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DIOCESI TRENTO * NATALE: OMELIA NATALE: MONSIGNOR TISI, « CHI NON SI LASCIA AMARE, IN REALTÀ NON AMA NESSUNO »

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10.45 - lunedì 25 dicembre 2023

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –

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“Natale racconta non solo un Dio che ama, ma un Dio che si lascia amare. E chi non si lascia amare, in realtà non ama nessuno”. È un passaggio dell’omelia dell’arcivescovo di Trento Lauro Tisi nel solenne pontificale di Natale in Cattedrale (ore 10).
Monsignor Tisi esordisce citando le parole di speranza di Etty Hillesum, vittima dell’Olocausto, capace di “vedere – commenta Tisi – anche nel posto più indicibile come un campo di concentramento, uno spiraglio di luce”. “Il volto di Dio che si fa Bambino, piccolo, fragile, vulnerabile – aggiunge don Lauro – è lo spicchio di cielo che può squarciare le tenebre di quest’ora drammatica”. “La sua vulnerabilità, la sua fragilità, incredibilmente è forza, è vita”, argomenta l’Arcivescovo riprendendo il “fotogramma evangelico” con le parole dell’angelo ai pastori: “Questo per voi il segno: troverete un bambino, avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia”.

Il fatto di “non accettare la vulnerabilità, sognare di essere invulnerabili è il male dei mali” sottolinea monsignor Tisi, annunciando che “Dio viene a liberarci da questa schiavitù e a offrirci salvezza”. “Egli – attesta l’Arcivescovo – ci salva dalla paura che il far posto all’altro, accreditarlo, porti alla rovina di noi stessi. Grazie al Dio di Betlemme abbiamo la possibilità di fare esperienza che lasciare entrare ed accogliere l’altro nella vita è beatitudine, antidoto alla morte, liberazione dall’ossessione di sé”.

“Da dove, allora, fiorisce la speranza?”, s’interroga infine don Lauro. “Dalla disponibilità – è la risposta alla luce del Vangelo – a lasciarsi avvolgere in fasce. Dal riconoscere il bisogno viscerale di essere amati”.

Animata dalla Cappella musicale del Duomo, la Messa va in onda in streaming sul canale YouTube della Diocesi, su Telepace Trento e Trentino Tv.

In allegato testo integrale omelia.

A tutti voi e alle vostre famiglie, anche a nome di don Lauro, buon Natale!

 

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Natale del Signore
25 dicembre 2023 – Cattedrale di Trento

“Che cosa credete? Che non veda il filo spinato? Che non veda il dominio della morte? Sì, ma vedo anche uno spicchio di cielo e in questo spicchio che ho nel cuore io vedo libertà e bellezza. Non ci credete? Invece è così!”
Sono le parole tratte dal diario di Etty Hillesum, ebrea olandese vittima dell’Olocausto.
Questa è la speranza! Anche nel posto più indicibile come un campo di concentramento, riuscire a vedere uno spiraglio di luce. La capacità di percepire, anche nella desolazione, la vita come promessa.
Il volto di Dio che si fa Bambino, piccolo, fragile, vulnerabile è lo spicchio di cielo che può squarciare le tenebre di quest’ora drammatica.

La sua vulnerabilità, la sua fragilità, incredibilmente è forza, è vita. Racconta non solo un Dio che ama, ma un Dio che si lascia amare: “Questo per voi il segno: troverete un bambino, avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2,12)
Il fotogramma evangelico attesta che chi non si lascia amare, in realtà non ama nessuno.
Non accettare la vulnerabilità, sognare di essere invulnerabili è il male dei mali. Finché non percepiamo la tragicità di questa illusione non è possibile costruire un mondo che possa fregiarsi del titolo di umano. Frequentare l’altro, lasciarsi incontrare, impedisce al morso della solitudine, dell’aggressività e talora della violenza di diventare il nostro habitat.
Dio viene a liberarci da questa schiavitù e a offrirci salvezza.

Quali connotati ha questa salvezza? In che senso Gesù è il Salvatore? Da chi e da che cosa dobbiamo essere salvati?
Egli ci salva dalla paura che il far posto all’altro, accreditarlo, porti alla rovina di noi stessi. Grazie al Dio di Betlemme abbiamo la possibilità di fare esperienza che lasciare entrare ed accogliere l’altro nella vita è beatitudine, antidoto alla morte, liberazione dall’ossessione di sé.

Lo scenario di morte, rabbia, contrapposizione in cui siamo immersi è l’effetto nefasto del non aver riconosciuto – per dirlo con le parole di Giovanni – la luce che ci ha visitati. Alla gioia dell’incontro, purtroppo, continuiamo a contrapporre la suggestione di una vita pensata attorno a noi stessi. Tolto dall’orizzonte il volto dell’altro, non resta che affidarsi alle proprie performance, alla conta di quanto possiedi, guardandoti le spalle nel timore di essere defraudato.

La Grotta di Betlemme, dopo duemila anni, continua ad emanare la sua luce gentile, capace di dare freschezza e calore alla vita. Questa luce, per essere intercettata, ha bisogno di uomini e donne che, come Maria, Giuseppe e i pastori si lasciano sorprendere, stupire e commuovere da un Dio che non ha imbarazzo a lasciarsi avvolgere in fasce e deporre nella mangiatoia. Da un Dio che non teme di lasciarsi amare. Da dove, allora, fiorisce la speranza? Dalla disponibilità a lasciarsi avvolgere in fasce. Dal riconoscere il bisogno viscerale di essere amati.

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