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AVV. SCHUSTER – TRENTO * DIRITTI CIVILI: « ALLA CONSULTA LA QUESTIONE DELLA TERZA OPZIONE DI GENERE / TRIBUNALE BOLZANO, “LE PERSONE NON BINARIE ESISTONO” »

Scritto da
17.08 - venerdì 16 febbraio 2024

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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Alla Consulta la questione della terza opzione di genere – Tribunale Bolzano: le persone non binarie esistono.

Con l’ordinanza del 12 gennaio 2024 il Tribunale ordinario di Bolzano ha sollevato due questioni di legittimità costituzionale. La prima attiene all’impossibilità attuale secondo il diritto italiano di attribuire ad una persona che non si identifica né nel genere maschile né in quello femminile una terza opzione. Con la seconda questione si lamenta come irragionevole e discriminatorio l’obbligo previsto sin dalla legge del 1982 per le persone trans di ottenere una sentenza autorizzatoria per realizzare interventi terapeutici sul loro corpo, interventi che, in quanto terapeutici, già sono in sé leciti.

Il caso riguarda una giovane persona sudtirolese di madrelingua tedesca che studia in Austria, dove quotidianamente vive e si relaziona come persona non binaria. Questa ha chiesto che anche in Italia, come oramai in diversi Paesi europei e non solo, sia possibile ottenere allo stato civile un’attribuzione del genere legale come persona non binaria. E questo perché le due opzioni maschile/femminile non riflettono la sua identità.

Il Tribunale di Bolzano, in un’articolata ordinanza, richiama la scienza medica, i sistemi giuridici stranieri, lo stesso diritto dell’Unione europea, concludendo che è oramai un dato acquisito che le persone con un’identità di genere non binaria esistono. Di ciò il diritto, anche italiano, deve prendere atto. E poiché esistono, i loro diritti e le loro libertà vanno garantiti. Tuttavia, l’attuale assesto normativo non consente al giudice di accogliere la domanda. Da qui la necessità di intervenire con una dichiarazione di incostituzionalità.

Nel contempo, si chiede anche di far venir meno, in quanto incostituzionale, la risalente normativa che impone alle persone trans – e solo a queste – di dover avviare e attendere l’esito di un complesso e costoso iter giudiziario per fare quanto è altrimenti possibile a tutte le altre persone che devono seguire un percorso terapeutico: rivolgersi direttamente alle strutture sanitarie.

La persona interessata, Aurel (nome di fantasia), dichiara: «Vorrei ringraziare la mia famiglia, che da sempre mi ha incoraggiato a esplorare e a “divenire” me stess*. E anche quelle persone che, senza saperlo, ma raccontando le loro storie online, mi hanno aiutato a capire chi io fossi. Non sono attivista, ma spero che questa iniziativa possa portare il diritto italiano a capire che le persone non binarie esistono. E chiedono di essere riconosciute come tali.»

L’avv. Alexander Schuster assiste Aurel nel giudizio. «Si tratta del primo caso in Italia. Sono contento che il Tribunale abbia condiviso i nostri argomenti. Sono pendenti altri procedimenti, perché Aurel è tutt’altro che un caso isolato. Confido altri giudici chiedano alla Corte costituzionale di intervenire. E sono particolarmente contento che abbiano anche messo in discussione la necessità di una sentenza per ottenere assistenza medica. L’autorizzazione “in nome del popolo italiano” fu una soluzione brillante per tranquillizzare i chirurghi che ancora a inizio anni Ottanta non volevano intervenire sui corpi delle persone trans, temendo di compiere un reato. Oggi quella soluzione è un’anticaglia che lede fortemente la dignità e libertà di queste persone. È possibile lasciarsi morire senza necessità di un giudice, è necessaria una sentenza passata in giudicato per poter divenire chi si è già”.

 

Studio legale / Kanzlei
RA/Avv. Alexander Schuster, Ph.D. (Strasbourg)
Via C. Abba, 8 – I-38122 Trento

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L’ordinanza è stata pubblicata sull’ultima serie della Gazzetta ufficiale:

www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2024/02/14/24C00015/s1

LINK

 

  TRIBUNALE DI BOLZANO 
                       Seconda Sezione Civile 
 
    Il Tribunale, in persona dei magistrati 
        Andrea Pappalardo, Presidente; 
        Federico Paciolla, Giudice relatore; 
        Simon Tschager, Giudice; 
    nel procedimento di primo grado pendente sub R.G. 945/2023 tra L.
N., ricorrente, e P. M., resistente, pronuncia la seguente  ordinanza
ai sensi dell'art.  23,  legge  11  marzo  1953,  n.  87,  sollevando
questione di legittimita' costituzionale di norme di legge  rilevanti
per la definizione del presente procedimento. 
1. Fatti di causa 
    1.1. Con atto di citazione di data 13  febbraio  2023  L.  N.  ha
promosso innanzi al Tribunale di Bolzano azione di rettificazione  di
attribuzione   di   sesso,   nonche'    richiesto    l'autorizzazione
all'adeguamento  dei  caratteri  sessuali  da   realizzare   mediante
intervento medico-chirurgico ex art. 1 legge n. 164/1982  e  art.  31
decreto legislativo n. 150/2011, esponendo in particolare: 
        di essere una persona  transgender  biologicamente  femminile
alla quale alla nascita veniva attribuito il nome L.  ,  che  tuttora
risulta allo stato civile; 
        di non riconoscersi nel genere femminile e neppure in  quello
maschile, bensi' in un genere non binario, con inclinazione verso  la
componente maschile; 
        di non  essersi  mai  sentito  vincolato  dai  genitori  agli
standard sociali generalmente attribuibili al genere femminile  e  di
aver pertanto vissuto un'infanzia libera e felice, in buoni  rapporti
con i genitori; 
        di aver cominciato,  a  partire  dalla  puberta',  a  provare
disagio a causa dei cambiamenti del proprio  corpo,  in  particolare,
rispetto  ad  ogni  caratteristica  fisica  che   evidenziava   forme
femminili; 
        che con il passare del tempo, tale situazione di disagio  non
si attenuava ed anzi si trasformava  in  vera  e  propria  sofferenza
psico-fisica tale da ostacolarne la normale socialita', inducendolo a
condurre un'esistenza solitaria; 
        che solo alle scuole superiori, attraverso internet, veniva a
conoscenza dell'esistenza di  persone  con  identita'  transgender  e
gradualmente acquisiva consapevolezza della propria  condizione,  pur
decidendo inizialmente di celare la sua identita' per  paura  di  non
essere compreso da genitori, amici e conoscenti; 
        che nel  corso  degli  anni,  tuttavia,  tale  consapevolezza
diventava  sempre  piu'  nitida,  in  quanto  cresceva  a   dismisura
l'esigenza di essere riconosciuto pubblicamente in  conformita'  alla
propria psiche; 
        che quindi decideva di rivelare alla madre e  poi,  due  anni
piu' tardi,  anche  al  padre,  la  propria  inclinazione  ad  essere
riconosciuto in un genere neutro, non binario; 
        che nel ... si trasferiva in  ...  per  studiare  ...  presso
l'Universita' di ..., ove  decideva  di  dichiarare  apertamente  sin
dall'inizio la propria identita' di genere non binaria, presentandosi
a colleghi di studio e docenti con il nome di «I», venendo  da  tutti
fin da subito accettato con questa identita'; 
        che nel mese di  ...  pubblicava  una  ricerca  universitaria
firmandosi con il proprio nome elettivo e che, con il nome  I.  N.  ,
partecipava ad una conferenza universitaria; 
        che lo stesso nome veniva  ufficialmente  riconosciuto  nella
struttura  universitaria  ...   e   utilizzato   per   l'assegnazione
dell'indirizzo e-mail istituzionale dedicato agli studenti; 
        che grazie a tale contesto  sociale  di  accettazione,  nella
primavera del ..., si rivolgeva al Servizio psicologico  dell'Azienda
sanitaria dell'..., dove riceveva - nel dicembre dello stesso anno  -
una prima diagnosi  di  disforia  di  genere  quale  presupposto  per
avviare la terapia ormonale mascolinizzante; 
        che tale terapia veniva effettivamente  iniziata,  portandolo
gradualmente ad assumere l'attuale apparenza estetica androgina; 
        che secondo quanto riportato nel parere  definitivo  di  data
..., a firma del prof. J. G. del  Servizio  psicologico  dell'Azienda
sanitaria dell'.., «I. si  identifica  fortemente  come  persona  non
binaria.  Senza  dubbio  si  riconosce   piu'   nel   polo   maschile
dell'identita' che in quello femminile, come dimostra il suo fervente
desiderio di sottoporsi a mastectomia. Tuttavia, la  sua  visione  e'
quella di  poter  essere  se'  stesso,  di  essere  una  persona  non
categorizzata come maschio o femmina. Per questo motivo  desidera  la
terza opzione per la categorizzazione di genere,  ovvero  Diverso.  I
termini disforia di genere (DSM-5) e incongruenza di genere  (ICD-11)
includono sia le denominazioni di genere binarie (maschile/femminile)
sia tutte le altre forme di  definizione  di  genere  (riassunte  nel
termine non-binario). Da questo punto di  vista,  i  criteri  per  la
disforia di genere sono soddisfatti. 
    Conclusione: I. N. ha un'intelligenza  media  e  nessun  disturbo
mentale  significativo  che  possa  compromettere  la  capacita'   di
giudizio.  Lo  sviluppo  psicosessuale,  il  suo   comportamento   di
socializzazione, le descrizioni  di  se'  e  i  cambiamenti  positivi
sperimentati in seguito alla terapia  ormonale  indicano  chiaramente
che sta vivendo un'evoluzione personale nell'appartenenza  di  genere
in cui si sente a suo agio e che vive come coerente  e  corretta  per
se'. E' meno orientato verso un'ascrizione fissa di ruolo (maschile o
femminile) e molto piu' verso la sua  esperienza  personale,  che  e'
piu' maschile ma non si  sente  molto  chiara.  Ha  quindi  un  forte
desiderio di poter scegliere la terza opzione (diversa) nella  scelta
del proprio genere; se cio' non fosse possibile, vorrebbe sicuramente
appartenere al genere maschile. 
    In base alle informazioni disponibili, e' manifesta una  disforia
di genere o un'incongruenza di genere  e,  in  base  alle  conoscenze
specialistiche attuali, questa situazione non cambiera' in futuro. 
    Da  un  punto  di  vista  psicologico,  dopo  aver  iniziato   il
trattamento ormonale circa sette mesi  fa,  il  passo  successivo  e'
cambiare nome e stato civile e sottoporsi a un intervento  chirurgico
di adeguamento dei caratteri sessuali» (traduzione in lingua italiana
del testo in lingua ... riportato a pag. 6 dell'atto di citazione); 
        di essere attualmente riconosciuto in ogni ambito sociale con
il nome di I. e di aver pertanto deciso  di  consolidare  la  propria
situazione  avviando  l'iter  giudiziale  per  la   rettifica   delle
risultanze dello stato civile, richiedendo altresi'  l'autorizzazione
del Tribunale a sottoporsi agli  interventi  chirurgici  confermativi
del genere psichico, in prima battuta ad una mastectomia. 
    Parte  attrice  chiedeva  quindi   all'intestato   Tribunale   di
rettificare il sesso riportato nell'atto di nascita da «femminile» ad
«altro», o alternative ritenute idonee, e di rettificare  il  prenome
da «L.» a «I.», con tutte le  annotazioni  susseguenti  previste  per
legge, nonche' di accertare il proprio diritto a  realizzare  in  via
immediata   tutti   gli   interventi   medico-chirurgici   in   senso
gino-androide, tanto demolitivi, quanto ricostruttivi,  che  riterra'
necessari. 
    1.2.  In  punto  di  fatto,  e  con  specifico  riferimento  alla
richiesta di rettificazione  anagrafica  come  tertium  genus,  parte
attrice rileva che l'identita' di genere  non  binaria,  intesa  come
condizione identitaria personale non ascrivibile alla tradizionale  e
rigida bipartizione degli esseri umani in uomini e donne, sarebbe  un
approdo  ormai  acquisito  dalla  scienza  medica  e  recepito  dalla
manualistica   clinica   ufficiale    all'interno    delle    proprie
classificazioni diagnostiche. 
    In particolare, le persone non-binarie si caratterizzerebbero per
una mancata adesione al binarismo di genere  convenzionale,  laddove,
con binarismo di genere, si intende l'esistenza  di  due  soli  sessi
(maschile  e  femminile),  complementari  ed  opposti.  Le  identita'
non-binarie   potrebbero   dunque   sperimentare   un'identificazione
contemporanea con i generi maschile e femminile, a meta' tra maschile
e femminile, neutrale, o al di fuori del binarismo di genere. 
    A supporto di tali affermazioni, parte attrice richiama le  fonti
di seguito riportate: 
        l'American Psychological Association (APA), secondo la  quale
«[...] Il genere e' un costrutto non binario che ammette uno  spettro
di identita' di genere diverse»; 
        Il Diagnostic and Statistical  Manual  of  Mental  Disorders,
quinta edizione, Text  Revision  (DSM-5-TR),  ovvero  il  manuale  di
diagnostica  adottato  dall'Associazione  americana  di  psichiatria,
pubblicato nel 2022 (pag. 513), che definisce, la disforia di  genere
come «A strong desire to be of the other gender (or some  alternative
gender different from one's assigned gender). - A strong desire to be
treated as the other gender (or  some  alternative  gender  different
from one's assigned gender). - A strong conviction that one  has  the
typical  feelings  and  reactions  of  the  other  gender  (or   some
alternative gender different from one's assigned gender) [traduzione:
Un forte desiderio di appartenere all'altro genere  (o  a  un  genere
alternativo diverso da quello assegnato). -  Un  forte  desiderio  di
essere trattati come l'altro genere (o un genere alternativo  diverso
da quello assegnato). - Una forte convinzione di avere i sentimenti e
le reazioni tipiche dell'altro genere (o  di  un  genere  alternativo
diverso da quello assegnato)]; 
        lo stesso Manuale, a pag. 511, afferma che il termine  gender
«is used to denote the public,  sociocultural  (and  usually  legally
recognized) lived role as boy or girl, man or woman, or other  gender
[traduzione:  e'  utilizzato  per   indicare   il   ruolo   pubblico,
socioculturale (e di solito  legalmente  riconosciuto)  vissuto  come
ragazzo o ragazza, uomo o donna, o altro genere]; 
        il  manuale  di  diagnostica   adottato   dall'Organizzazione
mondiale  della  sanita',  attualmente   alla   undicesima   edizione
(International Classification of Diseases, ICD-11) adotta invece  una
definizione ampia di  identita'  di  genere,  senza  muovere  da  una
classificazione binaria in  uomo  e  donna  (Gender  incongruence  is
characterised by a marked  and  persistent  incongruence  between  an
individual's experienced gender and the assigned sex. Gender  variant
behaviour and preferences alone are not a  basis  for  assigning  the
diagnoses in this group - traduzione:  L'incongruenza  di  genere  e'
caratterizzata da una  marcata  e  persistente  incongruenza  tra  il
genere vissuto da un individuo e il sesso assegnato. Il comportamento
e le preferenze variegate di genere non sono di per se' una base  per
l'assegnazione delle diagnosi in questo gruppo). 
    In  punto  di  diritto,  parte  attrice  rileva  che   la   Corte
costituzionale, gia' con la sentenza n. 161 del 1985, nell'affrontare
sotto diverso profilo la questione della legittimita'  costituzionale
della legge n. 164  del  14  aprile  1982,  sembra  aver  evocato  un
concetto  di  genere  da  intendersi  come  continuum   con   estremi
l'identita' maschile e quella femminile («Presupposto della normativa
impugnata e', dunque, la concezione del  sesso  come  dato  complesso
della personalita' determinato da un insieme di  fattori,  dei  quali
deve essere  agevolato  o  ricercato  l'equilibrio,  privilegiando  -
poiche' la  differenza  tra  i  due  sessi  non  e'  qualitativa,  ma
quantitativa - il o i fattori dominanti»). 
    La  possibilita'  giuridica  di   ottenere   una   rettificazione
anagrafica  in  termini  non  strettamente  binari  sarebbe   inoltre
coerente con l'evoluzione culturale e ordinamentale che ha portato al
«riconoscimento  dell'identita'  di  genere  quale  espressione   del
diritto  all'identita'   personale,   rientrante   a   pieno   titolo
nell'ambito dei diritti fondamentali  della  persona»  (cosi':  Corte
cost. sentenza n. 221/2015). 
    Evidenzia ancora l'attore che, nella medesima pronuncia la  Corte
costituzionale ha stabilito come la necessaria corrispondenza tra  le
risultanze anagrafiche ed il genere soggettivamente  percepito  dalla
persona  costituisca  espressione  del  diritto   al   riconoscimento
dell'identita'  di  genere  («va  ancora  una  volta  rilevato   come
l'aspirazione del singolo alla corrispondenza del sesso attribuitogli
nei  registri  anagrafici,  al  momento  della  nascita,  con  quello
soggettivamente   percepito   e   vissuto   costituisca    senz'altro
espressione del diritto al riconoscimento dell'identita' di genere»). 
    Rileva infine parte attrice che, allo stato, cinque Paesi europei
hanno introdotto nell'ordinamento la  possibilita'  di  ottenere  una
registrazione anagrafica diversa da «maschio» o «femmina». 
    In particolare, in Germania, con pronuncia d.d. 10 ottobre  2017,
il Bundesverfassungsgericht ha dichiarato l'incostituzionalita',  per
contrasto con l'art. 2, comma 1, in combinato disposto con l'art.  1,
comma 1 e art. 3, comma 3, del Grundgesetz, del § 21, comma 1, numero
3, nonche' del § 22, comma 3, della legge sullo stato civile  (PStG),
nella misura in cui tali disposizioni impongono di indicare il  sesso
«maschile» ovvero «femminile» a soggetti intersessuali, ossia persone
che alla nascita presentano caratteri sessuali primari e/o  secondari
non definibili come esclusivamente maschili o femminili. 
    A seguito di tale pronuncia, nel 2018, e' stata emendata la legge
sullo stato civile tedesca e  l'opzione  «diverso»  puo'  ora  essere
riportata nel registro delle nascite su  richiesta  dei  genitori  al
momento della registrazione post-natale, ovvero  successivamente,  su
richiesta della persona interessata. 
    In Austria il Verfassungsgerichtshof, con  sentenza  di  data  15
giugno  2018,  ha   fornito   un'interpretazione   costituzionalmente
orientata della legge sullo stato civile austriaca, stabilendo che le
persone  intersessuali  hanno  il  diritto  di  essere  indicate  nei
registri dello stato civile, ovvero nei documenti,  secondo  la  loro
identita' sessuale, utilizzando i  termini  «altro»,  «inter»  ovvero
«aperto». 
    Precisa al riguardo l'attore che, sia in Germania che in Austria,
alle persone intersessuali sarebbero equiparate le persone a  cui  e'
diagnostica o clinicamente certificata una identita'  di  genere  non
binaria. 
    In Belgio, con la sentenza n. 99/2019, emessa il 19 giugno  2019,
la Cour constitutionnelle ha stabilito che le norme del Codice civile
belga sulla modifica dell'indicazione del sesso  nei  certificati  di
nascita violano il principio di  uguaglianza  e  non  discriminazione
nella misura in cui non consentono alle persone il cui genere e' «non
binario» o «fluido» di ottenere una registrazione conforme alla  loro
identita' di genere. 
    Nello specifico, il giudice  costituzionale  belga  ha  accertato
l'incostituzionalita' della legge sui transgender del 25 giugno 2017,
rilevando che  tale  normativa  contiene  una  lacuna  in  quanto  la
registrazione del sesso sul certificato di nascita e'  limitata  alle
categorie binarie maschio o femmina.  Sulla  base  del  principio  di
autodeterminazione,  tuttavia,  il  legislatore   belga   ha   inteso
consentire agli individui di modificare il sesso registrato sul  loro
certificato di nascita in termini corrispondenti alla loro  identita'
personale.  Sotto  tale  profilo,  non  e'   dunque   ragionevolmente
giustificabile che le persone con un'identita' di genere non  binaria
siano obbligate ad accettare, sul loro certificato  di  nascita,  una
registrazione del sesso basata su una scelta tra  maschio  e  femmina
che  non  corrisponde  alla  loro  personale  identita'  di   genere.
Tuttavia, la Corte  ha  stabilito  che  spetta  solo  al  legislatore
trovare una soluzione per rimediare all'incostituzionalita'. 
    Parte attrice riferisce inoltre  che  nei  Paesi  Bassi,  diverse
sentenze avrebbero permesso di sostituire  la  dicitura  «maschio»  o
«femmina» sul certificato di nascita delle persone intersessuali  con
la dicitura «il genere non puo' essere stabilito», consentendo quindi
di ottenere la «X» al posto di «M» o «F»  sul  passaporto.  A  Malta,
sarebbe ammesso inserire la dicitura «non dichiarato» nel certificato
di nascita come genere e la lettera «X» potrebbe essere indicata  sul
passaporto,  a  prescindere  da  particolari  condizioni  mediche   o
diagnosi psicosessuali. 
    Infine, l'attore evidenzia che anche la legislazione piu' recente
dell'Unione europea gia' contempla la terza  opzione  di  genere.  In
particolare, il regolamento (UE) 2016/1191 del Parlamento  europeo  e
del Consiglio del 6 luglio 2016, che promuove la libera  circolazione
dei cittadini semplificando  i  requisiti  per  la  presentazione  di
alcuni documenti pubblici nell'Unione  europea,  prevede  modelli  di
certificato  europeo  che  consentono  di  indicare  il  sesso   come
«indeterminato» (es. Allegato I, campo 4.5.3). 
    Inoltre, sebbene in forza del principio  di  competenza  l'Unione
europea non possa imporre agli Stati membri di introdurre nel proprio
ordinamento  il  riconoscimento  anagrafico  di  un   terzo   genere,
tuttavia, uno Stato  membro  non  potrebbe  disconoscere  l'identita'
giuridica e anagrafica riconosciuta ad un cittadino  nell'ordinamento
di un diverso Stato membro, senza violare l'articolo 21  del  TFUE  e
l'art. 45 della Carta dei diritti fondamentali  dell'UE,  oltre  alle
norme specifiche nella Carta alla protezione della vita privata (art.
7) e al divieto di discriminazione (art. 21). 
    Alla luce di tali considerazioni,  l'attore  chiede  quindi  che,
qualora   il   Tribunale   ritenesse   di   non   poter    accogliere
un'interpretazione della disciplina di cui all'art. 1 della legge  n.
164/1982, idonea ad accogliere la propria domanda  di  rettificazione
anagrafica  come  tertium  genus,  venga   sollevata   questione   di
legittimita' costituzionale della predetta disposizione  prospettando
una  violazione  degli  articoli  2,  3,  32,  117,  comma  1,  della
Costituzione, quest'ultimo in  relazione  all'art.  8  CEDU,  nonche'
articoli 21 TFUE e 7, 21, 45 della  Carta  dei  diritti  fondamentali
dell'UE, quali norme interposte. 
    1.3. Cio' posto, con riguardo alla domanda  di  accertamento  del
proprio diritto a realizzare in via immediata  tutti  gli  interventi
medico-chirurgici in senso gino-androide,  tanto  demolitivi,  quanto
ricostruttivi, ritenuti necessari, l'attore rileva quanto segue. 
    L'art. 31, comma 4,  decreto  legislativo  n.  150/2011  prevede:
«Quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri  sessuali  da
realizzare mediante trattamento medico- chirurgico, il  tribunale  lo
autorizza con sentenza  passata  in  giudicato.  Il  procedimento  e'
regolato dai commi 1, 2 e 3». 
    Secondo la  prospettazione  attorea,  tale  disposizione  sarebbe
incostituzionale, non essendo consentito al legislatore limitare  con
procedure  prive  di   giustificazione   l'accesso   alle   procedure
prestazioni sanitarie, ledendo in tal modo il diritto alla  salute  e
alla autodeterminazione del singolo, nonche'  l'alleanza  terapeutica
fra medico e paziente. 
    Parte attrice richiama quindi la sentenza. n.  161/1985,  con  la
quale la Corte costituzionale ha statuito che l'intervento chirurgico
di adeguamento dei caratteri  sessuali  e'  in  se'  lecito,  perche'
rispondente ad esigenze terapeutiche. 
    Muovendo  da  tale  assunto  l'attore  rileva   che   il   regime
autorizzatorio previsto dal citato art.  31  decreto  legislativo  n.
150/2011 determinerebbe un'ingiustificata disparita' di  trattamento,
imponendo ai soli soggetti che intendono sottoporsi ad un  intervento
chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali di adire l'autorita'
giudiziaria per poter accedere ad  un  intervento  medico-chirurgico.
Diversamente,  tutti  gli  altri  interventi  chirurgici,  anche  con
conseguenze  irreversibili  e  di  carattere  demolitivo  (quali,  ad
esempio, l'intervento di amputazione di arti, ovvero  la  vasectomia)
potrebbero essere realizzati sulla sola base di  una  valutazione  di
natura strettamente medica, senza alcuna necessita' di richiedere  ed
ottenere una preventiva autorizzazione giudiziale. 
    Sotto diverso profilo, l'art. 31, decreto legislativo n. 150/2011
si porrebbe poi in contrasto con il diritto dell'Unione  europea,  in
particolare con il divieto di discriminazione all'accesso ai  servizi
per  ragioni  di  genere  imposto  dalla  direttiva  2004/113/CE  del
Consiglio, del 13 dicembre  2004,  che  applica  il  principio  della
parita' di  trattamento  tra  uomini  e  donne  per  quanto  riguarda
l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura.  In  particolare,  la
procedura di autorizzazione prevista  dalla  disposizione  contestata
determinerebbe  una  discriminazione  diretta  nell'accesso   ad   un
servizio  economico  -  nella  specie,  l'erogazione  di  prestazioni
sanitarie - a causa del fattore protetto  del  sesso/genere,  nozione
ampia nella quale rientra pacificamente anche l'identita' di genere. 
    In  tale  prospettiva,  la  disposizione  censurata  si  porrebbe
pertanto in contrasto con gli articoli 2, 3 e 32, nonche' con  l'art.
117, comma 1, della Costituzione. 
    Il pubblico  ministero,  parte  convenuta  formale  del  presente
procedimento, ha chiesto l'accoglimento delle conclusioni  rassegnate
da parte attrice. 
2. Questioni di legittimita' costituzionale. 
    2.1. Art. 1 della legge 14 aprile 1982, n. 164 (Norme in  materia
di rettificazione di attribuzione  di  sesso),  in  riferimento  agli
articoli 2, 3, 32 e 117, primo comma Cost., in relazione  all'art.  8
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950,  ratificata
e resa esecutiva con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (d'ora in  avanti
anche solo: CEDU), nella parte in cui afferma che «la  rettificazione
si fa in forza di sentenza del tribunale  passata  in  giudicato  che
attribuisca  ad  una  persona  sesso  diverso  da  quello   enunciato
nell'atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei  suoi
caratteri sessuali», anziche' prevedere che «la rettificazione si  fa
in  forza  di  sentenza  del  tribunale  passata  in  giudicato   che
attribuisca  ad  una  persona  sesso  diverso  da  quello   enunciato
nell'atto di nascita ovvero altro sesso diverso da quello maschile  e
femminile a seguito di intervenute modificazioni dei  suoi  caratteri
sessuali». 
    2.2. Art. 31, comma 4, del decreto legislativo 1° settembre 2011,
n. 150 (Disposizioni complementari al codice di procedura  civile  in
materia di riduzione e semplificazione  dei  procedimenti  civili  di
cognizione, ai sensi dell'art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69),
in riferimento agli articoli 2, 3 e 32  Cost.,  nella  parte  in  cui
prevede che «quando risulta necessario un adeguamento  dei  caratteri
sessuali da realizzare  mediante  trattamento  medico-chirurgico,  il
tribunale  lo  autorizza  con  sentenza  passata  in  giudicato.   Il
procedimento e' regolato dai commi 1, 2 e 3». 
3. Rilevanza delle questioni 
    3.1.  Con  riferimento  alla   rilevanza   della   questione   di
legittimita' costituzionale sub 2.1., va rilevato quanto segue. 
    Il  procedimento  giudiziale  di  rettificazione  anagrafica   di
attribuzione del sesso e' regolato dall'art. 1 della legge 14  aprile
1982, n. 164. 
    Sulla base di tale disposizione, nella  formulazione  attualmente
vigente, la domanda proposta dall'attore di rettificazione anagrafica
del sesso riportato nell'atto di nascita da «femminile» ad «altro», o
alternative ritenute idonee, non potrebbe trovare accoglimento, posto
che la norma  censurata  non  contempla  la  possibilita'  che  venga
attribuito con  sentenza  un  sesso  diverso  da  quello  maschile  o
femminile. 
    Sebbene tale disposizione non faccia  espresso  riferimento  alla
necessita' di ottenere una  rettificazione  in  termini  strettamente
binari, deve, infatti, ritenersi che l'ordinamento dello stato civile
vigente sia informato implicitamente  sulla  bipartizione  di  genere
«femminile» e «maschile» e che pertanto  non  sia  configurabile  una
rettificazione anagrafica con attribuzione di un genere terzo. 
    Diversamente, nell'ipotesi  di  incostituzionalita'  della  norma
censurata nei  termini  prospettati,  la  domanda  di  rettificazione
avrebbe  ragionevoli  probabilita'  di  accoglimento,  avendo   parte
attrice sufficientemente  dimostrato  -  attraverso  il  deposito  di
idonea  documentazione  dei  trattamenti  medici  e  psicoterapeutici
effettuati - di aver completato un percorso individuale irreversibile
di transizione verso un genere non  identificabile  come  maschile  o
femminile. 
    3.2. Quanto alla questione  di  legittimita'  costituzionale  sub
2.2., va rilevato che la necessita'  di  richiedere  l'autorizzazione
giudiziale per  poter  sottoporsi  ad  un  intervento  chirurgico  di
adeguamento  dei  caratteri  sessuali  deriva  dal  disposto  di  cui
all'art. 31, comma 4, del decreto legislativo 1° settembre  2011,  n.
150. Sulla base di tale norma di  legge,  il  giudice  remittente  e'
pertanto  chiamato  a  pronunciarsi  nel  merito  sulla  domanda   di
autorizzazione. 
    Qualora invece la questione di  legittimita'  costituzionale  nei
termini prospettati fosse fondata, verrebbe meno la  possibilita'  da
parte del tribunale di rendere una pronuncia di merito sulla  domanda
attorea di autorizzazione a sottoporsi ad  interventi  chirurgici  di
adeguamento  dei   caratteri   sessuali   ed   il   procedimento   si
concluderebbe verosimilmente - in parte qua -  con  una  sentenza  in
rito  di  difetto  assoluto   di   giurisdizione,   per   inesistenza
nell'ordinamento  di  una  norma   astrattamente   applicabile   alla
situazione soggettiva dedotta in giudizio. 
4.  Non   manifesta   infondatezza   delle   questioni   legittimita'
costituzionale delle disposizioni di legge applicabili 
    4.1. Sotto un primo profilo, l'art. 1 della legge 14 aprile 1982,
n. 164, nella parte in cui non prevede la  possibilita'  di  ottenere
una rettificazione anagrafica con attribuzione di un  genere  diverso
da quello maschile e femminile,  pare  porsi  in  contrasto  con  gli
articoli 2, 32, e 117, primo comma, Cost., in  relazione  all'art.  8
CEDU, determinando una lesione dell'identita' di genere, intesa  come
espressione   del   diritto   all'identita'   personale,   rientrante
nell'ambito dei diritti fondamentali della persona e al tempo  stesso
di strumento per la piena realizzazione del diritto alla salute. 
    Sul punto e' appena il  caso  di  richiamare,  la  giurisprudenza
della Corte  europea  dei  diritti  dell'uomo  che  ha  espressamente
riconosciuto   come   il    diritto    all'identita'    sessuale    e
all'autodeterminazione delle  persone  transessuali  rientrino  nella
sfera personale tutelata  dall'art.  8  della  CEDU  (si  vedano,  in
particolare, le pronunce V. K. c. Germania, n. 35968/97, §  69,  CEDU
2003-VII, S c. Svizzera, n. 29002/06, § 77, 8 gennaio 2009, e Y.Y. c.
Turchia, § 56). 
    Cio'   posto,   occorre   preliminarmente   rilevare   che,    il
riconoscimento di una nozione di identita' di genere in  termini  non
binari, bensi' fluidi, collocabile  quindi  in  un  continuum  tra  i
generi maschile femminile,  posti  tra  loro  agli  antipodi,  appare
effettivamente conforme ai piu' recenti approdi della scienza  medica
e psicosociale. 
    In particolare, e' ravvisabile un ampio consenso  scientifico  in
ordine  al  fatto  che  il  genere  non  puo'  essere  determinato  o
addirittura   stabilito   solo   sulla   base   di    caratteristiche
genetiche-anatomiche-cromosomiche, essendo  altresi'  determinato  da
fattori sociali e psicologici dell'individuo. 
    In tale prospettiva, il modello di identita' di genere fondato su
uno spettro lineare di tipo binario  si  pone  in  contrasto  con  la
percezione di genere soggettiva di  taluni  individui,  i  quali  non
riconoscono di  appartenere  al  genere  femminile  ovvero  a  quello
maschile. 
    Tale assunto  trova  conferma  nella  documentazione  scientifica
richiamata da parte attrice nei propri atti  e  riportata  sub  punto
1.2. della presente ordinanza, nonche' nel parere medico di  data  27
febbraio 2022 di cui al punto sub 1.1. 
    In via  indiretta,  tale  conclusione  e'  poi  confortata  dalla
giurisprudenza delle  corti  costituzionali  europee  richiamata  sub
punto 1.2.,  che  presuppone  sotto  il  profilo  logico-scientifico,
l'adesione ad un modello di identita' di genere  non  ascrivibile  ad
una rigida suddivisione in termini binari. 
    Analogamente, sempre sotto il profilo fattuale, l'esistenza da un
punto di vista  fenomenico  di  un  terzo  genere  e'  indirettamente
comprovata dalla circostanza che  l'Unione  europea  e  alcuni  Paesi
europei  riconoscono  espressamente  nella  propria  legislazione  la
possibilita' di ottenere una  registrazione  anagrafica  non  binaria
(cfr. il punto sub punto 1.2. della presente ordinanza). 
    Muovendo da tali premesse, la normativa censurata  sembra  dunque
violare   il   diritto   individuale   all'identita'    di    genere,
nell'accezione sopra richiamata, nella misura  in  cui  non  consente
agli individui che non si  riconoscono  nel  genere  maschile  ovvero
femminile, di ottenere una rettificazione  anagrafica  conforme  alla
identita' di genere soggettivamente percepita e vissuta. 
    Non sembra peraltro  che  la  possibilita'  prevista  dal  nostro
ordinamento  di  ottenere  una  rettificazione  anagrafica  in  senso
esclusivamente binario, verso un genere femminile o, in  alternativa,
maschile, sia conforme ai canoni di  necessita'  e  proporzionalita',
come enucleati dalla giurisprudenza della Corte europea  dei  diritti
dell'uomo nell'interpretare il diritto alla vita privata e familiare,
come garantito dall'art. 8 CEDU (per un esempio  di  applicazione  di
proporzionalita' in relazione  all'art.  8  della  Convenzione,  cfr.
sentenza della Corte EDU del 25 settembre 2012 - Ricorso n.  33783/09
- G. c. Italia, in materia di diritto all'accesso  alle  informazioni
sulle proprie origini al figlio adottivo non riconosciuto). 
    Nello specifico, non pare che una  tale  restrizione  al  diritto
all'identita' di genere possa essere  imposta  al  fine  di  tutelare
l'interesse pubblico alla esatta differenziazione  tra  i  generi  in
modo tale da non  creare  situazioni  relazionali  non  previste  dal
nostro attuale sistema di diritto familiare e filiale. 
    Il bilanciamento con tale esigenza pubblicistica di certezza  dei
rapporti giuridici non sembra infatti poter  giustificare  l'assoluta
preclusione, per i soggetti con un'identita' non binaria, di ottenere
una rettificazione anagrafica  conforme  alla  propria  identita'  di
genere. 
    In altri termini, la disposizione censurata non sembra  ricercare
alcun equilibrio tra i diritti e gli  interessi  concorrenti  laddove
sacrifica interamente il diritto delle persone non binarie  a  vedere
riconosciuta  anagraficamente  la  propria   identita'   di   genere,
attribuendo  in  tal  modo  preferenza  incondizionata  all'interesse
pubblicistico alla certezza dei rapporti giuridici. 
    Ne' paiono ravvisabili ulteriori ragioni idonee a giustificare il
mancato  riconoscimento  anagrafico  dell'identita'  di  genere   non
binaria. 
    Sotto diverso profilo, la disposizione censurata sembra  altresi'
violare il principio di uguaglianza, nella specie, gli articoli 2,  3
e 32 Cost., nella misura in cui prevede un sistema di  rettificazione
anagrafica  rigidamente  binario,  che  impone  agli  individui   con
identita' di genere non binaria e non conforme al sesso indicato  nel
loro atto di nascita, di accettare una rettificazione  esclusivamente
verso il genere maschile o femminile, non corrispondente alla propria
identita' di genere, mentre consente agli individui la cui  identita'
di genere e'  binaria,  ma  non  corrispondente  al  sesso  enunciato
nell'atto di nascita, di ottenere una  rettificazione  conforme  alla
propria identita' di genere. 
    In questa prospettiva, limitando la possibilita'  di  rettificare
il sesso registrato sul certificato di nascita a una scelta  binaria,
maschile o femminile, la disposizione censurata contiene  una  lacuna
che sembra porsi in contrasto con il principio di uguaglianza,  letto
in combinazione con il diritto fondamentale all'identita' personale. 
    La norma censurata sembra pertanto determinare una ingiustificata
disparita'  di  trattamento  tra  soggetti   in   analoga   posizione
sostanziale, nella specie, individui con identita' di genere  binaria
che richiedono giudizialmente la rettificazione del  sesso  enunciato
nell'atto di nascita ed individui con identita' di genere non binaria
che intendono proporre la medesima domanda. 
    Non  sembra   peraltro   possibile   operare   un'interpretazione
costituzionalmente conforme della norma censurata, dovendosi ritenere
che,  anche  in  assenza  di  espressi  riferimenti   testuali   alla
possibilita' di ottenere una rettificazione in termini esclusivamente
binari, l'intero plesso normativo in  materia  di  rettificazione  di
attribuzione di sesso sia implicitamente informato sul riconoscimento
dei soli generi maschile e femminile. 
    4.2. L'art. 31, comma 4, del  decreto  legislativo  1°  settembre
2011, n. 150 sembra violare gli articoli 2, 3 e 32 della Costituzione
nella misura  in  cui  irragionevolmente  impone  che  i  trattamenti
medico-chirurgici finalizzati all'adeguamento dei caratteri  sessuali
debbano essere preventivamente autorizzati dal tribunale. 
    La Corte costituzionale  gia'  nella  sentenza  n.  161/1985,  ha
riconosciuto che l'intervento chirurgico di adeguamento dei caratteri
sessuali risponde ad esigenze terapeutiche  ed  e'  pertanto  in  se'
lecito. 
    Va peraltro rilevato che  costituisce  approdo  giurisprudenziale
ormai   consolidato    l'esclusione    del    carattere    necessario
dell'intervento chirurgico ai fini della  rettificazione  anagrafica,
essendo rimessa al singolo la scelta delle  modalita'  con  le  quali
realizzare il proprio percorso di transizione. In  tale  prospettiva,
il ricorso alla chirurgia costituisce solo uno dei possibili percorsi
volti all'adeguamento dell'immagine esteriore alla propria  identita'
personale, come percepita dal soggetto (Cass., Sez.  1,  sentenza  n.
15138 del 20 luglio 2015, Rv. 636001 - 01; Corte  cost.  sentenza  n.
221/2015). 
    Tale approdo e' peraltro del tutto coerente con la  piu'  recente
giurisprudenza della Corte  EDU  (cfr.  Corte  EDU,  Sezione  IV,  19
gennaio 2021 rich. n. 2145/16 e n. 20607/16, X e Y c. Romania). 
    Con specifico riferimento all'art. 31 del decreto legislativo  n.
150 del 2011, nella sentenza n. 221/2015, la Corte costituzionale  ha
precisato  che,  attraverso  tale  disposizione,  il  legislatore  ha
ribadito  di   volere   lasciare   all'apprezzamento   del   giudice,
nell'ambito  del  procedimento   di   autorizzazione   all'intervento
chirurgico, l'effettiva necessita' dello stesso,  in  relazione  alle
specificita' del caso concreto. 
    Il ricorso alla modificazione chirurgica dei  caratteri  sessuali
risulta autorizzabile  in  funzione  di  garanzia  del  diritto  alla
salute, ossia laddove lo stesso sia volto a consentire  alla  persona
di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico, in particolare  in
quei casi nei quali  la  divergenza  tra  il  sesso  anatomico  e  la
psicosessualita'   sia   tale   da   determinare   un   atteggiamento
conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica. 
    Muovendo  da  tali  premesse,  in  particolare  dalla   finalita'
prettamente terapeutica degli interventi di  cui  si  discute,  pare,
tuttavia,  potersi   dubitare   della   ragionevolezza   del   regime
autorizzatorio previsto dalla normativa censurata, la quale impone un
apprezzamento di natura giudiziale sulla  necessita'  dell'intervento
chirurgico che dovrebbe per contro essere demandato in via  esclusiva
ad una valutazione di natura medica e psicologica. 
    Sul  punto,  la  giurisprudenza  costituzionale  ha  piu'   volte
evidenziato i limiti alla discrezionalita'  legislativa  imposti  dal
rispetto  della  scienza  medica:  sicche',  in  materia  di  pratica
terapeutica, la regola  di  fondo  deve  essere  la  autonomia  e  la
responsabilita' del medico, che, con il consenso del paziente,  opera
le necessarie scelte professionali (Corte cost. sentenza n.  151  del
2009). 
    Con riferimento agli interventi chirurgici di  modificazione  dei
caratteri sessuali, nella piu' volte citata sentenza n. 221 del 2015,
la Corte costituzionale ha poi  fatto  propria  un'impostazione  che,
conformemente ai «supremi valori costituzionali rimette al singolo la
scelta  delle  modalita'  attraverso   le   quali   realizzare,   con
l'assistenza del medico e di altri specialisti, il  proprio  percorso
di  transizione,  il  quale  deve  comunque  riguardare  gli  aspetti
psicologici, comportamentali  e  fisici  che  concorrono  a  comporre
l'identita' di genere». 
    Cio' posto, se e' vero che nel  caso  della  normativa  censurata
l'apprezzamento giudiziale si sovrappone e non  si  sostituisce  alla
valutazione medico-psicologica, ciononostante tale scelta operata dal
legislatore  non  appare  conforme  ai   canoni   di   necessita'   e
proporzionalita', nella misura in cui determina, per il paziente  che
abbia gia' ottenuto un'indicazione medica  favorevole  all'intervento
chirurgico, un significativo ostacolo all'accesso ad una  prestazione
sanitaria, in particolare considerando i tempi ed i  costi  derivanti
all'istaurazione del giudizio autorizzatorio innanzi al tribunale. 
    Del resto, appare in astratto difficile ipotizzare che, a  fronte
di una indicazione medico-psicologica favorevole all'esecuzione di un
intervento chirurgico di modificazione  dei  caratteri  sessuali  che
abbia fornito una precisa diagnosi e dunque vagliato sotto il profilo
medico-scientifico la genuinita' e la irreversibilita'  del  percorso
di transizione di un  individuo,  il  tribunale  possa  ciononostante
negare l'autorizzazione prescritta dalla norma censurata. 
    Ne' sembrano ravvisabili specifiche ragioni tali da far  ritenere
ineludibile un vaglio giudiziale in merito  all'effettiva  necessita'
di un intervento chirurgico valutato come indicato per la salute  del
paziente  all'esito  di  un  accertamento  medico-psicologico  ed  in
relazione al quale lo stesso paziente ha prestato un proprio consenso
informato. 
    In tale prospettiva, la disposizione contestata sembra  porsi  in
contrasto con gli articoli 2, 3 e  32  Cost.,  nella  misura  in  cui
comporta una ingiustificata e considerevole limitazione al diritto di
un individuo all'accesso alle cure mediche e dunque una  lesione  del
diritto alla salute ed alla autodeterminazione del singolo. 
    Sotto diverso profilo,  come  correttamente  osservato  da  parte
attrice,  la   disciplina   in   esame   determina   un   trattamento
irragionevolmente e significativamente deteriore in capo ai  soggetti
che intendano sottoporsi ad interventi  chirurgici  di  modificazione
dei caratteri  sessuali  -  stante  la  necessita'  di  ottenere  una
preventiva autorizzazione  da  parte  del  tribunale  -  rispetto  ai
soggetti che debbano o vogliano sottoporsi ad  interventi  chirurgici
altrettanto invasivi ed irreversibili (si pensi  agli  interventi  di
amputazione di arti ovvero di vasectomia), che possono invece  essere
eseguiti unicamente sulla base di una valutazione medica favorevole. 
    Non pare poi che l'esistenza del regime  autorizzatorio  previsto
dalla disciplina impugnata e  la  disparita'  di  trattamento  appena
evidenziata possano essere  giustificate  in  ragione  dell'interesse
pubblico alla certezza delle  relazioni  giuridiche,  in  particolare
alla distinzione tra i generi e delle relazioni giuridico-sociali. 
    A tal proposito va rilevato  che,  tenendo  conto  dell'interesse
pubblico alla certezza delle  relazioni  giuridico-sociali,  la  gia'
richiamata  giurisprudenza  di  legittimita'  e   costituzionale   ha
ribadito che il riconoscimento giudiziale del diritto al mutamento di
sesso  deve  essere  preceduto  da  un  accertamento   rigoroso   del
completamento di  un  percorso  individuale  serio  ed  irreversibile
(Cass., Sez. 1, sentenza n. 15138 del 20 luglio 2015  e  Corte  cost.
sentenza n. 221 del 2015). 
    Tuttavia, tale esigenza di certezza dei rapporti giuridici sembra
idonea  a  giustificare  la  necessita'  di  una  siffatta   rigorosa
valutazione giudiziale ai fini  dell'accoglimento  della  domanda  di
rettificazione anagrafica e non anche quale presupposto all'accesso a
trattamenti terapeutici come gli interventi chirurgici di adeguamento
ai  caratteri  sessuali,  dovendosi  ormai  ritenere  definitivamente
interrotto, in ossequio ai principi  affermati  dalla  giurisprudenza
costituzionale  e  di  legittimita'  sopra   richiamata,   il   nesso
funzionale tra tali interventi e la rettificazione anagrafica. 
    Infine,  anche  con  riguardo  alla  questione  di   legittimita'
costituzionalita' da ultimo delineata,  non  pare  possibile  operare
un'interpretazione  conforme  a   Costituzione   della   disposizione
censurata,  stante  la  formulazione  chiara  ed  univoca  del   dato
normativo  che  prescrive  la  necessaria  autorizzazione  preventiva
giudiziale    dei    trattamenti     medico-chirurgici     funzionali
all'adeguamento dei caratteri sessuali. 
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