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UNITRENTO * INAUGURAZIONE ANNO ACCADEMICO 2023/24: DEFLORIAN, « PROVIAMO AD AVERE LO STESSO PASSO, LO DOBBIAMO ALLE GENERAZIONI CHE VERRANNO »

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15.10 - mercoledì 15 novembre 2023

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota inviata all’Agenzia Opinione) –

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Noi, di mestiere, guardiamo al futuro. Spesso per questo l’università ha un passo più lungo, ha una visione che guarda più in là. Lo dobbiamo fare perché è nella natura delle cose che facciamo, per la formazione dei giovani, per le sfide della ricerca. La politica deve spesso affrontare i problemi quotidiani e ha un passo diverso. Io vorrei che provassimo ad avere lo stesso passo. Un cambio di passo per tutti, ma che sia in qualche modo sincronizzato e che si possa guardare non solo all’oggi, ma anche a domani e dopodomani. Lo dobbiamo alle generazioni che verranno. A queste condizioni credo che l’università potrà continuare a svolgere un ruolo propulsivo, di motore culturale e sociale, accompagnando, preparando e determinando i cambiamenti che ci aspettano in futuro». È un messaggio diretto all’intera comunità trentina, alle sue realtà sociali ed economiche e al suo prossimo governo provinciale quello pronunciato oggi dal palco del Teatro Sociale dal rettore Flavio Deflorian.

Un invito ad «Alzare lo sguardo in questo momento particolare, partendo dalla riflessione sull’impatto dell’università sul territorio che la ospita». L’occasione è la tradizionale inaugurazione dell’anno accademico 2023/24, appuntamento che riunisce l’accademia, ma che l’Ateneo quest’anno ha voluto idealmente aprire ancora di più alla cittadinanza, tenendolo nel Teatro Sociale, luogo che come le aule universitarie è simbolo di cultura e creatività.

Una riflessione, quella del rettore, che parte dalle più semplici considerazioni sull’indotto che la presenza degli studenti genera sul territorio, citando alcuni dati pubblicati di recente dal Sole 24 Ore: «Ogni fuori sede sostiene, lontano da casa, una spesa media annua indicativamente attorno ai diecimila euro. Se pensiamo che a Trento, grazie alla sua capacità di attrazione, i fuori sede sono poco più di 10mila, pari al 62% del totale degli iscritti, il calcolo è presto fatto».
Ma misurare l’impatto va molto oltre l’aspetto economico: «Ogni anno l’Università forma migliaia di giovani uomini e donne dotati di conoscenze e competenze fondamentali per le imprese, le aziende e le istituzioni pubbliche locali. Più del 50% dei laureati in Italia, anche a Trento, rappresenta la prima generazione che consegue la laurea all’interno del proprio ambito familiare. Quindi l’università sta ancora svolgendo una funzione sociale importante perché dà ai giovani l’occasione di sviluppare il proprio futuro, indipendentemente dalla condizione sociale di partenza. Questo si riallaccia al principio costituzionale del diritto allo studio, garantito fino ai massimi livelli a chi si impegna ed è meritevole, a prescindere dai mezzi. Per rendere questo diritto effettivo è necessario agire sul supporto agli studenti. Ma questo non è un valore aggiunto, opzionale: è un obbligo costituzionale».
Il rettore ha ricordato, sempre a proposito di impatto, i finanziamenti nazionali e internazionali che UniTrento ha portato negli anni: 35 milioni di finanziamenti vincolati ottenuti dal Programma europeo Horizon Europe 2021-2027 che hanno posizionato Trento tra le prime dieci università italiane per progetti vinti. A cui si aggiungono gli 8 progetti dell’European Research Council e i 14 milioni di euro dal programma ministeriale PRIN 2022 (in cui un terzo dei ricercatori e delle ricercatrici sono under 40 anni). Risultati che consolidano la reputazione dell’Ateneo e per esteso di tutto il Trentino.

Un’università forte rende il territorio più resiliente. «Ma riusciremo a farlo ancora in futuro? E come potremo rendere questo impatto ancora più efficace?» Si è chiesto il rettore. Dando poi una risposta: «Facendo bene il nostro dovere: la didattica, la ricerca e la terza missione. Ma questo è solo il punto di partenza. Se ci guarderemo indietro con soddisfazione dipenderà anche da come saremo capaci di contribuire, nel nostro piccolo, ad affrontare le grandi sfide del futuro: la salute e l’invecchiamento della popolazione, il cambiamento climatico, cruciale per il nostro Trentino vocato a turismo e agricoltura; l’intelligenza artificiale; le instabilità geopolitiche attorno a noi e i movimenti migratori spesso a loro collegate. Non solo un contributo accademico, ma anche uno strumento utile perché le persone siano più attrezzate per affrontare queste grandi sfide».

La leva per continuare ad avere impatto è la fiducia, secondo il rettore: «Noi come università dobbiamo avere fiducia che chi rappresenta democraticamente la comunità sappia cogliere le sfide e lavorare in sinergia con noi. E chiediamo la stessa fiducia nei nostri confronti perché si possa continuare a lavorare bene insieme. Siamo davanti a una nuova legislatura. È forse il momento buono per fare una programmazione oltre il quotidiano e chiederci cosa vogliamo fare nei prossimi anni e come. Se condividiamo gli obiettivi e le strategie per raggiungerli, il problema delle risorse diventa conseguente. Non è un problema di bilancio, ma di prospettiva futura».
Della condizione dei giovani che intraprendono gli studi universitari ha parlato il presidente del consiglio degli studenti Gabriele di Fazio nel suo intervento: «Mancano alcune misure che possano permettere a persone che vivono situazioni di svantaggio economico di proseguire serenamente gli studi universitari. Non si tratta di una problematica secondaria, o di un vezzo. È anzi uno dei temi più importanti che le istituzioni universitarie tutte e gli enti pubblici territoriali si dovrebbero porre.

I dati Eurostat ci dicono che in Italia solo il 29,2% dei giovani tra i 25 e i 35 anni è in possesso di un titolo di laurea almeno triennale. È la percentuale più bassa in Europa, dopo la Romania. E il 20% dei giovani tra 15 e 20 anni è tra i “Neet”, giovani che non lavorano, non studiano e non si formano. Le ragioni sono varie. Per alcuni, l’università rappresenta ancora un costo insormontabile, tra spese per le tasse, per i libri, per l’affitto da fuorisede. Per altri manca il tempo perché si trovano a dover conciliare lo studio con un lavoro per mantenersi. E poi, perché l’investimento, in termini di tempo e risorse, nell’educazione universitaria, è spesso poco o mal corrisposto nel mondo del lavoro. Molti, di conseguenza, sono indotti a fuggire all’estero». E poi un invito diretto alla Provincia autonoma attraverso lo strumento della delega a sostenere l’Università: «È un esperimento che può dare frutti, qualora si intendesse davvero investire in ricerca, innovazione e istruzione per il progresso economico, culturale e sociale del territorio, con una programmazione seria e lungimirante».

Di cultura e ricerca come elementi qualificanti per il territorio si è parlato anche nell’intervento del presidente Daniele Finocchiaro, assente per motivi di salute. Il suo discorso, letto da Paola Fandella, componente del Consiglio di amministrazione, ha ricordato alcuni passaggi del Piano strategico varato dall’Ateneo: «In quel documento l’Università di Trento è descritta come un laboratorio di idee. Siamo una “research-intensive university”, un luogo dove è possibile sperimentare e fare la differenza. Nella ricerca, ad esempio, questo è fondamentale. Perché la ricerca è fatta per sua natura di tentativi, e non sempre riesce a considerare le leggi del mercato e a trovare soluzioni immediate ai problemi. Anzi. Come ha detto il Presidente della Repubblica Mattarella è stata il motore primo del progresso dell’umanità ed è garanzia di futuro. È vero, la comunità scientifica è in grado di raccogliere e sviluppare idee, di muoversi in un contesto ricco di stimoli, di confrontarsi con altre studiose e studiosi, cercando di anticipare le sfide per le quali è bene essere pronti domani. Uno sguardo schietto e genuino che va al di là delle logiche territoriali e della necessità di avere un impatto istantaneo. Tuttavia, occorre ricordare che fare ricerca, oltre a fondi e risorse, è più di ogni altra cosa una grande impresa collettiva. Richiede impegno comune, collaborazione, sostegno reciproco, fiducia».

Infine un riferimento al il Pnrr: «L’Università di Trento sta riuscendo ad essere il catalizzatore di un sistema locale della ricerca, integrato con gli altri enti di ricerca del territorio e con la pubblica amministrazione. Essere un baricentro di questo sistema è un grande onore che l’Università accoglie con piacere, ma anche una grande responsabilità, verso sé stessa e verso il territorio».
Dello slancio con cui l’Ateneo ha risposto alla chiamata del Pnrr ha parlato anche la dirigente della Direzione Servizi alla ricerca e valorizzazione, Vanessa Ravagni: «Un piano ambizioso per il sistema della formazione e della ricerca, con investimenti, riforme e progetti, vincolati a realizzare attività e a raggiungere risultati misurabili. Ma soprattutto volti a rafforzare le relazioni tra il mondo della ricerca, quello delle imprese e della società nel suo complesso. E che riconosce il ruolo centrale delle università per la crescita e lo sviluppo del nostro Paese. Anche se la partecipazione non è stata semplice: regole complesse, tempi stretti per la presentazione dei progetti e l’impegno di tutte e tutti per raggiungere risultati di impatto in un periodo breve. Un quadro diverso rispetto a quello di programmi di finanziamento europei ed internazionali già da anni conosciuti, che abbiamo affrontato insieme ad altri attori del sistema della ricerca ed innovazione in Trentino, con atenei ed enti di ricerca nazionali, ma anche con il sistema imprenditoriale e produttivo locale e nazionale».

E sullo sforzo della macchina organizzativa interna: «La ricerca necessita di risorse continue, che sempre di più provengono da bandi competitivi, che non sempre consentono di mantenere un flusso stabile di finanziamenti. L’eccellenza scientifica è quindi affiancata da competenze tecniche e amministrative su più fasi: dalla redazione di un budget di progetto, alla rendicontazione finanziaria, fino alla pubblicazione e valorizzazione dei risultati; inoltre opera su più fronti come ad esempio nel campo dell’assunzione di personale, acquisti di materiali, messa a disposizione di infrastrutture e attrezzature. Ecco perché, quando in Ateneo si vince un progetto a livello nazionale o internazionale, noi tutti della struttura tecnico amministrativa siamo orgogliosi dei risultati e onorati di aver dato il nostro contributo, piccolo o grande che sia»

In chiusura della cerimonia l’attesa prolusione dell’ospite, Andrea Rinaldo, professore dell’Università di Padova e della Scuola politecnica federale di Losanna, vincitore dello “Stockholm Water Prize” considerato il “Premio Nobel dell’acqua”. Al centro del suo intervento, dal titolo “Il governo dell’acqua nel mondo che cambia”, il tema della risorsa idrica, della sua gestione condizionata dai cambiamenti climatici e delle disuguaglianze sociali determinate da una iniqua distribuzione. «I cambiamenti climatici ci sono sempre stati, ma non con questa rapidità. Questo è ciò che ci deve preoccupare. I dati degli ultimi 300 anni dimostrano che gli indicatori della qualità della biosfera e quelli economici e sociali sono piatti fino al 1950. Poi cominciano a crescere e ad andare fuori controllo. Ecco allora piene e siccità. Fenomeni estremi che si rincorrono e che sono due facce della stessa medaglia», ha spiegato il docente. «Il clima sta cambiando molto velocemente e dobbiamo farlo anche noi», ha esortato. Nel suo discorso ha citato la disastrosa alluvione che interessò Trento nel 1966 e la dibattuta costruzione della diga di Valda.

Rinaldo ha anche parlato del suo legame speciale con l’Ateneo trentino. È stato infatti il primo direttore del Dipartimento di Ingegneria civile e ambientale dell’Università di Trento, dal 1989 al 1991. La sua permanenza nell’ateneo trentino è durata sette anni, dal 1985 al 1992. «Quella di Trento è stata un’esperienza straordinariamente formativa dal punto di vista accademico. Ho visto la città cambiare per effetto della presenza dell’Università. Allora era appena nata e il clima era vibrante di speranze e ambizioni. Autorizzava a guardare lontano e a scegliere percorsi ambiziosi» ha ricordato citando tra gli altri anche il rettore di allora, Fabio Ferrari, «uomo di grandissima visione». E sulle motivazioni che hanno portato all’assegnazione dello “Stockholm water prize”: «Le grandi università hanno un’identità, una vocazione, una grande capacità di fare. E questo l’ateneo trentino ce l’ha. Ateneo che mi ha consentito di raggiungere il riconoscimento che ho ricevuto. Vanno bene i riconoscimenti, ma per averli occorre una comunità coesa, orgogliosa di questa università. E se questa vuole guardare lontano deve poterlo fare. L’Università è un investimento, non è un costo. É motore per lo sviluppo economico e sociale del territorio. Spero che la politica sappia supportare queste ambizioni».

Novità della cerimonia di inaugurazione di quest’anno è stata la consegna, per la prima volta, dei tre premi alla ricerca di qualità, assegnati a chi in Ateneo si è distinto nel contribuire alle attività di ricerca. Due premi scientifici divisi per le diverse fasi della carriera: early career e mid/late career. A ottenere il primo è stato Nicola Segata professore al Dipartimento di Biologia cellulare, computazionale e integrata – Cibio “per gli studi innovativi di metagenomica in materia di diversità del microbioma umano, il suo ruolo nella disbiosi, nelle infezioni e nell’insorgenza di patologie umane, portando in pochi anni il suo laboratorio ad essere leader internazionale nell’ambito della metagenomica computazionale”.

A Lorenzo Bruzzone, professore al Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’informazione il premio mid/late career “per essersi distinto negli ambiti del telerilevamento, radar, elaborazione segnali e intelligenza artificiale applicata all’osservazione terrestre e all’esplorazione planetaria, coordinando progetti di ricerca di spicco a livello nazionale e internazionale, svolgendo anche ruoli di primo piano nell’ambito di numerose organizzazioni scientifiche internazionali”.
Il terzo premio, “open prize” è stato assegnato quest’anno a chi, tra il personale tecnico e amministrativo, si è distinto nel supportare la grande crescita nelle attività di ricerca che il nostro Ateneo sta realizzando con successo. Questo premio è stato conferito a Daniela Dalmaso, della Direzione Servizi alla ricerca e valorizzazione “per aver supportato significativamente le strutture accademiche nella redazione e nella gestione dei progetti vincitori delle due edizioni dell’iniziativa Dipartimenti di eccellenza dell’Ateneo”.

A consegnare i premi insieme al rettore Deflorian anche la prorettrice alla ricerca Francesca Demichelis che ha commentato: «I premi di oggi, simbolici e non pecuniari, sono un modo per riconoscere pubblicamente il merito dei singoli nel raggiungere un risultato di eccellenza nell’ambito della ricerca, contribuendo così ad accrescere il prestigio e l’attrattività dell’Università di Trento nel suo complesso. Quest’anno, per i due premi scientifici abbiamo deciso di operare una valutazione nelle aree scientifiche che si possono esaminare attraverso indicatori bibliometrici, che misurano la qualità della produzione scientifica e l’impatto nella comunità accademica di riferimento. Il prossimo anno, invece, in un’ottica di alternanza tra settori disciplinari, valuteremo indicatori diversi, così da considerare le aree che non sono adeguatamente rappresentate da questi indici. Mi auguro che questi premi diventino un appuntamento ricorrente e sentito del nostro Ateneo, anche oltre il campo d’azione dell’attuale Piano strategico».
La cerimonia è stata accompagnata da alcuni brani musicali da parte della Corale polifonica e Orchestra UniTrento che ha eseguito dal vivo anche l’inno Gaudeamus Igitur all’inizio e in conclusione di cerimonia. Durante la cerimonia è stato previsto il servizio LIS (Lingua dei Segni Italiana). Presto sarà disponibile la registrazione della cerimonia.

 

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©UniTrento ph. Pierluigi Cattani Faggion e Videoframe

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