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COMUNE DI TRENTO * GIORNO DELLA MEMORIA 2021: SINDACO IANESELLI, « IL RICORDO È PER I VIVI, È NECESSARIO AL NOSTRO PRESENTE E AL FUTURO PIENO DI INCOGNITE DEI NOSTRI FIGLI »

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11.47 - mercoledì 27 gennaio 2021

Non c’è memoria civile che non sia condivisa. Può essere clandestina – lo è quando c’è un regime dittatoriale – ma non può essere né individuale né privata, perché altrimenti la memoria rischia di morire. Oggi che, a causa delle restrizioni imposte dal Covid, siamo costretti a ricordare la Shoah virtualmente e rimanendo distanti, ammetto di sentire il desiderio di una cerimonia civica diversa da questa: una cerimonia partecipata, aperta al contributo dei giovani e alle testimonianze degli anziani, una cerimonia pubblica, dove possano incontrarsi le storie e la Storia, le riflessioni e l’impegno civile. Vorrei anche che qui, insieme a noi, ci fossero tante ragazze e tanti ragazzi in rappresentanza di tutte le scuole della città. E vorrei ascoltare le loro voci, capire cosa rappresenti Auschwitz per un nato negli anni Duemila, cosa significhi per chi si affaccia alla vita adulta fare i conti con una duplice consapevolezza: quella che l’orrore efficientemente organizzato è esistito e l’altra, ancora più spaventosa, che il Male assoluto potrebbe tornare se smettiamo di temerlo e di combatterlo.

Tra tante altre conseguenze, la pandemia ha pure quella di farci sentire la mancanza di una socialità larga e autentica, più larga e autentica anche della socialità a cui eravamo abituati in era pre Covid. Allora, tra gli obiettivi dei prossimi mesi, c’è anche quello di lavorare a un Giorno della memoria che sia davvero condiviso da tutta la città. Perché l’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, avvenuto oggi, 76 anni fa, perché gli oltre sei milioni di ebrei, oppositori politici, rom e omosessuali sterminati nei lager e nei ghetti o per strada, costituiscono un abominio che deve diventare la nostra ossessione, il campanello d’allarme che ci tiene lontani dalla tentazione di individuare capri espiatori alle nostre frustrazioni, la ferita, impossibile da rimarginare, che ci fa diffidare delle rivoluzioni violente, delle generalizzazioni razziste, del fanatismo ideologico e del fondamentalismo di qualsivoglia religione.
Dobbiamo essere tutti consapevoli che purtroppo l’antisemitismo non è, come potremmo superficialmente pensare, un pensiero arcaico appartenente ad altre epoche e ad altre latitudini. L’antisemitismo è ancora tra noi, come dimostrano ogni giorno il delirio di taluni profili social insieme al revival di simboli e slogan nazisti che non di rado sfociano nelle aggressioni violente raccontate dalle cronache non solo europee.

Sentiremo in chiusura di questa cerimonia un paio di storie vere. Storie di ebrei che, nei funesti anni Trenta del secolo scorso, dalla Germania e dalla Polonia hanno cercato scampo alle persecuzioni del Reich qui in città. Erano due coppie benestanti, distinte, attorno ai sessant’anni, che da Trento finirono poi ad Auschwitz, vittime della delazione e dello zelo antisemita di casa nostra: il pensiero doloroso che allora la nostra città non sia riuscita a proteggerle deve diventare un impegno a comprendere le ragioni degli esuli di oggi e a far sentire alta la nostra voce quando, per esempio, l’Europa si gira dall’altra parte di fronte ai profughi che muoiono di freddo sulla rotta balcanica.

Tzvetan Todorov ha scritto nel libro “Memoria del bene, tentazione del male” che “la singolarità del fatto non impedisce l’universalità della lezione che se ne trae”. In altri termini la discriminazione, la persecuzione e infine lo sterminio degli ebrei del secolo scorso ci devono mettere in guardia nei confronti di ogni discriminazione, di ogni persecuzione, di ogni tentativo di pulizia etnica. La Shoah segna dunque la strada da non percorrere e il limite da non oltrepassare, è la nostra pietra d’inciampo: proprio come quella che, tra qualche settimana, metteremo tra i bolognini di San Martino per ricordare Albino Nichelatti, l’antifascista trentino che finì a Mauthausen per aver aiutato la Resistenza partigiana. Albino morì il 25 aprile 1945, il giorno di una Liberazione che lui non riuscì a vedere, ma a cui diede – insieme a tanti altri resistenti – un contributo determinante. Ricordare allora è un impegno che ci assumiamo non solo perché lo dobbiamo a lui e a tutte le vittime dei lager: ricordare è soprattutto un salvacondotto per l’umanità. La memoria è per i vivi, è necessaria al nostro presente e al futuro pieno di incognite dei nostri figli.

 

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Franco Ianeselli
sindaco di Trento

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