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AGCOM * EDITORIA QUOTIDIANA E PERIODICA: “ NEL DECENNIO 2012-2021 I RICAVI FLETTONO DEL 38,5% (DA 1,86 A 1,14 MILIARDI DI EURO), LA VENDITA PUBBLICITÀ CALA DEL 45% (DA 1,78 A 0,98 MILARDI).

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14.49 - giovedì 2 febbraio 2023

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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Editoria quotidiana e periodica

I ricavi registrati dalle principali imprese editoriali nel 2021 sono stati pari a 3,82 miliardi di euro, in crescita del 7% su base annua ma in flessione del 10% rispetto al 2017. Nel 2021 i ricavi editoriali e quelli da vendita di spazi pubblicitari rappresentavano rispettivamente il 39,1% ed il 30,5% dei ricavi complessivi.

Nel 2021 il valore del mercato italiano ha visto una crescita del 7% su base annua (dai 3,22 miliardi di euro del 2020 a 3,44 miliardi di euro) e una flessione dell’8,4% da inizio periodo.

Ampliando al decennio 2012-2021 il periodo temporale analizzato relativamente alle due principali voci di ricavo del mercato italiano, meglio sembra comprendersi la crisi strutturale che investe il settore: a livello aggregato i ricavi editoriali flettono del 38,5% (da 1,86 a 1,14 miliardi di euro), mentre le risorse derivanti dalla vendita di spazi pubblicitari si sono ridotte del 45% (da 1,78 a 0,98 miliardi di euro).

Tra il 2017 ed il 2021 il margine netto (Ebit) dell’intero settore in rapporto ai ricavi è stato mediamente pari all’1,8% annuo, ma nel 2021, rispetto all’esercizio precedente, ha visto un netto miglioramento, passando dal -5,6% al +3,7%, dovuto ad una crescita dei costi operativi inferiori a quella dei ricavi e ad una contestuale consistente riduzione degli ammortamenti operati dalle imprese considerate.

Tali dinamiche si sono riflesse conseguentemente anche sul rapporto tra il risultato di esercizio ed il patrimonio netto, che risulta lievemente negativo con riferimento all’intero periodo (-0,7%), ma che nell’ultimo anno considerato ha subìto un consistente miglioramento, passando dal -6,3% del 2020 al +6,7% del 2021.

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Pubblicato il “Focus Bilanci 2017-2021”, relativo a oltre 100 tra le principali imprese operanti nei settori delle comunicazioni elettroniche, dei servizi di corrispondenza e consegna pacchi, del settore televisivo e dell’editoria quotidiana e periodica ([1]). Il report fotografa, in maniera sintetica, lo “stato di salute” dei settori di interesse istituzionale dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni attraverso l’analisi delle principali grandezze economico-patrimoniali esposte nei bilanci relativi agli ultimi cinque esercizi.

Comunicazioni elettroniche
I ricavi complessivi delle principali aziende che operano nel settore delle comunicazioni elettroniche si sono ridotti, nel periodo 2017-2021, del 10%, passando da 31,8 miliardi di euro nel 2017 ai 28,6 miliardi di euro nel 2021.
Ampliando su base decennale (2012-2021) l’analisi dei ricavi, emerge come a inizio periodo gli introiti da rete mobile fossero stimabili nel 51,3% del totale, mentre nel 2021 questi scendono a poco più del 44% a testimonianza, nel comparto mobile, della progressiva pressione competitiva, mentre la crescita della componente fissa è dovuta all’incremento dei servizi broadband e ultrabroadband.

Con riferimento alla redditività dell’impresa si ricorda che le politiche aziendali, in tema di determinazione degli ammortamenti o di eventuali svalutazioni di cespiti, incidono sul margine operativo netto.

Tra il 2017 ed il 2019 il margine lordo del settore tende a migliorare (passa dal 35,6% al 38,5% dei ricavi) con il valore di Tim che nel 2017 risulta significativamente superiore a quello delle altre imprese (41,1% vs 31,1%); nel 2019 tale vantaggio si riduce, a seguito del netto miglioramento della marginalità delle seconde (l’indice è pari al 36% nel 2019).
Nei due successivi esercizi, 2020 e 2021, gli effetti della crisi pandemica e la pressione competitiva del settore fanno registrare una flessione del margine lordo complessivo di quasi dieci punti percentuali (27,1% nel 2021) e si riflettono in particolare su TIM, che nel 2021 registra un ebitda pari al 21,3% dei ricavi, contro il 31,6% ottenuto in media dalle altre imprese.

Il margine netto (Ebit) del comparto vede un andamento analogo a quanto sopra descritto e, nel 2021, mostra per la prima volta dal 2012 un valore complessivamente negativo (per 70 milioni, pari a -0,2% degli introiti settore) con TIM che risulta in negativo per 400 milioni di euro (-3,2% dei ricavi) e le altre imprese in positivo per 340 milioni di euro (+2,1% dei ricavi).

Tra il 2012 e il 2021, il settore delle comunicazioni elettroniche, limitatamente alle imprese considerate, ha registrato complessivamente, a fronte di circa 313 miliardi di euro di ricavi, un margine netto aggregato valutabile in meno di 26 miliardi di euro (8,2% degli introiti), mentre il risultato di esercizio aggregato è negativo per circa 2 miliardi di euro.
Tali dati sembrano testimoniare sia gli effetti della pressione competitiva sui prezzi, sia la natura fortemente “capital intensive” del settore, con flussi di investimenti (infrastrutture fisiche e asset immateriali) che nel periodo 2012-2021 sono stati pari a circa 73 miliardi di euro (quelli effettuati tra il 2017 ed il 2021 sono stati di poco inferiori ai 42 miliardi, e mediamente hanno assorbito la quasi totalità dei flussi di cassa generati dall’attività operativa).

A fine 2021, gli addetti diretti nel settore risultano essere circa 59.200, con una riduzione complessiva nell’ultimo anno di poco meno di 1.400 unità lavorative. Il trend di riduzione degli addetti, va sottolineato, è in atto da tempo (nel 2017 gli organici del comparto risultavano, in termini omogenei, circa 66.400), ed è conseguente ai processi di riorganizzazione aziendale che hanno interessato alcuni tra i principali operatori storici (Tim, Vodafone e Wind Tre in particolare).
Allo stesso tempo si osserva come la progressiva strutturazione e la crescita degli operatori che più di recente, sia nel segmento retail, sia in quello wholesale, sono entrati sul mercato attenuano tale tendenza.
Va sottolineato come Iliad e Open Fiber abbiano complessivamente quasi raggiunto a fine 2021 i 2.000 addetti (erano poco più di 600 nel 2017), mentre i livelli occupazionali dei principali operatori FWA (Eolo e Linkem) nel periodo osservato siano cresciuti di circa 200 unità, e che anche alcuni tra gli operatori di minori dimensioni considerati nel campione analizzato nel 2017-21 hanno visto, seppure in misura contenuta, aumenti dei livelli occupazionali.

Servizi di corrispondenza, consegna pacchi e stampa/imbustamento
I ricavi complessivi del 2021 hanno registrato, rispetto al 2020, una crescita complessiva del 15,2%, arrivando a 11,9 miliardi di euro.
Dall’analisi emerge che tra il 2017 ed il 2021 i ricavi attribuibili ai servizi di corrispondenza sono scesi da 2,9 a 2,2 miliardi di euro (-42,4%), mentre le risorse derivanti da servizi offerti dai principali corrieri espresso – che sono composte prevalentemente da quelle relative ai servizi di consegna pacchi – sono cresciute di circa 4 miliardi, passando da 5,5 a 9,5 miliardi di euro (+72,8%). Si segnala al riguardo il dinamismo di Amazon Italia Transport, i cui introiti dal pre-pandemico 2019 al 2021 sono passati da 385 a circa 1.050 milioni di euro.
Prendendo a riferimento il decennio compreso tra il 2012 ed il 2021, si coglie maggiormente la profonda trasformazione che ha investito il settore: nel 2012 i ricavi da servizi di corrispondenza risultavano superiori a quelli da consegna pacchi per circa 300 milioni di euro (3,91 contro 3,61 milioni di euro) e rappresentavano circa la metà delle risorse complessive del settore. Nel 2021, gli introiti da pacchi erano pari a poco meno di 9,5 miliardi di euro, arrivando a rappresentare poco meno dell’80% delle risorse del settore. I servizi a monte relativi a stampa e imbustamento (upstream services) hanno tradizionalmente dimensioni più contenute, ma anch’essi, sull’intero periodo analizzato, hanno visto una flessione (da 0,31 miliardi del 2012 a 0,24 miliardi di euro del 2021).

Tra il 2017 ed il 2021 il margine netto (Ebit) del settore in rapporto ai ricavi è risultato mediamente pari al 5,6%, con valori corrispondentemente più elevati per il Gruppo Poste Italiane rispetto alle altre imprese considerate (6,9% contro il 3,2%). Va rilevato, peraltro, come nel 2021 il margine operativo netto del gruppo Poste Italiane[2] sia notevolmente migliorato, passando dal 3,8% del 2020 al 9,0% dei ricavi, mentre nello stesso periodo quello medio delle altre imprese considerate è incrementato di 0,5 punti percentuali, passando da 3% al 3,5%.

In rapporto al patrimonio netto, il risultato di esercizio del Gruppo Poste Italiane segna in media, nel quinquennio esaminato, un valore sensibilmente più contenuto (9%) rispetto a quello medio delle altre imprese (19,7%). Nel corso del 2021 si registra la consistente crescita di tale rapporto per il Gruppo Poste (l’indicatore passa al 12,1% dal 4,9% del 2020), mentre allo stesso tempo le altre imprese segnano in media un arretramento di 3,7 punti percentuali (dal 21,2% al 17,4%).

Gli investimenti effettuati nel 2021 (967 milioni di euro) risultano in crescita del 7,3% rispetto al 2020 e si confermano marginali (poco più del 4,6%) rispetto agli introiti.
Tuttavia, si evidenzia come gli investimenti effettuati dai principali corrieri, tra il 2017 il 2021, siano più che raddoppiati, passando da circa 80 ad oltre 200 milioni di euro (grazie soprattutto ad Amazon Italia Transport che ha fatto registrare 140 milioni di euro nel 2021), arrivando a rappresentare il 21,4% degli investimenti complessivi del settore.

Gli addetti (circa 123.000 a fine 2021) risultano in flessione di circa 15.000 unità rispetto al 2017, riduzione dovuta principalmente ai processi riorganizzativi del Gruppo Poste Italiane (che hanno registrato una riduzione di circa 20.000 unità nel periodo 2017-2021).
Gli organici diretti delle altre imprese aumentano nell’intero periodo di circa 5.700 unità, in virtù di fenomeni di riorganizzazione e fusioni avvenuti nel settore e di un maggiore radicamento (con la creazione, ad esempio, di hub logistici) nel territorio nazionale. Al riguardo è da evidenziare la crescita di Amazon Italia Transport che a fine 2021, con un aumento di circa 1.100 unità rispetto al 2020, contava oltre 2.600 addetti.

TV
Si precisa in primo luogo che sfugge all’analisi la componente, progressivamente sempre più rilevante, rappresentata dalle dimensioni economiche e patrimoniali derivanti dalle offerte di servizi video in streaming (Netflix, Dazn, Amazon Prime Video, Rakuten, Disney+, Tim Vision), in assenza di informazioni economico-patrimoniali relative al mercato italiano.

Ciò premesso, i ricavi complessivi registrati nel 2021 dalle principali imprese analizzate hanno visto una crescita dell’1,4% rispetto al 2020, ma registrano una flessione del 10,4% (in valore pari a circa 960 milioni di euro) rispetto al 2017, quando le risorse complessive sfioravano i 9,2 miliardi di euro.
Relativamente ai tre principali soggetti presenti sul mercato televisivo italiano (Rai, MFE e Sky) Italia), si osserva come nel decennio 2012-2021 i ricavi complessivi siano diminuiti del 12,8% (da 8,39 a 7,32 miliardi di euro) con una riduzione del fatturato superiore a 1 miliardo di euro. In flessione del 15,3% risultano gli introiti pubblicitari (passati da 3,03 a 2,57 miliardi di euro), mentre la riduzione delle risorse fornite dai servizi pay è del 30% (ridottesi da 2,97 a 2,08 miliardi di euro) per i quali è da rimarcare l’effetto provocato dall’ingresso di Dazn e Prime Video nel mercato dei diritti sportivi. Gli introiti da canone di abbonamento alla Rai fanno registrare un lieve incremento (+5,2%), (da 1,73 a 1,82 miliardi di euro). Nel decennio considerato i ricavi complessivi della concessionaria pubblica sono rimasti sostanzialmente stabili (nel periodo flettono dell’1,5% e nel 2021 sono pari a 2.665 milioni di euro) mentre, corrispondentemente, gli introiti di Sky Italia si riducono di oltre l’8% (da 2,85 a 2,61 miliardi di euro). Quelli riferibili alle attività in Italia di MFE flettono del 28,1% (da 2,83 a 2,04 miliardi di euro), riduzione in larga parte dovuta al sostanziale venire meno delle attività pay.

Tra il 2017 ed il 2021 il margine netto (Ebit) di tutti gli operatori considerati nell’analisi è risultato mediamente negativo per circa 1,2 miliardi di euro (-2,7% dei ricavi), con il valore del 2021 in miglioramento rispetto a quanto registrato nel 2020 (-6,5% contro il -10,2%), ma lontano dal +2% di inizio periodo).

In rapporto al patrimonio netto il risultato di esercizio mostra un valore negativo (-2,5% in media) determinato dagli andamenti negativi degli ultimi due esercizi contabili, ma va evidenziato come tale rapporto, pur rimanendo ampiamente negativo, nel 2021 sia risultato in netto miglioramento rispetto al 2020 (-10,6% vs -18,4%).

Le diverse modalità di contabilizzazione della spesa in contenuti e diritti televisivi determinano valori assai differenziati tra gli operatori di settore considerati nell’analisi. Si stima, quindi, che la spesa complessiva per produzione di contenuti e acquisizione di diritti (contabilmente composta da investimenti e specifiche poste contabili registrate nei costi operativi) sia valutabile, nel 2021, in oltre 3,9 miliardi di euro, valore sostanzialmente in linea con i risultati del 2020 e pari al 48% dei ricavi aggregati.

Gli addetti complessivi delle imprese analizzate, nell’intero periodo considerato, risultano in flessione di circa 400 unità rispetto al 2017, attestandosi a poco più di 21.000 a fine 2021 (valore in flessione dell’1,7% con i livelli occupazionali del 2020).

Gli addetti delle principali imprese del settore nel periodo in esame si sono ridotti di circa 2.400 unità (-16,5%), passando da un totale di poco inferiore a 14.500 addetti nel 2017 a poco più di 12.000 nel 2021 e con una flessione (maggiormente contenuta rispetto agli anni precedenti) di circa 270 unità rispetto al 2020.

[1] Il report si basa su informazioni contabili desumibili dai bilanci d’esercizio delle imprese e fornisce un insieme informativo che si differenzia da analoghe analisi condotte dalla stessa Autorità.
Una prima differenza riguarda la finalità degli approfondimenti proposti rispetto a quella di altre analisi condotte a fini regolamentari (ad esempio le “analisi di mercato”) ovvero nell’ambito della predisposizione della “Relazione Annuale” dell’Autorità.
In questo caso l’obiettivo principale è quello di fornire una rappresentazione sintetica dello «stato di salute» (reddituale, patrimoniale e occupazionale) dei settori. In altri termini, le risultanze del Focus sono ottenute sulla base dell’insieme delle attività svolte dai principali soggetti che operano nel settore in questione e non già sulla base della suddivisione di tali attività per ambito merceologico (ossia di mercato).
Pertanto, le evidenze quantitative che emergono non possono essere utilizzate per effettuare comparazioni con altre risultanze rese pubbliche dall’Autorità, laddove tali analisi, che si caratterizzano per un maggior livello di specificità tecnica delle informazioni richieste, assumono il ruolo di strumento metodologico ai fini di una corretta individuazione, dal punto di vista geografico e merceologico, dei mercati sottoposti alla disciplina regolamentare dell’Autorità.
In particolare, emergono almeno tre principali elementi da considerare:
la diversa numerosità campionaria;
la differente tempistica di rilevazione del dato;
la richiesta di informazioni extracontabili che caratterizza la maggior parte delle specifiche richieste di informazioni che l’Autorità rivolge alle imprese e che, quindi, non sempre sono riconducibili alle specifiche poste di bilancio previste dal codice civile.

[2] lo specifico valore del gruppo Poste Italiane è relativo al complesso delle attività svolte, inclusivo quindi anche di quanto originato dai servizi di bancoposta ed altre attività non specificamente legate ai servizi di corrispondenza e consegna pacchi

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