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LETTERE AL DIRETTORE

GIOVANNI CESCHI * SCUOLA IN TRENTINO: « RIPRISTINO ESAMI A SETTEMBRE, CAMBIARE SI PUÒ E SI DEVE »

Scritto da
16.53 - martedì 13 febbraio 2024

Gentile direttore Franceschi,

 

allego quanto oggi pubblicato sul quotidiano “l’Adige“, anche per consentire la visione ai lettori di Opinione.

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Giovanni Ceschi
insegna Latino e Greco al Liceo Prati e presiede il Consiglio del sistema educativo

 

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È venuto il momento di fare un po’ di chiarezza, numeri alla mano, sul fallimento delle carenze formative in Trentino. E parto proprio da pretesi numeri che attesterebbero – secondo i difensori del sistema – l’assenza del problema. Il fatto che il Trentino, nonostante non abbia ripristinato dal 2007 gli esami a settembre, registri buoni risultati nei test Invalsi e Ocse-Pisa, non prova nulla: attesta semplicemente un dislivello negli apprendimenti tra nord-est e centro-sud del Paese endemico più o meno dall’unità d’Italia. E non sono peraltro queste rilevazioni a descrivere l’efficacia di un sistema educativo, considerata la loro programmatica settorialità, né tantomeno a predire il successo futuro dei nostri studenti all’università e nel mondo del lavoro.

Il dato statistico più significativo è invece il fatto che in Trentino la percentuale dei promossi a giugno alle superiori (dati ministeriali 2023) è del 93,8%, laddove la media nazionale si attesta al 76,2%. Tale divario, in costante ampliamento con un balzo del 6% solo nell’ultimo anno, corrisponde ora a quel 18% che nel resto d’Italia è costituito dagli studenti rimandati a settembre. Cioè, in sostanza, i docenti trentini oramai promuovono senza eccezioni quegli studenti che nel restante territorio nazionale devono dimostrare a settembre di avere colmato le lacune. Quasi uno su cinque. È vero che una larga maggioranza di costoro viene poi promosso a settembre (per la precisione, il 94%) ma in Trentino gli studenti impreparati vanno avanti comunque, con gravi conseguenze negative, visto che nella nostra provincia – unica rimasta in Italia – la verifica di superamento delle carenze formative non comporta conseguenze reali neppure a fronte di uno studio nullo.

Quantificando, i dati ministeriali ci dicono che poco meno di mezzo milione di allievi sono rimandati a settembre e poco meno di trentamila ripetono l’anno per non aver superato l’esame. Uscendo dall’asettico della statistica, quando i numeri diventano persone, è evidente che il problema dell’impreparazione esiste senza latitudine, ma nel resto del Paese permane anche la possibilità d’identificarlo e di porvi rimedio – nei casi di completo disorientamento – prima che le carenze diventino endemiche e insanabili. E si faccia finta che non esistano, come avviene in Trentino, ammettendo all’esame di Stato con “media complessivamente sufficiente”.

Il nostro modello incontra a giugno il drastico bivio fra promozione e bocciatura, nei casi dubbi anticipa la decisione di tre mesi rispetto al resto d’Italia e quindi sottrae – anziché aggiungere – possibilità di reale recupero. Non solo, offre opportunità inclusive solo sulla carta: un breve corso ai primi di settembre (meglio di niente, certo, ma una goccia nel mare per carenze gravi) e sportelli di sostegno nei mesi seguenti che si sovrappongono all’attività didattica del nuovo anno scolastico, appesantendo spesso in modo intollerabile la quotidianità scolastica dei più fragili. Il trionfo dell’ipocrisia si celebra poi ad anno avviato: molti colleghi, messi di fronte a tre (!) tentativi di superamento delle carenze, nessuno dei quali ha valore effettivo, non le assegnano neanche più oppure optano per il “superamento in itinere”, messo lì apposta per intercettare la comprensibile rassegnazione dei docenti. Con buona pace di tutti.

Dati alla mano, la situazione nella nostra provincia è drammatica; e solo la logica del sepolcro imbiancato consente di far finta che vada tutto bene. Come ho appena dimostrato, le nostre modalità di recupero non sono più inclusive né intellettualmente oneste: rilasciare una patente di sufficienza formale non significa includere ma illudere. Di converso, le centinaia d’insegnanti delle superiori che sul campo trovano la situazione insostenibile (già oltre cinquecento firmatari della petizione riavviata qualche giorno fa dopo una prima raccolta del 2019) non sono nostalgici di una scuola del passato, ma preoccupati per un livello di apprendimenti e competenze di base sempre più precario, come continuano a ripetere anche i colleghi dell’Università.

L’accusa rivolta da anni a chi caldeggia l’allineamento al nazionale degli esami di riparazione è di voler disporre di un’arma ulteriore “contro” gli studenti. Nulla di più falso e tendenzioso: lo strumento richiesto a gran voce è un sistema meritocratico che motivi i giovani studenti, per forza di cose non ancora convinti di uno studio gratificante e utile in sé, premiando o meno l’impegno profuso. Strumento di controllo di severità eccessive permarrà la collegialità dello scrutinio successivo all’esame, come sempre è stato. E non si vede infine perché il necessario ripristino di esami veri anche nella nostra provincia dovrebbe favorire il proliferare di lezioni private: se ad oggi infatti esse sono in calo (ma è davvero così?) è perché gli studenti sanno di essere comunque già promossi, comunque vadano prove autunnali che in Trentino non contano niente.

La soluzione è a portata di mano, non presuppone alcuna nostalgia del passato o pedagogia punitiva ma la semplice presa d’atto che se un meccanismo non funziona bisogna abbandonarlo. L’assessore Gerosa ha già dichiarato più volte, pubblicamente, di averlo compreso. Ci sono tanti altri aspetti sui quali la nostra autonomia scolastica potrà realizzarsi differenziandosi in meglio: con le carenze formative – ammettiamolo, dati alla mano – siamo stati per diciassett’anni in retroguardia.

 

 

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