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UNITRENTOMAG * BORSE DOTTORATO: RETTORE DEFLORIAN, « LA NOSTRA È UNA “RESEARCH INTENSIVE UNIVERSITY”, IN LINEA CON IL MODELLO DI SVILUPPO »

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12.56 - mercoledì 26 luglio 2023

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota inviata all’Agenzia Opinione) –

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BORSE DI DOTTORATO? INVESTIMENTO CHE PAGA

Nell’ultimo dall’ultimo Rapporto Almalaurea fotografia del profilo e della condizione occupazionale di chi consegue il titolo in UniTrento.
Il dottorato all’Università di Trento è una buona scelta. Lo dice l’ultimo Report di AlmaLaurea sul profilo e la condizione occupazionale dei dottori e delle dottoresse di ricerca reso noto nei giorni scorsi. L’indagine è stata condotta su oltre 5mila dottori e dottoresse di ricerca di una quarantina di atenei italiani e Trento incassa riconoscimenti su vari indicatori, dalla disponibilità di borse di studio alla capacità di attrarre dottorandi stranieri, fino alla migliore occupabilità. UniTrentoMag ha analizzato la performance dei 220 dottori e dottoresse di ricerca dell’ateneo trentino dell’anno 2022 insieme al delegato per i dottorati di ricerca Francesco Pavani.

Un migliaio di dottorandi e dottorande di ricerca con un netto aumento rispetto agli anni precedenti. E circa 8milioni di euro per borse di ricerca finanziate nell’anno accademico 2022/23: una tra le voci di spesa più sostanziose nel bilancio dell’Ateneo. Primo punto di forza di UniTrento rispetto agli altri atenei italiani è senz’altro la scommessa sui giovani. Per l’ateneo trentino è ben di più di uno slogan e il rapporto Almalaurea ne dà conto. Da anni UniTrento si sforza di mettere in campo finanziamenti per garantire un numero alto e stabile di borse di dottorato. La maggior parte dei dottorandi e delle dottorande a Trento, infatti, la ottiene: il 93,5% contro la media nazionale del 81%. «Questo è uno dei dati più significativi che saltano all’occhio dal Rapporto Almalaurea – commenta Pavani. In proporzione alle nostre dimensioni, il nostro investimento come ateneo è infatti decisamente alto. In più di recente si sono aggiunti gli stanziamenti dal Pnrr che hanno spinto ulteriormente in questa direzione. Questo dimostra che abbiamo fatto una scelta lungimirante. Investire nel dottorato non è soltanto supportare la ricerca ma anche formare qualità per il mondo del lavoro. Con il tempo, di solito, il dottorato ripaga degli sforzi chi lo sceglie. I dati ci dicono che l’86,2% di chi si dottora a Trento giudica il titolo conseguito efficace nel lavoro. Del resto, il dottorato è una via d’accesso qualificata sempre più richiesta. Nelle aziende, così come nella pubblica amministrazione, il titolo di dottore o dottoressa di ricerca comincia ad essere discriminante per l’assunzione in ruoli dirigenziali».

La disponibilità di borse di studio, unita alla reputazione scientifica di cui gode l’Università di Trento fa da traino alla capacità di attrazione dell’Ateneo verso l’estero, soprattutto da paesi extraeuropei. L’ateneo trentino registra il 23,2% degli iscritti stranieri contro il 16,3% del dato nazionale. E a Trento il dottorato si consegue prima: i dottori e le dottoresse di ricerca lo concludono a 30,7 anni, rispetto ai colleghi e alle colleghe degli altri atenei (32,6 anni).
Tra le ragioni di soddisfazione anche il tasso di occupazione di chi consegue il titolo a Trento. Il tasso di occupazione a un anno dal titolo è del 92,9%, più alto rispetto alla media nazionale del 90,2%. Ancora più marcata è la riduzione nel tasso di disoccupazione: a Trento è disoccupato solo l’1,9% dei dottorati rispetto al 4,5% della media nazionale. Buoni risultati anche rispetto alla retribuzione mensile netta: 1.920 euro per chi esce da UniTrento (sempre a un anno dal titolo) contro i 1.836 dei colleghi degli altri atenei.

Interessante il dato sull’attività di ricerca che continua anche nell’occupazione lavorativa post dottorato. Ben l’80,4% di chi si dottora a Trento – contro il 69,3% dei dottorati in altri atenei italiani – dichiara di svolgere attività di ricerca in misura elevata nell’arco della giornata lavorativa. Numerosi (58% contro il 46,9% del confronto nazionale) sono gli impieghi come ricercatori, ricercatrici o tecnici laureati nell’università. «Emerge dal report un dato che tutto sommato ci aspettiamo: da sempre uno sbocco molto gettonato per il dottorato di ricerca è l’impiego in laboratori o centri di ricerca del sistema pubblico. Questo denota la capacità di formare il personale di ricerca accademico futuro» rileva Pavani. Ma un dato che ci dà altrettanta soddisfazione è la quota molto numerosa di dottori e dottoresse che continuano il proprio percorso di ricerca nelle imprese. Lavora nel privato il 35,6% dei nostri dottorati, contro il 31,9 della media nazionale. Questo accade soprattutto quando le aziende vengono coinvolte direttamente, già nella fase di definizione dell’impianto del dottorato. A Trento abbiamo avviato questo tipo di collaborazioni da vari anni e i primi segnali oggi, anche in questi dati, si vedono. La strada da fare però è ancora lunga perché è necessario, anche da parte delle aziende, un cambiamento di tipo culturale. La collaborazione con le imprese – quello che viene definito “dottorato industriale” o alto apprendistato – al momento infatti viene frequentata dal 7,4% dei dottorandi, contro la media nazionale dell’8,4%. È un dato che possiamo senz’altro migliorare.

«Chi si è formato qui, nel dottorato, già ragiona in un’ottica di collaborazione e di innovazione – chiarisce Pavani. È allenato a pensare fuori dagli schemi. Nel dottorato ciò che fa la differenza non è tanto la competenza tecnica che si acquisisce, quanto piuttosto la forma mentis che si sviluppa. Cercare sintesi, approfondire con i dati, leggere oltre la superficie, superare l‘abitudine: è quell’elasticità che permette di orientare il proprio lavoro all’innovazione. Ed è proprio nel terzo livello della formazione – il dottorato – che si smette di essere qualcuno che assorbe e ripete, e si diventa capaci di riassemblare e generare. Le imprese hanno gran bisogno di professionalità come queste per essere competitive. Le aziende grandi lo sanno bene, ma quelle piccole e medie a volte ancora faticano a vedere il valore aggiunto dell’investimento sul dottorato.

Il precedente Rapporto Almalaurea sui laureati ci ha abituato a considerare UniTrento un ateneo in cui si dà molto peso all’internazionalizzazione degli studi: ben 19,1% dei laureati e delle laureate (contro l’8,3% dei colleghi) ha visto riconosciuto il proprio periodo di formazione all’estero. Un dato che si conferma anche nel dottorato di ricerca anche se in misura minore rispetto alla media nazionale: il 37,2% contro il 40,1% del dato italiano. «Questa lieve flessione è comprensibile: il dottorato è un percorso breve ed è difficile in tre anni includere almeno sei mesi all’estero. Spesso poi i dottorandi e le dottorande sono un motore prezioso all’interno di un gruppo di ricerca, e la loro presenza può fare la differenza soprattutto in un momento in cui per la ricerca le forze in campo sono limitate. Eppure un confronto con altri contesti è vitale perché nel rinnovamento continuo sta la giovinezza culturale e la qualità della ricerca. Sostenere e valorizzare il periodo all’estero deve continuare a far parte del nostro modo di concepire la formazione dottorale».

 

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Commento rettore Deflorian

Il dottorato all’Università di Trento è una buona scelta. Lo dice l’ultimo Report di AlmaLaurea sul profilo e la condizione occupazionale dei dottori e delle dottoresse di ricerca reso noto nei giorni scorsi. L’indagine è stata condotta su oltre 5mila dottori e dottoresse di ricerca di una quarantina di atenei italiani e Trento incassa riconoscimenti su vari indicatori, dalla disponibilità di borse di studio alla capacità di attrarre dottorandi stranieri, fino alla migliore occupabilità. UniTrentoMag, il magazine di approfondimento dell’ateneo trentino, ha analizzato la performance dei 220 dottori e dottoresse di ricerca dell’ateneo trentino dell’anno 2022 in un articolo pubblicato online.

Il rettore Flavio Deflorian si è unito al commento del delegato per i dottorati di ricerca Francesco Pavani nell’esprimere soddisfazione per questo risultato raggiunto. «Abbiamo sempre investito molto nei dottorati, finanziando un numero importante di borse di studio. La nostra è una “research intensive university” e questo punto di orgoglio ci viene spesso riconosciuto da varie classifiche e indagini nazionali e internazionali. Finanziare la ricerca a partire dai giovani è perfettamente in linea con il nostro modello di sviluppo, con la nostra identità di ateneo dinamico, competitivo su scala internazionale e attento alle persone. Il nostro modello di dottorato, del resto, si ispira alle esperienze internazionali più avanzate.

In tanti paesi europei vengono assegnate molte risorse ai dottorati di ricerca perché la capacità di innovazione dei giovani viene riconosciuta come indice di vitalità e di efficacia del sistema della ricerca. Anche gli ulteriori stanziamenti previsti dal Pnrr sui dottorati sono allineati in questa direzione. E a fronte di un investimento sostanzioso e costante in termini di attenzione, di impegno e di stanziamento di risorse economiche, vediamo riflesso anche in questi dati di Almalaurea, un ritorno incoraggiante dell’investimento. Se i giovani trovano buone condizioni per la loro crescita, sia economiche e formative, sia di stimolo per la ricerca come succede in tanti atenei europei, allora arrivano anche dall’estero e scelgono di restare a lavorare, anche qui in Italia.

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