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CGIA – MESTRE * AIUTI DA BRUXELLES: « 125 MILIARDI ALLE REGIONI ITALIANE, MA AUMENTA IL DIVARIO TRA NORD E MEZZOGIORNO »

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09.33 - sabato 6 aprile 2024

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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Nei tre cicli di programmazione della politica di coesione europea (2000-2006, 2007-2013 e 2014-2020), Bruxelles ha investito complessivamente 970 miliardi di euro. Di questi, l’Italia ne ha ricevuti 125 miliardi; risorse che in questi 20 anni sono state destinate a ridurre il divario territoriale tra le regioni degli Stati membri. Risultato? Tra i principali Paesi europei, avverte l’Istat, l’Italia è l’unica che in questo arco temporale ha visto aumentare, seppur di poco, la disparità territoriale con le medie UE, indice misurato attraverso il coefficiente di variazione del Pil pro capite in parità di potere di acquisto. Per contro, Francia, Germania e Spagna hanno conseguito una leggera riduzione del divario con le regioni più sviluppate d’Europa (vedi Fig. 1). A segnalarlo è l’Ufficio studi della CGIA. Come possiamo spiegare quanto successo in Italia?

 

Bassa qualità dei progetti
Rispetto alla gran parte dei principali Paesi UE, l’Italia presenta delle criticità storiche che, purtroppo, non riusciamo a rimuovere. Ci riferiamo alla lentezza burocratica e all’inefficienza cronica, in particolare delle Amministrazioni regionali del Mezzogiorno, che, destinatarie di una buona parte di questi fondi di coesione, spesso non hanno le risorse umane e le competenze necessarie per realizzare i programmi operativi. Ma il vero handicap va ricercato nella bassa qualità dei progetti che presentiamo. Questi ultimi, una volta realizzati, producono un effetto moltiplicatore molto contenuto; insomma, non sono in grado di generare delle ricadute significativamente importanti per l’economia e la qualità della vita dei territori in cui insistono.

 

Le opere pubbliche durano un’eternità
Progetti di bassa qualità, ma anche tempi di realizzazione “biblici” sono due specificità che caratterizzano negativamente i nostri investimenti pubblici. Secondo la Banca d’Italia4, infatti, a fronte di una spesa mediana di 300 mila euro, nel nostro Paese il tempo medio per la realizzazione di un’opera è di 4 anni e 10 mesi. La fase di progettazione5 dura poco più di 2 anni (pari al 40 per cento della durata complessiva), l’affidamento dei lavori dura 6 mesi e sono necessari oltre 2 anni per l’esecuzione e il collaudo. Per un investimento di cinque milioni di euro, invece, il tempo di realizzazione è di ben 11 anni. Auspicando che il nuovo codice degli appalti e le riforme che stanno interessando la nostra Pubblica Amministrazione riducano in misura significativa queste tempistiche, appare comunque evidente che non solo i fondi di coesione UE, ma anche la messa a terra del PNRR, rischiano, nel prossimo futuro, di riservarci delle brutte sorprese.

 

Disparità aumentate anche tra Nord e Sud
Sempre tra il 2000 e il 2021 anche le disparità tra il Nord e il Sud Italia sono aumentate. Analizzando il Pil pro-capite e fissando il dato al 2000 pari a 100, nel 2021 nel Centro l’indice è sceso a 93,8, nel Mezzogiorno si è attestato a 94,9, nel Nordest a 98,7 e nel Nordovest a 101,4. Comparando i risultati delle aree più ricche del Paese con quella più in difficoltà, registriamo che rispetto al Nordest, il Sud ha perso 3,7 punti e nei confronti del Nordovest addirittura 6,4 punti.

 

Dove PA più efficiente, territori più produttivi
Secondo uno studio dell’OCSE6, l’inefficienza della nostra Pubblica Amministrazione ha delle ricadute negative sul livello di produttività delle imprese private. In buona sostanza, dai calcoli dell’Organizzazione ottenuti attraverso l’incrocio della banca dati Orbis del Bureau van Dijk e dei dati di Open Civitas emerge che la produttività media del lavoro delle imprese è più elevata nelle zone (Nord Italia) dove l’Amministrazione pubblica è più efficiente (sempre Nord Italia).

Diversamente, dove la giustizia funziona peggio, la sanità è malconcia e le infrastrutture sono insufficienti (prevalentemente nel Sud Italia), anche le imprese private di quelle regioni perdono competitività (vedi Fig.3).

 

 

 

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