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LANCIO D'AGENZIA

BANKITALIA * INTERVENTO GOVERNATORE VISCO: « L’ECONOMIA ITALIANA NEL BIENNIO 2022-23 DOVREBBE CRESCERE IN LINEA CON L’AREA EURO, SIGNIFICATIVI I RISCHI A LIVELLO GLOBALE »

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10.42 - venerdì 8 luglio 2022

Associazione Bancaria Italiana Assemblea degli Associati. Intervento del Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco.

La congiuntura e la politica monetaria

L’economia mondiale attraversa una fase di profonda incertezza. L’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia sta avendo gravi ripercussioni sulla produzione manifatturiera e sugli scambi commerciali e sta sospingendo l’inflazione, che riflette, in particolare in Europa, il protrarsi dell’eccezionale rincaro delle materie prime energetiche e, in minor misura, di quelle alimentari.

Le prospettive risentono anche delle continue difficoltà nelle catene internazionali di approvvigionamento di beni intermedi, da ultimo acuite dalle restrizioni introdotte dalla Cina per contrastare la diffusione delle infezioni da Covid-19. Vi è il rischio di una brusca frenata in alcune economie avanzate, soprattutto negli Stati Uniti, dove il contenimento dell’inflazione, causata anche da un notevole aumento della domanda aggregata e del costo del lavoro, richiede una risposta della politica monetaria particolarmente decisa. L’attività economica globale resta in ogni caso esposta a possibili recrudescenze della pandemia.

Nelle proiezioni di inizio giugno dell’Eurosistema la crescita dell’area dell’euro nel 2022 è stata ridotta al 2,8 per cento, dal 4,2 previsto in dicembre. Tale incremento, già in larga parte acquisito grazie alla marcata ripresa del 2021, implica una espansione inferiore all’1 per cento nel corso dell’anno. Il prodotto è attualmente sostenuto dalla piena riapertura delle attività economiche, specialmente nei servizi, che beneficiano anche dell’impulso fornito dalla forte ripartenza del turismo; gli effetti negativi dello shock energetico sulla spesa delle famiglie sono attenuati dall’ampia disponibilità di risparmio, dalle misure di bilancio e dal progressivo recupero del mercato del lavoro.

In giugno i prezzi al consumo sono aumentati nell’area dell’8,6 per cento rispetto allo stesso mese dello scorso anno. La loro dinamica continua a essere alimentata dall’incremento dei corsi del petrolio e, soprattutto, del gas che dalla metà di giugno, in seguito alle ulteriori riduzioni delle forniture dalla Russia, sono bruscamente saliti da 80 a oltre 180 euro per megawattora; erano pari a circa 30 euro un anno fa, quando i flussi dalla Russia già erano diminuiti, e a poco più di 10 prima della pandemia. Al netto delle componenti più volatili, l’inflazione si è attestata al 3,7 per cento, risentendo anch’essa della trasmissione dei maggiori costi dei prodotti energetici ai prezzi finali degli altri beni e dei servizi.

L’inflazione resterebbe molto elevata nella media di quest’anno; già nel 2023 mostrerebbe una decisa flessione, per tornare attorno al 2 per cento nel 2024. Le più recenti previsioni delle maggiori istituzioni internazionali e degli analisti privati, nonché quelle desumibili dalle quotazioni delle attività finanziarie indicizzate ai prezzi al consumo, confermano che le aspettative a lungo termine rimangono sostanzialmente in linea con la definizione di stabilità monetaria della Banca centrale europea (BCE).

Nell’attuale contesto di alta inflazione è tuttavia necessaria una graduale normalizzazione della politica monetaria, che era stata calibrata per contenere le spinte deflazionistiche e recessive durante la fase più acuta della crisi pandemica. Va contrastato il rischio che, a lungo andare, aumenti dei prezzi eccezionalmente elevati finiscano per incidere sulle aspettative o innescare una rincorsa tra prezzi e salari, sebbene la dinamica di questi ultimi, pur rafforzatasi, resti per il momento moderata. Il Consiglio direttivo della BCE ha pertanto deciso di interrompere gli acquisti netti di titoli dalla fine della scorsa settimana. È stata inoltre annunciata l’intenzione di aumentare i tassi ufficiali di 25 punti base nella riunione del 21 luglio prossimo; un incremento anche maggiore potrebbe essere appropriato in settembre se le prospettive d’inflazione di medio termine non dovessero migliorare. Il ritmo del successivo, graduale ma duraturo, processo di rialzo dei tassi dipenderà dai nuovi dati economici e finanziari e da come essi incideranno sulle prospettive per i prezzi.

Anche per l’ingiustificata percezione di un orientamento monetario particolarmente aggressivo, la prima metà di giugno è stata caratterizzata da una netta revisione al rialzo delle attese sull’evoluzione dei tassi ufficiali e da un brusco aumento dei tassi di interesse a lungo termine, che svolgono un ruolo chiave per l’attività economica di imprese e famiglie. Le tensioni hanno investito il mercato obbligazionario, pubblico e privato, e si sono estese a quello azionario. Il notevole ampliamento dei differenziali di rendimento tra i titoli di Stato dei paesi dell’area dell’euro percepiti come più vulnerabili e quelli tedeschi segnalava crescenti rischi di frammentazione dei mercati lungo i confini nazionali.

A fronte di questi andamenti, il 15 giugno in una riunione straordinaria il Consiglio direttivo ha deciso che i reinvestimenti nell’ambito del Pandemic Emergency Purchase Programme (PEPP) saranno condotti in maniera flessibile e ha annunciato l’accelerazione dei lavori per la creazione di un nuovo strumento volto a contrastare la frammentazione. Tali misure mirano ad assicurare una trasmissione quanto più possibile omogenea della politica monetaria in tutti i paesi dell’area, garantendo l’ordinata normalizzazione necessaria per riportare l’inflazione in linea con l’obiettivo di stabilità dei prezzi.

L’annuncio delle decisioni del Consiglio ha contribuito a una repentina e significativa riduzione degli spread sulle obbligazioni pubbliche; il picco di circa 250 punti base toccato dal differenziale tra i rendimenti dei titoli di Stato decennali di Italia e Germania poco prima della metà di giugno non è coerente con i fondamentali della nostra economia. Il contesto resta comunque di elevata volatilità: rimane pertanto cruciale prevenire un inasprimento eccessivo delle condizioni di finanziamento, che avrebbe gravi ricadute sulla stabilità finanziaria, sull’attività economica e, in ultima analisi, sulla crescita dei prezzi nel medio periodo. È fondamentale che all’azione della politica monetaria si affianchi una chiara determinazione delle autorità fiscali a mantenere le finanze pubbliche in un percorso di riequilibrio.

Le tensioni geopolitiche stanno avendo un impatto marcato anche sull’economia italiana che, insieme a quella tedesca, è tra quelle maggiormente dipendenti dalle importazioni di materie prime dalla Russia. Lo scorso gennaio ci attendevamo una espansione del prodotto superiore al 3 per cento nella media del biennio 2022-23; nello scenario di base elaborato in giugno, nel quale si ipotizza che le tensioni associate alla guerra si protraggano per tutto il 2022 ma si esclude una sospensione delle forniture di gas dalla Russia, la crescita è stata rivista al ribasso, di 2 punti percentuali nel complesso del biennio, su valori prossimi a quelli dell’area dell’euro. L’inflazione, che in giugno ha superato anche in Italia l’8 per cento (per quattro quinti a causa degli effetti diretti e indiretti dei prezzi dell’energia e dei beni alimentari), contribuisce a frenare l’espansione comprimendo in misura significativa i redditi in termini reali, solo in parte compensati dalle misure di bilancio.

In uno scenario avverso caratterizzato da un arresto delle forniture dal terzo trimestre di quest’anno, solo parzialmente sostituite da altre fonti, il prodotto registrerebbe una contrazione nella media del biennio 2022-23, per tornare a crescere nel 2024. Al deterioramento del quadro macroeconomico contribuirebbero le ricadute dirette di tale interruzione sui settori a più elevata intensità energetica, ulteriori rialzi nei prezzi delle materie prime, un più deciso rallentamento del commercio estero, un peggioramento della fiducia e un aumento dell’incertezza.
Un sostegno considerevole all’attività economica proviene in ogni caso dagli interventi delineati nel Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), la cui attuazione sta procedendo in linea con le scadenze stabilite. Nelle prossime settimane la Commissione europea valuterà l’effettivo raggiungimento dei 45 traguardi e obiettivi concordati per il primo semestre del 2022, al cui conseguimento è legata l’erogazione di una nuova rata di finanziamento da 21 miliardi. Per questo periodo il Piano prevedeva avanzamenti nell’ambito di riforme importanti, come quella del codice dei contratti pubblici e del pubblico impiego, nonché l’avvio di diversi programmi di investimento. Le difficoltà incontrate nell’aggiudicazione di alcuni bandi di gara non hanno compromesso la possibilità di garantire il rispetto dei tempi e il conseguimento dei risultati attesi.

Nei prossimi mesi all’impegno per l’attuazione di riforme complesse, come quelle della concorrenza e della giustizia, si dovrà affiancare una graduale accelerazione dei programmi di investimento. Laddove gli enti locali dovessero incontrare difficoltà nella progettazione e nella realizzazione degli interventi, sarà importante utilizzare tempestivamente gli strumenti di supporto tecnico già previsti. Il rincaro dei prezzi energetici e i problemi di approvvigionamento di materie prime rappresentano un’ulteriore sfida. Le difficoltà, contrastate attraverso specifiche misure di compensazione già in parte introdotte, non comportano la necessità di una radicale revisione del Piano né implicano un rallentamento della sua attuazione. Al contrario, rendono ancora più urgente il rafforzamento degli interventi connessi con la transizione verde, anche sfruttando le risorse aggiuntive messe a disposizione dal programma REPowerEU.
La congiuntura bancaria
Le banche italiane affrontano questa difficile situazione congiunturale partendo da una condizione complessivamente equilibrata. Alla fine di marzo il rapporto tra il capitale di migliore qualità e gli attivi ponderati per il rischio (CET1 ratio) era pari al 14,6 per cento; nonostante la ripresa nella distribuzione dei dividendi, rimane più alto dei valori precedenti lo scoppio della pandemia. Nel primo trimestre il rendimento in ragione annua del capitale e delle riserve è stato pari al 6,4 per cento, meno che nel corrispondente periodo dello scorso anno, ma lievemente superiore a quanto registrato nell’intero 2021. Il flusso di nuovi crediti deteriorati in rapporto al totale dei prestiti, in ragione d’anno e al netto degli effetti stagionali, è sceso di 2 decimi di punto nei primi tre mesi di quest’anno, all’1 per cento; in assenza di significative operazioni di cessione, la loro consistenza, al netto delle rettifiche di valore e sempre in rapporto al totale dei prestiti, è rimasta sostanzialmente invariata. Sono invece in aumento le perdite sul portafoglio titoli legate alla volatilità dei mercati.
Le condizioni di offerta del credito sono divenute negli ultimi mesi meno favorevoli, anche se i prestiti al settore privato non finanziario continuano a crescere, sia pure a ritmi moderati per le imprese. La posizione di liquidità di queste ultime resta comunque buona. Eventuali esigenze legate alle conseguenze economiche della guerra potranno essere soddisfatte anche per mezzo di prestiti garantiti dallo Stato; le nuove misure di sostegno all’accesso al credito varate dal Governo a seguito del conflitto in Ucraina prevedono infatti la possibilità di richiederli sino alla fine di quest’anno, in coerenza con il nuovo quadro temporaneo di aiuti definito a livello europeo.

Il rialzo dei tassi di interesse non dovrebbe frenare la dinamica del credito. L’impatto sulla redditività delle banche sarebbe nel complesso positivo grazie all’espansione del margine di interesse, il cui andamento dipenderà dalla struttura per scadenze delle attività e delle passività delle singole banche, con differenze anche significative tra gli intermediari. Nel medio periodo l’ammontare delle rettifiche aggiuntive corrispondenti all’aumento dei crediti deteriorati dovrebbe essere più che compensato dall’effetto positivo del rialzo dei tassi sul margine di interesse.
Un calo dei corsi dei titoli di Stato italiani si riflette direttamente sul patrimonio di vigilanza anche quando le corrispondenti perdite non sono contabilizzate nel conto economico. Considerando lo stock di titoli iscritti a bilancio al valore di mercato alla fine dello scorso maggio è possibile stimare che un aumento di 100 punti base lungo l’intera curva dei rendimenti porterebbe a una riduzione del rapporto tra capitale di migliore qualità e attivi ponderati per il rischio di circa 20 punti base.

L’uscita dalle misure di sostegno varate per fronteggiare la crisi pandemica prosegue senza significative ripercussioni sulla qualità del credito. Seppure in aumento, la quota di finanziamenti che hanno beneficiato di moratorie classificati come deteriorati rimane relativamente bassa, mentre si sta progressivamente riducendo quella dei prestiti per i quali le banche hanno registrato un significativo incremento del rischio di credito dal momento dell’erogazione (classificati nello “stadio 2” secondo i principi contabili internazionali). Le informazioni riguardo ai ritardi nei pagamenti sui finanziamenti in bonis non mostrano, per ora, segnali di un significativo peggioramento.
Anche la qualità dei prestiti garantiti dallo Stato a favore delle imprese più colpite dalla crisi pandemica, che potevano essere richiesti fino alla fine di giugno, rimane buona. Il tasso di deterioramento si mantiene basso, nonostante per i prestiti concessi nelle prime fasi della pandemia stia terminando il periodo di preammortamento durante il quale le imprese potevano rimborsare la sola quota interessi. Informazioni preliminari indicano inoltre che solo pochi prenditori si sono avvalsi della facoltà, recentemente introdotta, di chiederne una estensione.

Le esposizioni dirette verso i paesi coinvolti nella guerra sono rimaste sostanzialmente stabili; gli intermediari presso i quali questi crediti sono soprattutto concentrati hanno provveduto a rivederne la classificazione contabile e, conseguentemente, a incrementare le rettifiche di valore. La BCE e la Banca d’Italia hanno sollecitato le banche a svolgere analisi approfondite sulla solvibilità prospettica delle imprese che più risentono delle conseguenze del conflitto, in particolare di quelle su cui più grava lo straordinario incremento del costo dell’energia. Riconoscendone la maggiore rischiosità, numerosi intermediari hanno iniziato ad aumentare le rettifiche di valore anche su queste esposizioni.
Come ho ricordato, il rischio di una contrazione dell’attività economica è concreto. Le politiche di distribuzione degli utili e degli accantonamenti devono tenere opportunamente conto dell’elevata incertezza e dei consistenti rischi verso il basso che permeano l’evoluzione del quadro macroeconomico.

Vigilanza, gestione delle crisi, unione bancaria

Nel corso degli ultimi anni la Vigilanza ha condotto nei confronti delle banche meno significative un’azione mirata a individuare per tempo gli intermediari più fragili, richiedendo interventi correttivi di crescente intensità per evitare il deterioramento delle condizioni economiche e finanziarie. Ne è derivato un complessivo rafforzamento delle banche medio-piccole, testimoniato dal generalizzato miglioramento dei livelli di patrimonializzazione e dalla riduzione dei rischi, che hanno pure tratto indirettamente beneficio dalle misure pubbliche di sostegno all’accesso al credito varate dal Governo per far fronte agli effetti della crisi pandemica.

Alla fine del 2020 avevamo avviato nei confronti di un ampio campione di banche meno significative una rilevazione sulla sostenibilità dei relativi modelli di attività, seguita nel 2021 da azioni graduate in funzione delle condizioni dei singoli intermediari coinvolti. A fronte di una situazione equilibrata per la maggior parte degli intermediari, permangono in alcuni casi elementi di fragilità, soprattutto in relazione alla capacità di generare flussi di reddito idonei a coprire i rischi, finanziare gli investimenti in innovazione, remunerare il capitale. Per alcune banche, meno proattive e connotate da carenze manageriali, gli aspetti di debolezza individuati possono mettere a repentaglio la sostenibilità del modello di attività, fino a degenerare in situazioni di crisi; di conseguenza è stato loro chiesto di valutare con tempestività ogni azione volta al superamento delle criticità, incluse ipotesi di aggregazione con altri intermediari.

Negli anni scorsi è stato istituito un apposito fondo pubblico teso a favorire l’ordinato svolgimento delle procedure di liquidazione delle banche con un totale attivo inferiore a 5 miliardi di euro, a cui si potrà però ricorrere solo fino al prossimo novembre. A pochi mesi da questa scadenza si pone l’esigenza di individuare nuovi strumenti in grado di finanziare la ristrutturazione degli intermediari più fragili, prevenendone ove possibile la crisi e le conseguenti potenziali esternalità negative sull’intero settore. Se rimane auspicabile l’ingresso nel mercato di operatori specializzati nella ristrutturazione di aziende bancarie, dotati delle risorse patrimoniali e delle capacità professionali necessarie a sostenerne il rilancio, questa esigenza potrebbe essere soddisfatta anche dallo stesso sistema bancario con la creazione di un apposito veicolo finanziato a condizioni di mercato e con il contributo di soggetti pubblici.

Nell’attività di vigilanza si presta massima attenzione all’adeguatezza del governo societario, al profilo professionale dei manager, alla congruità del tempo che gli amministratori dedicano allo svolgimento dei loro incarichi. Sistemi di governo societario che valorizzino le competenze individuali, aperti all’innovazione, capaci di facilitare la formulazione di strategie coerenti con il mutato scenario competitivo e di presidiare adeguatamente i nuovi rischi sono indispensabili per la stabilità dei singoli intermediari come del loro complesso. D’altro canto, debolezze su questi aspetti, in particolare carenze dei meccanismi di bilanciamento dei poteri e dei processi decisionali, hanno rappresentato una delle cause principali delle crisi bancarie degli ultimi anni.
Indagini sul governo societario mostrano l’esistenza di spazi di miglioramento nei livelli di diversificazione dei consigli di amministrazione per genere e competenze. Nelle banche meno significative la presenza di donne è particolarmente limitata nei ruoli di vertice e va accresciuta, anche in conformità con le più recenti disposizioni e raccomandazioni della Banca d’Italia. È inoltre evidente la necessità di elevare la capacità di innovare e di presidiare i relativi rischi, aumentando la presenza di esperti nelle tecnologie informatiche; vanno altresì accresciuti il vaglio critico delle proposte manageriali e l’impegno a discutere a fondo le questioni di maggiore rilievo.

La necessità di rafforzare il governo societario, di formulare e mettere in atto adeguati piani strategici, di perseguire una maggiore efficienza e una migliore gestione dei rischi a livello di gruppo, mantenendo al tempo stesso un forte radicamento sul territorio, è stata alla base della scelta del legislatore di varare nel 2016 la riforma del credito cooperativo.

A distanza di sei anni, nonostante le non poche difficoltà iniziali e una situazione congiunturale non favorevole, i nuovi
gruppi hanno ridotto il peso dei crediti deteriorati, diminuito il rapporto tra costi e ricavi, colmato quasi completamente il divario di redditività che li separava dalla media del sistema bancario. Contestualmente essi hanno continuato a sostenere le economie dei territori di insediamento delle affiliate incrementando la propria quota di mercato in termini di finanziamenti a famiglie e imprese. Hanno svolto un ruolo di primo piano nel porre in atto le misure di sostegno pubblico varate per contrastare gli effetti della crisi pandemica. La Banca d’Italia rimane aperta al dialogo con i gruppi cooperativi per individuare gli ambiti in cui è possibile semplificare le prassi di vigilanza e la regolamentazione in modo da tenere debitamente conto delle loro peculiarità.

Il completamento dell’unione bancaria, che al momento poggia sui due pilastri del Meccanismo di supervisione unico e del Meccanismo di risoluzione unico, non può prescindere dall’istituzione del terzo, un sistema unico di assicurazione dei depositi che abbia, a regime, piena capacità di assorbimento delle perdite. Nell’attuale contesto politico ed economico-finanzario, tuttavia, è emerso con chiarezza che non è possibile, al momento, arrivare a un compromesso tra le diverse posizioni degli Stati membri.

La dichiarazione dell’Euro Summit dello scorso 24 giugno ha quindi preso atto della decisione dell’Eurogruppo del 16 giugno di concentrare nei prossimi mesi i lavori sull’unione bancaria unicamente sulla revisione del quadro normativo in materia di gestione delle crisi bancarie. Quello oggi in vigore ancora non offre strumenti efficaci con riferimento alle banche medio-piccole: escluse dall’ambito di applicazione della risoluzione per il mancato superamento del “test dell’interesse pubblico”, queste banche, in assenza di altre soluzioni, quando in crisi sarebbero destinate alla liquidazione atomistica, inadatta ad assicurarne un’ordinata uscita dal mercato. L’inefficienza della situazione attuale è aggravata dai ridotti spazi di manovra a disposizione dei fondi di garanzia dei depositi, che rischiano di non potere offrire un supporto sufficiente a garantire il trasferimento delle attività e delle passività a un eventuale acquirente ed evitare così la disgregazione aziendale e gravi ricadute sui creditori non protetti, sui clienti e sui dipendenti.

L’Eurogruppo ha concordato, in particolare, che gli elementi principali della revisione debbano essere: una ridefinizione armonizzata del concetto di interesse pubblico che consenta di estendere l’applicazione della procedura di risoluzione a un maggior numero di intermediari, incluse le banche di minori dimensioni; l’ampliamento delle fonti di finanziamento della risoluzione, necessario per rendere percorribile la suddetta estensione, attraverso un maggiore coinvolgimento
dei fondi di garanzia e un “test del minor onere” basato su criteri comuni a livello europeo ma amministrato dalle autorità nazionali; l’armonizzazione di specifici elementi dei regimi di insolvenza degli Stati membri al fine di rendere questi ultimi coerenti con il quadro europeo. La Commissione è stata invitata a considerare la presentazione di una proposta e i co-legislatori a completare i relativi lavori entro l’inizio del 2024.
Nell’ambito di questa impostazione di carattere generale rimangono aspetti di rilievo ancora da definire, a partire dall’estensione del novero di banche che rientrerebbero nell’ambito della risoluzione. Dovrà inoltre essere chiarito come verrà applicato il requisito minimo di fondi propri e altre passività (minimum requirement for own funds and eligible liabilities, MREL) alle banche medio-piccole che, per effetto dell’ampliamento suddetto, verrebbero destinate alla risoluzione. Data la loro limitata capacità di collocare strumenti finanziari sul mercato dei capitali, per queste banche l’applicazione del bail-in, anche nella misura minima dell’8 per cento del complesso delle passività necessario per accedere al fondo unico di risoluzione, finirebbe per colpire i depositanti, oltre ai creditori senior.

Nella nostra valutazione un ragionevole ampliamento del perimetro delle banche soggette a risoluzione potrebbe essere percorribile purché sia prevista un’estensione delle capacità di intervento del fondo di tutela dei depositi attraverso la rimozione della cosiddetta super-priority, possibilmente accompagnata da una riduzione del bail-in minimo necessario per accedere al fondo di risoluzione. La rimozione, facilitando il rispetto del test del minor onere, avrebbe anche l’effetto di rafforzare la capacità dei fondi di effettuare interventi (alternativi al rimborso dei depositi protetti) a sostegno delle cessioni di attività e passività nelle procedure nazionali di liquidazione. Queste considerazioni trovano conferma nei risultati di un’analisi di impatto condotta lo scorso anno dall’Autorità bancaria europea su richiesta della Commissione; l’analisi ha evidenziato che, in scenari realistici di perdita, un numero significativo di intermediari (inclusi alcuni di quelli per i quali, in caso di crisi, sarebbe attivata una procedura di risoluzione) non sarebbe attualmente in grado di subire il bail-in minimo dell’8 per cento del passivo senza che siano colpiti i depositanti.

Prime stime effettuate dalla Banca d’Italia confermano che, in caso di estensione del perimetro della risoluzione, per le banche italiane meno significative sarebbe problematico rispettare l’obbligo di effettuare il bail-in minimo richiesto dalle attuali norme europee senza imporre perdite per i depositanti. Per le numerose banche di minore dimensione che rimarrebbero fuori dal perimetro della risoluzione le medesime stime pongono in luce i limiti per i fondi di tutela dei depositi a contribuire al finanziamento di cessioni di attività e passività in liquidazione. Data la difficoltà di superare il test del minor onere, la rimozione della super- priority e il mantenimento della possibilità per i fondi di continuare a effettuare gli interventi alternativi, già previsti dalla normativa europea, appaiono dunque condizioni necessarie per evitare che la crisi delle piccole banche debba essere gestita mediante liquidazioni atomistiche.

Anche in connessione con la revisione del regime di gestione delle crisi, nelle scorse settimane la Commissione ha avviato una consultazione pubblica su una possibile riforma del quadro normativo in materia di aiuti di Stato a banche in difficoltà. L’obiettivo – di cui l’Eurogruppo ha preso atto – è valutare in che misura le norme attuali abbiano contribuito a preservare la stabilità finanziaria, riducendo al minimo le distorsioni della concorrenza e gli oneri per i contribuenti. Verrà inoltre valutato se esistano margini per semplificare le norme e per migliorarne l’interazione con il quadro in materia di gestione delle crisi. È auspicabile che venga mantenuta una ragionevole flessibilità delle regole, a protezione di un corretto bilanciamento tra stabilità finanziaria e tutela della concorrenza.

 

Prossime sfide
La crisi pandemica ha rappresentato il primo banco di prova per valutare l’attuale quadro macroprudenziale in un periodo di stress. Le autorità hanno risposto in modo tempestivo utilizzando diversi strumenti. In alcuni casi sono intervenute rilasciando totalmente o parzialmente la riserva di capitale anticiclica (countercyclical capital buffer, CCyB) o annullandone gli aumenti già programmati; in altri la riserva di capitale a fronte del rischio sistemico (systemic risk buffer, SyRB) o le riserve di capitale per le istituzioni di rilevanza sistemica sono state ridotte o annullate. In paesi come il nostro, in cui le condizioni del ciclo finanziario negli anni precedenti lo scoppio della pandemia non erano state tali da giustificare l’accumulo di riserve di capitale, gli spazi di manovra sono stati inferiori.

Emerge dunque la necessità di accrescere il cosiddetto spazio macroprudenziale a disposizione delle autorità, con l’obiettivo di ampliare la quantità di riserve rilasciabili a fronte di shock sistemici ampi e dirompenti che potrebbero andare oltre la normale fluttuazione ciclica. È auspicabile, inoltre, una armonizzazione, per quanto minima, degli strumenti borrower based (come, ad esempio, i limiti al rapporto tra l’ammontare del prestito erogato e il valore della garanzia prestata), da conseguire sulla base delle raccomandazioni già emanate in materia dal Consiglio europeo per il rischio sistemico.

Nel marzo scorso abbiamo inviato alla Commissione europea e pubblicato sul sito internet della Banca d’Italia la risposta alla consultazione pubblica avviata nell’ambito del riesame periodico delle disposizioni macroprudenziali. È importante che il disegno, l’attivazione e la calibrazione di tali strumenti rimangano di competenza delle autorità nazionali, in considerazione delle eterogeneità dei mercati creditizi e immobiliari nazionali. La BCE, nell’ambito delle sue competenze, potrà al contempo favorire un utilizzo coerente dei vari strumenti tra i diversi paesi.

La difficile situazione sul fronte congiunturale non deve indurre le banche a ridurre l’impegno a rispondere alle sfide di natura strutturale, in particolare a quelle poste dalla doppia transizione tecnologica e verde. Abbassare il livello di attenzione verso questi aspetti comporterebbe infatti la necessità di recuperare nei prossimi anni il tempo perduto, rincorrendo, anziché anticipando, la concorrenza e l’adeguamento alle nuove norme.

Come ho più volte ricordato, l’aumento degli investimenti in nuove tecnologie, l’innovazione di prodotto e di processo, l’adeguamento delle conoscenze dei dirigenti e dei dipendenti delle banche sono elementi assolutamente necessari per rispondere alle pressioni competitive da parte di altri operatori (regolamentati e non) e per aumentare i livelli di efficienza. La strada da percorrere è ancora molta, ma i segnali che percepiamo attraverso le nostre indagini sono incoraggianti.

Secondo una rilevazione effettuata lo scorso anno presso le banche, il ricorso alle applicazioni dell’intelligenza artificiale, seppure ancora contenuto, è in crescita. Esse consentono di aumentare la precisione delle stime della rischiosità della clientela e di ridurre i tempi per la valutazione del merito di credito, favorendo una più rapida erogazione dei prestiti. Dall’indagine emerge anche che mentre le banche sono consapevoli della necessità di adottare modelli che possano essere facilmente interpretabili, non sono altrettanto attente all’esigenza di rafforzare i presidi di governo societario a fronte dei rischi derivanti dall’esternalizzazione dell’attività di valutazione. Vanno altresì rafforzati i presidi volti ad assicurare che i diritti individuali siano adeguatamente protetti e le metodologie applicate non determinino condizioni discriminatorie.

L’erogazione del credito attraverso internet è in aumento. Alla fine dello scorso anno la quota di banche che offrivano prestiti mediante canali digitali alle famiglie e alle imprese era pari, rispettivamente, al 44 e al 25 per cento. La capacità di erogare prestiti da remoto e l’utilizzo di strumenti digitali per la valutazione del merito di credito della clientela hanno permesso agli intermediari caratterizzati da un maggior tasso di innovazione tecnologica di aumentare le proprie quote di mercato durante la crisi pandemica.

La recente accelerazione nell’utilizzo delle nuove tecnologie ha tuttavia esposto a maggiori rischi, che si sono concretizzati in alcuni incidenti cibernetici di rilevante gravità. Con lo scoppio del conflitto in Ucraina i rischi sono tornati ad aumentare; con Consob, IVASS e UIF abbiamo tempestivamente segnalato agli intermediari la necessità di innalzare il livello di attenzione a fronte di attacchi potenziali. In quest’ambito, abbiamo anche sollecitato le banche e i principali fornitori di servizi tecnologici a condurre una valutazione dei rischi legati all’utilizzo di software proveniente dalla Russia. Non ci sono, per ora, evidenze di attacchi informatici nel mercato finanziario riconducibili direttamente al conflitto che abbiano avuto successo.

A fronte dei 12 incidenti segnalati nell’intero 2021, nel primo semestre di quest’anno ne sono stati segnalati 8, di cui 5 riconducibili a un unico attacco perpetrato nei confronti di un fornitore di servizi esterno; l’episodio sottolinea i rischi determinati dalla concentrazione delle esternalizzazioni presso un numero limitato di operatori. A partire dal 2020 la Vigilanza ha intensificato i controlli in questo ambito, con specifiche rilevazioni e ispezioni presso gli stessi fornitori; indagini mirate sono state intraprese anche dalla Sorveglianza nei confronti dei sistemi di pagamento e delle infrastrutture del mercato finanziario.
Come ho ricordato nelle ultime Considerazioni finali, ci sono criptoattività che non hanno alcuna copertura in termini di attività, reali o finanziarie, a fronte delle quali sono emesse; sono quindi prive di un valore intrinseco e soggette a elevatissima volatilità, come del resto hanno mostrato gli episodi che abbiamo recentemente osservato. Ce ne sono altre, invece, che sono emesse a fronte di attività reali o finanziarie; se opportunamente regolamentate ed emesse da soggetti chiaramente identificati, queste ultime potrebbero fornire servizi potenzialmente utili anche, sotto specifiche condizioni, come mezzi di pagamento. Si distinguono anch’esse per diversi gradi di trasparenza e liquidità delle riserve e di disclosure sui loro processi valutativi; si prestano comunque a essere assoggettate a un regime analogo a quello degli strumenti più tradizionali che hanno una funzione simile.

I tempi necessari a introdurre nuove regole non sono sempre compatibili con la rapida diffusione delle innovazioni. In attesa che la materia sia almeno in parte regolata dalle norme europee, sulle quali nei giorni scorsi è stato raggiunto un primo accordo a livello politico, abbiamo pubblicato di recente sul nostro sito una comunicazione intesa a fornire le distinzioni concettuali necessarie, richiamare l’attenzione del pubblico sui rischi, indicare agli operatori professionali alcuni presidi volti ad attenuarli. Continueremo a lavorare insieme con le altre autorità di controllo, con la Consob in particolare, per contribuire alla regolamentazione a tutti i livelli e per attuarla in pratica, con l’obiettivo di promuovere l’innovazione genuina ed evitare i pericoli derivanti da quella meno genuina. È un compito che si intensificherà nel prossimo futuro, anche per costruire un quadro informativo e analitico coerente.

Lo scorso novembre abbiamo reso noti gli esiti di nostri approfondimenti sulle caratteristiche e sui rischi connessi con lo sviluppo dell’open banking, ovvero la condivisione da parte degli intermediari di informazioni sui clienti, previa autorizzazione degli stessi, con società di terze parti. Sebbene il ricorso a questi servizi sia ancora relativamente limitato, il numero di providers coinvolti non è infatti trascurabile. Ai rischi tecnologici per gli intermediari, inclusi quelli derivanti da possibili attacchi cibernetici, si affiancano le esigenze di adeguata tutela della clientela e di presidio dei profili antiriciclaggio, particolarmente importanti in una fase in cui si sviluppano e si applicano nuove tecnologie. Ulteriori problemi possono derivare dall’insediamento delle terze parti al di fuori dell’Unione europea.
La BCE sta per comunicare i risultati dell’esercizio di stress test sui rischi climatici condotto su un campione di 104 banche significative (di cui 10 italiane). Insieme all’analisi tematica in corso, a specifici approfondimenti sulle esposizioni verso il settore immobiliare commerciale e a future ispezioni mirate, l’esercizio contribuisce al dialogo continuo tra supervisore e intermediari volto a rafforzare le capacità di gestire questa nuova tipologia di rischi.
L’esercizio si differenzia da quelli fino ad ora condotti in quanto, oltre alle classiche proiezioni, comprende anche una vasta raccolta di informazioni qualitative e quantitative riguardo alla disponibilità di dati, allo stato di preparazione delle banche nel disegnare adeguati scenari e nel condurre stress test climatici, al modo in cui il loro esito viene incorporato nelle strategie aziendali. Gli intermediari hanno fornito una elevata quantità di dati e informazioni, ma resta ancora molto lavoro da fare per tenere pienamente conto degli effetti dei cambiamenti climatici nei loro modelli e nei piani di sviluppo di medio e lungo termine. Come supervisori, continueremo a guidare le banche in questo percorso, fornendo loro chiare indicazioni e verificando che vengano puntualmente seguite.

Il costante impegno delle banche nella prevenzione e nel contrasto del riciclaggio è essenziale per garantire sia l’integrità del sistema finanziario sia la sana e prudente gestione degli intermediari. La Banca d’Italia sollecita costantemente i soggetti vigilati a monitorare sviluppi e rischi emergenti.
Accanto a quelli tradizionali, legati ad esempio ai reati fiscali e di corruzione, ne stanno emergendo di nuovi: la crisi pandemica ha infatti offerto ulteriori opportunità alla criminalità organizzata, esponendo il sistema economico e finanziario a comportamenti illeciti e fraudolenti, talvolta connessi con l’utilizzo delle misure di sostegno all’economia varate dal Governo. Anche le soluzioni tecnologiche innovative, se da un lato contribuiscono a rafforzare i presidi e i controlli sui flussi finanziari, dall’altro aprono nuovi scenari in cui la criminalità può insinuarsi, sfruttando le debolezze di un quadro normativo non ancora pienamente armonizzato a livello europeo e non ancora al passo con la rapida evoluzione tecnologica.
La complessità e la continua evoluzione di questi rischi necessitano di un’azione di supervisione efficace e tempestiva. La Banca d’Italia ha deciso di rafforzare la propria azione creando una struttura autonoma, l’Unità di Supervisione e normativa antiriciclaggio, che risponde direttamente al Direttorio. La riforma permetterà alla Banca anche di interagire con maggiore efficacia nel nuovo sistema europeo in corso di definizione.

 

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In molti paesi, e certamente nell’area dell’euro, l’inflazione elevata che continuiamo a osservare è una delle principali conseguenze economiche del conflitto in Ucraina. Il Consiglio direttivo della BCE è determinato a riportarla su valori in linea con l’obiettivo di stabilità dei prezzi. Indicazioni confortanti sul fatto che ciò possa avvenire mediante una normalizzazione graduale della politica monetaria e senza causare una brusca frenata dell’economia provengono dalle aspettative d’inflazione di medio-lungo periodo, che restano sostanzialmente ancorate all’obiettivo, e dalla dinamica delle retribuzioni, che non sembra al momento indicare l’avvio di una pericolosa rincorsa tra prezzi e salari.
Affinché l’azione della banca centrale sia efficace è cruciale che non vi siano amplificazioni del costo del denaro in singole giurisdizioni, dovute a reazioni sui mercati finanziari non giustificate dai fondamentali dei diversi paesi. Qualora queste si verificassero, potranno essere contrastate utilizzando con decisione, come già accaduto in passato, tutti gli strumenti in possesso della banca centrale e, se necessario, impiegandone di nuovi. Ma il pieno successo della politica monetaria dipenderà anche dall’impegno condiviso, nei fatti, nelle proposte e nelle richieste di interventi di bilancio, a mantenere i debiti pubblici su un percorso che ne continui ad assicurare la piena sostenibilità. Sarà essenziale, altresì, continuare a rafforzare, con adeguate e ben bilanciate riforme strutturali, le capacità di sviluppo delle economie dell’area dell’euro.

L’economia italiana dovrebbe crescere in linea con l’area dell’euro nel biennio 2022-23. I rischi a livello globale sono però significativi. In questa delicata fase, il contributo che il sistema finanziario è chiamato a fornire sul fronte dell’allocazione dei flussi di credito e del sostegno all’economia è particolarmente importante. Per assolvere a questi compiti occorre affrontare con determinazione le sfide poste dalla difficile e incerta situazione congiunturale, e quelle che derivano, sul piano strutturale, dalla transizione digitale e dagli effetti finanziari del cambiamento climatico. Le banche non potranno prescindere dal continuare a dedicare la massima attenzione ai principi su cui si basa una sana gestione aziendale: prudenza nelle decisioni di accantonamento e di distribuzione; presidio dei rischi, tradizionali e nuovi; trasparenza e correttezza nei confronti della clientela; miglioramento dei livelli di efficienza e contenimento dei costi, anche attraverso gli indispensabili investimenti nell’innovazione tecnologica. L’esperienza degli ultimi anni mostra che gli intermediari italiani dispongono delle capacità per superare le sfide cui sono oggi chiamati; vanno applicate con assiduità e lungimiranza.

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