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LANCIO D'AGENZIA

COMUNE DI TRENTO * FESTA 25 APRILE: « LE RELAZIONI DI / SINDACO TRENTO, ANDREATTA – COMMISSARIO DEL GOVERNO DI TRENTO, LOMBARDI – DIRETTORE MUSEO STORICO DEL TRENTINO, FERRANDI, – PRESIDENTE ANPI TRENTINO, COSSALI »

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05.00 - sabato 25 aprile 2020

INTERVENTO SINDACO DI TRENTO, ALESSANDRO ANDREATTA

Non avremmo voluto onorarla in questo modo la festa del 25 aprile. Ognuno a casa nostra, chiusi nelle nostre stanze, o al lavoro, ma sempre lontani l’uno dall’altro, diffidenti e insieme nostalgici di una normalità di cui forse solo adesso cogliamo il valore. Tuttavia riteniamo che le date solenni come questo anniversario della Liberazione non vadano mai trascurate e che anzi assumano un significato ancora più grande nei momenti di difficoltà come quello che stiamo vivendo.

Il 25 aprile segnò non soltanto la fine del regime fascista. Quel giorno di primavera gli italiani che non avevano mai smesso di credere nella democrazia, nella giustizia e nella fraternità poterono rialzare la testa, riconoscersi l’un l’altro, occupare nuovamente lo spazio pubblico delle idee e del confronto che il fascismo aveva intenzionalmente desertificato con la repressione, la censura, il confino, gli omicidi politici. Come tutti i regimi dittatoriali, il fascismo si era arrogato il diritto di essere l’unica voce ammessa nel dibattito pubblico: a non essere tollerati non erano solo gli oppositori, ma anche i dubbiosi, i poco entusiasti, additati come disfattisti, disturbatori, antipatriottici. “Credere, obbedire, combattere” era il triplice precetto che il popolo doveva osservare. E molti, che pure intimamente erano lontani dal fascismo, si adeguarono per quieto vivere e pavidità, non certo per convinzione.

“Chi lascia fare e s’accontenta è già un fascista” ha scritto Cesare Pavese nel “La casa in collina”. Il professore protagonista del romanzo, rintanato nel suo rifugio lontano dalla città, ne è consapevole. Eppure si sente ormai “avvezzo” a non muoversi, a lasciare che il mondo impazzisca: “Quel cauto equilibrio di ansie, di attese e di futili speranze in cui adesso trascorrevo i giorni era fatto per me, mi piaceva: avrei voluto che durasse in eterno”, riflette il protagonista del romanzo.
Ritorno a queste pagine della nostra letteratura perché in questi giorni di ritiro sociale obbligato, in cui noi tutti siamo costretti a rinunciare a spazi di libertà e di espressione, mi è sembrato di cogliere qualche segnale di ripiegamento e di assuefazione, da una parte, e in qualche occasione un compiacimento eccessivo nel delimitare il campo dei diritti. Sia chiaro, oggi noi dobbiamo osservare le regole, tutte le regole, che le autorità politiche e sanitarie ritengono necessarie a contenere l’epidemia. In questo momento questa è la più grande espressione di senso civico e di amore per la propria comunità. Ma dobbiamo essere consapevoli di quale sia la dimensione vera della nostra democrazia, che ha bisogno della piazza fisica e non solo virtuale, e dunque di incontri, socialità, conversazioni, dibattiti. Teniamolo a mente ora, che siamo a casa. E teniamolo a mente dopo, quando potremo e dovremo rioccupare spazi, riallacciare relazioni, tornare a quella partecipazione che è l’essenza stessa della nostra vita pubblica.

L’altro aspetto della festa del 25 aprile su cui mi voglio soffermare è quello dei diritti sociali ed economici: il diritto al lavoro, all’impresa privata, alla salute, alla tutela della famiglia, peraltro tutti ben illustrati dalla nostra Costituzione. Gli storici oggi sono abbastanza concordi nel sostenere che, senza la Resistenza, non sarebbe stata scritta una carta costituzionale così innovativa dal punto di vista della giustizia sociale. Ecco, io credo che quei valori ben chiari ai partigiani debbano guidare i nostri passi anche oggi, di fronte a una crisi che per molti versi ha una portata non molto differente da quella di una guerra. Abbiamo imparato che una società iniqua è una società che può mantenere le forme della democrazia, ma non certo la sostanza: per questo è importante mettere in campo tutte quelle misure necessarie a far ripartire non solo la parte del Paese più forte, ma anche quella più fragile ed esposta ai rovesci di un’epoca storica che sta mettendo alla prova non solo la salute ma anche benessere e coesione sociale.

Permettetemi infine un’ultima considerazione. La Resistenza riuscì a unire sotto le insegne partigiane ragazzi di estrazione sociale e convinzioni politiche molto diverse. Dopo l’8 settembre e fino al 25 aprile, garibaldini e badogliani e militanti di giustizia e libertà, intellettuali, operai e contadini, monarchici e repubblicani combatterono fianco a fianco, imparando a conoscersi e a venirsi incontro, a trovare mediazioni, la cui espressione più alta è rappresentata dalla nostra Costituzione. Mi auguro allora che questa nostra resistenza di oggi contro il Coronavirus, e soprattutto contro lo spettro di un’involuzione economica, sociale e politica, unisca ancora una volta i partigiani della democrazia, al di là dell’appartenenza e delle convinzioni politiche.

Settantacinque anni sono passati dalla Liberazione però, come si vede, i valori del 25 aprile sono ancora punti di riferimento fecondi e vivi. Come ha scritto con una sintesi perfetta qualche tempo fa lo scrittore Giorgio Fontana: “L’allontanarsi nel tempo della Resistenza può tendere a confinarla in un ruolo episodico, un momento tra i tanti del Novecento; mentre di converso il virus fascista non ha mai smesso di mutare e adattarsi. Razzismo, sufficienza morale, culto della forza, disposizione a sacrificare la libertà per l’autorità: non sono rischi connessi al Ventennio, sono rischi che viviamo oggi, in questa fase calante e complessa della democrazia occidentale”.
Per questo della Resistenza abbiamo ancora bisogno. Oggi più che mai. Buon 25 aprile a tutti voi.

 

 

 

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INTERVENTO COMMISSARIO DEL GOVERNO DI TRENTO, DOTTOR SANDRO LOMBARDI

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INTERVENTO DIRETTORE MUSEO STORICO DEL TRENTINO, GIUSEPPE FERRANDI

Ottanta anni fa, nell’aprile 1940, i nazisti occuparono la Norvegia, nel maggio i Paesi Bassi e successivamente iniziò il vero e proprio attacco ad Occidente con l’invasione della Francia.

Il 10 giugno l’Italia entrò in guerra a fianco di Hitler.

Anche per molti trentini fu l’inizio della guerra: prima la Francia, poi la Grecia, la Jugoslavia, l’attacco all’Unione sovietica, contemporaneamente la guerra in Africa.

Settantacinque anni fa, il 25 aprile 1945, è il giorno dell’insurrezione generale contro i tedeschi, con la liberazione di Milano, Torino e di altre città del nord d’Italia. L’anno dopo, il 22 aprile, è il governo presieduto da Alcide De Gasperi a stabilire per decreto che quella data sarebbe diventata festa nazionale. Consacrata al ricordo, alla commemorazione dei caduti che avevamo combattuto per la libertà, alla trasmissione delle idealità e dei valori che sarebbero poi confluiti nella nascita della Repubblica italiana e nella nostra Costituzione.

E’ un 25 aprile drammatico e particolare quello che stiamo vivendo. Lunghe settimane di guerra alla diffusione del covid19, impegno straordinario di medici, infermieri, forze dell’ordine, volontari, ma anche di coloro che governano, amministrato, coordinano gli interventi, assumono le decisioni. E’  possibile e auspicabile che questo 25 aprile, che la stragrande maggioranza della cittadinanza sta trascorrendo a casa, sia dedicato ad una riflessione su quanto sia fondamentale rimanere comunità, riaffermare la nostra responsabilità individuale e sociale, prepararci ad affrontare le prove che ci aspettano nel momento in cui, passata l’emergenza, dovremmo gestire il lungo ed incerto periodo di ritorno alla normalità.

E’ un 25 aprile particolarmente doloroso perché contiamo la decimazione che ha colpito, in particolare, la popolazione anziana. Il covi19 ci ha privato di un pezzo importante della nostra vita sociale: una generazione di testimoni diretti degli eventi che stiamo ricordando. Molti di loro erano giovani, ragazze e ragazzi, bambini: la guerra l’avevano vissuta provando lutti, privazioni e paure. Il loro modo di raccontare e testimoniare era contrassegnato dal significato profondo ed impattante della guerra, della svalutazione della vita, degli effetti propagandistici di un’ideologia colorata di nero, per poi confrontarsi con un dopoguerra sicuramente incerto, ma gravido di possibilità, portatore di energie, volontà, passioni che avrebbero permesso la ricostruzione e l’avvio della vita democratica.

A quel patrimonio di memoria e di esperienze dobbiamo ancora riferirci. In modo ancora più consapevole oggi. Perché la rilettura di quel periodo e di quelle giornate è davvero una grande occasione formativa: sicuramente per le ragazze e i ragazzi impegnati sul fronte dello studio con modalità mai sperimentate fino ad oggi, ma direi anche per l’intera cittadinanza. Un lavoro che è trasversale alle generazioni e alla diversità di pensiero, cultura, orientamento politico, professione.

Mi riferisco alla cura che dobbiamo aver nel rafforzare il nostro essere cittadine e cittadini, nel riscoprire e rafforzare la nostra dimensione etica, che poi si nutre di responsabilità, di senso di appartenenza, di attenzione alla dimensione collettiva. La conoscenza della storia è parte di questo  impegno e non si affronta, evidentemente, solo in occasione del 25 aprile.

Questa ricorrenza ci invita a riflettere. Nel caso specifico prendendo in mano un libro scritto ormai cinque anni fa dallo storico Giovanni De Luna, La Resistenza perfetta. Il titolo può destare sospetto: nessuna intenzione dell’autore di nascondere le difficoltà, gli errori, la durezza di ciò che avvenne tra il settembre 1943 e l’aprile 1945. La storia è infatti costituita da imperfezioni, ma è altrettanto vero che non si deve smarrire il valore etico e politico del movimento resistenziale.

La fonte principale del libro è costituita dai diari di Leletta Malingri, figlia adolescente di una contessa che vive nel proprio castello nel comune di Bagnolo Piemonte, in zona dove la Resistenza si sviluppò in modo particolarmente organizzato ed efficiente. Quel castello e la villa di famiglia, dove trovarono ospitalità e rifugio i partitgiani, rappresentò un vero e proprio laboratorio, un luogo di confronto e di dialogo, che permise di attraversare quei lunghi venti mesi. Oltre a Leletta, profondamente cattolica e di idee monarchiche, l’altra figura che emerge è quella del partigiano comunista Pompeo Colajanni, il comandante “Barbato” della Prima Divisione Garibaldi, ufficiale della Scuola di Cavalleria di Pinerolo e avvocato di Caltanisetta.

Tante le discussioni tra preti e partigiani, monarchici e comunisti, soldati del sud e ufficiali dell’aristocrazia sabauda, donne e uomini. Insieme, sia pur momentaneamente, si ragionava e superavano le divisioni, ma specialmente si agiva, per la costruzione di un futuro.

Così scriveva Giorgio Agosti al proprio compagno di Resistenza Dante Livio Bianco:

“Questa lotta, proprio per questa nudità, per questo suo assoluto disinteresse, mi piace. Se ne usciremo vivi, ne usciremo migliori.”

 

 

 

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INTERVENTO PRESIDENTE ANPI DEL TRENTINO, MARIO COSSALI

Trento, il Trentino, come ogni anno, celebrano la festa della Liberazione. Anche quest’anno, sebbene tutti siamo penalizzati dal coronavirus, le comunità ricordano la fine della guerra, la sconfitta del nazismo e del fascismo. Oggi la ricorrenza del 25 Aprile si accompagna però all’elaborazione di un tremendo lutto civile, di fronte alla morte silenziosa di migliaia di uomini e donne proprio di quella generazione che ha visto la guerra, ne ha provato le ferite e le privazioni, sobbarcandosi poi il peso di una ardita ricostruzione, della quale tutti abbiamo beneficiato. Tanti volti emergono dalla polvere degli anni.

Oggi mi viene alla mente per tutti lo sguardo pulito di Gino Rossi, che dal suo laboratorio di sartoria nel centro di Trento era l’anima di una rete clandestina che arrivava fino agli Alleati. Della sua figura e del suo operato avremo modo di parlare prossimamente. L’Anpi del Trentino è per sua natura sempre parte protagonista di questo ricordo, caldo e ogni volta rinnovato, nonostante il passare inesorabile degli anni. Assieme alle istituzioni, alle organizzazioni sociali e a tante associazioni, prima l’Arci tra tutte, vuole tenere accesa la fiamma della memoria attiva, consapevole che, come ha detto Carla Nespolo, Presidente Nazionale dell’Anpi, l’Italia ha bisogno, oggi più che mai, di speranza, di unità, di radici che sappiano offrire la forza e la tenacia per poter scorgere un orizzonte di liberazione.

Questo orizzonte non si affida solo all’umano desiderio, ma cresce e si sviluppa dai valori e dai principi della Resistenza, dunque della democrazia e della Costituzione. Il 25 aprile arriva anche quest’anno con una preziosa puntualità, con le sue memorie e insieme con il richiamo forte a rinnovare un impegno che è sociale ( e la situazione che stiamo vivendo è esplicita, tragicamente esplicita, in questo senso, citando solo due temi: l’importanza degli investimenti nella sanità pubblica e l’attenzione all’aumento delle diseguaglianze ), culturale ( per la necessità di nuovo pensiero a cui siamo chiamati, che consideri il mondo villaggio e che trovi nella relazione il ponte verso ogni futuro ), politico ( le garanzie democratiche restano sempre all’ordine del giorno, pensiamo al caso dell’Ungheria in Europa e di altri stati nel mondo, dove il coronavirus è la chiave di apertura della porta del governo autoritario che limita ogni libertà ).

Rinnoviamo quindi il nostro impegno per la libertà, la giustizia e l’eguaglianza e non accantoniamo quella pietà che i morti di questa terribile stagione non hanno potuto avere.

 

 

 

Grafica e illustrazione tratta da: https://www.focusjunior.it

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