediari, nonché le attività di sviluppo e applicazione dei cosiddetti smart contracts, programmi informatici alla base della finanza decentralizzata. Anche per questo motivo, a un anno di distanza dalla pubblicazione della comunicazione in materia di tecnologie decentralizzate nella finanza e cripto-attività con la quale abbiamo fornito agli operatori indicazioni specifiche, stiamo conducendo un’analisi sulle prospettive e sull’evoluzione di questi servizi e sviluppi di mercato.
Come ho più volte ricordato, le cripto-attività sono solo uno dei prodotti in cui possono trovare applicazione le tecnologie basate su registri distribuiti (Distributed Ledger Technologies, DLT). Il recepimento nel nostro ordinamento del DLT Pilot Regime, introdotto anche in altri paesi dell’Unione europea, consentirà agli operatori di sperimentare l’uso delle DLT per ridurre i costi associati alla gestione delle fasi di emissione, negoziazione e regolamento degli strumenti finanziari e ampliare la platea degli investitori in titoli emessi da soggetti italiani. Ne potrebbero derivare benefici tangibili per le imprese, soprattutto di medie dimensioni, con migliori possibilità di accesso ai mercati dei capitali e di diversificazione delle fonti di finanziamento. Con queste finalità lavoriamo in stretto contatto con la Consob per la definizione della normativa secondaria e per facilitare le iniziative progettuali degli operatori di mercato. Stiamo inoltre avviando nell’ambito dell’Eurosistema la sperimentazione di alcune soluzioni tecniche, tra cui una progettata dalla Banca d’Italia, per garantire che il regolamento delle transazioni effettuate sui registri distribuiti possa realizzarsi in moneta di banca centrale.

L’interesse degli intermediari allo sviluppo delle interfacce applicative per l’open banking, previste dalla seconda Direttiva sui servizi di pagamento (Payment Services Directive, PSD2) per l’accesso ai conti di pagamento da parte delle cosiddette “terze parti”, sta gradualmente favorendo la concorrenza anche grazie all’ingresso di nuovi operatori sul mercato. La proposta normativa della Commissione in tema di open finance pubblicata lo scorso 28 giugno potrà dare ulteriore impulso alla competizione: la possibilità di sfruttare un insieme più ampio di dati dei clienti potrà consentire lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi finanziari; nel prestare particolare attenzione al controllo dei rischi tecnologici, gli intermediari dovranno continuare ad assicurare un’adeguata tutela della clientela e un efficace presidio dei profili antiriciclaggio.

La quantità crescente di informazioni generate e rese disponibili dalla digitalizzazione contribuisce alla diffusione di applicazioni di intelligenza artificiale anche nell’industria finanziaria, le cui conseguenze sono ancora molto difficili da intravedere. Rileva, a questo riguardo, il negoziato europeo in corso per la definizione del regolamento che mira a istituire un quadro giuridico uniforme volto a regolare lo sviluppo, la commercializzazione e l’uso dei sistemi di intelligenza artificiale in conformità con i valori e i diritti fondamentali dell’Unione. Il regolamento, pur avendo natura trasversale, presenta diversi profili di rilevanza anche per il settore finanziario; le sue ricadute sulle attività degli intermediari e sulla tutela della clientela andranno attentamente valutate.

La Banca d’Italia, nella consapevolezza dei progressi in corso, è impegnata nel sostenere e promuovere l’innovazione digitale nel sistema finanziario lungo l’intero ciclo di produzione dei servizi, mantenendo alta l’attenzione ai rischi che ne derivano. La nostra attività si concentra sulla sostenibilità dei modelli di business, sull’efficienza e la sicurezza delle infrastrutture di mercato, sull’aggiornamento del quadro normativo e delle prassi per la gestione dei rischi da parte degli operatori, sulla tutela e l’educazione finanziaria della clientela in relazione ai nuovi strumenti e alle nuove modalità di fruizione dei servizi rese disponibili dalla tecnologia. A tal fine il dialogo costante con il mercato – tramite il Canale Fintech, il nostro centro per l’innovazione Milano Hub e le attività che svolgiamo nell’ambito della sandbox regolamentare – intende sostenere gli sforzi degli operatori nella fase di ideazione, sviluppo e sperimentazione delle idee progettuali. In considerazione del crescente interesse per l’utilizzo delle DLT, la seconda call for proposals del Milano Hub ha avuto per oggetto la loro applicazione ai servizi bancari, finanziari, assicurativi e di pagamento. Il successo dell’iniziativa è testimoniato dal rilevante numero di domande di partecipazione ricevute; sono state avviate le attività di sviluppo dei 14 progetti ammessi, con il sostegno multidisciplinare di esperti della Banca d’Italia.

Sul fronte del sistema dei pagamenti abbiamo fornito supporto al MEF nei lavori presso il Consiglio europeo relativi alla proposta di Regolamento sui bonifici istantanei in euro, una tappa importante del processo di realizzazione di un’industria dei pagamenti europea integrata, innovativa, digitale e competitiva. L’intervento legislativo mira a superare alcuni degli ostacoli che si frappongono a un utilizzo diffuso dei bonifici istantanei, riconducibili principalmente ai prezzi finora applicati a questi strumenti e alla fiducia degli utenti nei confronti di questa tipologia di pagamenti. Si imporrebbe quindi l’applicazione di una tariffa non superiore a quella prevista per i bonifici tradizionali in euro e si prevedrebbe l’obbligo di adottare un meccanismo di verifica della corrispondenza tra le coordinate bancarie e il nome del beneficiario indicato dal pagatore.

Sempre lo scorso 28 giugno la Commissione europea ha presentato la proposta di Regolamento per la possibile introduzione dell’euro digitale. Essa descrive le motivazioni e gli obiettivi di una nuova forma di moneta di banca centrale disponibile al pubblico e contiene un ampio insieme di norme riguardanti, tra l’altro, la base legale, il ruolo dell’Eurosistema e degli intermediari, il trattamento dei dati personali degli utenti. Il negoziato è appena iniziato. Affinché l’euro digitale possa svolgere il ruolo di ancora per la fiducia del pubblico nella moneta della banca centrale sarà importante che esso abbia corso legale, al pari delle banconote, e che sia dotato del più alto livello di privacy compatibile con gli interessi pubblici, tra cui la necessità di prevenirne l’utilizzo per il riciclaggio e il finanziamento del terrorismo. L’eventuale decisione di emettere la nuova forma di moneta verrà presa dal Consiglio direttivo della BCE una volta completato il quadro normativo necessario.

L’euro digitale è un progetto importante non solo per promuovere la concorrenza e l’innovazione nel sistema dei pagamenti europeo con minori costi per gli utenti, ma anche per preservare l’autonomia strategica e la sovranità monetaria dell’area. Affinché abbia successo sarà necessario disegnare un sistema di incentivi che favorisca l’adesione di tutti coloro che saranno coinvolti: i consumatori e le imprese, in quanto soggetti che utilizzeranno l’euro digitale, le banche e gli altri intermediari, in quanto distributori della nuova moneta e fornitori dei servizi connessi.

L’euro digitale dovrà essere uno strumento di pagamento, non di risparmio; andranno quindi prevenuti i rischi per la trasmissione della politica monetaria e per la stabilità finanziaria che potrebbero derivare da una eccessiva sostituzione di depositi bancari con la moneta pubblica digitale. In quanto passività della banca centrale esso sarà una forma di moneta priva di rischio come il contante, che si affiancherà a questo e agli altri strumenti di pagamento già esistenti, senza necessariamente sostituirli. Le soluzioni in corso di valutazione includono in particolare l’assenza di remunerazione e una soglia alla quantità di euro digitale detenibile da ciascun utente. Esse saranno definite in modo da preservare la capacità delle banche di offrire credito all’economia e, al contempo, prevenire la possibile diffusione, come mezzi di pagamento, di strumenti altamente rischiosi quali alcune tipologie di cripto-attività.

 

Sostegno alla transizione climatica
Una sfida con cui il sistema bancario è chiamato oggi a confrontarsi è quella della transizione verde. Se nel medio periodo il contributo del sistema finanziario sarà fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione concordati a livello globale, è allo stesso modo importante che esso sia pronto fin da subito alla gestione dei rischi climatici e ambientali.
La recente alluvione che ha colpito la Romagna e alcune zone limitrofe ci ricorda come eventi metereologici estremi possano non solo causare perdite di vite umane, distruggere abitazioni, sconvolgere la vita degli abitanti delle zone colpite, ma anche avere profonde ricadute sulle attività economiche e, di conseguenza, sugli intermediari che le hanno finanziate. All’area colpita è riconducibile circa il 3 per cento del valore aggiunto del settore privato non finanziario nazionale e un’analoga quota del complesso dei finanziamenti bancari. Più in generale, analisi effettuate in Banca d’Italia stimano che nel nostro paese circa un quarto dei prestiti alle imprese non finanziarie è rivolto ad aziende localizzate in province ad alto rischio di calamità naturali. Di questi, il 58 per cento è coperto da garanzie, che tuttavia potrebbero a loro volta essere esposte allo stesso rischio dei finanziamenti; la quota di copertura si riduce al 38 per cento se si considerano le sole garanzie personali.

È necessario agire con urgenza, in primo luogo per contenere i rischi. Gli interventi ex post – dai fondi stanziati per la ricostruzione e il ripristino delle infrastrutture alla sospensione del pagamento di tasse, imposte e bollette e alle moratorie sui prestiti – mitigano certamente l’impatto economico dei fenomeni climatici avversi, ma non possono costituire la soluzione. La prima linea di difesa deve essere la messa in sicurezza del territorio a fronte di eventi alluvionali e frane, ricordando il costo, ben superiore, necessario per intervenire ex post; a questo fine il PNRR prevede fondi per circa 1,25 miliardi. L’aggiudicazione degli appalti è prevista entro la fine del 2023; occorre evitare che i ritardi evidenziati nell’ultima Relazione sullo stato di attuazione del Piano diventino rilevanti.

Un importante contributo può inoltre venire dal settore privato con la stipula di assicurazioni che coprano i danni derivanti da catastrofi naturali; una decisa espansione di questo mercato consentirebbe di ridurre i costi, ora elevati, delle polizze. Su questo punto l’Italia risulta essere particolarmente carente: nella media del periodo 1980-2020 solo il 6 per cento delle perdite connesse con tali eventi era assicurato, contro il 22 per cento in Europa. Il fenomeno della scarsità di assicurazione sarebbe concentrato tra le imprese più piccole e quelle residenti nel Mezzogiorno. Nell’ambito del tavolo di coordinamento sulla finanza sostenibile istituito presso il MEF, al quale partecipiamo insieme con l’Ivass e le altre autorità di settore, abbiamo avviato un’iniziativa per promuovere la protezione assicurativa contro i rischi climatici e gli altri rischi catastrofali basata sulla collaborazione tra il settore pubblico e quello privato.

Una adeguata copertura assicurativa costituisce anche un importante elemento di attenuazione del rischio per le banche che affidano famiglie e imprese residenti in zone ad alto rischio climatico. In circa tre quarti dei casi, tuttavia, le banche non sarebbero informate della sottoscrizione di polizze da parte delle aziende affidate. Gli intermediari non terrebbero dunque conto di questa informazione nella determinazione delle condizioni di offerta di credito. Se confermato da ulteriori evidenze, sarà necessario indagare con maggiore profondità le ragioni di questo fenomeno, in capo alle banche o alle imprese, e porvi rimedio.
Abbiamo chiesto piani di azione triennali che evidenzino come gli intermediari bancari e finanziari intendano soddisfare le aspettative che abbiamo pubblicato nel 2022. Analogamente a quanto fatto per le banche significative, le valutazioni dei piani saranno integrate nel processo di revisione e valutazione prudenziale (SREP) con un approccio proporzionale e graduale. Questi piani devono basarsi su dati affidabili e quanto più possibile precisi.

Partecipiamo, al riguardo, a numerosi tavoli di lavoro internazionali e nazionali. In particolare, in quello presieduto dal MEF, cui ho fatto riferimento, si sta agendo per ridurre le lacune informative e accrescere la qualità e la disponibilità dei dati riguardanti gli aspetti ambientali (e quelli sociali e di governance) dell’attività delle banche e dei loro affidati. Al momento il nostro contributo prende le mosse dall’analisi delle difficoltà incontrate dagli intermediari di maggiore dimensione, che dallo scorso anno sono tenuti a fornire informazioni al mercato nell’ambito del “terzo pilastro” di vigilanza, nel reperire dati di qualità sufficientemente adeguata. Analoghe difficoltà sono state riscontrate da quelle banche minori e da quegli altri intermediari finanziari che, secondo il Regolamento sugli investimenti sostenibili del 2020, devono pubblicare le loro esposizioni classificate sulla base della tassonomia europea, così come definita nel 2021 dall’atto delegato della Commissione.
L’allocazione del credito dovrà basarsi su valutazioni prospettiche, accomodando quanto più possibile la domanda delle imprese che si impegnano a intraprendere investimenti volti a ridurre le loro emissioni. A livello globale ed europeo si sta dunque ponendo sempre maggiore attenzione ai piani di transizione di cui le società dovranno dotarsi. Sebbene i lavori a questo riguardo siano ancora agli inizi, come di recente sottolineato da un rapporto del Network for greening the financial system è importante procedere speditamente. In ogni caso, ai fini di una adeguata valutazione del proprio merito di credito è nell’interesse delle stesse imprese, anche di quelle di minori dimensioni, informare il mercato sulle loro strategie di riduzione delle emissioni.

 

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L’economia mondiale continua ad attraversare una fase di profonda incertezza legata all’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, all’evoluzione delle tensioni geopolitiche, ai dubbi sulla forza della ripresa economica in Cina e all’impatto dell’orientamento restrittivo delle politiche monetarie. Le prospettive di sviluppo dell’economia italiana nel medio termine non ne saranno negativamente condizionate se proseguirà il recupero della produttività del lavoro in atto, con un graduale incremento, da circa dieci anni. A tal fine occorre che le imprese diano continuità alla recente ripresa degli investimenti, puntando soprattutto sull’innovazione; un aiuto in questa direzione dovrà arrivare dalla piena attuazione del PNRR, che rappresenta per il nostro paese l’occasione per ridare slancio alla crescita dell’economia e aggredire le debolezze che ancora la ostacolano.

Un contesto di stabilità finanziaria, in cui intermediari efficienti e ben patrimonializzati continuino a fornire il loro contributo sul fronte dell’allocazione del credito, potrà sostenere la fiducia degli operatori economici e consentire loro di programmare al meglio le decisioni di consumo, risparmio e investimento. Negli anni scorsi le banche italiane hanno affrontato le crisi che si sono via via succedute, a partire dallo scoppio della pandemia, da una posizione migliore rispetto al passato, che ha permesso loro di erogare a imprese e famiglie tutto il credito necessario per affrontare le fasi più avverse. Come avvenuto nel resto dell’unione bancaria, gli intermediari del nostro paese hanno risentito solo moderatamente delle tensioni seguite ai dissesti nel comparto delle banche regionali statunitensi e a quello del Credit Suisse.

Questo risultato è anche il frutto delle riforme regolamentari varate dopo la crisi finanziaria globale e di una supervisione attenta. Occorre proseguire in Europa lungo questa strada: recepire gli accordi finali di Basilea 3 (Final Basel III), rispettandone quanto più possibile lo spirito originario; dotarsi di meccanismi di gestione delle crisi rapidi ed efficaci per tutte le banche, ricordando, proprio sulla base dell’esperienza recente, come anche dai dissesti di quelle di dimensioni relativamente contenute si possano innescare pericolosi fenomeni di contagio.

Il mestiere delle banche commerciali è, nella sostanza, quello di “trasformare le scadenze”; ciò le espone strutturalmente a rischi di liquidità da ridurre con adeguati requisiti regolamentari volti a scongiurare casi di corse agli sportelli – fisici o digitali che siano – e fallimenti bancari, potenzialmente a catena. Non è casuale che i dissesti registrati nel comparto delle banche regionali statunitensi abbiano riguardato intermediari non soggetti ai requisiti minimi introdotti da Basilea 3. Ciò non toglie che vada portata avanti la riflessione – già in corso al Comitato di Basilea – su come migliorarli per tener conto di ciò che proprio le crisi recenti sono tornate a insegnare, ovvero che la stabilità dei depositi non può, non deve, essere data per scontata.
Oggi, nell’area dell’euro come in Italia, le banche devono far fronte alla prospettiva di costi della raccolta ben più alti di quelli degli ultimi anni, in conseguenza dell’intonazione necessariamente restrittiva della politica monetaria. Gli aumenti dei tassi di interesse, consistenti e continui, hanno mirato a garantire che la progressiva riduzione della dinamica dei prezzi su livelli coerenti con l’obiettivo del 2 per cento abbia luogo in tempi sufficientemente brevi, evitando il disancoraggio delle aspettative d’inflazione a medio-lungo termine e contrastando il rischio di un’inflazione di fondo ancora troppo e troppo a lungo elevata.

In effetti, il trasferimento degli eccezionali rincari dell’energia sui prezzi finali di beni e servizi è stato notevolmente più intenso che in passato. Il ritorno dei prezzi del petrolio e del gas naturale su livelli ben inferiori a quelli precedenti l’invasione russa dell’Ucraina dovrebbe quindi preludere nei prossimi mesi a una più decisa decelerazione dei prezzi al consumo nell’area dell’euro nel suo complesso. È altresì vero che la risposta di retribuzioni e margini di profitto alle variazioni delle ragioni di scambio è altamente eterogenea all’interno dell’area; il movimento dei tassi ufficiali di interesse andrà perciò calibrato nei prossimi mesi con particolare attenzione, alla luce dei dati che si renderanno via via disponibili e delle attese relative ai tempi del ritorno alla stabilità dei prezzi. Al momento non vi sono però ragioni evidenti per ritenere che tale risultato non possa essere conseguito, a partire dal prossimo autunno, con sufficiente rapidità.

Se occorre tenere alta la guardia e dritta la barra, sono altresì necessarie buone dosi di prudenza e pazienza nel valutare e anticipare gli effetti della restrizione monetaria in atto dallo scorso anno, pure giustificata e da mantenere. Allo stesso tempo, è certamente possibile limitare le conseguenze negative sull’attività economica e sulla domanda aggregata ed evitare che esse possano finire per riflettersi in pressioni eccessive al ribasso sui prezzi nel medio termine. Non comprendo e continuo a non condividere, a questo riguardo, osservazioni anche di recente avanzate che spingerebbero a preferire il rischio di essere più, anziché meno, restrittivi. Ritengo che si debba essere cauti quanto basta; un atteggiamento simmetrico, in linea con le conclusioni della revisione della strategia di politica monetaria della BCE, mi sembra adeguato alle circostanze; permetterebbe anche di contenere le ricadute sul credito e preservare la stabilità finanziaria, di cui ho trattato in questo intervento e che, come ho osservato, è essa stessa condizione necessaria per la stabilità dei prezzi e la tenuta delle nostre economie.

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