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GIORGIO TONINI * ELEZIONI: « AREA RIFORMISTA, IL FILO DELLA RICOMPOSIZIONE ANDRÀ RIPRESO IN MANO PER RILANCIARE UN CICLO RIFORMATORE AL GOVERNO DEL PAESE »

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09.49 - domenica 21 agosto 2022

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –

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Si sente dire da più parti che con l’accordo territoriale sul Senato, il Pd si è “sacrificato” (qualcuno usa anche espressioni più colorite) in nome della coalizione, magari cedendo ai “ricatti” di questo o di quello. Nulla di più sbagliato e fuorviante. Perseguendo con tenacia e pazienza la via dell’accordo di coalizione, il Pd del Trentino (con la sua segretaria Lucia Maestri) ha semplicemente fatto il Pd, ossia ha svolto la funzione per la quale è nato.

Alfredo Reichlin, un grande, storico dirigente del Pci, che ho avuto l’onore di conoscere e col quale, negli anni della fondazione del Pd, ho avuto il piacere di ragionare a lungo di storia e politica, mi ha insegnato che l’identità di un partito non è qualcosa di astratto, ma è definita dalla funzione storica che il partito intende e riesce a svolgere. Questo, diceva Reichlin, era il pensiero di Togliatti sul Pci. Credo che Degasperi, con parole diverse, avrebbe detto la stessa cosa della Democrazia cristiana.

Ebbene, la funzione storica del Pd, dunque la sua stessa identità, è quella definita da Romano Prodi e Walter Veltroni: il Pd vuole essere la casa comune dei riformisti. Il Pd è nato per riunire le culture riformiste, a lungo divise e pertanto minoritarie, e portarle al governo del Paese, per dare all’Italia quel ciclo riformatore che, al contrario degli altri grandi paesi europei, non ha mai conosciuto, se non per brevi stagioni bruscamente interrotte. Questa è la funzione del Pd, la grande ambizione storica che sta alla base della sua stessa esistenza. Il Pd non è un partitino identitario, che si definisce per differenza. Vuole (vorrebbe?) essere una grande forza, che fa della capacità di attrarre, accogliere, valorizzare e portare a sintesi le diverse anime del riformismo italiano, la sua missione storica.

Negli Stati Uniti d’America, il Partito democratico raccoglie e organizza al suo interno tutte le diverse anime del riformismo progressista. In Europa (e ancor più in Italia) questo sogno unitario deve fare i conti con una tradizione più complessa, secondo la quale il sistema politico si struttura in coalizioni di partiti, più che in partiti-coalizione. Ma anche le coalizioni, se vogliono essere un sistema strutturato e coeso e non un caotico e disordinato campo di forze, devono organizzarsi attorno ad una forza che, per dimensioni e “vocazione maggioritaria”, agisca da centro gravitazionale. Senza tentazioni egemoniche, ma anzi rispettando e valorizzando tutti gli alleati e, per così dire, mettendosi al servizio della coalizione. Questa è stata a lungo, in Italia, la funzione della Dc nell’area di governo e del Pci in quella di opposizione.

Questa è la funzione che, oggi, il Pd di Enrico Letta sta cercando di svolgere nel centrosinistra italiano. Con un limite oggettivo, certamente non imputabile alla volontà soggettiva del leader del Pd: Azione di Calenda e Italia Viva di Renzi, formazioni entrambe di profilo riformista e in gran parte figlie di scissioni dal Pd, almeno in questa fase, si sono chiamate fuori da questo tentativo. Non serve a molto discutere sulle responsabilità di questa situazione. Più utile sarebbe convergere sulla constatazione che la riproposizione dello schema della divisione e perfino competizione tra i riformisti rende il riformismo nel suo insieme più debole e in definitiva subalterno. Più esposto al rischio della sconfitta, a vantaggio di una destra tutt’altro che “pronta” alla sfida del governo del Paese, come dimostra la stessa campagna mediatica di Giorgia Meloni, basata sulla ripetizione di un messaggio che risuona come una grande “excusatio non petita”.

Qualunque sarà il risultato che uscirà dalle urne il 25 settembre, il filo della ricomposizione dell’area riformista andrà quindi ripreso in mano e utilizzato con intelligenza e lungimiranza: per ricucire gli strappi, ricostruire un sistema organizzato, rafforzare e rilanciare la prospettiva di un ciclo riformatore al Governo del Paese.

Visto sotto questa luce, l’ampio accordo territoriale sui tre collegi del Senato in Trentino è dunque tutt’altro che un mero espediente tecnico-elettorale. È un esperimento politico. Figlio della felice anomalia di una legge elettorale che la nostra autonomia speciale rende diversa dal resto d’Italia e che certamente incentiva le aggregazioni. Ma anche frutto del lavoro di ricostruzione dell’Alleanza democratica per l’Autonomia, sperimentata con successo, nelle diverse forme che ha assunto in molti comuni del Trentino, alle amministrative del 2020. Finalizzato a dare consistenza politica e programmatica ad una proposta per il governo della Provincia autonoma (e della Regione), da avanzare agli elettori nel 2023. E orientato anche dalla doverosa ambizione di fare della nostra autonomia un piccolo laboratorio politico utile al Paese. Come il Trentino ha saputo essere in più di un passaggio storico della travagliata vicenda della difficile democrazia italiana.

 

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Giorgio Tonini

Consiglio provincia Trento (Pd)

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