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LANCIO D'AGENZIA

UNITN – WE.BE.WO/LAB – CENTRO STUDI DI GENERE – CGIL TRENTINO * « LE MOLESTIE SU LUOGO LAVORO, 3.025 ISCRITTI (15,8%) AL SINDACATO HANNO RISPOSTO AL QUESTIONARIO » (REPORT PDF)

Scritto da
10.07 - lunedì 26 febbraio 2024
(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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Un’indagine tra le persone iscritte a CGIL del Trentino – Febbraio 2024
Report a cura di:
Anna Ress
Supervisione scientifica:
prof.ssa Barbara Poggio
Università degli Studi di Trento
Capitolo 1 e Capitolo 2: di Anna Ress
Capitolo 3: di Alessia Tuselli e Martina Cicaloni
Gruppo di ricerca per la costruzione del questionario:
Monia Anzivino, Letizia Caporusso, Barbara Poggio, Anna Ress, Alessia Tuselli
Centro Studi Interdisciplinari di Genere
Interviste a cura di: Alessia Tuselli e Martina Cicaloni
Immagine di copertina a cura di: Anna Cozzarini
Referenti interne al proponente: Manuela Faggioni e Claudia Loro – CGIL del Trentino
INDICE
Introduzione p.  5
Capitolo 1. Le molestie: un quadro generale (Anna Ress) p.  7
1.1.     Cosa sono le molestie? Dal quadro giuridico alla definizione operativa p.  7
1.2.     Gli studi sulle molestie: perché si verificano e cosa comportano p.13
1.3.     I dati sulle molestie nel mondo, in Europa, in Euregio e in Italia p.18
La metodologia utilizzata nella ricerca di CGIL Trentino p.25
Capitolo 2. I risultati della ricerca quantitativa (Anna Ress) p.27
2.1. Il campione p.27
2.2. Ambienti di lavoro tossici p.35
2.3. Persone a rischio p.38
2.4. Molestie e malessere p.50
2.5. Strategie anti-molestie p.62
Capitolo 3. I risultati della ricerca qualitativa (Alessia Tuselli e Martina Cicaloni) p.67
3.1. Introduzione p.67
3.2. Ambienti di lavoro e riconoscimento del fenomeno p.67
3.3. Le molestie nei luoghi di lavoro: motivazioni e segnalazioni p.69
3.4. Prevenzione e contrasto del fenomeno: strumenti, policy e proposte p.71
Conclusioni p.75
Bibliografia p.77
Introduzione
I luoghi di lavoro sono spazi complessi, caratterizzati da ambienti condivisi, organizzati, gerarchici, in cui si costruiscono relazioni, anche e soprattutto di potere. È all’interno della dimensione relazionale che prendono forma fenomeni come quello delle molestie. Quando le molestie si verificano all’interno dello spazio lavorativo il fenomeno diviene ancora più complesso da rilevare. L’Istat ha avviato una prima mappatura delle molestie in Italia all’interno della ricerca “Indagine sulla sicurezza dei cittadini”: i dati relativi all’anno 2016, pur parziali rispetto alla dimensione lavorativa, confermano come il fenomeno sia diffuso anche in Provincia di Trento. Anche l’Euregio ha recentemente confermato, attraverso un’edizione specifica dell’indagine europea sulle condizioni di lavoro, la presenza di mobbing e molestie sui territori.
La ricerca, di cui riportiamo gli esiti, aveva l’obiettivo di far emergere, con strumenti dettagliati e il più possibile oggettivi, il fenomeno delle molestie diffuse in molti luoghi di lavoro, che hanno conseguenze importanti su vari aspetti della vita sociale e anche costi notevoli per le persone coinvolte, per le aziende e per le organizzazioni, per la collettività intera.
Il primo capitolo di questo lavoro ha lo scopo di delineare il quadro del fenomeno delle molestie, dal punto di vista giuridico e definitorio e riassume i risultati principali degli studi condotti sul tema a livello nazionale e internazionale, con particolare riferimento ai fattori favorenti e alle conseguenze possibili. Nell’analisi preliminare si riporta anche una selezione di alcuni dati disponibili a livello di macro-aree continentali, europeo, italiano e della zona Euregio. Conclude la sezione una descrizione della metodologia quanti/qualitativa utilizzata per la ricerca condotta tra le lavoratrici e i lavoratori iscritte/i a CGIL del Trentino.
Nel secondo capitolo sono stati descritti i risultati della fase di ricerca quantitativa. Gli ambiti analizzati attraverso il questionario riguardano, dopo gli aspetti socio-demografici della popolazione intervistata, l’ambiente di lavoro, la percezione delle molestie, la relazione delle molestie con la salute, le azioni e gli strumenti di contrasto. La sezione ha approfondito gli aspetti secondo questo schema logico, partendo da un primo paragrafo che descrive in dettaglio le caratteristiche del campione indagato, mentre a seguire sono state riportate le analisi relative alla diffusione delle molestie negli ambienti di lavoro, ai soggetti più a rischio, alla relazione delle molestie con il benessere lavorativo e psicologico, fino alle azioni e agli strumenti di contrasto.
Il terzo capitolo è dedicato all’approfondimento del fenomeno realizzato nella fase di ricerca qualitativa. A partire dalle evidenze emerse attraverso l’indagine quantitativa, sono stati intervistati alcune/i testimoni privilegiate/i (persone in ruoli di leadership e con una consolidata esperienza lavorativa all’interno del sindacato) per ragionare su possibili azioni e strumenti che possono essere adottati, nei contesti lavorativi, per prevenire le molestie e tutelare le segnalazioni di chi le subisce. Nella prima parte, dopo l’introduzione, vengono brevemente passate in rassegna le caratteristiche degli ambienti lavorativi secondo l’esperienza dei/delle rispondenti; nella seconda parte l’attenzione si concentra sulle riflessioni relative alle motivazioni alla base dei comportamenti molesti nei luoghi di lavoro; l’ultima parte è invece dedicata alle policy: sono state chieste alle persone intervistate sia una valutazione degli strumenti già adottati per il contrasto e la prevenzione delle molestie e, successivamente, alcune considerazioni in merito a ciò che potrebbe essere ulteriormente portato avanti, come impegno collettivo del sindacato.
Seguono le conclusioni del lavoro e, nelle ultime pagine, la bibliografia di riferimento.
Capitolo 1. Le molestie: un quadro generale
1.1. Cosa sono le molestie? Dal quadro giuridico alla definizione operativa
Il fenomeno della violenza nel mondo del lavoro comprende diverse forme di abuso, prevaricazione, discriminazione: si parla di mobbing, bullismo, bossing, stress occupazionale, stalking e così via. La molestia rappresenta una delle forme di violenza più diffuse. Il termine molestia identifica infatti una sensazione di fastidio o disagio che produce un turbamento del benessere fisico o psicologico. In letteratura, la molestia è spesso associata a comportamenti importuni che riguardano la sfera della sessualità.
Il termine molestia sessuale si diffuse proprio nell’ambito lavorativo in Nord America quando, nel 1975, due attiviste femministe dell’Human Affairs Program e della Cornell University, in seguito ad atti violenti nei confronti di un’impiegata dell’Università da parte di un superiore, organizzarono una conferenza in occasione della quale molte donne poterono esprimersi su questo tema. Da quel momento si svilupparono vari centri di ricerca dedicati a studiare le molestie sessuali. A partire dal lavoro di Catharine MacKinnon (1979), diversi giuristi cominciarono ad utilizzare il termine anche in contesti processuali in materia di trattamento discriminatorio ed emerse la necessità di disciplinare giuridicamente la materia. Le molestie sessuali furono da allora considerate una violazione del Title VII del Civil Rights Act del 1964, che vieta qualsiasi forma di discriminazione da parte dei datori di lavoro sulla base di razza, colore, religione, sesso o origine nazionale. Non solo, l’agenzia governativa per le pari opportunità (EEOC – Equal Employment Opportunity Commission), a tutela delle vittime, spinse le organizzazioni statunitensi a dotarsi di programmi di sensibilizzazione e politiche interne.
Iniziò così a delinearsi una definizione concettuale di molestia sessuale: attribuire un nome ad un fenomeno che comprendeva comportamenti diversi, dagli abusi, alle intimidazioni, ai commenti espliciti, allo sfruttamento sessuale, fu fondamentale al fine di un riconoscimento nel dibattito pubblico e nel linguaggio del diritto. Secondo l’approccio di MacKinnon, che la definì come “imposizione non gradita di richieste sessuali nel contesto di una relazione dispari di potere”, la molestia sessuale si fonda sulla subordinazione strutturale delle donne agli uomini nella vita sociale: due dimensioni, in particolare, vennero identificate nel concetto, quella che fa riferimento all’environment, ovvero ai comportamenti denigratori persistenti che creano un ambiente ostile e quella sessuale quid pro quo, che si riferisce alla richiesta di prestazioni sessuali attraverso ricatti o minacce. A partire dagli anni Novanta il focus si è progressivamente spostato sul tema dell’intersezionalità e sulla discriminazione che si fonda sull’interazione di diversi fattori, come genere, etnia, classe sociale.
Con il movimento #MeToo, nell’ottobre 2017 si diffuse in modo virale una campagna che mise in luce la diffusione dilagante delle molestie sessuali subite dalle donne nel mondo dello spettacolo. In Nord America, il tema ebbe grande risonanza mediatica grazie all’attrice Alyssa Milano che, attraverso un tweet, incoraggiò numerose donne più o meno famose a rivelare di essere state molestate o aggredite sessualmente nei luoghi di lavoro. Il movimento innescò un’ondata di denunce per abusi sessuali che si diffuse in tutto il mondo.
Se gli Stati Uniti sono stati i precursori della disciplina delle molestie e delle molestie sessuali, in Europa la legislazione in materia si è evoluta più lentamente. Era il 1979 quando la Convenzione per l’eliminazione di ogni forma di discriminazione contro le donne (CEDAW) adottata dalle Nazioni Unite introdusse obblighi per gli Stati membri di adoperarsi per proteggere le donne dalla violenza di qualsiasi tipo esercitata all’interno della famiglia, sul posto di lavoro o in qualsiasi altro ambito della vita sociale. Tuttavia, soltanto nel 1986 la Risoluzione del Parlamento europeo sulla violenza contro le donne invitò le autorità nazionali ad adottare una definizione giuridica di molestia sessuale e incaricò un gruppo di esperti di studiare il fenomeno negli Stati membri: nel 1987, lo studio condotto per conto della Commissione Europea da Michael Rubinstein, mostrò tutta l’evidenza della pervasività delle molestie sessuali nei luoghi di lavoro. All’epoca soltanto Paesi come Regno Unito e Irlanda disciplinavano le molestie come atti discriminatori. Seguirono altri studi e diversi interventi da parte dell’Unione Europea.
La Direttiva 1989/391 del Consiglio dell’Unione Europea, nelle disposizioni sulla salute e la sicurezza sul lavoro, attribuì ai datori di lavoro la responsabilità di garantire che i lavoratori dipendenti non subiscano danni a causa del lavoro e del mobbing. La successiva Raccomandazione della Commissione Europea 1992/131/CEE, includendo in allegato il Codice di condotta sui provvedimenti da adottare nella lotta contro le molestie sessuali, definiva le molestie sessuali come “ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale o qualsiasi altro tipo di comportamento basato sul sesso che offenda la dignità degli uomini e delle donne nel mondo del lavoro, ivi inclusi atteggiamenti malaccetti di tipo fisico, verbale o non verbale”.
Una ricerca del 1998 mise in luce la varietà delle definizioni e delle percezioni del concetto di molestia sessuale tra i Paesi europei, secondo gli ordinamenti giuridici nazionali (Timmerman & Bajema, 1999). Diverse furono anche le reazioni dei vari stati: Regno Unito, Paesi Bassi, Belgio e Germania, con una legislazione più avanzata, intrapresero azioni forti, mentre in altri Paesi, come Italia, Lussemburgo, Portogallo e Grecia, le azioni per contrastare le molestie furono più limitate.
Nel 2000, due direttive rafforzarono le tutele contro le discriminazioni e per il principio di parità di trattamento: la Direttiva 2000/43/CE e la Direttiva 2000/78/CE, che inquadrarono le molestie entro gli atti discriminatori.
Con la Direttiva 2002/73/CE del Parlamento europeo, venne distinta la molestia, intesa come “situazione nella quale si verifica un comportamento indesiderato connesso al sesso di una persona avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di tale persona e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo”, dalla molestia sessuale, definita come la “situazione nella quale si verifica un comportamento indesiderato a connotazione sessuale, espresso in forma fisica, verbale o non verbale, avente lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona, in particolare creando un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”. Si noti che la norma prescinde all’intenzionalità, poiché contempla “lo scopo o l’effetto” della molestia.
La Direttiva fu poi sostituita dalla Direttiva 2006/54/CE, che stabilì che “le molestie e le molestie sessuali sono contrarie al principio della parità di trattamento fra uomini e donne e costituiscono forme di discriminazione fondate sul sesso”. Nel 2007, sempre con l’obiettivo di contrastare gli atti di molestia sessuale negli ambienti lavorativi, venne sottoscritto dalle parti sociali europee a livello intersettoriale l’Accordo quadro che confermava il dovere del datore di lavoro di tutelare i lavoratori contro tali rischi. Nel documento, le molestie che possono presentarsi sul luogo di lavoro, possono essere “di natura fisica, psicologica e/o sessuale, costituire incidenti isolati o comportamenti più sistematici, avvenire tra colleghi, tra superiori e subordinati o da parte di terzi, ad esempio clienti, pazienti, studenti, ecc., andare da manifestazioni lievi di mancanza di rispetto ad altri atti più gravi, ad esempio reati che richiedono l’intervento delle autorità pubbliche”.
La Convenzione di Istanbul, adottata dal Consiglio d’Europa l’11 maggio 2011 e firmata dall’Unione Europea nel 2017, fu ratificata da 27 Stati, tra i quali l’Italia con Legge 27 giugno 2013, n. 77: strumento giuridicamente vincolante a tutela delle donne contro qualsiasi forma di violenza, all’art. 40 stabilì che “le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che qualsiasi forma di comportamento indesiderato, verbale, non verbale o fisico, di natura sessuale, con lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una persona, segnatamente quando tale comportamento crea un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo, sia sottoposto a sanzioni penali o ad altre sanzioni legali”.
Nel 2017, il Parlamento europeo approvò la Risoluzione sulla lotta alle molestie e agli abusi sessuali nell’Unione Europea, sollecitando una strategia comune che prevedesse norme e misure più incisive contro il fenomeno. Seguì un’altra Risoluzione, nel 2018, sulle misure per prevenire e contrastare il mobbing e le molestie sessuali sul posto di lavoro, nei luoghi pubblici e nella vita politica nell’UE.
Nel 2019, l’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), approvò la Convenzione n. 190 e la Raccomandazione n. 206: il trattato internazionale sulla violenza e le molestie nel mondo del lavoro fu sottoscritto da 187 Stati ed entrò in vigore nel 2021. All’art. 12, la Convenzione stabilì che le disposizioni “si applicano attraverso leggi e regolamenti nazionali, come pure tramite contratti collettivi o altre misure conformi alle procedure nazionali, includendovi l’ampliamento o l’adattamento delle misure esistenti in materia di salute e sicurezza sul lavoro affinché prevedano la violenza e le molestie”.
Nel 2021, con la Risoluzione MeToo e molestie – conseguenze per le istituzioni dell’UE, il Parlamento europeo richiamò la necessità di misure condivise per contrastare le molestie e di una revisione della definizione della violenza sessuale. In seguito, lo studio congiunto ILO del 2022 sulla violenza e le molestie sul lavoro rivelò le dimensioni del problema su scala internazionale e delineò le sue caratteristiche. Recentemente, a giugno 2023, la Risoluzione del Parlamento europeo sulle molestie sessuali nell’UE e la valutazione del movimento MeToo, invitò l’UE e gli stati membri a garantire che le molestie sessuali siano considerate reati penali.
Nei diversi Paesi europei sono state adottate norme diverse, non sempre con specifico riferimento alle molestie nell’ambiente di lavoro. Le norme sulle molestie sessuali, in generale e nei luoghi di lavoro in particolare, non sono ancora del tutto definite e capaci di tutelare le persone offese. Gli sforzi della giurisprudenza e della contrattazione collettiva, anche in Europa, hanno in parte contribuito a colmare le lacune legislative e le controversie interpretative, ma gli strumenti a disposizione risultano ancora poco incisivi per contrastare il fenomeno. In Francia, è prevista una sanzione in ambito civile nel codice del lavoro, ma anche uno specifico reato di molestia sessuale. La pena consiste nella multa di 30.000 euro e nella reclusione fino a due anni. Il reato è, inoltre, aggravato se la vittima dovesse risultare vulnerabile. Nel Regno Unito, le molestie sono previste e disciplinate in diversi atti normativi e il comportamento è sanzionabile con la multa o la reclusione fino a sei mesi. In Germania, dopo il Capodanno 2016, quando circa 2000 uomini aggredirono oltre 1000 donne, è stata introdotta la pena della reclusione fino a due anni, in alternativa alla multa, per chiunque molesti un’altra persona toccandola fisicamente in maniera sessualmente connotata, elevata fino a cinque anni nei casi di particolare gravità. La Svizzera prevede una sanzione sia in ambito civile nel codice del lavoro, sia con il reato di molestia sessuale nel lavoro, e viene disposta una pena detentiva fino a tre anni, oppure una pena pecuniaria: è previsto anche il reato di contravvenzione contro l’integrità sessuale, punito con la multa. In Spagna, le molestie sessuali sono identificate come reato presupponendo l’esistenza di un rapporto in ambito lavorativo e scolastico.
In Italia, fu solo alla fine degli anni Ottanta che il fenomeno delle molestie venne reso pubblico grazie ai movimenti femministi e ai circoli sindacali femminili, e fu poi negli anni Novanta che le organizzazioni integrarono le molestie come discriminazioni nei codici normativi dei contesti lavorativi. Tuttavia, nonostante il fenomeno riemerga periodicamente nelle numerose testimonianze di violenza e grazie all’impegno di realtà come Amleta , il movimento Me Too ha subito molte critiche e opposizioni, e molte delle donne che hanno denunciato le molestie subite sono state accusate di calunnia contro uomini potenti.
La legislazione italiana non ha ad oggi una normativa organica sulle molestie sessuali e la violenza di genere nel mondo del lavoro. Molestie e violenza sono perseguibili innanzitutto per quanto incorre nella sfera penale della violenza sessuale, sulla base di quanto stabilito dalle “Norme contro la violenza sessuale”, Legge 15 febbraio 1996 n. 66, della “Legge contro il femminicidio”, Legge 15 ottobre 2013 n. 119, del “Codice Rosso”, Legge 19 luglio 2019, n. 69. Dopo il femminicidio di Giulia Cecchettin, che ha scosso l’opinione pubblica, il Parlamento ha accelerato l’approvazione della Legge 24 novembre 2023, n. 168 “Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica”, inasprendo gli interventi contro i reati-spia, tra cui la violenza sessuale.
Per quanto attiene alla sfera della discriminazione, il riferimento è il Codice delle Pari Opportunità D.Lgs. n. 215 e 216 del 2003 e n. 198 del 2006, i decreti legislativi antidiscriminatori con i quali l’Italia ha recepito le Direttive comunitarie. In particolare, l’art. 4 del D.Lgs. 145/2005, oggi nell’art. 26 del D.Lgs. 198/2006, definisce le molestie sessuali come “quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo”.
Nella Legge finanziaria n. 205 del 2017, Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2018 e Bilancio pluriennale per il triennio 2018-2020, per la prima volta vengono introdotte disposizioni in materia di molestie sessuali sul lavoro, tra cui il divieto del datore di lavoro di adottare misure sanzionatorie, demansionamento, licenziamento o altre forme di discriminazione verso la lavoratrice e il lavoratore che denunciano molestie e violenze. L’art. 2087 del Codice civile, inoltre, attribuisce la responsabilità della sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici al datore di lavoro.
La convenzione ILO è stata ratificata dal Parlamento italiano con la Legge 15 gennaio 2021, n.4.
L’Italia è priva di una definizione giuridica delle molestie sessuali in ambito penale. Il contrasto alle molestie sessuali avviene attraverso strumenti disciplinari contenuti nei codici di condotta o civili, attraverso il risarcimento del danno. In assenza di un reato specifico che punisca il fenomeno con la reclusione e/o con una pena pecuniaria le molestie sessuali in generale e nei luoghi di lavoro, la giurisprudenza italiana riconosce la rilevanza penale dei comportamenti sessualmente molesti riconducendoli ad altre figure di reato del Codice penale. I reati cui le molestie vengono solitamente ricondotte riguardano principalmente gli articoli 609-bis e 612-bis.
Violenza sessuale: l’art. 609-bis c.p. e, a seguito della riforma del 1996, l’art. 609-bis c.p., stabiliscono che: “chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali è punito con la reclusione da cinque a dieci anni. Alla stessa pena soggiace chi induce taluno a compiere o subire atti sessuali: 1) abusando delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto; 2) traendo in inganno la persona offesa per essersi il colpevole sostituito ad altra persona. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi.” Sovente, le molestie sessuali sui luoghi di lavoro avvengono in forme sgradevoli ma non esplicitamente violente: tutti quegli atti oggettivamente sessuali e soggettivamente sgraditi rimangono dunque privi della tutela penale.
Atto persecutorio: l’art. 612-bis è conosciuto come stalking. A compiere questo reato è “chi minaccia o molesta qualcuno in modo da provocare un grave stato di ansia o di paura, ovvero da provocare un forte timore per l’incolumità propria o di una persona legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”. Oggi viene punito anche qualora si ripeta una sola volta.
Minaccia: l’art. 612 c.p. afferma che “chiunque minaccia ad altri un ingiusto danno è punito, a querela della persona offesa, con la multa fino a euro 1.032. Se la minaccia è grave, o è fatta in uno dei modi indicati nell’art. 339 c.p., la pena è della reclusione fino a un anno e si procede d’ufficio”.
Molestia o disturbo alle persone: il reato previsto all’art. 660 c.p. punisce “chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo, reca a taluno molestia o disturbo”. È previsto l’arresto fino a sei mesi o l’ammenda fino a euro 516, se la condotta avviene in luogo pubblico o aperto al pubblico: la norma rimane tuttavia inapplicata in tutti i luoghi di lavoro privati.
Ingiuria e diffamazione: l’ex art. 594 c.p., quando rappresentava un illecito penale, puniva chi offendesse “l’onore o il decoro di una persona”, senza limitazioni spaziali: oggi la norma non è più applicabile.
Violenza privata: l’art. 610 c.p. stabilisce che “chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”: la norma è tuttavia difficilmente applicabile alla molestia sessuale.
Maltrattamenti contro familiari conviventi: l’art. 572 c.p. dispone che “chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, maltratta una persona della famiglia o comunque convivente, o una persona sottoposta alla sua autorità o a lui affidata per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, è punito con la reclusione da due a sei anni”. L’articolo effettivamente si rivolge anche a persone legate da altri rapporti e non solo a familiari, ma non è facilmente applicabile alle molestie nei luoghi di lavoro.
Pur nella consapevolezza che l’intervento penale non rappresenta l’unica soluzione o necessariamente quella più efficace, un intervento normativo in Italia sarebbe opportuno per contrastare in maniera più incisiva fenomeni come le molestie sessuali, così come il mobbing, che condizionano così spesso il benessere lavorativo. L’intervento consentirebbe anche di giungere ad una definizione più precisa del concetto di molestia, utile anche a fini operativi e di monitoraggio del fenomeno.
A partire dalle definizioni giuridiche, rileviamo che, per considerarsi molestia sessuale, un comportamento deve avere le seguenti caratteristiche: essere indesiderato, cioè non richiesto o non condiviso dalla vittima, deve avere una connotazione sessuale, incidendo sulla libera autodeterminazione sessuale della vittima, deve essere espresso concretamente in parole e/o atti, ovvero con aggressione fisica, verbale o non verbale, e deve violare la dignità del lavoratore o creare un clima di lavoro avvilente, mortificante, ricattatorio, provocatorio. Nel circoscrivere l’analisi delle molestie nel mondo del lavoro, ci si riferisce a qualsiasi spazio pubblico o privato, fisico o virtuale, che costituisce il luogo di lavoro, inclusi gli spostamenti, gli spazi di refezione, viaggi, eventi, attività formative relativi al lavoro. Nell’analisi del fenomeno si includono tutte le figure professionali esposte alle molestie, dalle/gli apprendiste, alle persone in cerca di occupazione e l’insieme delle lavoratrici e dei lavoratori con tutta la varietà di contratti.
In Europa, lo studio di Eurofound (2015) ha messo in luce le difficoltà di comparazione dei dati dei diversi Paesi a causa della disomogeneità nella definizione dei comportamenti avversi nel mondo del lavoro. Nell’indagine europea sulla violenza contro le donne si sono distinte le molestie fisiche, le molestie verbali e le molestie non verbali, incluse quelle virtuali (FRA, 2014).
Per arrivare a una definizione operativa del concetto di molestia e poter rilevare il fenomeno nella vita sociale, un filone importante della letteratura si è basato sull’identificazione delle dimensioni sottostanti alle molestie. Il riferimento è il lavoro di traduzione empirica di Louise Fitzgerald: nel 1988, per la rilevazione delle molestie la studiosa lavorò con il suo gruppo di ricerca ad una scala a cinque dimensioni, le molestie di genere, il comportamento seduttivo, la corruzione sessuale, la coercizione sessuale, la violenza sessuale (Fitzgerald, 1988). Nel successivo studio del 1995, fu proposta una semplificazione dello strumento precedente, giungendo all’identificazione di tre dimensioni del concetto: le molestie di genere, le attenzioni sessuali non desiderate, la coercizione sessuale (Fitzgerald, 1995).
Il suo lavoro fu poi ripreso in diverse ricerche successive (Lim e Cortina, 2005) e la rigorosità del metodo ha consentito alle analisi di Fitzgerald di essere ritenute valide ancora oggi. Diverse ricerche statunitensi realizzate in ambito accademico hanno approfondito l’analisi del concetto di molestia e la costruzione di strumenti per la sua rilevazione quantitativa. In un recente studio condotto attraverso dati sul clima nei campus statunitensi sono state isolate quattro dimensioni del concetto di molestia, l’ostilità sessista, l’ostilità sessuale, l’attenzione sessuale indesiderata, la coercizione sessuale (Johnson, 2018). Altri studi europei hanno messo in luce l’importanza di distinguere le diverse dimensioni del concetto: le molestie di genere sono infatti solitamente meno percepite o considerate più banali rispetto alle attenzioni sessuali indesiderate (Herrera et al., 2017). In Italia, i pochi studi condotti soltanto recentemente si sono basati su questo filone di letteratura e hanno contribuito a mettere a punto strumenti in lingua italiana per la rilevazione delle molestie, sia in ambito accademico (Santinello e Vieo 2004; Romito, 2014; Ayangma Pontiroli, 2021), sia nel mondo del lavoro (Gosetti, 2019; Acquadro Maran et al. 2022).
In questa ricerca, riprenderemo la letteratura includendo operativamente nel concetto di molestia sessuale una serie di comportamenti sgraditi, con riferimento alle tre dimensioni principali (4 item per ogni dimensione), oltre ad un primo elemento iniziale più “soft” che individua il sessismo generalizzato nel linguaggio e un ultimo elemento più “grave” che rileva la vera e propria violenza sessuale: complessivamente, nel questionario sono stati costruiti 14 item relativi a comportamenti molesti. La domanda posta alle lavoratrici e ai lavoratori intervistate/i è la seguente: “Nel corso della sua intera vita lavorativa, con quale frequenza le è capitato di subire…”
1) Linguaggio sessista
a) Racconti o barzellette sessiste e sgradite o commenti offensivi sulle donne o sugli uomini
2) Molestie di genere
b) Esibizione di foto, immagini o regali dal contenuto esplicitamente sessuale che l’hanno messa a disagio
c) Telefonate o messaggi sgraditi, individuali o di gruppo, con riferimenti sessuali impliciti o espliciti
d) Commenti ripetuti sull’aspetto fisico o sull’abbigliamento che l’hanno fatta sentire a disagio
e) Gesti o posture provocatorie a sfondo sessuale o esibizione di parti intime per lei sgraditi
3) Attenzioni sessuali non desiderate
f) Sguardi inopportuni e maliziosi o rivolti insistentemente a parti del corpo
g) Proposte di incontro inopportune o inviti insistenti anche se più volte rifiutati in passato
h) Vicinanza fisica invadente e fastidiosa
i) Contatti fisici che creano disagio, palpeggiamenti o baci senza consenso
4) Coercizione sessuale
j) Richieste, anche implicite, di favori sessuali in cambio dell’assunzione al lavoro
k) Proposte, anche implicite, di trattamenti migliori o ricompense nel lavoro in cambio di favori sessuali
l) Minacce, anche implicite, di trattamenti peggiori o ritorsioni nel lavoro per il rifiuto di favori sessuali
m) Licenziamento o peggioramento delle condizioni di lavoro per il rifiuto di favori sessuali
5) Violenza sessuale
n) Atti o rapporti sessuali contro la sua volontà.
Il questionario, successivamente, ha approfondito il tempo e il luogo in cui si sono verificate le molestie sessuali (negli ultimi 12 mesi oppure precedentemente, nell’attuale o ultimo posto di lavoro oppure in un altro) e gli eventi successivi alla molestia sessuale più sgradita (sesso e ruolo della persona molestante, se e come si è attivata la vittima e quali conseguenze negative ha avuto in vari ambiti).
1.2. Gli studi sulle molestie: perché si verificano e cosa comportano
Le spiegazioni sociologiche della molestia sessuale non sono molto diffuse. Possiamo rintracciare in Tangri e Hayes (1997), un modello esplicativo basato su quattro livelli: il livello naturale-biologico, il livello organizzativo, il livello socio-culturale e il livello individuale (Welsh, 1999).
Ad un primo livello, dove si escludono gli intenti discriminatori, le molestie vengono ricondotte ai “naturali” istinti sessuali aggressivi degli uomini verso le donne, all’attrazione sessuale reciproca tra i sessi opposti, oppure a malattie innate di chi molesta. Le teorie biologiche sono criticabili soprattutto per il fatto che non tengono conto del fatto che le molestie variano secondo fattori socio-demografici, né spiegano perché i comportamenti molesti sono per definizione sgraditi da chi li subisce, e nemmeno perché sarebbero così diffuse, ben più che le patologie innate.
Il livello organizzativo è quello più articolato. Un approccio prevalente, a questo livello, è quello secondo cui la disponibilità di potere nell’organizzazione stimolerebbe le molestie sessuali: in questa prospettiva risultano però meno spiegabili le molestie che avvengono tra pari. Un altro approccio si basa sulla dominanza, normativa o numerica: la maggior presenza di uomini o di donne renderebbe le vittime più visibili e dunque più soggette alle molestie. Un’altra teoria ritiene che la cultura organizzativa tollerante rispetto alle molestie rappresenti il terreno fertile per questi fenomeni. Un ulteriore approccio pone l’enfasi sull’organizzazione tecnica del lavoro, secondo cui condizioni alienanti, faticose, ripetitive spingono gli uomini a cercare momenti di svago rivolgendo l’attenzione verso le donne. L’ultima teoria è quella delle organizzazioni di genere, secondo cui lavoratrici vulnerabili a livello contrattuale avrebbero un atteggiamento più deferenziale che le esporrebbe alle molestie sessuali: questo approccio non spiega tuttavia le molestie frequenti subite dalle donne in posizione apicale.
Il livello socio-culturale interpreta la molestia sessuale come prodotto del sistema patriarcale secondo le cui norme l’uomo è dominante rispetto alla donna ed è reso, attraverso la socializzazione dei generi, aggressivo nei suoi confronti, in tutti gli ambiti e, così, in quello lavorativo.
Il livello individuale si basa sull’aspetto psicologico e dunque sarebbero le differenze individuali a spiegare la varietà delle percezioni delle molestie e le possibilità di sottovalutare o meno determinati comportamenti e le relative conseguenze.
Se le molestie sono forme di discriminazione, si sommano a tutte le altre modalità di oppressione delle minoranze. In effetti, un più recente studio dell’ILO (2022) evidenzia e conferma i risultati delle diverse ricerche che si sono susseguite, ovvero che alcuni gruppi sociali hanno maggiori probabilità di essere vittima di diversi tipi di violenza e molestie sessuali. I gruppi più vulnerabili sono le donne, e in particolare le lavoratrici più giovani, migranti e con un’occupazione dipendente, le persone single, separate o divorziate, vedove. Rispetto agli uomini, le giovani donne hanno una probabilità doppia di subire violenza e allo stesso modo sono più a rischio le donne migranti rispetto alle donne non migranti. Un recente studio condotto in un campus universitario canadese rileva più molestie nella popolazione studentesca indigena (Dion et al., 2022). Altre minoranze vulnerabili sono quelle sessuali (LGBTQIA+) e le persone portatrici di disabilità (ILO, 2022). Secondo l’approccio intersezionale, le condizioni di marginalità tendono infatti a sovrapporsi (Johnson et al., 2018).
Uno studio statunitense ha dato credito alla teoria della dominanza, confrontando gli ambienti lavorativi a predominanza di genere con quelli più paritari: nei contesti a prevalenza femminile, le donne erano molto meno soggette a subire molestie, mentre nei contesti maschili erano gli uomini a subire meno molestie (Raj et al., 2020).
Lavoratrici e lavoratori di alcuni settori, inoltre, hanno maggiori probabilità di sperimentare violenze e molestie sessuali: nel settore sanitario e sociale, nei trasporti e nel magazzinaggio, nei servizi di alloggio e ristorazione, tutti settori ad intensa interazione con terzi (Eurofound, 2015). L’ambiente lavorativo delle professioni sanitarie è un contesto particolarmente fertile per le molestie (Kabat-Farr & Crumley, 2019). Uno studio condotto negli ambienti di lavoro coreani ha evidenziato che le donne molto giovani con un impiego nelle vendite e che dovevano trascorrere più tempo con i propri clienti erano soggette a subire più molestie di genere e attenzioni sessuali indesiderate (Lee & Oh, 2020).
La letteratura concorda sul fatto che alla base delle molestie come fenomeno ci sono le relazioni di potere asimmetriche all’interno di una struttura fortemente gerarchica e le condizioni di lavoro precarie (Agbaje et al., 2021). Una leadership scarsamente formata sul tema, la risposta inadeguata ai comportamenti molesti e il silenzio delle vittime fungono da elementi facilitatori della diffusione delle molestie (Merzagora et al., 2022). Molti studi evidenziano che le molestie sono molto diffuse in ambienti dominati da figure maschili, caratterizzati da una subcultura maschilista e patriarcale (Johnson et al., 2018; O’Connor et al., 2021; Agardh et al., 2022; Hadi, 2022; Guschke et al., 2022). La ricerca suggerisce in generale che la propensione alle molestie è in gran parte radicata nel sessismo ostile, negli atteggiamenti verso sessualità e negli stereotipi sessisti rispetto ai ruoli di donne e uomini (Fitzgerald e Cortina, 2018). Anche in Italia diverse testimonianze documentano la diffusione delle molestie all’interno di una cornice di maschilismo ancora decisamente permeante (Volpato, 2023) e il persistere di un “sottobosco relazionale” (Gosetti, 2019).
Le molestie nell’ambiente di lavoro coinvolgono anche l’aspetto economico: la leva utilizzata da chi molesta è spesso quella del ricatto e implica per la vittima il rischio di perdere l’eventuale o il proprio posto di lavoro, così come le possibilità di avanzamento di carriera (Pagano e Deriu, 2018). Per questo, e per le paure legate alle possibili ritorsioni, la maggior parte dei fenomeni molesti rimane taciuta da chi subisce (Beltramini et al., 2019).
Le donne sono a rischio sia quando sono in condizione subordinata, sia paradossalmente quando sono al potere. Uno studio statunitense rilevava come le donne che hanno un alto livello di autorità nel lavoro possono essere soggette a subire isolamento sociale e molestie, che, motivate più dal controllo e dal dominio che dal desiderio sessuale, rappresenterebbero una sorta di “equalizzatore” nei confronti delle donne che si discostano dalle aspettative di genere (McLaughlin et al., 2012). Un’altra ricerca condotta in Pakistan ha analizzato le molestie subite dalle candidate durante il periodo delle elezioni, identificandole come uno degli ostacoli che connotano l’esperienza delle donne che cercano di raggiungere ruoli lavorativi di vertice (Ali e Rukhsana, 2019).
Si parla spesso delle conseguenze negative che le molestie possono comportare a vari livelli, per le persone coinvolte, per le organizzazioni e per la società nel suo complesso. Dal punto di vista individuale, le molestie sono per definizione “indesiderate”. Rendono, inoltre, l’ambiente lavorativo sfavorevole per le persone che le subiscono e possono incidere sulla produttività nello svolgere le proprie mansioni, sull’assenteismo, ma anche sul destino occupazionale e sulla carriera professionale in generale. Non solo, in un luogo lavorativo, il comportamento a carattere sessuale può rappresentare fonte di stress per le vittime, per familiari, amici, per colleghe/i che lavorano nello stesso ambiente. Le conseguenze sul clima organizzativo e sui gruppi di lavoro possono essere molto importanti e comportare rischi aziendali, in termini di costi legali, costi del personale, costi reputazionali. Nella Raccomandazione 1992/131/CEE, si affermava che “le molestie sessuali guastano l’ambiente di lavoro e possono compromettere con effetti devastanti la salute, la fiducia, il morale e le prestazioni di coloro che le subiscono”.
Effettivamente, molti studi hanno confermato nel tempo la relazione tra le molestie subite in ambito lavorativo e la salute psico-fisica delle vittime: secondo i risultati di diverse ricerche, i comportamenti molesti possono comportare danni emozionali nelle vittime, anche quando le esperienze risultano a bassa frequenza e intensità. Uno dei primi studi a riguardo condotti con strumenti rigorosi rilevava la relazione tra le molestie sessuali e una varietà di misure valide dello stato psicologico, anche tenendo sotto controllo attentamente possibili altri fattori di stress: le donne che erano state molestate avevano livelli significativamente più bassi di benessere psicologico in generale e sintomi evidenti di stress post-traumatico (Schneider, Swan e Fitzgerald, 1997). Un esperimento con 46 donne mostrò che le esperienze di molestie di genere anche lievi aumentavano nelle vittime la reattività cardiovascolare (Schneider et al., 2001). Altri due studi condotti in ambiti dominati dagli uomini, come quello militare e quello delle professioni legali, mostrarono la diffusione e la gravità delle molestie di genere in senso stretto (la dimensione discriminatoria che non contempla l’avance sessuale indesiderata): anche in questa forma, tra le vittime di molestie emergeva un significativo decremento del benessere professionale e psicologico (Leskinen et al., 2011). Numerose ricerche successive, con l’ausilio di importanti moli di dati, negli ultimi vent’anni hanno messo in luce l’associazione tra molestie sessuali e depressione, disturbi d’ansia, abuso di alcol, disturbi alimentari (Fitzgerald e Cortina, 2018).
Le molestie riducono la soddisfazione nel lavoro, la produttività e le prestazioni nelle proprie mansioni, aumentando lo stress da lavoro (Lim e Cortina, 2005) e conducono a forme di ritiro lavorativo, come l’assenteismo, la trascuratezza negli incarichi, i ritardi, fino all’abbandono dell’attività (Sims et al., 2005). Un importante rassegna meta-analitica australiana è stata realizzata utilizzando 88 studi con 93 campioni indipendenti e includendo 73.877 donne lavoratrici, confermando le relazioni tra le esperienze lavorative dannose più o meno intense e più o meno frequenti e il benessere lavorativo, inteso come impegno nell’organizzazione, soddisfazione nel lavoro, oltre che con la salute generale (Sojo et al. 2016).
Uno studio condotto in America a cavallo del Me Too ha preso in considerazione l’andamento della consapevolezza da parte delle donne rispetto alle molestie sessuali. L’indagine ha coinvolto 500 donne in due diversi momenti (settembre 2016 e settembre 2018), monitorando il fenomeno nelle sue diverse accezioni e rilevando una riduzione dei timori nel parlare dell’argomento da parte delle donne. Anche in questa ricerca, coerentemente con la letteratura, emerge ancora la relazione tra molestie sessuali e opinioni negative di sé nelle vittime: la relazione tra molestie e aspetti come autostima e insicurezza appare però diminuita dopo il Me Too, presumibilmente grazie alla percezione di poter ricevere maggiore supporto, veicolata dal movimento, nelle donne che subiscono molestie (Keplinger et al., 2019). Un altro recente studio nelle università di medicina statunitensi ha rivelato una peggiore salute mentale, minore soddisfazione nel lavoro e senso di sicurezza sul lavoro e più intenzioni di turnover nel personale che aveva subito molestie da colleghe/i o pazienti (Vargas et al., 2020).
La letteratura sul tema è fiorita anche in altri contesti e paesi del mondo. Uno studio condotto recentemente tra 954 studenti infermieri in dieci università della Cina, ha esaminato come le violenze subite durante la pratica clinica dal primo marzo 2019 al 31 maggio 2020 abbiano influito negativamente sull’identità professionale e messo in luce che metà delle vittime ha sviluppato un disturbo da stress post-traumatico dopo aver subito le violenze (Zhu et al., 2022).
Una ricerca condotta in Pakistan nel personale dipendente del settore bancario ha rilevato che i comportamenti molesti incidono sulla qualità della vita lavorativa (Nazir et al., 2011). Uno studio più recente nello stesso Paese ha indagato la condizione di 200 donne lavoratrici in settori pubblici e privati, rilevando un’associazione negativa tra l’esperienza di molestie sessuali e il benessere soggettivo (Bilal et al., 2021). Un’indagine qualitativa realizzata negli ambienti di lavoro iraniani ha inoltre coinvolto 22 infermiere con diversa età ed esperienza lavorativa: dalle testimonianze sono emersi sistematici comportamenti aggressivi di tipo verbale, fisico, visivo, atteggiamenti di seduzione e cyber sessuali messi in atto da pazienti, medici, colleghi, che hanno interferito nel poter svolgere in modo accurato il proprio lavoro (Zeighami et al., 2022).
In uno studio del 2017 in Tanzania, che ha coinvolto 1593 dipendenti pubblici, i dati hanno evidenziato che le molestie erano agite per lo più da parte di uomini con cariche lavorative di alto livello e che le donne più colpite da tale fenomeno erano giovani lavoratrici. Alcune delle intervistate hanno riferito di aver sofferto di successivi problemi fisici, di aver rilevato un impatto sulla propria salute e molte di loro hanno espresso paura delle molestie sessuali (Vuckovic et al., 2017).
Uno studio condotto tra febbraio e aprile 2014 in Nigeria ha rilevato come questi comportamenti rappresentino degli ostacoli per molte lavoratrici che li subiscono, rendendo l’ambiente di lavoro scomodo, ostile, intimidatorio, offensivo, con conseguenze negative sul morale, sulla salute e in definitiva sulla produttività del lavoro (Moradeke, 2014). Una ricerca più recente condotta nella Commissione del servizio civile dello stato di Anambra in Nigeria ha rivolto un questionario auto-somministrato a 180 donne dipendenti all’interno dei ministeri, riportando quanto le molestie sessuali incidano sulle prestazioni professionali delle lavoratrici (Onwuka & Ume, 2022).
Anche in Europa, molte ricerche confermano questi risultati. Nello studio di Eurofound (2015) basato su indagini a livello nazionale condotte nei diversi Paesi UE28 e in Norvegia tra il 2009 e il 2013, nonché sui risultati della quinta indagine europea sulle condizioni di lavoro (EWCS), sono emersi i molti esiti negativi delle violenze e delle molestie nel luogo di lavoro sulla produttività lavorativa, l’assenteismo e la probabilità di lavorare a 60 anni, e gli importanti rischi che comportano sulla salute, quali depressione, insonnia, fatica complessiva, stress, irritabilità, riduzione dell’autostima, disturbi psicosomatici di varia natura, incremento dell’indice di massa corporea, consumo maggiore di alcol e droghe e più medicinali, in particolare antidepressivi (Eurofound, 2015).
La ricerca sulle molestie si è sviluppata in Europa soprattutto nei Paesi del Nord, dove la consapevolezza del fenomeno è molto più consolidata e le politiche sono decisamente più avanzate. Una ricerca olandese che ha coinvolto 3.001 poliziotti e 1.295 poliziotte ha identificato disturbi somatici specifici associati a esperienze moleste, che includevano affaticamento, disturbi del sonno, inappetenza, oltre a sintomi di burnout (de Haas et al., 2009).
Un’indagine importante che non presenta i limiti dei dati cross-sectional (lo studio osservazionale raccoglie i dati in un momento specifico e non segue nel tempo la comparsa degli effetti) è stata realizzata in Svezia utilizzando dati tra il 1999 e il 2013 rappresentativi della popolazione occupata. La ricerca longitudinale confermò che l’esposizione a molestie sessuali e di genere nei luoghi di lavoro, in particolare quando è pervasiva, porta ad aumentare i rischi di assenza per malattia a lungo termine per donne e uomini (Blindow et al., 2021). Un’altra ricerca condotta su dati analoghi di coorte rilevati tra le lavoratrici e i lavoratori svedesi tra il 2007 e il 2013, mirava a rintracciare una relazione tra l’esposizione alle molestie di genere o sessuali, da parte di superiori o colleghi o di altri (come clienti), e l’assunzione di farmaci psicotropi. Le risposte alle interviste sono state unite ai dati su antidepressivi, ipnotici/sedativi e ansiolitici contenuti nel registro svedese dei farmaci prescritti e i risultati dimostrarono che le persone che erano state esposte almeno ad un tipo di violenza nel lavoro erano più soggette all’utilizzo di psicotropi (Blindow et al., 2022). Un altro studio longitudinale condotto in Svezia ha seguito, tra il 1995 e il 2013, 85.205 uomini e donne con un lavoro retribuito in diverse occupazioni che hanno compilato un questionario comprendente l’esposizione a molestie sessuali nel lavoro: sono poi stati verificati i casi di suicidio e tentativi di suicidio accertati dai registri amministrativi, arrivando a concludere che le molestie sessuali sono potenzialmente associate perfino a comportamenti suicidari (Magnusson Hanson et al. 2020).
Un altro interessante studio longitudinale condotto in Norvegia ha intervistato due volte 3654 lavoratrici e lavoratori, tra aprile 2013 e gennaio 2014 e tra settembre 2016 ed aprile 2017: a tre anni di distanza, sono state rilevate robuste associazioni tra i comportamenti sociali avversi subiti sul posto di lavoro e il disagio mentale nella popolazione coinvolta (Sterud & Hanvold, 2021).
Un ulteriore studio longitudinale condotto in Danimarca ha seguito 6.647 persone che in precedenza non avevano subito molestie e che avevano partecipato al sondaggio Ambiente di lavoro e salute nel 2012, reintervistando una coorte nel 2014 e una seconda coorte anche nel 2016 e giungendo alla conclusione che l’esposizione a molestie sessuali sul posto di lavoro può essere un fattore che contribuisce all’eziologia dei sintomi e dei disturbi depressivi (Rugulies et al., 2020).
Un’ulteriore revisione sistematica che ha incluso 28 articoli pubblicati tra il 1990 e il 2019 per lo più condotti sul personale sanitario e nei paesi nordici, confermò l’associazione tra violenza subita nel lavoro e cattiva salute mentale, e tra violenze e assenze per malattia (Nyberg et al., 2021).
In Italia il fenomeno delle molestie sessuali è ancora ampiamente sottovalutato e indagato. In un recente articolo sullo stato dell’arte delle molestie in ambito accademico si rileva un crescente interesse da parte della ricerca criminologica che potrebbe promuovere maggiore consapevolezza sul tema (Merzagora et al., 2022).
Gli studi italiani che hanno indagato sulle conseguenze delle molestie sono per lo più concentrati in ambito accademico: diversi dati sul tema sono stati raccolti presso l’Università di Trieste. Le analisi condotte su un campione di 759 studentesse e studenti universitari intervistati nel 2014 hanno dimostrato che le vittime di molestie sessuali presentavano più frequentemente disturbi alimentari, con una correlazione ancora maggiore per il genere maschile (Romito et al., 2016). Un’altra analisi condotta su questi dati, utilizzando un campione di 349 studentesse, ha rintracciato una relazione tra molestie sessuali e disturbi mestruali, anche tenendo sotto controllo problemi ginecologici specifici (Romito et al., 2017). Con il campione di studenti e studentesse dell’Università di Trieste è stata condotta un’analisi anche della relazione tra molestie e disagio mentale, rilevando sintomi depressivi e attacchi di panico tra chi aveva subito comportamenti molesti, anche tenendo sotto controllo l’eventuale precedente esperienza di violenza sessuale (Bastiani et al. 2019). Un importante lavoro recente riporta i risultati di una ricerca qualitativa condotta dal 2015 al 2019, ancora una volta presso l’Università di Trieste, su 83 persone, per lo più studenti e studentesse che svolgevano un’attività lavorativa a tempo parziale o nei mesi estivi. Le numerose testimonianze hanno confermato e descritto conseguenze sulla salute delle molestie espresse in sintomi psicologici o che hanno coinvolto l’apparato gastrointestinale (Romito & Feresin, 2019).
In una ricerca italiana realizzata recentemente nel mondo del lavoro sono state intervistate 723 persone che lavoravano in aziende della provincia di Verona: secondo oltre un terzo di intervistate/i che avevano subito molestie, queste situazioni hanno generato in loro un deterioramento delle condizioni lavorative e disturbi di carattere psicologico, ma in alcuni casi anche un cambiamento nello stile di vita e problemi di salute (Gosetti, 2019).
Un altro recente studio italiano condotto nell’ambiente lavorativo ha mostrato, inoltre, gli esiti negativi anche delle molestie assistite: analizzando un campione di 724 dipendenti di sette organizzazioni pubbliche e private che hanno compilato un questionario, i risultati hanno messo in luce come le donne e gli uomini che erano state/i testimoni di molestie nel luogo di lavoro avevano maggiori probabilità di subire l’emotività e le conseguenze psicologiche dell’esperienza rispetto ai non testimoni. Le molestie possono dunque inquinare l’ambiente lavorativo e anche le persone che vivono in questi contesti, oltre alle vittime, possono subire indirettamente le esperienze negative, vivendone l’impatto psicologico e mostrando esaurimento, disimpegno e sentimenti negativi (Acquadro Maran et al. 2022).
Abbiamo riportato alcuni tra i risultati più significativi della letteratura sulle molestie, che risulta piuttosto vasta a livello internazionale, mentre a livello nazionale e locale è ancora molto limitata. Per concludere, la linea che adotteremo in questo lavoro si basa sulla tesi che i vari fattori emersi dagli studi sulle molestie interagiscono tra loro, rinforzandosi reciprocamente e generando un “effetto a spirale” (Pagano e Deriu, 2018): così, la nostra ipotesi è che la vulnerabilità di alcune persone le espone a un rischio più elevato di subire comportamenti molesti, ma le molestie rendono la loro condizione ancora più vulnerabile, in un circolo continuo che si autoalimenta e che ha costi importanti per la collettività nel suo insieme.
1.3. I dati sulle molestie nel mondo, in Europa, in Euregio e in Italia
Rilevare le molestie non è un’operazione semplice, in considerazione del fatto che le statistiche si basano sostanzialmente su inchieste campionarie che registrano i comportamenti avversi interrogando le persone che li subiscono, e pertanto dipendono dal grado di consapevolezza rispetto a questo tema e dal grado di tolleranza della società verso tali comportamenti. I dati variano sensibilmente anche secondo le modalità in cui è posta l’interrogazione: ad esempio, incide molto il riferimento temporale in cui è declinata la domanda (l’evento è accaduto negli ultimi 12 mesi, negli ultimi 3 anni, nel corso della vita e così via); inoltre, avremo risultati diversi secondo il numero degli item e la terminologia usata nel definire i comportamenti molesti (ha subito molestie, è stata/o oggetto di attenzioni sessuali indesiderate e così via). La prevalenza del fenomeno che può emergere e, in particolare, le comparazioni che si possono fare con i dati risultano dunque abbastanza sommarie e del tutto indicative. Tenendo conto dei limiti nei dati, cercheremo di illustrare il quadro delle molestie da un punto di vista quantitativo, utilizzando le principali e più aggiornate rilevazioni disponibili.
A livello internazionale, l’indagine condotta dall’ILO con la Fondazione Lloyd’s Register “Esperienze di violenza e molestie sul lavoro: una prima indagine globale”, ha messo in luce le difficoltà di riportare la propria esperienza di molestia, a causa di timori legati alla propria reputazione, di una scarsa fiducia nelle istituzioni, ma anche poiché spesso tali comportamenti sono considerati “normali” (ILO, 2022). La ricerca condotta su circa 75.000 lavoratrici e lavoratori in età 15+ di 121 paesi e territori coinvolti ha mostrato che, su scala mondiale, solo metà delle vittime ha rivelato a qualcuno di aver subito violenza o molestie, in gran parte solo dopo la reiterazione dei comportamenti.
Nel mondo, il 17,9% delle lavoratrici e dei lavoratori ha dichiarato di aver subito durante la propria vita lavorativa violenza e molestie psicologiche, l’8,5% violenza e molestie fisiche, il 6,3% violenza sessuale e molestie, con le donne particolarmente esposte. Oltre tre vittime su cinque sostengono di aver subito più volte violenza e molestie nel lavoro e l’episodio più recente è accaduto nel 3,5% dei casi negli ultimi cinque anni (Ibidem). Riportiamo qui di seguito i dati relativi nello specifico alle molestie e violenze sessuali, disaggregati per regione del mondo e per sesso di chi le ha subite: si noti che le donne americane testimoniano le molestie subite con maggiore frequenza rispetto alle altre aree del mondo (Fig. 1.1). La domanda posta nel questionario ILO è la seguente (traduzione dall’inglese nostra): “Lei, personalmente, ha mai subito alcun tipo di violenza sessuale e/o molestia sul lavoro, come ad esempio contatti sessuali indesiderati, commenti, immagini, e-mail o richieste sessuali durante il lavoro?” Le modalità di risposta prevedevano l’opzione “Sì, negli ultimi 5 anni” e “Sì, più di 5 anni fa o non so quando”.
Fig. 1.1. Occupate/i (15 anni+) che nel Mondo dichiarano di aver subito, durante il lavoro, violenza sessuale e/o molestie, negli ultimi 5 anni oppure prima, per Regione e sesso della vittima – % Anno 2021
Fonte: nostre elaborazioni su dati International Labour Organization (ILO) – Lloyd’s Register Foundation World Risk Poll
Per analizzare la frequenza delle molestie in Europa, consideriamo l’ultima indagine condotta da Eurofound sulle condizioni di lavoro (Eurofound 2023). Le 71.758 persone intervistate telefonicamente sono lavoratrici e lavoratori di 36 Paesi europei in età 16+ e ogni Paese coinvolto è rappresentato con un proprio campione. Da questi dati si conferma che le donne europee che subiscono molestie sul lavoro sono molte di più rispetto agli uomini. Riportiamo qui le statistiche rilevate attraverso la domanda posta nel questionario: “Nell’ultimo mese, nello svolgimento del suo lavoro, lei è stato/a oggetto di attenzioni sessuali indesiderate?” (Fig. 1.2). Il maggior numero di molestie subite dalle donne è rilevato in Danimarca (7,3%), in Finlandia (5,8%), in Svezia (5,4%), nei Paesi Bassi (5,7%). Tra gli uomini, le molestie sono testimoniate con più frequenza a Cipro (2,7%) in Estonia (1,9%) e in Grecia (1,8%).
Fig. 1.2. Lavoratrici e lavoratori (16 anni+) che in Europa dichiarano di essere state/i oggetto, nello svolgimento del proprio lavoro, di attenzioni sessuali indesiderate, nell’ultimo mese, per Paese e sesso della vittima – % Anno 2021
Fonte: nostre elaborazioni su dati European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions (Eurofound) – European Working Conditions Survey Telephone Survey 2021
Una recente ricerca condotta dall’Osservatorio della Fondazione Libellula, la Survey L.E.I. (Lavoro, Equità e Inclusione), ha messo in luce che in Italia le donne subiscono, oltre a tutti gli ostacoli nella carriera, moltissimi episodi discriminanti o importuni durante la vita lavorativa. Per raccogliere questi dati sono state coinvolte 4.300 donne dipendenti e libere professioniste in un campione di convenienza, somministrando loro un questionario anonimo proposto a tutte le aziende aderenti al Network: il 55% delle intervistate ha dichiarato di aver sperimentato Spesso (19%) o A volte (36%) una situazione di molestia, discriminazione o stereotipo nel contesto lavorativo. Il 53% delle intervistate ha affermato di essere stata oggetto, o ha sentito rivolte ad altre donne, battute sessiste e volgari sul lavoro (Fondazione Libellula, 2022).
Riportiamo, inoltre, i dati provenienti da un’indagine Istat condotta negli anni 2015-16 su un campione rappresentativo della popolazione italiana, attraverso interviste telefoniche e faccia a faccia rivolte a 50.350 persone tra i 14 e i 65 anni. Nella ricerca sono stati proposti diversi quesiti riguardo alle esperienze di molestia in generale (Istat, 2018). Con riferimento alla domanda, che nell’indagine definisce operativamente le molestie fisiche sessuali, “Nel corso della sua vita qualcuno ha cercato di toccarla, accarezzarla, baciarla, molestandola contro la sua volontà, per esempio al cinema, sull’autobus, al lavoro o a scuola, a casa, ecc.?”, i luoghi con maggiore diffusione delle molestie sessuali fisiche risultano le discoteche e i luoghi di aggregazione in generale, ma, soprattutto per le donne, anche i mezzi pubblici di trasporto, le stazioni, la strada. Il lavoro è un ambiente molto più insicuro, e lo è più ancora dei giardini pubblici o dei parcheggi, in particolare per le donne: il 9,6% delle lavoratrici che testimoniano di aver subito aggressioni sessuali nella vita affermano che si sono verificate al lavoro o negli spazi attinenti, a fronte del 5,2% dei lavoratori che ne sono stati vittime.
Rispetto all’ambito lavorativo, nella ricerca dell’Istat sono stati rilevati i ricatti sessuali subiti dalle sole donne, per essere assunte, per mantenere il posto di lavoro o per ottenere avanzamenti di carriera, con riferimento specifico alla dimensione della coercizione sessuale delle molestie. Nell’indagine pilota condotta nel luglio 2015, le stesse domande erano state poste anche agli uomini, ma data l’esiguità dei casi osservati, non sono state poi poste nell’indagine definitiva. Le persone coinvolte in questa parte dell’indagine sono dunque donne residenti in Italia in età dai 15 anni ai 65 anni, che lavorano o che hanno lavorato in passato o che cercano lavoro, interrogate con tre quesiti: “Nel corso della sua vita, per essere assunta/o al lavoro, ha avuto richieste di prestazioni o di rapporti sessuali?” In caso di risposta negativa è stato chiesto: “Nel corso della sua vita, qualcuno le ha fatto capire che se fosse stata/o disponibile sessualmente avrebbe potuto avere in cambio un lavoro, ad esempio le hanno chiesto se era fidanzata/o, se era disponibile a uscire la sera o ad andare a cena o a pranzo fuori insieme?”; inoltre, è stato chiesto: “Nel corso della sua vita, per progredire nella carriera o mantenere il suo posto di lavoro ha mai avuto richieste di prestazioni o rapporti sessuali?” Le esperienze moleste sono state indagate rispetto a due riferimenti temporali, l’intero corso della vita e gli ultimi 3 anni.
I dati Istat dimostrano che in Italia il fenomeno dei ricatti sessuali e delle molestie fisiche sessuali sul lavoro verso le donne è diffuso su tutto il territorio (Fig. 1.3). Chiedendo alle persone se l’esperienza molesta è stata subita nel corso della vita, le frequenze sono evidentemente molto più elevate e riguardano l’8,9% delle donne italiane intervistate, mentre se si circoscrive l’accaduto agli ultimi 3 anni l’incidenza è del 2,7%. La regione dove il fenomeno viene registrato in misura superiore è il Lazio (16,4%), se si considera tutto il corso della vita, mentre se si osservano gli eventi accaduti negli ultimi 3 anni la frequenza è più elevata in Provincia di Trento (5,6%).
Fig. 1.3. Donne in età da 15 a 65 anni che in Italia dichiarano di aver subito ricatti sessuali o molestie fisiche sessuali sul lavoro, nel corso della vita o negli ultimi tre anni, per Regione e Provincia di Trento – % Anni 2015-16
Fonte: nostre elaborazioni su dati Istituto nazionale di statistica (ISTAT) – Indagine Multiscopo sulle famiglie, Sicurezza dei cittadini
La stessa indagine Istat rileva anche come il fenomeno dei ricatti sessuali nel lavoro sia testimoniato in misura più elevata nelle donne tra i 45 e i 54 anni, se si considera l’intero corso della vita, mentre se confrontiamo gli episodi avvenuti negli ultimi tre anni li troviamo più frequenti nelle donne tra i 35 e i 44 anni. Le molestie nei luoghi di lavoro, in generale, sono registrate in misura maggiore tra le donne con titoli di studio più elevati: le donne con al più la licenza elementare affermano di aver subito nella vita ricatti nel lavoro nell’1,8% dei casi, mentre le donne ricattate con un diploma sono il 9,2% e sono l’11,3% le laureate molestate. I ricatti sessuali sono molto più frequenti tra le donne occupate nelle professioni qualificate nelle attività commerciali e nei servizi e tra le impiegate. Tra i motivi dichiarati dalle donne rispetto alla scelta di non denunciare l’accaduto, il principale è che il fatto non è stato considerato abbastanza grave o è successo una sola volta. Un altro motivo importante è la mancanza di fiducia nell’operato delle forze dell’ordine e, inoltre, un grande limite è rappresentato dalla paura di essere giudicata, non creduta o di essere trattata male. In gran parte, la donna ha ignorato l’episodio, spesso in silenzio e rinunciando al lavoro (Istat, 2018).
Concludiamo la rassegna dei dati secondari disponibili presentando i risultati dell’indagine condotta in collaborazione tra l’Euregio, la Camera del Lavoro del Tirolo (Arbeiterkammer Tirol), l’Istituto Promozione Lavoratori dell‘Alto Adige (IPL) e l’Agenzia del Lavoro del Trentino per la realizzazione di un’edizione specifica dell’indagine europea sulle condizioni di lavoro (European Working Conditions Survey). I dati raccolti si riferiscono a 4.500 interviste telefoniche condotte a persone occupate nell’Euregio (1.500 interviste per territorio) (EWCS Euregio, 2021). In Figura 1.4 si osserva come i risultati possano variare molto sulla base dei comportamenti esplorati, ovvero se le domande poste nel questionario si riferiscono a maltrattamenti o minacce, attenzioni sessuali indesiderate oppure a bullismo, violenza, molestie e anche secondo l’arco temporale considerato. In Trentino le molestie appaiono meno diffuse rispetto ai territori limitrofi, ma come si ricorda nel rapporto di ricerca è difficile stabilire quanto questo sia dovuto ad una frequenza realmente minore di svantaggi subiti sul posto di lavoro oppure al grado di consapevolezza e di percezione rispetto ai comportamenti prevaricatori proposti. In questa indagine, infatti, che è interessante dal punto di vista comparativo, il concetto di molestia è analizzato secondo un’accezione soggettiva.
Fig. 1.4. Lavoratrici e lavoratori che hanno subito comportamenti molesti sul posto di lavoro, nell’ultimo mese o negli ultimi 12 mesi, per Area Euregio, Italia, altri Paesi e UE – % Anno 2021
Fonte: nostre elaborazioni su dati EWCS Euregio 2021 – Euregio & Partner 2023
Appare allora quanto mai urgente, con le più opportune attività di ricerca, formazione, prevenzione e monitoraggio, sensibilizzare il più vasto pubblico di donne e di uomini promuovendo la conoscenza del problema delle molestie nei luoghi di lavoro e diffondendo i principi dell’uguaglianza di genere e del rispetto delle persone, soprattutto le più vulnerabili, in tutti i contesti lavorativi. La ricerca che abbiamo sviluppato e che descriveremo nelle prossime pagine muove da questo importante obiettivo e dalla verifica rispetto alla scarsità di dati raccolti sul territorio, in grado di delineare in modo più approfondito, con strumenti oggettivi, che cosa sono le molestie e come si declinano nei luoghi di lavoro.
La metodologia utilizzata nella ricerca di CGIL Trentino
Questa ricerca aveva dunque l’obiettivo di tracciare e far emergere un fenomeno sommerso come quello delle molestie nei luoghi di lavoro sul territorio, con il fine di costruire consapevolezza rispetto al problema, alle dimensioni e alle sue implicazioni, e definire strategie di intervento e contrasto al fenomeno. Si è teso, in particolare, con un’indagine ad hoc, mettere in luce il fenomeno delle molestie nei luoghi di lavoro, spesso difficili da riconoscere, identificare e denunciare, con strumenti più oggettivi (con riferimento agli item proposti che esemplificano in modo concreto i comportamenti molesti) rispetto a quelli soggettivi solitamente usati nelle rilevazioni, esplorando anche le diverse ripercussioni in termini di benessere personale e professionale, e individuando gli spazi di azione possibili. La ricerca si è proposta di partire dal livello micro, attraverso la rilevazione del fenomeno all’interno degli spazi lavorativi territoriali selezionati; di intervenire sul livello meso attraverso la definizione di strumenti di prevenzione e contrasto all’interno delle organizzazioni; di incidere sul livello macro tramite il coinvolgimento degli stakeholders e la realizzazione di una campagna di sensibilizzazione sul territorio. Per questa ragione è stato utilizzato un approccio mixed-metods, che si è cioè avvalso di diverse tecniche di ricerca, sia quantitative che qualitative.
L’indagine quali-quantitativa si è focalizzata sulle esperienze professionali di lavoratrici e lavoratori iscritte/i alla CGIL Trentino. La proposta di lavoro concordata con CGIL Trentino, si è basata su tre fasi di lavoro:
Fase 1 – Disegno della ricerca e predisposizione strumenti
Analisi della letteratura, selezione del campione, individuazione testimoni privilegiati, progettazione questionario e tracce di intervista, definizione del protocollo di ricerca sottoposto e approvato dal Comitato Etico di Ateneo
Fase 2 – Rilevazione e analisi dati
Somministrazione questionario, realizzazione interviste e focus group, analisi dati questionario e interviste
Fase 3 – Divulgazione risultati
Stesura report finale e campagna di comunicazione.
 Indagine quantitativa
La prima parte della rilevazione di dati primari è stata realizzata attraverso un questionario rivolto alla popolazione delle lavoratrici e dei lavoratori iscritte/i alla CGIL del Trentino. Il Comitato Etico per la Ricerca dell’Università di Trento ha approvato il protocollo dello studio quantitativo. Il questionario è stato costruito dopo un’attenta analisi degli strumenti di rilevazione utilizzati nella letteratura statunitense (the Sexual Experiences Questionnaire – SEQ) e nei recenti studi italiani. Il questionario è stato distribuito in forma digitale, su piattaforma Limesurvey, inviando il link via SMS e e-mail, alle/gli iscritte/i CGIL Trentino di tutte le categorie e si è articolato in quattro aree tematiche: ambiente di lavoro, percezione delle molestie, relazione con la salute, azioni e strumenti di contrasto. Per poter analizzare tali ambiti, il questionario è stato strutturato in 7 sezioni: 1. Consenso; 2. Dati socio-anagrafici; 3. Condizione lavorativa; 4. Benessere; 5. Molestie; 6. Molestia più sgradita; 7. Interventi. La rilevazione è stata aperta dal 20 aprile 2023 al 31 maggio 2023. Si riepilogano i risultati della survey in Tabella 1.
Tab. 1. Risultati della ricerca quantitativa
Iscritte/i a CGIL Trentino alla data della rilevazione 33.673
Persone contattabili via posta elettronica che hanno ricevuto il link tramite E-mail
(1 primo invio + due solleciti a tutte) 14.524
Persone contattabili via cellulare che hanno ricevuto il link tramite SMS
(1 primo invio + solleciti mirati alle categorie sottorappresentate:
2 solleciti a FILLEA, 1 sollecito a FLAI e FILCAMS) 4.618
Totale persone contattate 19.142
Persone che hanno aperto il questionario 4.395
Totale questionari compilati e utilizzabili (N VALIDI)* 3.025
Tasso di risposta (questionari compilati e utilizzabili su persone contattate) 15,8%
Totale intervistate/i attualmente iscritte/i a CGIL Trentino 2.887
% intervistate/i attualmente iscritte/i sulle/i iscritte/i totali 8,6%
*In alcune analisi di confronto tra i generi abbiamo escluso le 6 persone partecipanti non cisgender perché il numero era troppo esiguo per condurre analisi specifiche.
 Indagine qualitativa
La seconda parte della ricerca è stata realizzata attraverso la raccolta di narrazioni di testimoni privilegiati. Le interviste (7) sono state progettate per approfondire i seguenti temi: spazio lavorativo e consapevolezza sul fenomeno delle molestie, esperienza personale/professionale rispetto al fenomeno, possibili prospettive di prevenzione/azione.
A partire dal monitoraggio realizzato, sarà possibile definire strategie di intervento sul territorio, quali: percorsi di sensibilizzazione e formazione nei luoghi di lavoro, in particolare coinvolgendo il management; azioni di contrasto all’interno delle organizzazioni; campagne di sensibilizzazione; diffusione di informazioni puntuali sulle figure istituzionali a cui rivolgersi per riportare i casi di molestie/violenza (es: la/il Consigliera/e provinciale di parità).
Capitolo 2. I risultati della ricerca quantitativa
2.1. Il campione
Il campione delle persone intervistate, costituito dai casi validi, è composto per la grande maggioranza da donne e per poco più di un terzo da uomini. 6 persone hanno dichiarato di non identificarsi con il genere binario (Fig. 2.1).
Fig. 2.1. Genere
N%
Donna1.98165,5
Uomo1.03834,3
Persona non binaria, queer, gender fluid, altro60,2
TOTALE3.025100
Le persone che hanno risposto sono tutte maggiorenni: un terzo sono più giovani e hanno un’età fino ai 44 anni, un’altra persona su tre ha tra i 45 e i 54 anni, un altro terzo ha oltre 55 anni (Fig. 2.2).
Fig. 2.2. Età
N%
65 anni o più1454,8
55-64 anni85328,2
45-54 anni1.04434,5
35-44 anni67122,2
30-34 anni2056,8
25-29 anni852,8
18-24 anni220,7
TOTALE3.025100
L’incidenza delle persone straniere tra quelle intervistate è pari all’8,2% (Fig. 2.3) e risulta analoga a quella che si rileva nella popolazione trentina nel 2022 (dati Ispat): proviene da altri Paesi d’Europa la maggior parte delle persone immigrate, mentre percentuali minori sono nate in Su-America, Africa, Asia, Oceania. Un ulteriore 1,3% del campione non risponde alla domanda. Alcune/i di loro sono cittadine/i italiane/i, mentre una quota minore (il 3,1% del campione) è priva della cittadinanza italiana (Fig. 2.4).
Fig. 2.3. Paese di nascita
N%
Italia2.73890,5
Europa (Altri Paesi)1695,6
Sud America341,1
Africa280,9
Asia130,4
Oceania30,1
Nord America20,1
Non risponde381,3
TOTALE3.025100
Fig. 2.4. Cittadinanza
N%
Italiana289995,8
Straniera943,1
Non risponde321,1
TOTALE3.025100
Circa una persona intervistata su cinque afferma di non avere attualmente relazioni sentimentali (single, sperata, divorziata, vedova), mentre il 76,9% è sposata, in unione civile, convivente o in una relazione (Fig. 2.5).
Fig. 2.5. Relazione sentimentale
N%
Single40213,3
In una relazione o convivente70623,3
Sposata/o o in unione civile 1.62153,6
Separata/o o divorziata/o2397,9
Vedova/o511,7
Non risponde60,2
TOTALE3.025100
Il livello di istruzione del campione intervistato è in linea con quello della popolazione trentina: circa un terzo ha un titolo di studio basso, un’altra persona su tre è diplomata, un altro terzo circa ha un titolo elevato e ha una laurea o un titolo superiore (Fig. 2.6).
Fig. 2.6. Livello di istruzione
N%
Titolo post-laurea2337,7
Laurea o diploma universitario89229,5
Diploma di maturità 1.01733,6
Qualifica professionale51417,0
Fino a licenza media o avviamento professionale36512,1
Non risponde40,1
TOTALE3.025100
Tra le persone intervistate figurano alcune/i iscritte/i al sindacato CGIL Trentino in passato (4,6%), mentre la quasi totalità risulta attualmente iscritta (Fig. 2.7).
Fig. 2.7. Iscrizione a CGIL Trentino
N%
Attualmente2.88795,4
In passato1384,6
TOTALE3.025100
Una buona parte del campione è/era iscritta alla categoria sindacale Funzione Pubblica (28,6%), il 13,1% è/era invece iscritta alla Federazione lavoratori della Conoscenza, il 9,7% a quella del Commercio, albergo, mensa e servizi; il 9,5% rientra nella Metallurgia, il 6,1% del comparto agricolo o agroalimentare, il 4% della Federazione dell’Assicurazione e del Credito, il 2,7% appartiene a quella dei trasporti, il 2,5% alla Federazione del settore Chimica, Tessile, Energia, Manifatture; una piccola quota è/era iscritta al sindacato del Legno, Edilizia ed affini (1,7%), a quello della Comunicazione (1,7%) e alle Nuove Identità di Lavoro (0,4%). Rispetto alle persone iscritte a CGIL del Trentino, nonostante i solleciti inviati, rimangono sottorappresentate le categorie FILLEA, in modo particolare, FLAI e FILCAMS, lievemente, mentre la categoria FP risulta ampiamente sovra-rappresentata. Va segnalato che una persona intervistata su cinque non sembra in grado di riconoscere la propria sigla sindacale (Fig. 2.8).
Fig. 2.8. Categoria di iscrizione a CGIL Trentino
N%
Funzione Pubblica (FP)86628,6
Federazione Lavoratori della Conoscenza (FLC) 39713,1
Federazione italiana lavoratori Commercio, albergo, mensa e servizi (FILCAMS)2939,7
Federazione Impiegati Operai Metallurgici (FIOM)2869,5
Federazione lavoratori Agricoli e i lavoratori dell’industria di trasformazione alimentare (FLAI)1866,1
Federazione Italiana Sindacale Lavoratori Assicurazioni e Credito (FISAC)1204,0
Federazione Italiana Lavoratori Trasporti (FILT)812,7
Federazione italiana lavoratori della Chimica, del Tessile, dell’Energia, delle Manifatture (FILCTEM)752,5
Federazione Italiana dei Lavoratori del Legno, dell’Edilizia, delle industrie Affini ed estrattive (FILLEA)511,7
Sindacato Lavoratori della Comunicazione (SLC)501,7
Nuove Identità di Lavoro (NIDIL)120,4
Non sa60820,1
TOTALE3.025100
In ragione delle caratteristiche del campione di iscritte/i al sindacato, la quasi totalità delle persone intervistate risulta attualmente occupata, a tempo pieno per il 65,7% dei casi, a tempo parziale per il 25,6%. Il restante 8,7% non ha un lavoro, da meno di un anno per il 2,7%, da oltre un anno per il 6% (Fig. 2.9).
Fig. 2.9. Condizione occupazionale
N%
Occupata/o a tempo pieno 1.98665,7
Occupata/o a tempo parziale77525,6
Non occupata/o da 12 mesi o meno832,7
Non occupata/o da più di 12 mesi1816,0
TOTALE3.025100
Per le analisi che seguono e che riguardano la professione, si considererà l’intero campione, facendo riferimento, nel caso dei non occupati, all’ultimo lavoro svolto. Le persone intervistate sono o sono state per la quasi totalità occupate in posizioni di lavoro dipendente: per il 79,8% si tratta di un contratto a tempo indeterminato, per il 18,2% invece è a tempo determinato e in minima parte si fa riferimento ad altri tipi di contratto; qualcuno non risponde (0,4%) (Fig. 2.10).
Fig. 2.10. Tipo di contratto di lavoro
N%
Autonomo (con partita IVA) 80,3
A tempo indeterminato come dipendente2.41479,8
A tempo determinato come dipendente 55218,2
Di collaborazione o prestazione occasionale110,4
Socio/a di cooperativa o coadiuvante nell’azienda di un/a familiare10,0
Non risponde120,4
TOTALE3.025100
Dal punto di vista del livello professionale, nel campione ci sono circa il 5% di dirigenti e quadri, un quinto di insegnanti, un terzo di persone impiegate, commesse/i o in posizioni professionali affini, un altro terzo di figure manuali, più o meno specializzate (Fig. 2.11).
L’81,5% delle persone intervistate (più alto rispetto ad occupate/i sul territorio) risulta inserito nel settore terziario, il 12,6% (più basso che in provincia) proviene dal settore secondario, mentre nel settore primario si colloca il 5,1% del campione; non risponde lo 0,8% dei casi (Fig. 2.12). Nei servizi, una quota importante lavora o lavorava nell’istruzione, nella pubblica amministrazione e nella sanità.
Fig. 2.11. Livello professionale
N%
Autonoma/o (con partita IVA) 80,3
Dirigente260,9
Quadro1173,9
Insegnante65721,7
Impiegata/o o commessa/o1.00433,2
Lavoratrice o lavoratore manuale specializzata/o54117,9
Lavoratrice o lavoratore manuale non specializzata/o36912,2
Agricoltrice o agricoltore291,0
TOTALE3.025100
Fig. 2.12. Settore economico
N%
Agricoltura, caccia, pesca1555,1
Estrazione, energia260,9
Industria e attività manifatturiere32710,8
Costruzioni270,9
Commercio all’ingrosso e al dettaglio923,0
Alberghi e ristoranti772,5
Trasporti, magazzinaggio903,0
Servizi di informazione e comunicazione722,4
Attività finanziarie e assicurative1274,2
Attività immobiliari, noleggio, informatica70,2
Pubblica amministrazione54318,0
Difesa20,1
Istruzione e ricerca60520,0
Sanità e assistenza sociale o agli anziani42314,0
Attività artistiche, sportive, di intrattenimento e divertimento220,7
Altri servizi40513,4
Non risponde250,8
TOTALE3.025100
La natura del settore di occupazione è pubblica per circa la metà del campione, privata per il 42,2%, mentre il 5,7% lavora/va nel privato sociale (Fig. 2.13).
Fig. 2.13. Settore lavorativo (natura)
N%
Pubblico1.54751,1
Privato1.27842,2
Privato sociale1725,7
Non risponde280,9
TOTALE3.025100
La gran parte del campione è costituita da occupati di lunga data nell’organizzazione attuale. Una quota consistente di intervistate/i fa riferimento ad un lavoro che svolge/va in un’organizzazione da oltre vent’anni (37,5%), mentre soltanto il 7,8% lavora o lavorava nello stesso contesto da meno di un anno. Non risponde lo 0,4% dei casi (Fig. 2.14).
Fig. 2.14. Anzianità di servizio
N%
Da meno di 6 mesi 1103,6
Da 6 mesi a un anno1264,2
Da oltre un anno e fino a 3 anni2909,6
Da oltre 3 anni e fino a 10 anni61220,2
Da oltre 10 anni e fino a 20 anni74324,6
Da oltre 20 anni1.13337,5
Non risponde110,4
TOTALE3.025100
La maggior parte delle persone intervistate lavora o lavorava in organizzazioni di grandi o medie dimensioni (Fig. 2.15): il 40,2% fa riferimento ad un ambiente costituito da 200 dipendenti, il 32,1% è o era in un’azienda tra i 50 e i 200 dipendenti, il 26% lavora/va in una piccola organizzazione (sotto i 50 dipendenti). L’1,8% non risponde alla domanda.
Fig. 2.15. Dipendenti azienda/organizzazione
N%
Fino a 5993,3
Da 6 a 151996,6
Da 16 a 5048716,1
Da 51 a 20097032,1
Oltre 2001.21640,2
Non risponde541,8
TOTALE3.025100
Conseguentemente, la frequenza delle relazioni quotidiane è abbastanza sostenuta: pochissimi sono coloro che lavorano da soli (0,6%), mentre la grande maggioranza interagisce ogni giorno con un numero tra le 2 e le 15 persone e oltre un terzo dei casi ha a che fare giornalmente con molte più persone. Non risponde lo 0,7% dei casi (Fig. 2.16).
Fig. 2.16. Numerosità relazioni di lavoro giornaliere
N%
Solo io e nessun altro180,6
Da 2 a 5 persone52717,4
Da 6 a 15 persone1.28542,5
Da 16 a 50 persone78626,0
Oltre 50 persone38912,9
Non risponde200,7
TOTALE3.025100
Metà del campione è, oppure era occupata, in un ambiente in cui le donne sono in maggioranza, mentre l’altra metà si divide equamente tra un ambiente maschile e un contesto più equilibrato dal punto di vista della composizione di genere delle/i dipendenti: lo 0,4% dei casi non risponde (Fig. 2.17).
Fig. 2.17. Ambiente di lavoro
N%
A predominanza femminile1.50349,7
A predominanza maschile74224,5
Equilibrato per genere76725,4
Non risponde130,4
TOTALE3.025100
Fig. 2.18. Appartenenza a categorie protette ai sensi della Legge n.68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili)
N%
No2.77291,6
Sì1705,6
Ho una disabilità (visibile/invisibile) che non rientra nelle categorie protette della Legge n.68/99702,3
Non risponde130,4
TOTALE3.025100
Tra le persone intervistate, ci sono lavoratrici e lavoratori con disabilità (7,9%), alcuni dei quali, in ragione di tali disabilità, appartengono a categorie protette dalla legge per il diritto al lavoro (5,6%); alla domanda non risponde lo 0,4% dei casi (Fig. 2.18).
Nei prossimi paragrafi riporteremo i risultati ottenuti dalle analisi delle risposte relative alle altre sezioni del questionario, seguendo uno schema che parte dall’ambiente lavorativo, mostrando quindi le molestie e le persone più a rischio di subirle, per poi riportare le conseguenze di questi vissuti sulle persone molestate e chiudere il capitolo con le strategie messe in atto o gli interventi possibili.
2.2. Ambienti di lavoro tossici
Entrando nel vivo dei contenuti del questionario, riportiamo in questa sezione i dati relativi alla diffusione dei comportamenti molesti negli ambienti di lavoro. Nella prima tabella (Tab. 2.1) si osserva la frequenza degli episodi di mobbing subiti nelle ultime settimane di lavoro dalle persone intervistate: utilizzeremo, in tutto il capitolo, i due termini lavoratrici e lavoratori per indicare sia le persone occupate sia le persone che al momento dell’intervista non risultavano occupate ma si sono riferite, nelle risposte, all’ultima azienda o organizzazione in cui hanno lavorato. Le 6 proposizioni proposte e le analisi condotte restituiscono un quadro positivo per la maggioranza delle persone intervistate, che non riporta episodi recenti di mobbing; un’altra parte di lavoratrici e lavoratori afferma di aver subito sporadicamente questo tipo di comportamenti, mentre una piccola quota fa riferimento invece a frequenti forme di vessazione. Tra queste forme di sopruso, c’è chi testimonia di aver subito il fatto di vedersi nascoste informazioni importanti per il proprio lavoro (quella più diffusa e che riguarda, in misura continuativa, il 7,1%), oppure chiacchiere offensive nei propri riguardi (7%), l’esclusione o l’emarginazione (6,1%), critiche professionali pesanti (4,4%), aggressioni verbali (3,2%) oppure scherzi spiacevoli (la forma meno diffusa e che tocca, in modo frequente, l’1,2% delle persone intervistate).
Tab. 2.1. Nelle ultime settimane di lavoro, con quale frequenza ha/aveva subito i seguenti comportamenti? (%; N=3.025)
MaiRaramenteQualche voltaSpesson.r.Totale
Le sono state nascoste informazioni che influenzano la sua prestazione lavorativa 46,8 21,5 23,2 7,1 1,4 100
Sono state diffuse chiacchiere offensive nei suoi riguardi 54,3 18,0 16,7 7,0 4,0 100
È stata/o ignorata/o, esclusa/o o emarginata/o 55,3 20,8 16,6 6,1 1,2 100
Hanno criticato pesantemente il suo lavoro ed il suo impegno 59,5 19,0 16,0 4,4 1,1 100
Hanno alzato la voce nei suoi confronti o è stata/o bersaglio di attacchi istintivi di rabbia 62,1 19,2 14,6 3,2 0,9 100
Le sono stati fatti scherzi spiacevoli 83,8 8,2 5,1 1,2 1,7 100
Presentiamo ora i dati raccolti relativi alle molestie, prendendo inizialmente come riferimento temporale l’intera vita lavorativa. In Tabella 2.2 indichiamo i fenomeni all’interno delle sotto-dimensioni individuate in letteratura, come indicato nel primo capitolo: se il linguaggio sessista è ampiamente utilizzato, le molestie di genere e le attenzioni sessuali indesiderate sono comunque abbastanza diffuse, mentre le forme di molestia coercitive o ricattatorie e la vera e propria violenza sessuale sono fortunatamente meno frequenti negli ambienti di lavoro indagati.
Tab. 2.2. Nel corso della sua intera vita lavorativa, con quale frequenza le è capitato di subire… (%; N=3.025)
MaiUna o due voltePiù spesson.r.Totale
Linguaggio sessista
Racconti o barzellette sessiste e sgradite o commenti offensivi sulle donne o sugli uomini 39,3 30,5 25,6 4,6 100
Molestie di genere
Esibizione di foto, immagini o regali dal contenuto esplicitamente sessuale che l’hanno messa a disagio 79,3 12,8 3,2 4,7 100
Telefonate o messaggi sgraditi, individuali o di gruppo, con riferimenti sessuali impliciti o espliciti 83,2 9,7 2,6 4,5 100
Commenti ripetuti sull’aspetto fisico o sull’abbigliamento che l’hanno fatta sentire a disagio 63,7 22,8 8,9 4,6 100
Gesti o posture provocatorie a sfondo sessuale o esibizione di parti intime per lei sgraditi 85,8 8,0 1,6 4,6 100
Attenzioni sessuali indesiderate
Sguardi inopportuni e maliziosi o rivolti insistentemente a parti del corpo 71,3 18,0 5,9 4,8 100
Proposte di incontro inopportune o inviti insistenti anche se più volte rifiutati in passato 79,7 12,9 2,7 4,7 100
Vicinanza fisica invadente e fastidiosa 70,4 20,2 4,6 4,8 100
Contatti fisici che creano disagio, palpeggiamenti o baci senza consenso 84,8 9,3 1,3 4,6 100
Coercizione sessuale
Richieste, anche implicite, di favori sessuali in cambio dell’assunzione al lavoro 93,4 1,8 0,1 4,7 100
Proposte, anche implicite, di trattamenti migliori o ricompense nel lavoro in cambio di favori sessuali 92,7 2,4 0,3 4,7 100
Minacce, anche implicite, di trattamenti peggiori o ritorsioni nel lavoro per il rifiuto di favori sessuali 93,5 1,5 0,3 4,7 100
Licenziamento o peggioramento delle condizioni di lavoro per il rifiuto di favori sessuali 94,2 1,0 0,1 4,7 100
Violenza sessuale
Atti o rapporti sessuali contro la sua volontà 93,5 0,9 0,2 5,4 100
La grande maggioranza delle persone intervistate afferma di aver subito almeno una volta, ma molte di loro anche più spesso, racconti o barzellette di natura sessista. Un’altra forma di molestia piuttosto diffusa è quella del commento sull’aspetto fisico o l’abbigliamento, subìto ripetutamente con disagio da circa una persona su tre nella carriera lavorativa. Un quarto delle/i lavoratrici/tori subisce almeno in un’occasione vicinanza fisica invadente e fastidiosa e sguardi inopportuni o insistenti. Meno frequenti ma presenti sono i comportamenti molesti come l’esibizione di immagini o oggetti sessuali (il 16% lo ha subito almeno una volta o più spesso), le proposte di incontro inopportune o insistenti (15,6%), le telefonate o i messaggi dal contenuto sessuale (12,3%), i contatti fisici come palpeggiamenti o baci senza consenso (10,6%), gesti o esibizioni a sfondo sessuale (9,6%).
Le forme coercitive riguardano una minoranza del campione e sono esercitate per lo più in modo subdolo o implicito, sotto forma di proposte di trattamenti migliorativi o ricompense in cambio di favori sessuali (2,8%), minacce di ritorsione in caso di rifiuto (1,8%), richieste sessuali in fase di assunzione (1,9%). 35 persone (29 donne, 5 uomini e 1 persona non binaria), pari all’1,1% del campione, sostengono di avere subito almeno una volta il licenziamento o il peggioramento delle proprie condizioni lavorative per aver rifiutato favori sessuali. Ancora l’1,1% dei casi, costituito da 32 persone (22 donne e 10 uomini), dichiara di aver subito atti o rapporti sessuali contro la propria volontà: di queste 18 donne e 5 uomini hanno subito violenza sessuale nell’ambiente di lavoro da parte di un uomo.
Se restringiamo il riferimento temporale all’ultimo anno (Tab. 2.3), naturalmente la probabilità di incorrere in tutti gli episodi considerati diminuisce, ma risulta evidente che i comportamenti molesti non riguardano soltanto il passato, ma coinvolgono moltissime persone che vivono con disagio la propria quotidianità lavorativa.
Tab. 2.3. Questo episodio, o questi episodi, sono accaduti in questi ultimi 12 mesi? (%; N=3.025)
MaiPiù di 12 mesi faNegli ultimi 12 mesin.r.Totale
Linguaggio sessista
Racconti o barzellette sessiste e sgradite o commenti offensivi sulle donne o sugli uomini 39,3 34,7 18,7 7,3 100
Molestie di genere
Esibizione di foto, immagini o regali dal contenuto esplicitamente sessuale che l’hanno messa a disagio 79,3 11,4 3,9 5,4 100
Telefonate o messaggi sgraditi, individuali o di gruppo, con riferimenti sessuali impliciti o espliciti 83,2 8,3 3,4 5,1 100
Commenti ripetuti sull’aspetto fisico o sull’abbigliamento che l’hanno fatta sentire a disagio 63,7 19,0 11,7 5,6 100
Gesti o posture provocatorie a sfondo sessuale o esibizione di parti intime per lei sgraditi 85,8 7,2 2,1 4,9 100
Attenzioni sessuali indesiderate
Sguardi inopportuni e maliziosi o rivolti insistentemente a parti del corpo 71,3 16,3 6,8 5,6 100
Proposte di incontro inopportune o inviti insistenti anche se più volte rifiutati in passato 79,7 11,8 3,3 5,2 100
Vicinanza fisica invadente e fastidiosa 70,4 17,5 6,3 5,8 100
Contatti fisici che creano disagio, palpeggiamenti o baci senza consenso 84,8 7,8 2,4 5,0 100
Coercizione sessuale
Richieste, anche implicite, di favori sessuali in cambio dell’assunzione al lavoro 93,4 1,4 0,4 4,8 100
Proposte, anche implicite, di trattamenti migliori o ricompense nel lavoro in cambio di favori sessuali 92,7 2,1 0,5 4,7 100
Minacce, anche implicite, di trattamenti peggiori o ritorsioni nel lavoro per il rifiuto di favori sessuali 93,5 1,2 0,6 4,7 100
Licenziamento o peggioramento delle condizioni di lavoro per il rifiuto di favori sessuali 94,2 0,9 0,2 4,7 100
Violenza sessuale
Atti o rapporti sessuali contro la sua volontà 93,5 0,7 0,3 5,5 100
Nella Tabella 2.4 è possibile osservare, infine, quante volte è accaduto alle persone intervistate di trovarsi testimoni di molestie subite da altre persone nel proprio ambiente lavorativo. Dopo aver proposto, come nelle tabelle precedenti, gli episodi molesti nelle diverse forme concrete che possono assumere, questa domanda, per le/i rispondenti, giunge alla fine del questionario, e riassume nella parola “molestie” tutti i comportamenti esplorati: tre persone su quattro affermano di non essere a conoscenza di comportamenti di questo tipo subiti da altre/i, il 16% invece testimonia la presenza di molestie nell’ambiente lavorativo, mentre l’8,6% preferisce non rispondere alla domanda.
Tab. 2.4 Nel suo luogo di lavoro attuale o nel suo ultimo lavoro, è/era venuta a conoscenza di molestie subite da altre/i?, per genere (%; N. Altro genere=6)
DonneUominiTotale
Possibili più risposte
Sì, ne sono/ero stata/o testimone 2,1 1,9 2,0
Sì, mi è/era stato riferito dalla persona molestata 5,6 3,7 4,9
Sì, mi è/era stato riferito da una persona nell’azienda o organizzazione 3,4 4,0 3,6
Sì, l’ho/avevo saputo da altre persone o altre fonti 6,5 8,1 7,0
Risposta esclusiva
No, non ne sono/ero venuta/o a conoscenza 75,8 74,8 75,4
Sì, ne è/era venuta/o a conoscenza (in almeno una delle 4 modalità) 15,5 16,7 16,0
Non risponde 8,7 8,5 8,6
Totale 100 100 100
N 1.981 1.038 3.025
Le fonti di informazione rispetto alla diffusione delle molestie nel proprio luogo di lavoro, possono essere varie e sovrapposte tra loro: più frequente è il canale indiretto esterno (7%), mentre alcune/i lavoratrici/tori vengono a conoscenza dei fenomeni in azienda (3,6%) oppure dalla persona molestata (4,9%) e il 2% ne risulta testimone diretta/o. Non si notano differenze significative tra donne e uomini nel testimoniare le molestie nel lavoro, se non nella forma in cui si apprendono le informazioni, che appare più confidenziale per le lavoratrici.
2.3. Persone a rischio
In questa sezione cercheremo di capire se le persone che vengono molestate nell’ambiente di lavoro presentano caratteristiche particolari. In letteratura è emerso che le lavoratrici e i lavoratori socialmente più vulnerabili sono individuate/i come “prede” con maggiore probabilità dalle persone molestanti.
L’analisi parte dalle differenze tra donne e uomini, distinguendo la diffusione dei comportamenti molesti secondo l’appartenenza di genere delle vittime. A causa dell’esiguità dei casi, non è stato possibile riportare dati specifici relativi alle 6 persone che non si sono posizionate come donne o come uomini. Le risposte di queste persone, tuttavia, se analizzate qualitativamente, presentano un profilo vulnerabile nel lavoro. Si tratta di profili professionali variegati, occupati in settori e ambienti di lavoro dalle caratteristiche diversificate. 3 di loro appaiono abbastanza soddisfatte/i delle proprie condizioni di lavoro, 3 invece si dichiarano poco o per nulla soddisfatte/i. 5 di loro hanno subito mobbing e tutte e 6 queste persone hanno subito molestie di vario genere, tutte nell’ultimo anno e 3 di loro anche in precedenza: 2 casi fanno riferimento a 1 o 2 episodi, mentre 4 di loro riportano di aver subito più eventi diversificati. 3 di loro individuano un episodio vissuto con disagio e nel quale il molestante è uomo: tutte e tre queste persone testimoniano di aver riportato conseguenze nella propria salute, nei rapporti sociali o nello stile di vita, e una di loro anche nel lavoro, trovandosi costretta a chiedere il trasferimento.
Osserviamo ora, con i numeri a disposizione, le differenze tra donne e uomini nell’esposizione alle molestie. Iniziando dal fenomeno del mobbing, gli episodi vessatori proposti appaiono diffusi in misura molto simile tra lavoratrici e lavoratori: le critiche pesanti in riferimento al lavoro e all’impegno, nelle ultime settimane, sono state vissute però prevalentemente da donne, mentre nelle altre forme di mobbing non si rilevano differenze molto significative tra donne e uomini (Tab. 2.5).
Tab. 2.5. Nelle ultime settimane di lavoro, con quale frequenza ha/aveva subito i seguenti comportamenti?, per genere (% Risposte Qualche volta o Spesso; N. Altro genere=6)
DonneUominiTotale
Le sono state nascoste informazioni che influenzano la sua prestazione lavorativa 30,0 30,8 30,3
Sono state diffuse chiacchiere offensive nei suoi riguardi 22,9 25,3 23,7
È stata/o ignorata/o, esclusa/o o emarginata/o 5,8 7,2 6,3
Hanno criticato pesantemente il suo lavoro ed il suo impegno 24,8 18,5 22,7
Hanno alzato la voce nei suoi confronti o è stata/o bersaglio di attacchi istintivi di rabbia 20,7 19,9 20,4
Le sono stati fatti scherzi spiacevoli 18,7 15,9 17,8
N 1.981 1.038 3.025
Tutte le forme di molestia proposte (Tab. 2.6), invece, sono state rivolte in misura di gran lunga più frequente alle donne, piuttosto che agli uomini. La battuta sessista – che come ricordiamo nella formulazione utilizzata prevede offese che riguardano entrambi i generi e non necessariamente quello di appartenenza -, è percepita almeno una volta nella carriera lavorativa dalla grande maggioranza delle lavoratrici: tuttavia, anche i lavoratori possono essere sensibili al linguaggio sessista, anche se non necessariamente coinvolge il proprio genere. Le donne, però, si trovano a subire nel lavoro, in misura nettamente superiore rispetto agli uomini, molestie di genere dirette alla propria persona e attenzioni sessuali indesiderate come commenti, sguardi, vicinanza e palpeggiamenti. Anche i ricatti e la violenza sessuale, sebbene incidano molto meno rispetto agli altri comportamenti, sono più diffusi tra le lavoratrici che tra i lavoratori.
Tab. 2.6. Nel corso della sua intera vita lavorativa, con quale frequenza le è capitato di subire…, per genere (% Risposte Una o due volte o Più spesso; N. Altro genere=6)
DonneUominiTotale
Linguaggio sessista
Racconti o barzellette sessiste e sgradite o commenti offensivi sulle donne o sugli uomini 59,3 49,7 56,1
Molestie di genere
Esibizione di foto, immagini o regali dal contenuto esplicitamente sessuale che l’hanno messa a disagio 16,3 15,5 16,0
Telefonate o messaggi sgraditi, individuali o di gruppo, con riferimenti sessuali impliciti o espliciti 14,1 8,7 12,3
Commenti ripetuti sull’aspetto fisico o sull’abbigliamento che l’hanno fatta sentire a disagio 37,8 20,0 31,7
Gesti o posture provocatorie a sfondo sessuale o esibizione di parti intime per lei sgraditi 11,4 6,1 9,6
Attenzioni sessuali indesiderate
Sguardi inopportuni e maliziosi o rivolti insistentemente a parti del corpo 32,3 7,8 23,9
Proposte di incontro inopportune o inviti insistenti anche se più volte rifiutati in passato 21,4 4,7 15,6
Vicinanza fisica invadente e fastidiosa 31,3 12,5 24,8
Contatti fisici che creano disagio, palpeggiamenti o baci senza consenso 14,4 3,0 10,6
Coercizione sessuale
Richieste, anche implicite, di favori sessuali in cambio dell’assunzione al lavoro 2,6 0,6 1,9
Proposte, anche implicite, di trattamenti migliori o ricompense nel lavoro in cambio di favori sessuali 3,6 1,0 2,7
Minacce, anche implicite, di trattamenti peggiori o ritorsioni nel lavoro per il rifiuto di favori sessuali 2,2 1,1 1,8
Licenziamento o peggioramento delle condizioni di lavoro per il rifiuto di favori sessuali 1,5 0,5 1,1
Violenza sessuale
Atti o rapporti sessuali contro la sua volontà 1,2 1,0 1,1
N 1.981 1.038 3.025
La selezione degli episodi di molestia accaduti nell’ultimo anno non modifica la sostanza della questione (Tab. 2.7). Le battute sessiste che riguardano entrambi i generi sono diffuse in moltissimi ambienti di lavoro e possono percepirle molte donne (il 17,6% negli ultimi 12 mesi), ma spesso anche gli uomini (uno su cinque negli ultimi 12 mesi). Riguardo agli altri comportamenti molesti, nonostante le differenze siano più esigue anche per la frequenza generalmente più ridotta delle molestie recenti, le donne sono molto più frequentemente degli uomini oggetto di molestie dirette alla propria persona, come commenti e sguardi fastidiosi, proposte e contatti sgraditi, ricatti sessuali nelle situazioni lavorative.
Tab. 2.7. Questo episodio, o questi episodi, sono accaduti in questi ultimi 12 mesi?, per genere (% Risposte Sì, nell’attuale/ultimo lavoro o in un precedente lavoro; N. Altro genere=6)
DonneUominiTotale
Linguaggio sessista
Racconti o barzellette sessiste e sgradite o commenti offensivi sulle donne o sugli uomini 17,6 20,7 18,7
Molestie di genere
Esibizione di foto, immagini o regali dal contenuto esplicitamente sessuale che l’hanno messa a disagio 3,6 4,6 3,9
Telefonate o messaggi sgraditi, individuali o di gruppo, con riferimenti sessuali impliciti o espliciti 3,2 3,6 3,4
Commenti ripetuti sull’aspetto fisico o sull’abbigliamento che l’hanno fatta sentire a disagio 13,1 8,5 11,6
Gesti o posture provocatorie a sfondo sessuale o esibizione di parti intime per lei sgraditi 2,0 2,3 2,1
Attenzioni sessuali indesiderate
Sguardi inopportuni e maliziosi o rivolti insistentemente a parti del corpo 9,0 2,8 6,8
Proposte di incontro inopportune o inviti insistenti anche se più volte rifiutati in passato 4,4 1,0 3,3
Vicinanza fisica invadente e fastidiosa 7,3 4,1 6,3
Contatti fisici che creano disagio, palpeggiamenti o baci senza consenso 3,0 1,2 2,4
Coercizione sessuale
Richieste, anche implicite, di favori sessuali in cambio dell’assunzione al lavoro 0,5 0,2 0,4
Proposte, anche implicite, di trattamenti migliori o ricompense nel lavoro in cambio di favori sessuali 0,5 0,3 0,4
Minacce, anche implicite, di trattamenti peggiori o ritorsioni nel lavoro per il rifiuto di favori sessuali 0,6 0,6 0,6
Licenziamento o peggioramento delle condizioni di lavoro per il rifiuto di favori sessuali 0,3 0,1 0,2
Violenza sessuale
Atti o rapporti sessuali contro la sua volontà 0,4 0,4 0,4
N 1.981 1.038 3.025
Per riassumere la relazione tra genere e molestie, sono state costruite alcune misure sintetiche: identifichiamo con la variabile Molestie di genere chi ha subito almeno una volta e almeno uno dei 4 comportamenti relativi agli item b, c, d, e, con la variabile Attenzioni sessuali indesiderate chi ha subito almeno una volta e almeno uno dei 4 comportamenti relativi agli item f, g, h, i e con la variabile  Coercizione sessuale chi ha subito almeno una volta uno dei 4 comportamenti relativi agli item j, k, l, m. Consideriamo entrambi i riferimenti temporali, il corso della vita e gli ultimi 12 mesi. In Figura 2.19 risulta evidente come per ciascuna delle dimensioni considerate e in particolare se si considerano le attenzioni sessuali indesiderate, le donne sono molto più esposte alle molestie degli uomini che lavorano.
Fig. 2.19. Lavoratrici e lavoratori molestate secondo le tre dimensioni principali, nel corso della vita e negli ultimi 12 mesi, per genere (%; ND=1.981; NU=1.038; NT=3.025)
Nel corso della vita: gdl 1 =  Pearson Chi-Square = 46,6309***; 214,5762***; 22,1768***
Negli ultimi 12 mesi: gdl 1 =  Pearson Chi-Square = 4,2179**; 38,4786***; 0,4965*
***significativo per α=0,01; **significativo per α=0,05; *significativo per α=0,10
Osserviamo ora la diffusione degli episodi di mobbing secondo il Paese di origine delle persone molestate (Tab. 2.8). Tutti i comportamenti vessatori considerati sono decisamente vissuti più frequentemente da lavoratrici e lavoratori straniere/i, se le/i confrontiamo con le/i italiane/i: nel lavoro, esclusione ed emarginazione in particolare sono quasi quattro volte più probabili per chi proviene da un Paese straniero.
Tab. 2.8. Nelle ultime settimane di lavoro, con quale frequenza ha/aveva subito i seguenti comportamenti?, per Paese di nascita (% Risposte Qualche volta o Spesso)
ItaliaAltri PaesiTotale
Le sono state nascoste informazioni che influenzano la sua prestazione lavorativa 30,2 32,4 30,3
Sono state diffuse chiacchiere offensive nei suoi riguardi 22,8 34,4 23,7
È stata/o ignorata/o, esclusa/o o emarginata/o 5,2 18,8 6,3
Hanno criticato pesantemente il suo lavoro ed il suo impegno 22,2 28,5 22,7
Hanno alzato la voce nei suoi confronti o è stata/o bersaglio di attacchi istintivi di rabbia 19,8 26,6 20,4
Le sono stati fatti scherzi spiacevoli 16,7 29,7 17,8
N 2.738 256 3.025
Tab. 2.9. Nel corso della sua intera vita lavorativa, con quale frequenza le è capitato di subire…, per Paese di nascita (% Risposte Una o due volte o Più spesso)
ItaliaAltri PaesiTotale
Linguaggio sessista
Racconti o barzellette sessiste e sgradite o commenti offensivi sulle donne o sugli uomini 57,1 46,9 56,1
Molestie di genere
Esibizione di foto, immagini o regali dal contenuto esplicitamente sessuale che l’hanno messa a disagio 16,4 12,1 16,0
Telefonate o messaggi sgraditi, individuali o di gruppo, con riferimenti sessuali impliciti o espliciti 12,8 8,2 12,3
Commenti ripetuti sull’aspetto fisico o sull’abbigliamento che l’hanno fatta sentire a disagio 32,3 26,6 31,7
Gesti o posture provocatorie a sfondo sessuale o esibizione di parti intime per lei sgraditi 10,0 6,6 9,6
Attenzioni sessuali indesiderate
Sguardi inopportuni e maliziosi o rivolti insistentemente a parti del corpo 24,3 19,5 23,9
Proposte di incontro inopportune o inviti insistenti anche se più volte rifiutati in passato 15,8 14,5 15,6
Vicinanza fisica invadente e fastidiosa 25,3 19,9 24,8
Contatti fisici che creano disagio, palpeggiamenti o baci senza consenso 10,6 10,2 10,6
Coercizione sessuale
Richieste, anche implicite, di favori sessuali in cambio dell’assunzione al lavoro 1,9 2,7 1,9
Proposte, anche implicite, di trattamenti migliori o ricompense nel lavoro in cambio di favori sessuali 2,6 3,1 2,7
Minacce, anche implicite, di trattamenti peggiori o ritorsioni nel lavoro per il rifiuto di favori sessuali 1,6 3,5 1,8
Licenziamento o peggioramento delle condizioni di lavoro per il rifiuto di favori sessuali 1,1 * 1,1
Violenza sessuale
Atti o rapporti sessuali contro la sua volontà 1,0 * 1,1
N 2.738 256 3.025
*Numerosità inferiore a 5 casi
In Tabella 2.9 riportiamo anche le molestie subite secondo il Paese di nascita. Se osserviamo i casi riportati di molestie di genere e di attenzioni sessuali indesiderate, si tratta di fenomeni che coinvolgono in misura maggiore le persone italiane; quando invece le molestie assumono la forma della coercizione appaiono più frequenti per lavoratrici e lavoratori straniere/i. Se si analizzano queste differenze legate alla provenienza etnica separatamente per il campione femminile e quello maschile i risultati non cambiano (dati qui non mostrati).
Prenderemo ora in considerazione altre caratteristiche socio-culturali delle vittime di molestie, ovvero l’età, il livello di istruzione, la cittadinanza e la situazione dal punto di vista delle relazioni sentimentali.
Fig. 2.20. Persone molestate negli ultimi 12 mesi, per età, cittadinanza, livello di istruzione, relazione sentimentale (%; N1=22;85;205;671;1.044;853;145; N2=365;514;1.017;892;233; N3=2.899;94; N4=402;706;1.621;239;51; N Totale=3.025)
Per ridurre la distorsione temporale nell’analisi di questi fattori (acquisiti nel tempo) in relazione alle molestie, non consideriamo i comportamenti subiti lungo l’arco dell’intera vita lavorativa, ma ci concentriamo sull’ultimo anno. È stata allora costruita una variabile che distingue le persone che hanno subito molestie negli ultimi 12 mesi, da tutte le altre: le prime, sono costituite da coloro che hanno risposto Sì, nel mio attuale/ultimo posto di lavoro oppure Sì, in un precedente posto di lavoro ad almeno uno dei 14 item relativi alle esperienze di molestia, con riferimento alla domanda Questo episodio, o questi episodi, sono accaduti in questi ultimi 12 mesi? Le altre persone sono quelle che hanno subito in passato oppure non dichiarano di aver avuto esperienze di molestie. Per le analisi delle varie categorie sociali utilizziamo soltanto la frequenza delle molestie subite negli ultimi 12 mesi e che riguardano il 27,1% del campione (Fig. 2.20). Osservando i dati per età, rileviamo come i comportamenti molesti vengono rivolti prevalentemente a persone giovani e tendono a diminuire all’aumentare dell’età della vittima. La probabilità di subire molestie aumenta inoltre al crescere del titolo di studio ed è più elevata in assenza di una relazione sentimentale, ovvero tra le persone single e quelle separate o divorziate. Non ci sono differenze significative invece nel rischio di subire molestie tra chi ha acquisito o meno la cittadinanza italiana.
Ora passeremo ad analizzare le condizioni di lavoro e le caratteristiche degli ambienti lavorativi, per verificare se ci sono contesti nei quali le molestie si diffondono con maggiore frequenza. È stata per questo costruita una variabile che individua le persone che hanno subito molestie negli ultimi 12 mesi nel proprio ambiente lavorativo, e che sono costituite da coloro che hanno risposto Sì, nel mio attuale/ultimo posto di lavoro ad almeno uno dei 14 item precedentemente selezionati relativi alle esperienze di molestia, con riferimento alla domanda Questo episodio, o questi episodi, sono accaduti in questi ultimi 12 mesi? Le altre persone sono quelle che hanno risposto Sì, in un precedente posto di lavoro oppure No, è accaduto più di 12 mesi fa (Molestata prima o in un altro contesto) e l’ultima categoria è formata da chi non ha mai avuto esperienze di molestie (Non molestata). Utilizzeremo nelle prossime pagine lo strumento completo, mentre per le analisi dei contesti lavorativi riporteremo soltanto la frequenza delle molestie subite negli ultimi 12 mesi nel proprio ambiente lavorativo, che riguardano il 19,2% del campione.
Analizziamo innanzitutto le condizioni di lavoro dal punto di vista individuale (Fig. 2.21). Per alcune categorie professionali la numerosità è troppo esigua per poter procedere con le elaborazioni e non sono state dunque riportate. Confrontando le posizioni dal punto di vista contrattuale, le persone con un contratto a tempo indeterminato sembrano più soggette a molestie di chi ha un lavoro a tempo determinato, così come appare più predisposto chi ha un’elevata anzianità di servizio. Figure intermedie come impiegate/i e commesse/i sono spesso bersaglio dei comportamenti molesti, ma anche in posizione elevata (e per lo più tra i quadri, poiché i/le dirigenti sono in numero molto esiguo) si possono osservare frequenti episodi, mentre quella dell’insegnante sembra una professione più al riparo dalle molestie. Le categorie protette dalla Legge n.68/99, inoltre, appaiono meglio difese rispetto a chi ha disabilità non riconosciute.
Fig. 2.21. Persone molestate negli ultimi 12 mesi nel proprio lavoro, per tipo di contratto, livello professionale, appartenenza alle categorie protette, anzianità di servizio (%; N1=1.986;775;2.414;552; N2=143;657;1.004;541;369; N3=2.772;170;70; N4=110;126;290;612;743;1.133; N Totale=3.025)
Prendiamo ora in considerazione alcune caratteristiche dei luoghi di lavoro, come la categoria sindacale, la natura del settore e l’ambito economico, le dimensioni aziendali e le caratteristiche di genere dell’ambiente, e osserviamo la frequenza delle molestie negli ultimi 12 mesi nel proprio contesto professionale (Fig. 2.22). In generale, possiamo concludere che le molestie sono capillarmente diffuse in tutti gli ambienti di lavoro, con picchi più elevati nei contesti di dimensione maggiore e negli ambiti caratterizzati da una predominanza maschile, come ad esempio il settore industriale; nei servizi, appaiono luoghi più ostili il mondo dell’arte, dello sport, dell’intrattenimento, l’informazione, la comunicazione, i trasporti. Inoltre, avere quotidianamente a che fare con molte persone per motivi di lavoro incrementa in misura importante le probabilità di incorrere in qualcuna/o che adotta atteggiamenti molesti, che sono pari al 27% per chi entra in contatto con più di 50 persone e del 18,2% per chi si relaziona con 2-5 persone (dati non mostrati).
Fig. 2.22. Persone molestate negli ultimi 12 mesi nel proprio lavoro, per categoria sindacale, natura del settore lavorativo, settore economico, ampiezza aziendale, predominanza di genere nell’ambiente di lavoro (%; N1=81;50;286;75;866;120;186;397;293;51;608; N2=1.278;172;1.547; N3=22;72;90;327;127;543;92;53;423;77;165;605;414; N4=99;199;487;970;1.216; N5=1.503;742;767; N Totale=3.025)
*nel settore Altri Servizi qui sono inclusi attività immobiliari, noleggio, informatica e difesa
Per approfondire le dinamiche dei comportamenti molesti, abbiamo chiesto alle persone intervistate di focalizzare l’attenzione sulla molestia vissuta, nel corso della propria carriera lavorativa, con maggiore disagio (Fig. 2.23). Specifichiamo che questa parte del campione è costituita da 901 lavoratrici e 272 lavoratori: la gran parte di loro si riferisce a battute sessiste (29,2%), soprattutto nel caso degli uomini, commenti fastidiosi (21,5%), vicinanza fisica invadente (17,4%) e palpeggiamenti (8,4%), qui soprattutto nel caso delle donne, ma tutti i comportamenti proposti sono menzionati come episodi che possono essere vissuti con disagio.
Fig. 2.23. Dei seguenti comportamenti che ha subito nel corso della sua intera vita lavorativa, quale l’ha fatta sentire più a disagio? (%; N=1.176)
Osserviamo innanzitutto l’insistenza con la quale la molestia è praticata e subita (Tab. 2.10): in un caso su quattro, si tratta di una molestia occasionale, ma in gran parte il comportamento sgradito è replicato in più occasioni, ovvero alcune volte nel 63,3% dei casi e molte volte per circa uno su dieci. Le donne sembrano infastidite da comportamenti reiterati un po’ più spesso, anche se le differenze di genere nella frequenza delle molestie in questo caso non sono molto significative.
Tab. 2.10. Sempre in riferimento al comportamento che l’ha fatta sentire più a disagio: con quale frequenza è accaduto?, per genere (%; Possibili più risposte; N. Altro genere=3)
DonneUominiTotale
Una volta 25,8 26,1 25,8
Alcune volte 63,7 62,1 63,3
Molte volte 9,8 9,2 9,7
Non risponde 0,7 2,6 1,2
Totale 100 100 100
N 901 272 1.176
Distinguiamo in Tabella 2.11 anche il genere della persona o delle persone che hanno agito la molestia. Come possiamo osservare, le persone molestanti sono nella grande maggioranza dei casi costituite da uomini, soprattutto se rivolgono i comportamenti molesti verso lavoratrici (88,1%), ma si tratta per lo più di uomini anche se li rivolgono a lavoratori (77,2%).
Tab. 2.11. Le chiediamo ora di fare riferimento al comportamento che l’ha fatta sentire più a disagio: di che sesso era/erano la/e persona/e che l’ha/hanno messo in atto?, per genere (%; Possibili più risposte; N. Altro genere=3)
DonneUominiTotale
Donna molestante 19,0 26,8 20,8
Uomo molestante 88,1 77,2 85,6
Non so 0,9 3,3 1,6
N 901 272 1.176
Mettiamo ora in luce anche il ruolo della persona che molesta, in relazione alla posizione lavorativa della vittima (Tab. 2.12). La maggioranza dei casi, riportando un comportamento molesto che ha comportato disagio, si riferisce a qualche collega di pari livello, ma un terzo dei rispondenti indica invece come molestante una/a suo/a superiore o la/il titolare d’impresa. Un altro 22,3%, complessivamente, fa riferimento a una molestia agita da altre persone con le quali è entrato in contatto per motivi di lavoro, come clienti, fornitori/trici, utenti, pazienti, collaboratori o collaboratrici esterni/e. Soltanto in minima parte la molestia proviene da chi si trova in posizione subordinata (4,2%). Sono soprattutto le lavoratrici a subire molestie da una persona di livello superiore (tra le donne sono una su tre, invece tra i lavoratori sono uno su quattro), mentre gli uomini subiscono più spesso molestie da colleghi/e in posizione professionale simile.
Tab. 2.12. Sempre in riferimento al comportamento che l’ha fatta sentire più a disagio: che ruolo aveva/avevano la/e persona/e che l’ha/hanno messo in atto?, per genere (%; Possibili più risposte; N. Altro genere=3)
DonneUominiTotale
Un/a suo/a superiore o il/la titolare dell’impresa 33,4 26,8 31,9
Un/una collega di lavoro di pari livello 55,9 71,0 59,5
Un/a suo/a subordinato/a 3,4 6,6 4,2
Un/a fornitore/trice o un/a cliente 6,1 3,3 5,4
Un/a utente o un/a paziente 12,5 4,4 10,6
Un/a collaboratore/ collaboratrice esterno/a 5,9 7,4 6,3
N 901 272 1.176
2.4. Molestie e malessere
Dopo aver delineato le forme e la consistenza del problema e aver cercato di individuare i fattori che predispongono al fenomeno delle molestie, presentiamo qui un’analisi delle possibili implicazioni per le vittime che subiscono questi comportamenti nel contesto lavorativo. Prenderemo in considerazione per prima cosa il benessere lavorativo. Nella Tab. 2.13 osserviamo il grado di soddisfazione delle persone intervistate rispetto alle proprie condizioni di lavoro: una quota pari al 15% del campione si ritiene molto soddisfatta (più uomini che donne), la grande maggioranza è meno entusiasta ma comunque soddisfatta, mentre quasi un/a lavoratore/trice su quattro non è soddisfatta/o delle proprie condizioni di lavoro.
Tab. 2.13. Complessivamente, quanto è/era soddisfatta/o delle sue condizioni di lavoro?, per genere (%; N. Altro genere=6)
DonneUominiTotale
Molto soddisfatta/o 13,9 17,0 14,9
Abbastanza soddisfatta/o 61,9 57,7 60,5
Poco soddisfatta/o 19,3 19,1 19,3
Per nulla soddisfatta/o 4,5 5,6 4,9
Non risponde 0,4 0,8 0,5
Totale 100 100 100
N 1.981 1.038 3.025
Per indagare la relazione tra vissuti molesti e soddisfazione lavorativa, abbiamo innanzitutto creato due gruppi di persone intervistate: una parte di campione Molto o Abbastanza soddisfatta (75,7%) e l’altra parte, che mostreremo nei grafici, Poco o Per nulla soddisfatta (24,3%) delle proprie condizioni di lavoro. Chi non ha risposto è stata/o esclusa/o dall’analisi. Utilizziamo inoltre due variabili relative alle molestie, a due e a tre categorie. Il punto di partenza è una variabile costruita assegnando valore 0 alle risposte Mai e assegnando valore 1 alle risposte Una o due volte o Più spesso ai 14 item relativi alle esperienze di molestie, con riferimento alla domanda Nel corso della sua intera vita lavorativa, con quale frequenza le è capitato di subire… Alle mancate risposte è stato attribuito il valore 0, ma i casi che non hanno risposto a tutti i 14 item sono stati considerati missing e dunque esclusi dall’analisi. La categoria “Molestata” è quella di chi ha avuto almeno una esperienza di molestia, la categoria “Non molestata” è quella di chi non ha sperimentato alcuna esperienza. La variabile a tre categorie distinguerà, in analisi successive, con il gruppo “Molestata alcune volte”, chi ha avuto una o due esperienze di molestia e, nel gruppo “Molestata più spesso”, chi ha sperimentato almeno 3 esperienze di molestia. I casi mancanti e dunque esclusi dalle analisi riguardano coloro che non hanno risposto a nessuna domanda sul tema. In Figura 2.24, iniziamo a rilevare che le persone che hanno subito molestie appaiono più insoddisfatte del lavoro rispetto a coloro che non hanno mai subito comportamenti molesti. Per capire meglio queste differenze utilizziamo strumenti più specifici. Le molestie possono infatti avere un diverso significato secondo la temporalità con cui si verificano: è presumibile che i vissuti negativi più recenti comportino maggiori criticità in relazione al benessere rilevato in un dato momento, rispetto alle esperienze più lontane nel tempo. Dal punto di vista professionale, inoltre, è importante capire se sono state subite nel contesto specifico di riferimento. È stata dunque utilizzata in Figura 2.25 la variabile che individua le persone che hanno subito molestie negli ultimi 12 mesi nel proprio ambiente lavorativo, escludendo i casi mancanti. L’insoddisfazione per le condizioni di lavoro è contenuta per chi non ha mai subito questi comportamenti mentre è più elevata tra chi ha subito molestie, anche se in precedenza o in un altro contesto, ma soprattutto il disagio è molto più evidente per chi ha riportato molestie più recentemente nel contesto di lavoro al quale si riferisce l’insoddisfazione, e questo vale sia per le lavoratrici che per i lavoratori.
Fig. 2.24. Insoddisfazione lavorativa rilevata tra le persone molestate e non molestate, per genere (% Poco o per nulla soddisfatta; ND=1.904; NU=974; NT=2.884)
gdl = 1 Pearson Chi-Square = 12,9524***; 19,1765***; 30,5969***
***significativo per α=0,01
Fig. 2.25. Insoddisfazione lavorativa rilevata tra le persone molestate negli ultimi 12 mesi nel proprio lavoro, in altro contesto oppure no, per genere (% Poco o per nulla soddisfatta; ND=1.844; NU=939; NT=2.789)
gdl = 2 Pearson Chi-Square = 26,2632***; 27,6915***; 53,1900***
***significativo per α=0,01
Fig. 2.26. Insoddisfazione lavorativa rilevata tra le persone che hanno subito mobbing oppure no, per genere (% Poco o per nulla soddisfatta; ND=1.966; NU=1.023; NT=2.995)
gdl = 1 Pearson Chi-Square = 336,6350***; 169,2272 ***; 507,5957 ***
***significativo per α=0,01
Fig. 2.27. Insoddisfazione lavorativa rilevata tra le persone che hanno subito mobbing spesso, alcune volte oppure no, per genere (% Poco o per nulla soddisfatta; ND=1.966; NU=1.023; NT=2.995)
gdl = 2 Pearson Chi-Square = 440,2562***; 223,4015***; 666,8157***
***significativo per α=0,01
Anche le esperienze di mobbing possono incidere sul benessere lavorativo. Abbiamo analizzato la relazione tra questo tipo di esperienze e il livello di soddisfazione lavorativa nel campione, costruendo ulteriori misure sintetiche. Le variabili relative al mobbing sono state costruite assegnando valore 0 alle risposte Mai o Raramente e valore 1 alle risposte Qualche volta o Spesso ai 6 item relativi alle esperienze di mobbing (con riferimento alla domanda Nelle ultime settimane di lavoro, con quale frequenza ha/aveva subito i seguenti comportamenti?). Alle mancate risposte è stato attribuito il valore 0, ma i casi che non hanno risposto a tutti i 6 item sono stati considerati missing e dunque esclusi dall’analisi. Nella variabile a due categorie, il gruppo “Mai o quasi mai subito mobbing” è costituito da chi ha ottenuto sempre 0, il gruppo “Subito mobbing” da chi ha ottenuto almeno 1; nella variabile a tre categorie, oltre al gruppo 0, il gruppo “Subito mobbing alcune volte” ha avuto una o due esperienze di mobbing, mentre il gruppo “Subito mobbing più spesso” riferisce tre esperienze e oltre. Nel primo grafico (Fig. 2.26), osserviamo le percentuali di insoddisfazione per chi ha subito mobbing e chi invece non ne ha subito, sempre per genere e in totale. I test (chi quadrato e V di Cramer) confermano che le differenze tra i due gruppi sono significative, con una predisposizione più forte all’insoddisfazione per chi vive mobbing nel lavoro, per le donne e anche per gli uomini. Nel secondo grafico (Fig. 2.27), il confronto tra tre gruppi di persone, secondo le esperienze di mobbing subite (mai o quasi mai, una o due, tre e oltre) evidenzia come all’intensificarsi degli episodi di mobbing l’insoddisfazione rispetto all’ambiente di lavoro esplode, per donne e uomini.
Prenderemo ora in considerazione le possibili ripercussioni delle molestie sul benessere psicologico più in generale. Si presenteranno in primo luogo i dati relativi allo stato d’animo della totalità delle persone intervistate (Tab. 2.14). I 6 elementi proposti evidenziano come, nel complesso, la maggior parte delle lavoratrici e dei lavoratori nel campione esprimano una buona condizione psicologica. Tuttavia si rileva anche una quota di rispondenti che manifestano un certo disagio e che nelle settimane precedenti l’intervista hanno svolto poco volentieri le attività quotidiane (l’8,2% mai o raramente), hanno rilevato difficoltà a dormire per delle preoccupazioni (il 14,3% spesso e il 42,8% qualche volta), si sono sentite/i particolarmente sotto stress (il 25,7% spesso e il 47% qualche volta) o infelici/depresse/i (il 12,3% spesso e il 35,1% qualche volta), hanno avuto crisi di ansia/attacchi di panico (il 4,8% spesso e il 16,4% qualche volta) o disturbi del comportamento alimentare (il 5% spesso e il 14,5% qualche volta).
Tab. 2.14. Le domande che seguono fanno riferimento a come Lei si è sentita/o in queste ultime settimane, non necessariamente in relazione al lavoro (%; N=3.025)
MaiRaramenteQualche voltaSpesson.r.Totale
Ha svolto volentieri le sue attività quotidiane? 2,0 6,2 22,5 67,9 1,4 100
Ha avuto difficoltà a dormire per delle preoccupazioni? 19,8 22,1 42,8 14,3 1,0 100
Si è sentita/o particolarmente sotto stress? 7,7 18,4 47,0 25,7 1,2 100
Si è sentita/o infelice o depressa/o? 23,6 27,7 35,1 12,3 1,3 100
Ha avuto crisi di ansia o attacchi di panico? 59,6 18,1 16,4 4,8 1,1 100
Ha avuto disturbi del comportamento alimentare (periodi prolungati di digiuno, abbuffate frequenti…)? 64,2 15,3 14,5 5,0 1,0 100
I dati raccolti confermano un fenomeno piuttosto diffuso (Tab. 2.15): tra le donne si rileva un livello di malessere psicologico tendenzialmente più elevato rispetto a quanto accade tra gli uomini. Anche le lavoratrici intervistate sono più spesso insonni perché preoccupate (il 15,6% rispetto all’11,9% dei lavoratori), particolarmente sotto stress (29,3% e 18,8%), infelici o depresse (13,7% e 9,7%) e soggette ad ansia/attacchi di panico (5,7% e 3,2%) e disturbi del comportamento alimentare (5,9% e 3,3%).
Tab. 2.15. Le domande che seguono fanno riferimento a come Lei si è sentita/o in queste ultime settimane, non necessariamente in relazione al lavoro, per genere (% Risposte Spesso; N. Altro genere=6)
DonneUominiTotale
Ha svolto volentieri le sue attività quotidiane? 68,4 66,9 67,9
Ha avuto difficoltà a dormire per delle preoccupazioni? 15,6 11,9 14,3
Si è sentita/o particolarmente sotto stress? 29,3 18,8 25,7
Si è sentita/o infelice o depressa/o? 13,7 9,7 12,3
Ha avuto crisi di ansia o attacchi di panico? 5,7 3,2 4,8
Ha avuto disturbi del comportamento alimentare (periodi prolungati di digiuno, abbuffate frequenti…)? 5,9 3,3 5,0
N 1.981 1.038 3.025
Nella figura seguente (Fig. 2.28) si riportano le distribuzioni di frequenza di questi 6 aspetti che descrivono lo stato d’animo del campione, per due gruppi di persone intervistate, ovvero chi ha subito molestie e chi non ne ha mai subite. Dal primo elemento, che utilizza una polarità positiva, emerge come tra le persone non molestate si rileva un maggiore entusiasmo nello svolgimento delle proprie attività quotidiane (76,1%) rispetto a quanto esprimano le persone che hanno subito molestie (65,6%). Dal secondo elemento in poi, dove la polarità è negativa, è evidente che tra le persone molestate sono più diffuse, rispetto a chi non ha subito questi comportamenti, le difficoltà a dormire per delle preoccupazioni, così come è più frequente sentirsi sotto stress, infelice o depressa, e manifestare disturbi come ansia o panico o relativi al comportamento alimentare.
Nelle Figure 2.29 e 2.30 riportiamo alcune analisi condotte attraverso una misura più sintetica del malessere psicologico: l’indice di malessere, che varia da 0 a 6 e cresce all’aumentare del malessere, è stato costruito assegnando valore 1 alle risposte Mai o Raramente all’item 1 e alle risposte Qualche volta o Spesso agli item 2, 3, 4, 5, 6 (con riferimento al quesito Le domande che seguono fanno riferimento a come Lei si è sentita/o in queste ultime settimane, non necessariamente in relazione al lavoro): viceversa, è stato assegnato valore 0 in tutte le altre situazioni. Qui, i casi che non hanno risposto ad almeno uno dei 6 item sono stati considerati missing ed esclusi dall’analisi. Nelle due figure si fa riferimento alla popolazione (pari al 44,2% delle persone intervistate) che ha ottenuto un punteggio dell’indice elevato, ovvero da 3 a 6. Nel primo grafico (Fig. 2.29), osserviamo le percentuali di malessere (elevato) per chi ha subito molestie e chi non ne ha subite, per genere e in totale. Le differenze sono significative tra i due gruppi, con una predisposizione più forte al disagio per le persone molestate, per le donne e ancor più per gli uomini. Nel secondo grafico (Fig. 2.30), l’analisi è replicata confrontando tre gruppi di persone, secondo la quantità di esperienze diverse di molestie subite (nessuna, una o due, tre e oltre): all’aumentare del tipo di esperienze molestanti, il malessere psicologico cresce significativamente, per le donne e anche per gli uomini.
Fig. 2.28. Le domande che seguono fanno riferimento a come Lei si è sentita/o in queste ultime settimane, non necessariamente in relazione al lavoro, per esperienza di molestia della persona (molestata/non molestata) (%; N1m;nm=937;1.936; N2m;nm=945;1.938; N3m;nm=943;1.937; N4m;nm=944;1.933; N5m;nm=946; 1.936; N6m;nm=944;1.940)
Fig. 2.29. Malessere psicologico rilevato tra le persone molestate e non molestate, per genere (%; Indice di malessere su 6 item; ND=1.884; NU=968; NT=2.858)
gdl = 1 Pearson Chi-Square = 20,7358***; 34,3155***; 62,2478***
***significativo per α=0,01
Fig. 2.30. Malessere psicologico rilevato tra le persone molestate spesso, alcune volte e non molestate, per genere (%; Indice di malessere su 6 item; ND=1.884; NU=968; NT=2.858)
gdl = 2 Pearson Chi-Square = 36,0070***; 43,4736***; 95,5220***
***significativo per α=0,01
Fig. 2.31. Malessere psicologico rilevato tra le persone molestate negli ultimi 12 mesi oppure no, per genere (%; Indice di malessere su 6 item; ND=1.826; NU=935; NT=2.767)
gdl = 1 Pearson Chi-Square = 19,7634***; 37,1495***; 50,5994***
***significativo per α=0,01
Fig. 2.32. Malessere psicologico rilevato tra le persone molestate prima e anche negli ultimi 12 mesi, solo negli ultimi 12 mesi, solo prima, non molestate, per genere (%; Indice di malessere su 6 item; ND=1.826; NU=935; NT=2.767)
gdl = 3 Pearson Chi-Square = 31,9331***; 44,5931***; 82,1134***
***significativo per α=0,01
Fig. 2.33. Malessere psicologico rilevato tra le persone che hanno subito mobbing oppure no, per genere (%; Indice di malessere su 6 item; ND=1.943; NU=1.015; NT=2.964)
gdl = 1 Pearson Chi-Square = 239,0901***; 147,8609***; 383,2477***
***significativo per α=0,01
Fig. 2.34. Malessere psicologico rilevato tra le persone che hanno subito mobbing spesso, alcune volte oppure no, per genere (%; Indice di malessere su 6 item; ND=1.943; NU=1.015; NT=2.964)
gdl = 2 Pearson Chi-Square = 303,5944***; 216,6644***; 510,7626***
***significativo per α=0,01
Le molestie, anche in questo caso, possono tuttavia avere un diverso significato secondo la temporalità con cui si verificano e i vissuti più recenti possono essere più visibili nello stato d’animo rispetto alle esperienze precedenti. Per approfondire il tema utilizziamo la variabile che distingue chi ha subito molestie negli ultimi 12 mesi, da tutte le altre persone. Le differenze tra i due gruppi, ovvero tra chi ha subito molestie negli ultimi 12 mesi e gli/le altri/e, sono significative e il malessere psicologico è più elevato tra chi ha avuto esperienze recenti di molestie, per le donne e per gli uomini (Fig. 2.31). È tuttavia importante distinguere ulteriormente tra i gruppi (Fig. 2.32): il malessere manifestato, per lavoratrici e per lavoratori, è infatti contenuto per chi non ha mai subito questi comportamenti mentre è più elevato tra chi ha subito molestie, anche se in passato (chi ha risposto No, è accaduto più di 12 mesi fa); il disagio cresce inoltre ulteriormente per chi ha avuto esperienze recenti ma è ancora più evidente per chi ha riportato molestie ripetute più volte nel tempo (ad alcuni item ha risposto Sì, nel mio attuale/ultimo posto di lavoro o Sì, in un precedente posto di lavoro, mentre ad altri ha risposto No, è accaduto più di 12 mesi fa).
Anche le esperienze di mobbing possono legarsi allo stato d’animo delle persone che lavorano. Nel primo grafico osserviamo le percentuali di malessere (elevato) per chi ha subito mobbing e chi non ne ha subito, sempre per genere e in totale (Fig. 2.33). I test (chi quadrato e V di Cramer) confermano che le differenze tra i due gruppi sono significative, con una predisposizione più forte al disagio per chi ha vissuto mobbing nel lavoro, per le donne e anche per gli uomini. Nel secondo grafico è stata riprodotta l’analisi confrontando tre gruppi di persone, secondo le esperienze di mobbing subite (mai o quasi mai, una o due, tre e oltre): all’aumentare degli episodi di mobbing, il malessere psicologico aumenta significativamente, per le lavoratrici e per i lavoratori (Fig. 2.34).
Rispetto ai livelli di malessere psicologico (α=.817) altre analisi, condotte sull’indice complessivo che assume valori compresi tra 0 e 6, confermano le differenze significative tra i gruppi di lavoratrici e lavoratori intervistate/i, secondo le esperienze di molestie subite (F=74,94; p=.000). Le persone molestate in misura più sporadica riportano livelli medi più elevati di malessere psicologico (media 2,26) rispetto a chi non ha subito tali comportamenti (1,81) e le persone molestate più frequentemente manifestano livelli di malessere ancora più elevati (2,72) (Tab. 2.16).
Tab. 2.16. Livello di malessere psicologico rilevato tra le persone molestate spesso, alcune volte e non molestate (Descrittive e ANOVA)
NMediaDSMinMax
Non molestata 933 1,81 1,567 0 6
Molestata alcune volte 962 2,26 1,645 0 6
Molestata più spesso 963 2,72 1,629 0 6
Totale 2.964 2,29 1,661 0 6
F=74,94; gdl=2; p=0,000
Le analisi condotte utilizzando l’indice complessivo del livello di malessere psicologico sono state ripetute con l’obiettivo di verificare se ci sono differenze significative tra i gruppi di intervistate/i, secondo la temporalità delle molestie subite (F=47,04; p=.000). Le lavoratrici e i lavoratori che hanno riportato molestie che si sono sommate nel tempo registrano i livelli medi più elevati di malessere psicologico (media 2,80); seguono coloro che hanno subito soltanto nell’ultimo anno (2,63) e chi solo in precedenza (2,32), mentre il malessere è ancora più basso per chi non ha mai subito molestie (1,81) (Tab. 2.17).
Tab. 2.17. Livello di malessere psicologico rilevato tra le persone molestate prima e anche negli ultimi 12 mesi, solo negli ultimi 12 mesi, solo prima, non molestate (Descrittive e ANOVA)
NMediaDSMinMax
Non molestata 933 1,81 1,567 0 6
Molestata solo prima degli ultimi 12 mesi 1.022 2,32 1,643 0 6
Molestata solo negli ultimi 12 mesi 359 2,63 1,669 0 6
Molestata prima e anche negli ultimi 12 mesi 453 2,80 1,620 0 6
Totale 2.964 2,29 1,661 0 6
F=47,04; gdl=3; p=0,000
Il livello di malessere psicologico è stato poi valutato secondo le esperienze di mobbing subite e le differenze tra i gruppi di intervistate/i risultano significative (F=432,57; p=.000). Le persone che hanno riferito alcuni episodi di mobbing registrano livelli medi più elevati di malessere psicologico (media 2,46) rispetto a chi non ha subito queste esperienze (1,65) e il livello di malessere aumenta ulteriormente tra chi ha subito mobbing più frequentemente (3,64) (Tab. 2.18).
Tab. 2.18. Livello di malessere psicologico rilevato tra le persone che hanno subito mobbing spesso, alcune volte e mai o quasi mai (Descrittive e ANOVA)
NMediaDSMinMax
Mai o quasi mai subito mobbing 1.596 1,65 1,438 0 6
Subito mobbing alcune volte 718 2,46 1,497 0 6
Subito mobbing più spesso 650 3,64 1,479 0 6
Totale 2.964 2,29 1,661 0 6
F=432,57; gdl=2; p=0,000
Naturalmente, potremmo anche rilevare come le persone più vulnerabili dal punto di vista psicologico siano anche più predisposte a subire comportamenti molesti o mobbing e il legame tra vissuto negativo e disagio emotivo potrebbe anche assumere una forma circolare. Soltanto studi longitudinali, rilevando le molestie in un certo momento e la condizione psico-fisica in un tempo successivo, possono confermare la direzione dell’associazione tra i due aspetti attribuendovi un’inferenza causale: a causa dei limiti intrinsechi nei dati cross-sectional, che rilevano le due condizioni nello stesso momento, non è possibile determinare con certezza la direzione della relazione tra molestie e malessere psicologico. Le associazioni rintracciate e confermate con più analisi statistiche, sono comunque sostanziali e robuste.
Per integrare queste considerazioni, riportiamo inoltre anche le testimonianze delle/gli intervistate/i, ovvero le percezioni rispetto all’impatto delle molestie da un punto di vista soggettivo (Tab. 2.19). Tra chi ha subito questi comportamenti con disagio, oltre la metà dichiara di aver vissuto alcune conseguenze negative nella salute psicologica in seguito ad una molestia in particolare e una persona su quattro riporta esiti abbastanza o molto importanti in termini di disturbi come ansia, depressione, abbassamento dell’umore, disturbi del sonno, irritabilità. Conseguenze di una certa rilevanza sono testimoniate da una quota di rispondenti anche nella salute fisica (16,6%), nelle relazioni sociali (15,7%), nello stile di vita (13,2%), nel lavoro (13,1%), nella sfera familiare (12,4%).
Tab. 2.19. Sempre in riferimento al comportamento che l’ha fatta sentire più a disagio: quello che le è accaduto ha avuto per lei conseguenze negative nei seguenti ambiti? (%; N=1.176)
Per nulla Poco Abbastanza Molto n.r.Totale
Nel lavoro (diminuzione del rendimento, assenze, peggioramento delle condizioni, isolamento, licenziamento…) 63,3 21,6 9,9 3,2 2,0 100
Nella salute fisica (gastriti, coliti, psoriasi, disturbi del comportamento alimentare, altri disturbi psicosomatici…) 60,2 21,3 11,1 5,4 2,0 100
Nella salute psicologica (ansia, depressione, abbassamento dell’umore, disturbi del sonno, irritabilità…) 45,7 27,8 17,2 7,2 2,1 100
Nei rapporti familiari (tensioni, silenzi, litigi, separazioni…) 66,8 18,4 10,1 2,3 2,4 100
Nelle relazioni sociali (deterioramento dei rapporti con colleghe/i, con amiche/i, con il/la partner…) 54,4 27,6 12,1 3,7 2,2 100
Nello stile di vita (cambiamento delle abitudini in senso peggiorativo, uscire di meno, cattiva alimentazione, fumare…) 65,2 19,3 9,9 3,3 2,3 100
I comportamenti molesti, nelle percezioni soggettive, sembrano avere un impatto molto simile per le donne e per gli uomini che li subiscono (Tab. 2.20). Nella sfera psicologica, tuttavia, appaiono più colpite le donne (il 55,5% ha avuto almeno qualche conseguenza negativa e complessivamente una su quattro riferisce un impatto importante) rispetto agli uomini (il 50,0% ha avuto almeno qualche conseguenza e uno su cinque un esito abbastanza o molto negativo).
Tab. 2.20. Sempre in riferimento al comportamento che l’ha fatta sentire più a disagio: quello che le è accaduto ha avuto per lei conseguenze negative nei seguenti ambiti? (% risposte Per nulla e % risposte Abbastanza o Molto)
Per nullaAbbastanza/ Molto
DonneUominiDonneUomini
Nel lavoro (diminuzione del rendimento, assenze, peggioramento delle condizioni, isolamento, licenziamento…) 62,4 66,5 13,3 12,1
Nella salute fisica (gastriti, coliti, psoriasi, disturbi del comportamento alimentare, altri disturbi psicosomatici…) 58,7 65,8 16,9 15,1
Nella salute psicologica (ansia, depressione, abbassamento dell’umore, disturbi del sonno, irritabilità…) 44,5 50,0 25,3 21,0
Nei rapporti familiari (tensioni, silenzi, litigi, separazioni…) 67,7 64,3 12,4 11,8
Nelle relazioni sociali (deterioramento dei rapporti con colleghe/i, con amiche/i, con il/la partner…) 55,5 51,5 15,8 15,1
Nello stile di vita (cambiamento delle abitudini in senso peggiorativo, uscire di meno, cattiva alimentazione, fumare…) 66,0 63,2 12,7 14,3
N 901 272 901 272
2.5. Strategie anti-molestie
Se il fenomeno delle molestie, nelle sue diverse forme e sfaccettature riguarda un numero consistente di persone ogni giorno occupate nelle loro mansioni e si lega strettamente ad un malessere generale, lavorativo e psicologico, risultano più che mai necessarie le iniziative per contrastarlo. Inizieremo la riflessione su questo tema con l’aiuto delle risposte di lavoratrici e lavoratori intervistate/i, a partire dalle vittime di tali comportamenti. Che cosa fare dopo la molestia? Si tratta certamente di una domanda di difficile risposta, lo è certamente per chi si trova ad affrontare queste situazioni, ma lo è ancor più per chi si trova a doverlo fare nel contesto professionale: in gioco ci sono vari fattori e soprattutto il rischio di subire ritorsioni nel proprio lavoro.
Tab. 2.21. Sempre in riferimento al comportamento che l’ha fatta sentire più a disagio: ha parlato con qualcuno dell’accaduto?, per genere (%; N. Altro genere=3)
DonneUominiTotale
Possibili più risposte
Un/a collega di lavoro 39,4 39,0 39,3
Il/la responsabile del personale 6,9 3,7 6,1
Il/la titolare dell’impresa o la direzione 4,4 1,8 3,8
Il Sindacato 2,7 4,8 3,1
La/il Consigliera/e di parità o la/il Consigliera/e di fiducia 1,0 0,4 0,9
Un Centro antiviolenza 0,3 0,0 0,3
Le autorità (polizia, carabiniere/i, avvocata/o, magistrata/o) 1,3 0,7 1,2
Un/a familiare o il/la partner o un/a parente o un/a amico/a 28,5 17,6 26,0
Un/a medico/a o infermiere/a o una/uno psicologa/o 2,8 3,3 3,0
Un/a religioso/a 0,3 0,4 0,3
Risposta esclusiva
Non ho parlato con nessuno 32,1 43,4 34,6
N 901 272 1.176
Nel campione, una persona su tre tra coloro che hanno subito un comportamento che ha creato disagio, non ne ha parlato con nessuno (Tab. 2.21): sono soprattutto gli uomini a non far emergere il problema (43,4%). Le persone alle quali ci si rivolge primariamente dopo una molestia sono le/i colleghe/i di lavoro (39,3%) oppure quelle più intime, come familiari, partner, parenti, amici (26%). Soltanto in pochi casi ci si rivolge in azienda ai/lle propri/e superiori, come la/il responsabile del personale (6,1%) o la direzione (3,8%) e ancora meno frequente è il ricorso al Sindacato (3,1%) o al/la Consigliera di parità o di Fiducia (0,9%). In qualche caso si preferisce rivolgersi a figure professionali in ambito sanitario (3%) e in misura residuale alle autorità (1,2%), a figure religiose (0,3%), o al CAV (0,3%). Le lavoratrici hanno una predisposizione un po’ più elevata a chiedere supporto, coinvolgendo soprattutto gli ambiti più ristretti come quello familiare e lavorativo, mentre i lavoratori si rivolgono con maggiore frequenza all’esterno e al Sindacato.
Tab. 2.22. Sempre in riferimento al comportamento che l’ha fatta sentire più a disagio: dopo l’accaduto…, per genere (%; N. Altro genere=3)
DonneUominiTotale
Risposta esclusiva
non ho fatto nulla 44,4 53,3 46,4
Possibili più risposte
ho risolto esprimendo il mio disagio alla persona responsabile dell’accaduto 34,5 35,7 34,8
mi sono assentata dal lavoro (ad esempio usando malattia, ferie o aspettativa) 2,8 2,2 2,6
mi sono dimessa/o; non ho accettato il lavoro 4,3 0,4 3,4
ho chiesto un trasferimento e l’ho ottenuto 2,1 0,7 1,9
ho chiesto un intervento in azienda o organizzazione ma non è stato fatto nulla 3,6 3,7 3,6
la persona responsabile dell’accaduto è stata richiamata a una condotta appropriata 4,9 1,8 4,2
è stata rimossa la persona responsabile dell’accaduto 1,6 0,7 1,4
ho sporto denuncia 0,6 0,4 0,5
Altro (strategie di evitamento) 2,3 0,7 2,0
Altro 2,2 0,0 1,7
N 901 272 1.176
Quali sono le reazioni in conseguenza delle molestie (Tab. 2.22)? Quasi la metà delle persone intervistate, riferendosi ad un episodio che ha creato disagio, afferma di non aver reagito in nessun modo, anche in questo caso soprattutto nel caso degli uomini (53,3%), oppure al più ha utilizzato strategie di evitamento del/la molestante. Tra coloro che hanno in qualche modo agito, le reazioni non sono tuttavia sempre positive: un terzo di chi ha vissuto una molestia con disagio quanto meno affronta chi la agisce, altre/i chiedono supporto in azienda, con successo (il 4,2% ottiene un richiamo e l’1,4% la rimozione del/la molestante) oppure senza esito (3,6%), ma c’è anche chi, soprattutto tra le donne, riporta, dopo la molestia, esiti negativi dal punto di vista professionale, rinunciando al lavoro (3,4%), o perdendo giornate lavorative (2,6%) oppure dovendo chiedere il trasferimento (1,9%). Meno dell’1% dei casi decide di denunciare le molestie.
Analizziamo ora le risposte di tutto il campione intervistato su alcune leve a disposizione per prevenire e contrastare le molestie nei luoghi di lavoro. Tra le misure di prevenzione possibili delle molestie, le organizzazioni possono dotarsi di codici di condotta, etici e delle buone prassi. Questi strumenti sono altamente raccomandati dalla normativa in materia di salute e sicurezza sul lavoro e dalla contrattazione collettiva, e sono finalizzati ad orientare le datrici e i datori di lavoro verso il principio della responsabilità sociale e a tutelare la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori, favorendo un clima sereno, motivazione, rendimento e produttività d’impresa. I codici di condotta solitamente condannano atteggiamenti offensivi o persecutori e prevedono strumenti interni all’organizzazione, formazione specifica e provvedimenti disciplinari per contrastare le condotte vessatorie.
Interrogata su questo tema (Tab. 2.23), circa la metà delle persone intervistate non sa se la propria azienda o organizzazione sia dotata di regolamenti o procedure formali di garanzia e tutela relativi ai provvedimenti da assumere contro le molestie sessuali nei luoghi di lavoro. Alla gran parte di disinformate/i, si aggiunge il 15,5% del campione che dichiara di non conoscere comunque i regolamenti interni in vigore. In generale appaiono meno informate le lavoratrici (il 53,5% delle donne non sa rispondere, rispetto al 40,1% degli uomini), mentre molti lavoratori conoscono il contenuto (21,3%) o quanto meno l’esistenza (19,8%) dei codici di condotta aziendali. Una quota del campione non risponde alla domanda (8,7%).
Tab. 2.23. L’azienda o organizzazione in cui lavora/va ha/aveva adottato un codice di condotta (regolamenti o procedure formali di garanzia e tutela) relativo ai provvedimenti da assumere contro le molestie sessuali nei luoghi di lavoro?, per genere (%; N. Altro genere=6)
DonneUominiTotale
Sì, e sono/ero a conoscenza del contenuto 13,2 21,3 15,9
Sì, ma non sono/ero a conoscenza del contenuto 13,2 19,8 15,5
No, non lo ha/aveva adottato 11,4 10,1 11,0
Non so 53,5 40,1 48,9
Non risponde 8,7 8,7 8,7
Totale 100 100 100
N 1.981 1.038 3.025
La figura di Consigliera/e di parità è stata istituita per la promozione e la verifica dell’attuazione dei principi di uguaglianza di opportunità e di non discriminazione tra uomini e donne negli ambienti del lavoro. A livello nazionale è oggi regolamentata dal d.lgs. n. 198 del 2006, c.d. codice delle pari opportunità (artt. da 12 a 20), mentre a livello locale dalla l.p. n. 13 del 2016, c.d. legge provinciale sulle pari opportunità (art. 16). In Trentino, la/il Consigliere/a di parità è nominata/o dall’Ufficio di Presidenza del Consiglio Provinciale con l’obiettivo di promuovere la cultura delle pari opportunità: selezionata/o per l’elevata professionalità, offre gratuitamente servizi di consulenza, attraverso uno sportello dedicato e attivo su appuntamento, in presenza o a distanza, a favore di lavoratrici, lavoratori, datrici e datori di lavoro sul territorio. Si tratta di una figura che opera con la massima riservatezza e legata al segreto professionale, concordando con le vittime i provvedimenti da intraprendere.
Anche questo è uno strumento poco conosciuto dalle persone intervistate (Tab. 2.24): oltre la metà del campione, in particolare la parte maschile (60,4%) non conosce l’esistenza della figura di Consigliera/e di parità, il 23,9% la conosce soltanto vagamente, solo il 10,6% la conosce bene. L’8,7% delle/gli intervistate/i non risponde alla domanda.
Tab. 2.24. Conosce l’esistenza del/la Consigliere/a di parità?, per genere (%; N. Altro genere=6)
DonneUominiTotale
No, non lo/a conosco 54,8 60,4 56,8
Sì, l’ho sentito/a nominare ma non lo/a conosco bene 24,9 22,1 23,9
Sì, conosco il ruolo e la funzione 11,5 8,9 10,6
Non risponde 8,8 8,6 8,7
Totale 100 100 100
N 1.981 1.038 3.025
Nonostante, come abbiamo visto, pochissime vittime di molestia si rivolgano al Sindacato, la grande maggioranza delle persone intervistate ritiene importante che lavoratrici e dei lavoratori siano tutelate/i in questo modo, e soltanto una quota esigua del campione si dichiara contraria rispetto al fatto che il Sindacato debba occuparsi di questo tema (2,4%) (Tab. 2.25). Una certa quota di persone, però, non sa dare una risposta (9,5%) o non si esprime a riguardo (8,4%).
Tab. 2.25. Ritiene importante che il Sindacato si occupi delle molestie nei luoghi di lavoro?, per genere (%; N. Altro genere=6)
DonneUominiTotale
Sì 80,9 77,4 79,7
No 1,9 3,0 2,4
Non so 8,6 11,4 9,5
Non risponde 8,6 8,2 8,4
Totale 100 100 100
N 1.981 1.038 3.025
Il tema è certamente delicato e Cgil del Trentino, insieme a Cisl Uil, ha attivato un’iniziativa condivisa dotandosi di uno strumento dedicato specificamente alle molestie e alla violenza di genere sui posti di lavoro. Sebbene sia presente dal 2017, lo sportello SmoG (Sportello Molestie di Genere), che offre supporto legale, organizzativo e psicologico, non è tuttavia ancora conosciuto dalla maggioranza delle persone intervistate, in pari misura da donne e uomini (Tab. 2.26). Un ulteriore 30,2% afferma di averlo sentito nominare, mentre soltanto il 5,4% ritiene di conoscere bene questo strumento. Anche in questo caso, una quota, pari all’8,4% del campione, non risponde alla domanda.
Tab. 2.26. Conosce l’esistenza dello Sportello contro le molestie e la violenza di genere sui posti di lavoro (SmoG)?, per genere (%; N. Altro genere=6)
DonneUominiTotale
No, non lo conosco 56,3 55,4 56,0
Sì, l’ho sentito nominare ma non lo conosco bene 29,4 31,7 30,2
Sì, conosco il ruolo e la funzione 5,8 4,5 5,4
Non risponde 8,5 8,4 8,4
Totale 100 100 100
N 1.981 1.038 3.025
Capitolo 3. I risultati della ricerca qualitativa
3.1. Introduzione
L’indagine qualitativa aveva come obiettivo principale quello di ragionare sulle possibili azioni, sulle policy da adottare in ottica di prevenzione e contrasto del fenomeno delle molestie nei luoghi di lavoro. Attraverso una traccia di intervista semi-strutturata, sono state condotte sette intervistate con testimoni privilegiati/e, 3 uomini e 4 donne, che ricoprono ruoli di vertice all’interno di CGIL. Nel rispetto dell’anonimato sono indicati nel testo alcuni nomi di pura fantasia. I/le rispondenti sono stati/e selezionati/e a partire dalla loro esperienza lavorativa, dal ruolo di responsabilità che ricoprono, sia esso all’interno della governance dell’organizzazione sindacale o nelle specifiche categorie professionali.
La traccia di intervista, semi-strutturata, è stata organizzata in tre sezioni: nella prima parte l’accento è stato posto sull’esperienza lavorativa, con particolare riguardo alle caratteristiche dell’ambiente di lavoro in ottica di genere, e alle trasformazioni avvenute, nel tempo, in questo senso; nella seconda parte abbiamo commentato con i/le testimoni privilegiati/e alcune evidenze emerse dall’indagine quantitativa entrando nel merito del fenomeno delle molestie e ragionando sulle motivazioni che, secondo i nostri intervistati e le nostre intervistate, possono essere alla base di comportamenti molesti negli ambienti lavorativi; nella terza e ultima parte dell’intervista abbiamo chiesto un commento rispetto agli strumenti già esistenti in merito al contrasto del fenomeno delle molestie, cercando poi di ragionare su possibili azioni, sulle politiche da adottare in ottica di prevenzione, sostegno alle segnalazioni e sanzione delle pratiche moleste.
3.2. Ambienti di lavoro e riconoscimento del fenomeno
L’ambiente lavorativo del sindacato viene definito dalle persone intervistate come complesso, parcellizzato, variegato al suo interno. In generale i/le testimoni privilegiati/e lo identificano come un ambiente ancora prettamente maschile, in certi settori più di altri, dove è possibile riconoscere elementi di una cultura che alcune/i rispondenti definiscono maschilista.
“Una donna è sempre vista come la signora della Cgil, non la segretaria della Cgil […] devi sempre un po’ guadagnarti… non ti dico il rispetto, ma comunque… tu sei l’interlocutrice principale, che cioè l’accordo lo devono fare con te, che non c’è, diciamo, un segretario che arriva dopo di te. Per cui insomma a volte… eh, quello è un po’ faticoso, soprattutto perché è un ambiente molto maschile, in genere ci sono più sindacalisti uomini che donne” (Francesca).
Entrambi evidenziano però anche i cambiamenti che sono avvenuti nel tempo e l’impegno di CGIL nel guardare alle asimmetrie di genere negli ambienti di lavoro: segregazione verticale e orizzontale, differenze retributive, mancanza di attenzione alla conciliazione genitorialità-vita lavorativa.
“L’organizzazione è sempre stata molto sensibile alle questioni di genere, e quindi, ehm, e questa sensibilità è cresciuta al crescere banalmente dell’occupazione femminile. Prima era un sindacato molto maschile, forse anche maschilista, perché il mondo del lavoro era proprio, profondamente maschile. […] E quindi il sindacato ha dovuto cominciare a fare i conti, storicamente con le esigenze della donna che lavora, insomma, nella contrattazione è cresciuta questa sensibilità che poi, è stata introiettata con politiche di genere mirate al consolidamento e alla garanzia delle pari opportunità anche nella dimensione politica dell’organizzazione, per cui da anni esiste una norma antidiscriminatoria che prevede che nei ruoli apicali i generi non possono essere rappresentati sotto il 40%” (Mattia).
Viene sottolineato però come, a volte, le questioni di genere risultino una dichiarazione di intenti più che un impegno effettivo.
“La nostra organizzazione non ci crede fino in fondo. […] è un argomento politicamente corretto, quindi, non possiamo farne a meno di citarlo, sia nei nostri documenti che nei nostri convegni. Siamo migliorati in questo perché un tempo non si citavano nemmeno, adesso si citano almeno. Credo che però quella svolta culturale organizzativa insomma che vira, che cambia l’organizzazione, alla fine non c’è stata, non c’è ancora ecco, poi io spero, io penso sempre si possa migliorare […] Noi abbiamo fatto tante cose perché io non posso dire che l’organizzazione mi ha negato di fare determinate cose perché […] credo che lo sbaglio è quello di aver anticipato dei problemi che non erano ancora maturi […] abbiamo parlato di medicina di genere, di SMOG, di molestie, ecc… probabilmente era ancora, era troppo presto, non lo so” (Michela).
All’interno di questo quadro, il fenomeno delle molestie viene nominato, riconosciuto come presente anche se rimane spesso sommerso per paura, incertezza sulle figure a cui rivolgersi, mancanza di consapevolezza nell’ambiente di lavoro per far sì che qualcuna/o ponga attenzione su comportamenti e pratiche moleste. Alcune/i intervistate/i sottolineano che il tema però inizia ad essere affrontato all’interno delle assemblee, facendo del contrasto alle molestie una “questione identitaria” (Fabio).
“Se ne parla, si questo, come dire, comunque ne facciamo oggetto di discussione anche nell’assemblea sindacale con crescente frequenza, peraltro anche nelle riunioni della nostra assemblea generale. […] Quello che cerchiamo di portare alle aziende è il tema culturale, che bisogna alzare il livello di attenzione no? Che quindi, determinati, discorsi piuttosto che comportamenti ai quali non siano abituati a dare alcun peso invece vanno, come dire, ci si deve accorgere insomma che è sbagliato e si deve alzare il livello dell’attenzione perché solo partendo da questo cambiamento poi si evita di arrivare fino alle, agli episodi più estremi insomma” (Fabio).
3.3. Le molestie nei luoghi di lavoro: motivazioni e segnalazioni
Commentando alcuni risultati dell’indagine quantitativa, intervistati e intervistate tracciano il quadro in cui si inscrivono le principali motivazioni che possono portare a subire e/o ad agire comportamenti molesti all’interno degli ambienti lavorativi: la dimensione maggiormente sottolineata è quella culturale, pratiche sessiste e maschiliste, ma con orizzonti di cambiamento da considerare.
“Nel 98% delle aziende dove c’è una stragrande maggioranza [di uomini], sia nelle postazioni di lavoro, sia negli spogliatoi dove spesso facciamo le assemblee, sia sugli armadietti dei lavoratori c’erano calendari pornografici più o meno espliciti; adesso, come dire, è già da qualche anno, le aziende sono intervenute no? per far rimuovere queste, queste immagini […] che sono immagini sessiste insomma, la donna rappresentata come un oggetto; fa impressione vedere quanta stampa ancora ci sia da questo punto di vista, fa impressione che nel 2023 delle aziende si facciano pubblicità così, calendari pubblicitari di aziende che finiscono come dire negli armadietti degli operai insomma, la cosa fa impressione. Però ormai anche tra i lavoratori, come dire, sta cominciando a diventare oggetto di imbarazzo. Ecco un po’ per dare l’idea di come comunque secondo me, i problemi sono enormi ancora, siamo lontanissimi dalla parità tra uomo e donna, però direi una bugia se dicessi che non c’è un cambiamento in atto” (Fabio).
I modelli, le pratiche di comportamento che hanno retaggi patriarcali sono evidenziati sia dai/dalle rispondenti, che dalle/i lavoratrici/tori, che da chi dirige le aziende. Si sottolinea in particolare la dimensione di potere: i ruoli apicali sono ancora ricoperti tendenzialmente da uomini, mentre le donne si concentrano in posizione subordinate e, spesso, maggiormente precarie; allo stesso tempo si sottolinea come, anche fra chi ricopre ruoli di vertice, ci siano ancora importanti retaggi sessisti:
“Al nostro interno direi che questo più o meno ho visto l’attacco in autodifesa, perché se di fronte ti trovi una donna che ne sa più di te, più capace di te, ti smentisce di fronte ad altri colleghi eccetera, è una cosa che ancora a tutt’oggi dà fastidio, agli uomini dà più fastidio, noi ci siamo più abituate.
Nei posti di lavoro extra Cgil io credo che viceversa quello che accade sia molto più banale, se vuoi. Nel senso che lì si sfrutta proprio il potere della posizione predominante: il potere del “ti rinnovo il contratto o meno”, il potere de “sono il tuo capo reparto e fai come ti dico” ci è capitato” (Mara).
Questo accade non solo se ci sono uomini al potere:
“spesso abbiamo a che fare con anche contesti aziendali maschilisti capeggiati da donne, che fanno intendere che ci sia molto lavoro da fare insieme” (Francesca).
Viene anche sottolineata una certa normalizzazione di comportamenti violenti di tipo psicologico e verbale, che, secondo l’esperienza di intervistati e intervistate sono anche più difficili da verificare e dimostrare. Per questa ragione, ma anche per paura di ritorsioni e di perdere il lavoro, spesso le persone che subiscono molestie
“passano una vita in contesti di lavoro tossici […] spostano il proprio focus sulla realizzazione personale o familiare per sopravvivere e trovare un senso positivo alla propria vita” (Francesca).
Riguardo alle segnalazioni, dalle interviste emergono diverse questioni interessanti, in primo luogo rispetto al ruolo dei/delle rappresentanti sindacali: tutte e tutti le/i rispondenti sottolineano come, sempre più spesso, è il/la sindacalista maggiormente vicino/a all’azienda, perché spesso presente sul posto di lavoro, che raccoglie per primo/a la segnalazione. Ad evidenziare dunque come la prossimità incentivi e alimenti quel meccanismo di fiducia indispensabile per segnalare un comportamento molesto subito nell’ambiente di lavorativo. Secondariamente, i/le testimoni privilegiati/e hanno condiviso i “casi” più gravi, incrociati, anche in più di un’occasione, durante la propria esperienza sindacale, di seguito schematizzati:
• avvio di procedure di licenziamento collettivo da parte di un’azienda con la motivazione ufficiale di una “revisione del personale”, ma con il vero obiettivo di invisibilizzare un caso di molestia subito da una dipendente da parte di un dirigente (fra le persone licenziate era infatti presente la vittima di molestie);
• molestie sessuali agite da parte di un responsabile di reparto su diverse dipendenti che occupavano posizioni precarie, con la minaccia di mancata assunzione in caso di rifiuto delle avances, denuncia o segnalazione delle stesse;
• caso di violenza sessuale (segnalata e denunciata da parte della vittima), agita da un proprietario di azienda a scapito di una dipendente. Quest’ultima aveva chiesto, a seguito della violenza, un congedo per motivi di salute, di norma retribuito: tale congedo non le è stato riconosciuto, per cui la dipendente è risultata assente ingiustificata. La vicenda si è conclusa, come per la maggior parte dei casi riportati nelle interviste, con una transazione economica;
• un caso – definito “raro” da parte di chi ne ha parlato – relativo a un giovane lavoratore che aveva subito molestie da parte della sua superiore, con demansionamento e mobbing conseguente al rifiuto delle avances.
Quello della segnalazione/denuncia è un tema centrale, problematico, complesso:
“Tantissimi casi sono casi di persone che quando trovano il coraggio di denunciare, di fatto stanno compiendo una scelta che in quel momento non si rendono conto, ma che le porta all’indigenza, cioè porta alla povertà assoluta perché non riescono più a ricollocarsi, non c’è niente di niente […] In Trentino, le vittime di violenza sono qualificate come soggetti fragili e [le aziende] possono usufruire [di alcune agevolazioni per le assunzioni. La corsia preferenziale] diventa un marchio, cioè nessuno le vuole, nessuno le vuole perché temono di portarsi in casa rogne. A me è capitato personalmente di andare a supplicare datori di lavoro perché dessero opportunità: ho trovato il muro.” (Fabio).
La segnalazione è fondamentale per avere contezza della pervasività del fenomeno delle molestie, per capire dove e come intervenire, ma spesso viene demandata alla sola responsabilità individuale, con pesanti conseguenze per chi denuncia/segnala: perdita del posto di lavoro, stigma, indigenza. Per queste ragioni, CGIL ha adottato uno strumento centralizzato di raccolta delle segnalazioni e sostegno delle vittime: lo sportello SMOG (Sportello contro le Molestie di Genere, gestito da sportelliste formate ad hoc), un’idea nata nel 2017, che ha seguito un lungo iter progettuale e un accordo fra vari soggetti sul territorio trentino. Un’iniziativa che però non ha raggiunto gli obiettivi prefissati: nell’ultima parte dell’intervista siamo partite dalle considerazioni sulle motivazioni che hanno impedito la piena riuscita dell’iniziativa per ragionare sulle possibili azioni da adottare in futuro.
3.4. Prevenzione e contrasto del fenomeno: strumenti, policy e proposte
Quali sono le ragioni del mancato funzionamento dello sportello?
“I casi non arrivano allo sportello [SMOG], non perché non ci sono, si gestiscono spesso in categoria oppure sono i delegati che segnalavano poi allo sportello. Lo sportello non lo abbiamo fatto vivere nei posti di lavoro, la gente non ne conosce l’esistenza” (Lucia).
“C’è una difficoltà delle donne di “portare fuori” dal contesto lavorativo le esperienze di molestia, non mi sorprende che lo sportello non abbia funzionato” (Fabio).
Dalle interviste emerge come lo strumento dello sportello contro le molestie e le discriminazioni sia stato percepito come calato dall’alto in un contesto ancora non pronto. Si sottolinea la difficoltà delle varie categorie professionali a pubblicizzarlo:
“La gente vuole sentire parlare di altro nelle assemblee, al sindacato viene riconosciuto il suo ruolo negoziale e basta più; alle assemblee le questioni relative al benessere sono sempre alla fine” (Mara).
Sono state fatte anche alcune considerazioni relative alla gestione dello sportello stesso: secondo alcune/i rispondenti la reperibilità dovrebbe essere diversa, gli orari attuali infatti sembrano non essere efficaci.
Per altre/i, avere uno spazio dedicato e visibile non è utile perché le persone temono di essere identificate; ma soprattutto, l’accento è posto sulla “distanza” fra strumenti di questo tipo e chi lavora nelle aziende:
“Chi è responsabile di raccogliere le denunce deve andare nei luoghi di lavoro, osservare, parlare, esserci e non aspettarsi che siano le vittime ad andare da loro. Se lo sportello non è sempre aperto, o se non parlo bene l’italiano o non ho possibilità di prendermi un permesso per recarmi allo sportello non serve averlo” (Fabio).
Emerge quindi un bisogno parallelo, quello di trovare modalità differenti per contattare le persone e raccogliere le segnalazioni, ma soprattutto lavorare sul tema della formazione e della prevenzione: secondo gli/le intervistati/e, se non si insegna alle persone a riconoscere le molestie, se non si sensibilizza l’ambiente di lavoro a condannare i comportamenti molesti, avere uno sportello dedicato a tal proposito non è utile. I temi relativi alla dimensione culturale, alla consapevolezza, alla formazione, sono centrali all’interno delle proposte di policy emerse durante le interviste. Per maggiore chiarezza espositiva, si fornisce di seguito un elenco per punti/aree tematiche delle principali azioni che, secondo i nostri intervistati e le nostre intervistate, sarebbe importante promuovere per prevenire e contrastare il fenomeno delle molestie nei luoghi di lavoro:
1. Dimensione di genere. Adottare la dimensione di genere come linea di indirizzo delle politiche all’interno del sindacato, una chiave di lettura trasversale negli ambienti di lavoro.
2. Cambiamento culturale. Formazione come strumento cardine, da rendere obbligatoria nell’ambito della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro (una proposta già realizzata da CGIL) per:
– costruire consapevolezza sulla contrattazione di genere;
– veicolare il messaggio che il contrasto alle molestie nei luoghi di lavoro è una dimensione identitaria che appartiene al sindacato;
– contrastare la cultura sessista e maschilista all’interno degli ambienti di lavoro, lavorando sui linguaggi, sulle pratiche all’interno degli stessi ambienti lavorativi “noi uomini non riflettiamo abbastanza su queste cose” (Luca);
– progettare moduli (formativi) appositi contro molestie e discriminazioni dedicati non solo a lavoratrici e lavoratori ma a manager e dirigenti;
– favorire incontri di sensibilizzazione e informazione all’interno delle assemblee svolte durante l’orario di lavoro, dove lavoratrici e lavoratori possano partecipare senza timore di ripercussioni;
– condividere testimonianze positive rispetto alla fuoriuscita dalla violenza o dalle molestie.
3. Sostegno alle denunce. Adottare e condividere pratiche di sostegno alle denunce come responsabilità collettiva di tutto il sindacato:
– costruire spazi di ascolto con persone competenti, prevendendo tempi dedicati consoni all’ascolto e alla presa in carico degli episodi di molestia e violenza;
– prevedere un supporto psicologico durante l’iter di segnalazione e reinserimento lavorativo;
– prevedere e condividere un iter di intervento per evitare che le vittime di molestia e violenza perdano il lavoro. Uno degli esempi proposti è quello di strutturare un percorso per chi ha subito violenza che permetta di accedere a programmi di impiego all’interno di cooperative, terzo settore, attività nel sociale;
– iniziare a ragionare su un meccanismo sanzionatorio per le aziende che ignorano o invisibilizzano i casi di molestie e/o violenze sessuali.
4. Potenziamento delle presenze ai vertici sindacali e dentro le aziende:
– attivazione di un gruppo di coordinamento di circa 20 persone, precedentemente formate su questi temi, in grado di fare sensibilizzazione a colleghi e colleghe che operano nelle aziende o a stretto contatto con le stesse: “è fondamentale esserci nei posti di lavoro altrimenti non ti accorgi di nulla” (Mara);
– maggiore presenza di donne formate sulle questioni di genere ai vertici delle realtà sindacali, alla luce del fatto che (come sottolineano diverse/i rispondenti) la maggiore presenza di figure maschili in ruoli apicali alimenta il timore, da parte delle vittime, di non essere ascoltate/credute/supportate, favorendo una cultura dell’omertà e del silenzio.
5. Azioni territoriali. Necessità di un’azione di sistema, fra vari soggetti territoriali: un lavoro di rete per riuscire ad intervenire in tutti gli ambienti di lavoro, pubblici e privati, raggiungendo tanto le piccole aziende quanto le grandi.
6. Campagne di comunicazione. Avvio di campagne di sensibilizzazione interne a CGIL da diffondere nei luoghi di lavoro, che facciano informazione rispetto alle figure preposte per accogliere le segnalazioni, l’iter da seguire, l’assistenza che si può ricevere ecc…
Conclusioni
La strada per contrastare le molestie nei luoghi di lavoro è ancora lunga e complessa. Il dibattito intorno a questo tema e alla violenza più in generale, con riferimento alla violenza di genere in particolare, ha un andamento discontinuo nel tempo, tende ad accendersi sotto impulsi mediatici che seguono l’onda di casi emblematici o eventi drammatici e ad affievolirsi progressivamente dopo la fase di indignazione pubblica. Dal punto di vista culturale, sono diverse le iniziative di sensibilizzazione in atto, anche se ancora troppo frammentate e prive di carattere strutturale. La via della formazione e dell’educazione massiva alla cultura del rispetto e della parità è un percorso ancora tutto da solcare e avrà comunque esiti a lungo termine, ma è quanto mai urgente iniziare a lavorare con serietà alla prevenzione dei fenomeni prevaricatori.
Alcuni strumenti possono essere utili, nell’immediato, per cercare di ridurli. Per poter affrontare le molestie nei luoghi di lavoro, si è parlato del/la Consigliere/a di parità, che interviene nei comportamenti discriminatori supportando le vittime a vari livelli e segnalando i casi alle autorità giudiziarie. Un’altra figura importante e presente all’interno di alcuni luoghi lavorativi è la Consigliera di fiducia, introdotta proprio con l’obiettivo di prevenire molestie e mobbing nelle organizzazioni. Queste figure offrono certamente servizi importanti, operando secondo imparzialità e riservatezza e sostenendo le persone coinvolte nella ricerca delle soluzioni più adeguate a ristabilire il benessere lavorativo. Il Codice di condotta introdotto in molte organizzazioni identifica l’insieme dei diritti e dei doveri che costituiscono i valori e le responsabilità etiche e sociali dell’azienda: i principi di equità, uguaglianza e parità non possono tuttavia rimanere soltanto sulla carta, ma devono essere adeguatamente divulgati e promossi attraverso attività informative e formative all’interno dell’organizzazione.
Un passo importante nella direzione comune del contrasto alle molestie negli ambienti di lavoro è stato l’Accordo quadro europeo del 26 aprile 2007 tra sindacati, grandi e medio-piccole imprese e aziende pubbliche. L’accordo definisce le molestie come “l’espressione di comportamenti inaccettabili di uno o più individui e possono assumere varie forme, alcune delle quali sono più facilmente identificabili di altre. L’ambiente di lavoro può influire sull’esposizione delle persone alle molestie e alle violenze. Le molestie avvengono quando uno o più lavoratori o dirigenti sono ripetutamente e deliberatamente maltrattati, minacciati e/o umiliati in circostanze connesse al lavoro”. L’Accordo quadro europeo è stato introdotto in Italia il 25 gennaio 2016 grazie ad un accordo tra Confindustria e i sindacati CGIL, CISL e UIL. Tuttavia anche in questo caso è necessario che l’impegno formale si traduca poi in pratiche effettive e diffuse all’interno delle organizzazioni.
Il tema dei diritti e delle condizioni di lavoratrici e lavoratori è certamente ampio e complesso, ma è fondamentale continuare a monitorare, anche attraverso una raccolta più puntuale e capillare di dati, e, con l’aiuto di strumenti sempre più efficaci, argomentare, sensibilizzare e insistere nel cercare soluzioni e accordi globali, per porre fine a tutte le forme di prevaricazione e violenza, più o meno riconoscibili, negli ambienti di lavoro.
Bibliografia
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