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ITALIA 1 – “LE IENE“ * «IL PROF. LUCA RICHELDI PATTEGGIA PER VIOLENZA SESSUALE, IN ONDA IERI L’INTERVISTA ALLA GIORNALISTA RAI CHE HA DENUNCIATO»

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14.55 - mercoledì 22 maggio 2024

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –

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In onda ieri a “Le Iene” l’intervista esclusiva di Roberta Rei e Marco Occhipinti alla donna finita al centro di un caso di cronaca per aver denunciato di violenza sessuale il virologo Luca Richeldi, primario del Policlinico Gemelli di Roma, che, in seguito alla denuncia, ha chiesto di patteggiare.

 

La presunta vittima, per la prima volta, svela la sua professione attuale: «Io faccio la giornalista in Rai» e aggiunge che ai tempi dell’accaduto era la portavoce di un ministro del governo. Poi, riferendosi a quanto sostenuto dagli avvocati del medico, che in una nota stampa hanno spiegato la scelta di patteggiare e di non affrontare il processo per non dare visibilità a chi ha denunciato il medico, precisa che: «L’essere qui schermata dà l’idea del fatto che non ho nessuna intenzione di usare questa cosa per essere visibile. Non mi interessa la visibilità, sono una persona molto riservata. Non ho nessuna motivazione se non voler denunciare una cosa orrenda che spero che non succeda ad altre».

Nel servizio si ripercorre l’intera vicenda. La donna racconta, rispondendo alle domande della Rei, di aver fatto negli ultimi cinque anni due visite in ambulatorio al Gemelli e, nel tempo, di aver mantenuto un rapporto di consulenza medica via whatsapp per lei e per sua nonna. Parlando del 2022, dice: «Avevo avuto il Covid, ero molto stanca, e volevo qualcosa che mi aiutasse a tirarmi un po’ su. Lui mi ha risposto che avrebbe potuto vedermi anche la sera stessa e che la sua segretaria mi avrebbe mandato la mappa del nuovo studio, sempre al Gemelli». E dove ti ha portato questa mappa?, le domanda la Rei. «Mi ha portato all’interno del Gemelli, in uno studio. Non c’era un lettino, non c’era una segretaria ad accogliermi, ho realizzato che non ero appunto in un ambulatorio, infatti, lui era in maniche di camicia», risponde lei. Ma se non c’era neanche un lettino, la visita allora dove si è tenuta?, chiede l’inviata. «Sono stata visitata sul divano e alla fine di questa visita questo medico ha avuto un approccio fisico molto diretto che mi ha spiazzata molto, anche perché mi stava mettendo le mani addosso. Questa cosa mi ha letteralmente bloccata. Io ero paralizzata, quindi mi ha toccato sotto la maglietta, mi ha baciata», spiega la donna.

Alla fine della visita il medico avrebbe prima allungato le mani, poi provato a baciare la donna, gesti non corrisposti che avrebbero creato un vero e proprio stato di shock in chi li ha subiti. La presunta vittima continua il suo racconto alla telecamera: «Ero veramente in un panico che mi bloccava fisicamente. Gli ho detto che non mi piaceva quella situazione, che non volevo che mettesse le mani addosso e mi ha quasi riso in faccia e mi ha detto “Non ti piace?” Io ho continuato a dire di no, in quel momento in cui ero veramente paralizzata. Ho preso il telefono e ho scritto a mia sorella: “Chiamami subito, dimmi di tornare”. E per fortuna mia sorella mi ha chiamato immediatamente e mi ha detto “Devi tornare a casa ti vogliono le bambine”. A quel punto ho detto: “Io devo andare”. E lui ha continuato a dirmi: “Ma sei sicura? Non mi vuoi salutare meglio?”. Io ho detto: “No, no”, e ho preso la borsa. Alla fine, mentre andavo via lui mi ha bloccata prendendomi alle spalle, toccandomi il seno e io in quel momento ho chiuso gli occhi e ho pensato solo: “Staccati, staccati, staccati”. E nel momento in cui finalmente mi ha mollata sono andata via».

La giornalista riferisce come il comportamento del medico avrebbe avuto su di lei delle conseguenze anche nei giorni a seguire: «Non ho avuto un messaggio di scuse, non c’è stato nessun tentativo di porre in qualche modo rimedio rispetto a quello che aveva fatto. Fisicamente io ero proprio nauseata da quello che era successo, io mi sono vergognata più che altro in quel momento di non aver reagito. Ho sentito l’esigenza di rivolgermi a una professionista per iniziare un percorso di psicoterapia. Non sono riuscita a parlargliene subito, ci ho messo mesi». Inizia un percorso di psicoterapia per elaborare la sensazione di impotenza vissuta in una situazione così imprevedibile: «Io non ero in grado in quel momento di muovermi, non ero in grado di dargli un ceffone e mi hanno spiegato dopo che sono reazioni molto frequenti nelle vittime di abusi, si chiama freezing, ti geli, non sai fare niente». E lui invece?, le chiede l’inviata. «Non ha dimostrato nessuna comprensione per la mia volontà, appunto, di sottrarmi. Lui ha continuato subito dopo bloccandomi, mettendomi le mani sul seno e stringendosi addosso a me. Lui si è appoggiato su di me mentre ero di spalle.».

La giornalista racconta anche dei sentimenti di paura, di incapacità di reagire che sarebbero proseguiti nel tempo: «Stavo molto male, avevo sogni ricorrenti, ovviamente, che riguardano questo episodio, ho avuto attacchi di panico. Ma mi sono detta “Se ci sono delle altre persone che si possono trovare in questa situazione in futuro, non mi posso permettere di stare zitta. Io non ho niente da perdere. Ho un lavoro a tempo indeterminato, ho una famiglia, che nessuno può mettere a repentaglio con questa storia. Se non lo faccio io chi lo fa? Lo fa una studentessa magari che si trova con il professore che si comporta così? Lo fa una ragazza?”».

Riferisce come dopo mesi di psicoterapia si sia decisa a compiere un passo liberatorio: «Per fortuna la legge oggi ci permette di denunciare fino a un anno dopo la violenza e devo dire che questo tempo mi è servito tutto. Ho fornito tutti gli elementi per provare quello che mi era successo, quindi le chat, gli appuntamenti i messaggi. La Procura ha fatto delle indagini che hanno portato poi la Pm a fare questa richiesta di rinvio a giudizio per violenza sessuale aggravata dal rapporto medico paziente». Cosa hai provato?, domanda l’inviata. «Mi sono sentita creduta, mi sono sentita sollevata. Ma questo professore lavora in una struttura molto importante, parliamo dell’ospedale del Papa e né la struttura, né l’Università Cattolica per la quale lui insegna, né l’ordine dei medici hanno deciso di rilasciare una qualsiasi dichiarazione. È un medico che chiede di patteggiare per violenza sessuale aggravata. Possibile che nessuno dica una parola?».

La donna dice che c’è un’altra questione su cui si dovrà pronunciare il giudice per le indagini preliminari a luglio: «Per questo tipo di reato è previsto che l’accusato faccia un percorso di riabilitazione presso un centro per uomini sexual abuser. Lui addirittura in questo patteggiamento indica di volerlo fare nel reparto di psichiatria del Gemelli, quindi non in un ente terzo, ma al piano di sopra o di sotto della sua struttura va a fare presso un suo collega un percorso di riabilitazione, questa è una cosa che mi ha molto turbato. Quello dell’ospedale che non ha commentato la vicenda è un silenzio che mi ha fatto molto male. Un intero sistema che si blinda per proteggere una persona potente?». Sul tema l’inviata sente il parere di Andrea Bernetti, responsabile del centro “Uomini Maltrattanti”, che dice: “Troppa vicinanza tra professionista e paziente in termini di conoscenza pregressa fa sì che il percorso non sia neutro, se dovesse accedere al nostro centro una persona che noi conosciamo, per qualsiasi motivo, noi non potremmo accoglierlo”.

Per continuare a fare chiarezza l’inviata prova a parlare con Francesca Giansante, referente del RiViGe, il comitato di Risposta alla Violenza di Genere nato circa un anno fa all’ospedale Gemelli. “Riguardo quanto accaduto tra le mura del Gemelli, rispetto alla denuncia di questa donna al professore che ha portato poi, a una richiesta di patteggiamento, avevate dato una risposta, fatto un comunicato?”, chiede la Rei a telefono. “Intanto, abbia pazienza, lei potrebbe essere chiunque, al telefono io non dico nulla a nessuno. Mi sta facendo delle domande a cui non risponderei a ogni modo perché abbiamo un segreto professionale. Quindi credo abbia fatto una telefonata a vuoto.”, le risponde la Giansante, interrompendo la chiamata.

A questo punto Roberta Rei prova a mettersi in contatto con il dott. Luca Richeldi: “Professore buonasera, sono una giornalista, scusi se la disturbo. La contatto per la questione dell’accusa di violenza sessuale aggravata che ha ricevuto e per cui ha chiesto il patteggiamento. Volevo capire se lei nonostante la richiesta di patteggiamento si professa innocente”. Lui risponde: “Guardi io, in questo momento, sono negli Stati Uniti, ma non… non ho… per telefono, così, non mi sembra il caso di dare nessuna informazione”. “Noi volevamo semplicemente capire se lei si professa innocente e visto che la difesa ha detto…”, continua l’inviata, interrotta da un: “La saluto, arrivederci.” del medico, che contestualmente mette giù.

Mentre l’Università Cattolica del Sacro Cuore dove il medico insegna, il Policlinico Gemelli dove esercita la sua professione e l’ordine dei medici al quale è iscritto, a oggi, non hanno mai commentato la vicenda, l’avvocato dell’accusato, dopo l’ultima udienza, ha mandato una nota alla stampa che così recita: “L’ipotesi accusatoria contestata al professor Richeldi si limita a poco più di un tentativo di bacio”. I legali del medico spiegano di aver chiesto il patteggiamento “per consentire all’indagato di non sottoporsi ad un processo per anni con conseguente grave danno psicofisico e reputazionale”. La giornalista commenta il tutto e lancia un appello: «Questo tentativo di sminuire quello che dice la vittima è una prepotenza brutta. Lui chiede di patteggiare a dieci mesi con pena sospesa; quindi, praticamente, se la caverebbe con poco più di una ramanzina e un percorso fatto a casa sua. Non è una sentenza giusta per violenza sessuale. La giustizia ci può aiutare, che la pena che verrà data a questa persona sia una pena giusta. Se la pena non sarà congrua avremo giocato, e le donne smetteranno di denunciare».

Il servizio è visibile al

 

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