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FONDAZIONE DEGASPERI * “LECTIO 2023” – PIEVE TESINO (TN): DE PRETIS, « «UN’AUTONOMIA OLTRE I CONFINI, LO STATISTA E IL PRIMATO DEL BENE COMUNE »

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19.19 - venerdì 18 agosto 2023

Lectio degasperiana 2023 – Pieve Tesino, 18 agosto 2023

«Una Autonomia oltre i confini». De Gasperi e il primato del bene comune.

di Daria de Pretis – Vice Presidente Corte costituzionale

 

Storie di confine
L’idea di costruire questa riflessione sull’autonomia intorno al concetto di confine nasce da una constatazione e da una convinzione.
La constatazione è quanto il confine sia stato decisivo nella vita di Alcide De Gasperi e nell’esperienza dell’autonomia di questa terra. Nell’una e nell’altra confini e autonomia si sono intrecciati in una storia comune.

La convinzione è che, anche nella prospettiva dell’autonomia, il confine non è solo limite, difesa dall’esterno, chiusura, ma può essere linea di collegamento, luogo di relazione e di scambio, cerniera fra le diversità che delimita, apertura. Questo secondo senso del confine su cui costruire per il bene di tutti, ispira il pensiero e l’azione di Alcide De Gasperi.

Uomo di confine – come tante volte è stato messo in evidenza, in una lettura che lo accomuna in questo tratto ad altri uomini di confine, Schuman e Adenauer fra tutti, che, insieme a lui, costruirono l’Europa – non visse mai il confine come un muro da abbattere, né un recinto dentro cui rinchiudere un’autonomia difensiva. Per lui la frontiera fu una realtà concreta, da accettare nella sua esistenza e nella sua potenziale instabilità, e al tempo stesso da valorizzare, creando sul suo crinale relazioni positive proiettate a obiettivi di pacifica convivenza.

In questo modo di interpretate il confine nella vicenda di un popolo che aspirava ad autogovernarsi è stata centrale un’idea concreta, mai ideologica, sempre politica, di autonomia. Dell’autonomia, De Gasperi, più che parlare fece pratica costante in tutte le diverse e inaspettate situazioni in cui si trovò a operare, nello straordinario percorso della sua esistenza. Ispirato non a un’idea astratta, tantomeno a un’idea definitiva o autoreferenziale di autonomia, ma sempre all’obiettivo di realizzare attraverso essa il buon governo, la buona amministrazione, l’interesse generale.

Sono rarissime le definizioni di autonomia nei suoi scritti e nei suoi discorsi, e non sono molti nemmeno i riferimenti.
L’autonomia fu per lui una serie di invenzioni pratiche, che traevano origine dalla storia dei popoli, ma si venivano delineando di volta in volta secondo modelli diversi in ragione di confini sempre decisi altrove: la frontiera dell’impero, quella italiana ridefinita al termine della Prima guerra mondiale, quella confermata dagli Alleati al termine della seconda. Sempre nella consapevolezza del carattere relativo di quei confini e della necessità di trovare, con impegno e pazienza, soluzioni che garantissero al di là di essi, convivenza, benessere e pace. Di qui l’idea di guardare all’autonomia “oltre i confini”.

 

Un confine mobile
Nato nel Trentino asburgico ed eletto rappresentante della sua comunità alla Camera dei deputati del Reichsrat, De Gasperi non fu un irredentista. Difese, a Vienna, quella minoranza lontana che era il suo Trentino, occupandosi essenzialmente di cose concrete, sia in tempo di pace – per tutte l’agognata università italiana dell’Impero – sia poi ancora di più con la guerra. Quando la posizione di quella minoranza divenne critica, per l’identità italiana prima ancora che per la collocazione sulla linea del fronte italiano, dedicò la sua attenzione ai soldati di lingua italiana, offesi e maltrattati per questo, e alla popolazione deportata nei campi profughi.

Cura e preoccupazione – più che rivendicazioni – che già manifestano lo stile del suo approccio realistico e concreto: la ricerca di un equilibrio possibile su un confine che egli non metteva in discussione, ma in nome del quale chiedeva riconoscimento e rispetto di una peculiare condizione collettiva. In una logica che non era di rottura, ma di paziente composizione degli interessi in campo. Senza venire mai meno, anche nei frangenti più tragici, a quella visione universalistica dell’umanità che sta alla base del suo pensiero politico e trae origine dalle sue convinzioni religiose più profonde.

Nel suo penultimo discorso alla Camera dei Deputati di Vienna, nel 1918, ormai a ridosso del crollo dell’Impero, quando le sorti di tutti, comprese quelle del Trentino, sono ancora completamente incerte, De Gasperi resta fedele al suo spirito costruttivo e cita Dante: «Abbiamo fiducia in noi […] “da questo inferno di orrore e tormento” finalmente risorgeremo per approdare come il nostro divino poeta sull’isola della luce, davanti al mare aperto, sul quale si avvicinano gli spiriti, cantando in coro «In exitu de Aegypto, con quanto di quel salmo è poscia scritto”».

Con la fine della guerra il confine si muove e determina quello che lo stesso De Gasperi chiama il «capovolgimento della situazione sulla nostra frontiera alpina». Le parti delle popolazioni sul suo crinale si invertono: la popolazione di lingua tedesca del Tirolo del Sud si trova ora nella condizione dei trentini nell’impero asburgico.

Anche nella nuova realtà italiana, il tema dell’autonomia del Trentino resta presentissimo – anche se ora meno esclusivo – nella sua riflessione, ma, di nuovo, tutto è tranne che retorica identitaria o rivendicazione riducibile alla pretesa di un trattamento particolare.
Si intreccia invece con una pluralità di temi che vanno oltre i confini della terra di origine e della sua autonomia. Certo, ci sono l’attenzione – e la richiesta di attenzione – per le «tendenze particolari in materia di amministrazione» e le «preoccupazioni d’indole economico-sociale» per quei peculiari istituti e organismi che vi sono nel Trentino in materia di organizzazione pubblica e che «vanno assolutamente conservati». Ma non è solo questo che lo porta a «chiedere ad alta voce il mantenimento sostanziale dell’autonomia provinciale», e, in logica connessione con essa, anche dell’autonomia comunale.

C’è in primo piano l’assillo – slegato dalla mera esigenza di preservare le caratteristiche della buona tradizione trentina – per le insidie quotidiane della burocrazia statale, in cui non si ritrovano quei «criteri d’ordine, di serietà, di metodo» ritenuti assolutamente indispensabili per una buona amministrazione.

 

 

 

 

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