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APSS TRENTINO / UNITÀ OPERATIVE PSICHIATRIA * DELITTO ROVERETO – LETTERA ALLA STAMPA: « CI SI ASPETTA CHE I SERVIZI DI SALUTE MENTALE SI FACCIANO GARANTI DELL’ORDINE PUBBLICO »

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13.28 - giovedì 24 agosto 2023

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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Inoltriamo con preghiera di pubblicazione e diffusione la lettera redatta da un gruppo di professionisti delle Unità Operative di psichiatria del Dipartimento transmurale Salute Mentale, e sottoscritta da 92 operatori di cui:
24 psichiatri
17 Tecnici della riabilitazione psichiatrica (TerP)
16 infermieri
16 educatori professionali
4 operatori
1 operatore socio-sanitario (OSS)
12 esperti in supporto tra pari (ESP)
2 membri del Gruppo di Progettazione Partecipata (GPP).
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In qualità di professionisti operanti all’interno dei Servizi di Salute Mentale della provincia di Trento sentiamo forte il bisogno di condividere con la cittadinanza e le istituzioni alcune riflessioni scaturite dai recenti fatti di cronaca e dal dibattito che tali fatti hanno generato.

Siamo infatti consapevoli dello sgomento che tali accadimenti hanno comprensibilmente indotto nella comunità, di cui noi stessi facciamo parte e alla quale in via preferenziale vorremmo rivolgerci, sperando di riuscire ad utilizzare un linguaggio che sia il più possibile accessibile anche a coloro che non conoscono il mondo della Salute Mentale.

Purtroppo, in queste ultime settimane, sono state rilasciate sui giornali molteplici dichiarazioni a nostro avviso spesso imprecise, quando non addirittura fuorvianti, con il rischio da un lato di confondere e disorientare ulteriormente chi si approccia a tematiche tutt’altro che semplici, dall’altro di alimentare lo stigma ed i pregiudizi che malauguratamente accompagnano ancora la nostra disciplina.

È ormai sentore comune di gran parte degli operatori e delle operatrici della Salute Mentale (non solo trentina) che vi sia la tendenza generale a vedere nella Psichiatria il deus ex machina da invocare ogniqualvolta accada intorno a noi qualcosa di sgradevole, qualcosa di inconcepibile, qualcosa che tutti noi preferiremmo non vedere e quindi rimuovere dalla nostra società. Quel qualcosa che una volta sarebbe stato definito “pericoloso per sé e per gli altri e di pubblico scandalo”, come recitava la Legge 36 del 1904 relativa alle disposizioni sui manicomi e sugli alienati, che ha portato a confinare nelle quattro mura di un manicomio, a salvaguardia della morale e della sicurezza dei “bravi cittadini”, tutta una serie di personaggi scomodi che gran poco avevano a che fare con la patologia psichiatrica.

Fortunatamente, grazie alla Legge Basaglia del 1978 che ha decretato la chiusura dei manicomi in quanto luoghi di morte civile oltre che fisica, è stata superata quella visione che vedeva nello psichiatra il “controllore” dei suoi pazienti, per lasciare posto ad una Psichiatria di comunità che mette la persona al centro del suo percorso di cura con l’obiettivo di creare un’alleanza positiva e sinergica tra professionisti, utenti e familiari degli utenti.
Questa è la Psichiatria che ci piace e che abbiamo scelto di praticare per passione e per vocazione, oltre ad essere l’approccio che nel tempo si è dimostrato senza dubbio vincente nel dare una risposta efficace e soddisfacente a tutte quelle persone che convivono con qualche forma di disagio psichico.

Tuttavia, da un po’ di tempo a questa parte, siamo molto preoccupati per la nuova deriva che si sta diffondendo nella società e in gran parte delle istituzioni per cui ci si aspetterebbe che i Servizi di Salute Mentale si facessero garanti dell’ordine pubblico, prevedendo, prevenendo e contenendo il compiersi di eventuali reati tutte le volte in cui si ipotizzi una minaccia in tal senso.

Del resto, in una società dove l’esistenza del male, della sofferenza e finanche della morte è considerata un grande tabù, comprendiamo come sia più semplice e rassicurante immaginare che alla base di ogni atto violento e criminale ci sia una patologia psichiatrica che lo giustifichi. Infatti, se il male è causato da una patologia, basta curare la patologia per evitare che il male si compia.

Per quanto non sia facile da accettare, dobbiamo però dirci con onestà che le cose non stanno così. Fino a prova contraria, le persone sono libere di scegliere, anche di compiere il male, e va loro restituita la responsabilità delle proprie azioni.

Se non accettiamo questo, si corre il rischio (purtroppo già realtà) di delegare in toto ai Servizi di Salute Mentale la gestione di problemi che non possono trovare soluzioni unicamente nella Psichiatria. Non si può pensare infatti che un TSO o la riapertura di strutture simil-manicomiali (più volte caldeggiata da qualcuno) possano essere la panacea di tutti i mali. Il problema è molto complesso e, come tale, merita una risposta altrettanto articolata.

Nel caso specifico dell’efferato delitto avvenuto il 5 agosto, sarà necessario acquisire maggiori informazioni per comprendere appieno cosa sia accaduto quella notte e se effettivamente si sarebbe potuto fare qualcosa per evitarlo. Quello che è certo, però, è che l’autore del reato viveva una innegabile condizione di forte disagio sociale e, con tutta probabilità, esistenziale, dal momento che si trovava in un paese straniero, senza fissa dimora, senza lavoro, separato da moglie e figli collocati altrove. Se partiamo dal presupposto che, non tutti, ma molti dei reati maturano all’interno di contesti di grande disagio sociale, di povertà a tutti i livelli, di alienazione che genera devianza, una delle risposte per provare a contenere la criminalità che da essi scaturisce è quella di agire su questi contesti per modificarli e ridurre in tal modo i rischi di potenziali degenerazioni.

Di esempi virtuosi se ne potrebbero citare tanti, uno su tutti la storia del signore nigeriano di 41 anni pubblicata sui giornali nei giorni scorsi. Ex guerrigliero, ex clandestino, ex spacciatore, ha cambiato vita dopo l’incontro con una figura educativa avvenuto in carcere, incontro che gli ha offerto una seconda possibilità. Oggi quel signore è un uomo nuovo e ricopre il preziosissimo ruolo di collaboratore presso il Centro di Salute Mentale di Trento.

In conclusione, cosa fare? Crediamo che la risposta a questa domanda debba essere necessariamente corale. Il nostro lavoro ci ricorda ogni giorno l’importanza di fare rete tra servizi e tra persone. Per questo proponiamo che i servizi (sanitari e sociali), le istituzioni, l’associazionismo, i rappresentanti dei cittadini possano sedersi tutti allo stesso tavolo per dialogare tra loro, approcciare il problema a 360° ed individuare soluzioni concrete, efficaci e condivise.

Siamo convinti infatti che l’intervento di tutti (Servizi, Istituzioni e cittadini) sia imprescindibile per promuovere la Salute come bene individuale e della collettività al fine di dare vita ad una società attenta a sostenere tutti, in particolare le persone più fragili, e prevenire così il diffondersi di situazioni potenzialmente ad alto rischio.

 

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