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CAMPOBASE GIOVANI * AUTONOMIA: MELCHIORI PEDRON, « ESIGE PARTECIPAZIONE E COESIONE, LA POLITICA COINVOLGA I TALENTI DI CUI È ANCORA DOTATA »

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15.35 - domenica 27 agosto 2023

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota inviata all’Agenzia Opinione) –

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La situazione economica per i giovani trentini appare quantomeno incerta sia per quanto riguarda le opportunità occupazionali, che i bassi salari che, in prospettiva di lungo periodo, il futuro pensionistico. Un’indagine del Consiglio Nazionale dei Giovani e di Eures (La Stampa, 10/08/2023), ha messo in luce una situazione insostenibile per i giovani che hanno iniziato a lavorare in questi anni. Condizioni di precarietà e bassi salari li porterebbero a maturare una pensione prossima a quella di un assegno sociale lavorando fino a circa 74 anni di età.

Abbiamo bisogno di un dibattito nazionale ma anche locale più aperto e inclusivo sulle pensioni. È una questione di giustizia intergenerazionale e di sostenibilità del nostro sistema sociale. Oltre a questo il Consiglio Nazionale dei Giovani continua a rivendicare l’introduzione di una pensione di garanzia, richiesta peraltro da tempo anche dai sindacati, che preveda strumenti di sostegno e copertura al monte contributivo per i periodi di formazione, discontinuità e fragilità salariale. Abbiamo bisogno di creare un maggiore senso di comunità che metta i giovani al centro e questo è possibile anche grazie alla generosità e alla lungimiranza delle persone che grazie al sistema retributivo possono ora permettersi un presente più roseo del futuro che attende i loro nipoti.

Un altro problema da cui non è esente il nostro territorio è l’emigrazione dei giovani in cerca di migliori prospettive lavorative. Rispetto al decennio precedente il livello di istruzione di chi emigra è notevolmente più alto. Questa fuoriuscita continua e crescente di giovani altamente formati e con una professionalità qualificata costituisce una enorme riduzione del capitale sociale e umano del Paese e uno spreco di investimenti che si ripercuotono negativamente sul suo potenziale di sviluppo e crescita. I dati rilevati dal Centro Studi di Confindustria sono eclatanti. Per formare un laureato fino ai 25 anni di età sono necessari circa 170 mila euro, che salgono a 230 mila se oltre alla laurea consegue un dottorato di ricerca. Ne consegue che l’investimento in istruzione e formazione andato perduto dal 2008 al 2018, su circa 260 mila giovani laureati espatriati in Italia, è di 42, 8 miliardi di euro. Uno studio recente dimostra che l’emigrazione dei talenti ha rilevanti impatti sull’imprenditorialità poiché i giovani hanno un’alta propensione alla creazione d’impresa, meno giovani implicano meno imprese (Il pentagono dello sviluppo, Fondazione Nord-Est, 2019) .

Un costo della vita in continuo rialzo (inflazione e tassi dei mutui in continua crescita) accompagnato a lavori sottopagati rendono le prospettive per le giovani generazioni tutt’altro che rosee. Anche in quella che era, e per certi versi per qualcuno ancora è, una terra ricca, la possibilità di costruire un presente occupazionale equo e una prospettiva pensionistica decorosa si fa sempre più difficile.

A questa situazione sempre più incerta spetta alla politica dare delle risposte che mettano il lavoro al centro delle politiche redistributive di sviluppo del territorio incentivando le imprese che assumono e stabilizzano i giovani. Abbiamo bisogno di puntare con sempre maggiore forza e convinzione sull’innovazione tanto nel settore privato che in quello pubblico per poter tornare ad essere una terra che richiama talenti. Non basta di certo offrire l’abbonamento gratuito agli impianti da sci perché un medico scelga il Trentino, e non la vicina Baviera ad esempio, come terra dove trasferirsi e creare magari la propria famiglia. Abbiamo piuttosto la necessità di creare una sanità di qualità che premi i talenti e si distingua per efficienza ed efficacia a livello italian ma, soprattutto, europeo. In questo una maggiore coordinazione su scala euro-regionale sarebbe quantomeno auspicabile.

Noi siamo una terra che dice e rivendica la propria autonomia richiamandosi spesso alla nostra storia ma che fa fatica sempre più a giustificarla in chiave moderna. Come ricordato dalla professoressa e Giudice Costituzionale Daria Depretis nella sua Lectio Magistrale di quest’anno in onore del compianto Alcide De Gasperi, lo statista trentino intendeva l’autonomia come strumento per realizzare la democrazia e realizzare il buon governo: “il centralismo livellatore è nemico di tutti”. Non solo nelle relazioni tra Italia e Trentino, il suo pensiero supera la dimensione localistica e diventa visione nazionale, nel suo primo discorso al Parlamento nel giugno 1921, essa diventa metodo generale di organizzazione dello Stato, come proposta politica nazionale del Partito Popolare Italiano di cui Degasperi era un eminente esponenete. “La riforma della burocrazia non deve applicarsi solo alle nuove province ma deve diventare un laboratorio sperimentale di autogoverno e coesistenza fruttuosa”.

Forse la politica dovrebbe dare maggiori risposte all’insicurezza del nostro tempo grazie alla peculiarità e specialità legislativa che è riconosciuta al nostro territorio. L’autonomia per essere tale esige innanzitutto partecipazione e coesione. Abbiamo bisogno pertanto di una politica che coinvolga maggiormente i territori e i tanti talenti di cui è ancora dotata tracciando assieme il piano di una nuova rinascita.

 

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Andrea Melchiori Pedron
Campobase Giovani

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