Il Papa: senza tutele per i lavoratori la società è sempre più schiava dello scarto. Ai direttori e dipendenti dell’Inail Francesco parla della “cultura dello scarto” nelle società che non danno garanzie a chi lavora e sull’aumento degli infortuni delle donne denuncia la mentalità che allontana le allontana in caso di gravidanza: questa logica terribile che si riassume nella frase “vali se produci” si sconfigge con la compassione.
Francesca Sabatinelli – Città del Vaticano
Non sempre la dignità dei lavoratori è tutelata e spesso, in caso di infortunio, il peso “viene caricato sulle spalle delle famiglie”, e una società che è senza tutele è sempre “più schiava della cultura dello scarto”. Parole forti che il Papa pronuncia ricevendo in udienza i dirigenti e il personale dell’Inail, l’Istituto nazionale Assicurazione Infortuni sul Lavoro, al quale indica il valore della tutela sui posti di lavoro. Cita la pandemia, Francesco, che ha portato a un aumento di “numero di denunce in Italia, in particolare nei settori della sanità e dei trasporti”, e poi anche la crescita degli infortuni delle donne, “a ricordarci che la piena tutela delle donne nei luoghi di lavoro non è ancora realizzata”.
E questo anche, mi permetto di dire, c’è uno scarto previo delle donne, per paura che rimangono incinte, è meno sicura una donna perché può diventare incinta. Questo si pensa per assumere e quando comincia a ingrassare se si può mandare via è meglio. Questa è la mentalità e dobbiamo lottare contro questo.
Società schiave della cultura dello scarto. Il lavoro dell’Inail è prezioso, dice ancora Francesco, per prevenire gli infortuni, ma anche per accompagnare gli infortunati e per garantire sostegno alle loro famiglie, nessuno così si sente “abbandonato a sé stesso, questo è chiave”.
Senza tutele, la società diventa sempre più schiava della cultura dello scarto. Finisce per cedere allo sguardo utilitaristico nei confronti della persona, piuttosto che riconoscere la sua dignità. La tremenda logica che diffonde lo scarto si riassume nella frase: “Vali se produci”. Terribile questo: vali se produci, se tu non produci non vali niente. Così conta solo chi riesce a stare nell’ingranaggio dell’attività e le vittime vengono messe da parte, considerate un peso e affidate al buon cuore delle famiglie.
Vita e salute non hanno prezzo
Non investire nella sicurezza nei luoghi di lavoro è tra le cause dell’aumento degli infortuni, e il Papa ricorda come la vita e la salute non hanno prezzo, che non possono essere scambiabili con “qualche soldo in più o con l’interesse individuale di qualcuno”. La cultura dello scarto porta alla tendenza di colpevolizzare le vittime, aggiunge, e “questo appare sempre, è un modo di giustificare”, e questo “è segno della povertà umana in cui rischiamo di far cadere le relazioni, se perdiamo la retta gerarchia dei valori, che ha in cima la dignità della persona umana”. L’invito di Francesco è a riflettere “sul senso del lavoro”, e sulla importanza della cura per la qualità del lavoro, per i luoghi e per i trasporti, aspetti fondamentali, “se si vuole promuovere la centralità della persona; quando si degrada il lavoro, si impoverisce la democrazia e si allentano i legami sociali”.
È importante fare in modo che siano rispettate le normative sulla sicurezza: non possono mai essere viste come un peso o un fardello inutile. Come sempre accade, ci rendiamo conto del valore della salute solo quando viene a mancare.
Seguire il Buon Samaritano
Importante è quindi avvalersi della tecnologia, che da una parte favorisce una buona soluzione come il lavoro a distanza, dall’altra però non deve isolare “i lavoratori impedendo loro di sentirsi parte di una comunità”. Francesco inoltre evidenzia le conseguenze negative nate dalla “netta separazione tra luoghi di vita familiare e ambienti lavorativi” che ha “avvalorato l’idea secondo cui la famiglia sarebbe il luogo del consumo e l’impresa quello della produzione”, rischiando di fare crescere “la mentalità secondo la quale le persone valgono per quel che producono, per cui fuori dal mondo produttivo perdono valore, identificato in modo esclusivo con il denaro”.
L’impegno dell’Inail si dimostra dunque necessario, seguendo l’esempio del Buon Samaritano, per chi ha bisogno di aiuto e rischia di essere abbandonato, grazie ad una azione che mette “in pratica i verbi della parabola evangelica: vedere, avere compassione, farsi vicini, fasciare le ferite, farsi carico”.
Ripeto: vedere, avere compassione, farsi vicini, fasciare le ferite, farsi carico. E questo non è un bel negoziato, è sempre a perdita…Vi incoraggio a guardare in faccia tutte le forme di inabilità che si presentano. Non solo quelle fisiche, anche quelle psicologiche, culturali e spirituali. L’abbandono sociale ha riflessi sul modo in cui ciascuno di noi guarda e percepisce sé stesso.
L’indifferenza è segno di una società disperata. Vedere significa guardare alle persone che sono uniche e non sono numeri, perché “non esiste l’infortunato”, ma esiste chi ha un nome e un volto. Esiste il sostantivo, non l’aggettivo, un infortunato: no, è una persona che ha subito un infortunio. Noi siamo abituati a usare troppo gli aggettivi, siamo in una civiltà che è caduta un po’ nell’usare troppo gli aggettivi e abbiamo il rischio di perdere la cultura del sostantivo. Questo non è un infortunato, è una persona che ha avuto un infortunio ma è una persona.
La compassione, “non è una cosa stupida di donne, di vecchiette, no: è una cosa umana molto grande”, è il contrario dell’indifferenza, e “noi viviamo in una cultura dell’indifferenza”, poiché “compassione e la tenerezza sono atteggiamenti che riflettono lo stile di Dio”.
Se noi ci domandiamo qual è lo stile di Dio, tre parole lo indicano: vicinanza, Dio sempre è vicino, non si nasconde; misericordia, è misericordioso, ha compassione e per questo è misericordioso; e terzo, è tenero, ha tenerezza. Vicinanza, misericordia compassionevole e tenerezza. Questo è lo stile di Dio e su quella strada dobbiamo andare.
La vicinanza, è condivisione della fragilità, perché così “si abbattono le barriere per trovare un comune piano di comunicazione che è la nostra umanità”. Il fasciare ferite si esprime con il dedicare tempo alla persona infortunata che “ancora prima di essere risarcita” chiede di essere “accolta, ascoltata”. Infine il farsi carico, il prendersi cura “in maniera integrale” del dramma in cui si trova chi è costretto a lasciare il lavoro a causa dell’infortunio, ma farlo con creatività e non con “falsa pietà”, perché non si tratta di “elemosina” bensì di “un atto di giustizia”. Ci si lasci “interpellare dalle ferite” del prossimo e si traccino sentieri di fraternità, sono le richieste di Francesco che, in conclusione, spiega che ancor prima di una assicurazione legata ad una giustizia legale c’è bisogno di una assicurazione rappresentata da solidarietà e da carità, e che sia “cura dell’umanità nelle sue diverse dimensioni”, perché, è l’indicazione, “l’indifferenza è segno di una società disperata e di una società mediocre. Dico disperata nel senso che non ha speranza”.