(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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La vicenda del sottomarino italiano di cui si è parlato oggi nell’Aula Bunker dell’Ucciardone a Palermo, era emersa nella precedente udienza del processo OpenArms grazie alle dichiarazioni del dirigente del Viminale Fabrizio Mancini.
Egli aveva confermato la presenza del sommergibile Venuti della Marina. Il primo agosto 2019 l’unità subacquea aveva ripreso, fotografato e registrato OpenArms e il barcone carico di 50 migranti. Parole – quelle di Mancini – che avevano fatto attivare la procura, con tanto di richiesta ufficiale alla Marina: esiste un’informativa? Se sì, perché non è stata trasmessa?
Risposta: esiste ed è stata trasmessa.
Una rivelazione fondamentale.
Significa che in quell’agosto 2019 c’erano dei sospetti sull’attività della ong, informazione che però non era arrivata sul tavolo del Tar che poco dopo aveva deciso di bocciare il provvedimento dell’allora Ministro Matteo Salvini (che vietava l’ingresso della nave in acque territoriali italiane).
Il tribunale amministrativo aveva ritenuto non ci fossero ombre sulla condotta della ong.
Invece, l’informativa avrebbe potuto riscrivere la vicenda: emerge che due persone, di cui una “probabilmente a bordo” della
OpenArms, parlavano in spagnolo e che verosimilmente si trovavano a poca distanza l’una dall’altra. Fatto sta, si legge nell’informativa, che dopo questo dialogo la OpenArms aveva cambiato rotta senza motivo apparente: guardacaso, si era
avvicinata al punto esatto dove era presente un barchino con dei migranti.
Secondo la difesa di Salvini, rappresentata dall’avvocato Giulia Bongiorno, il materiale potrebbe provare la presenza di scafisti e di comunicazioni rilevanti con la ong.
Il materiale è rimasto chiuso in qualche cassetto nonostante fosse stato segnalato (come è risultato da successivi approfondimenti) alle procure di Catania, Siracusa, Ragusa, Messina, Palermo, Agrigento, Sciacca e Roma.
Eppure né il Tar, né la difesa né il Parlamento – che poi decise di mandare a processo Salvini – né il Gup hanno potuto visionare e conoscere un materiale così rilevante e che può riscrivere la storia di un processo dove l’allora ministro dell’Interno rischia fino a 15 anni di carcere.
Così fonti vicine a Salvini.