(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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Nella recente relazione del Ministro sullo stato della Giustizia piuttosto che l’indicazione di strumenti che possano essere di ausilio al quotidiano impegno dei magistrati, e dei loro collaboratori, nel rendere il migliore servizio a tutela dei diritti dei cittadini, piuttosto che esporre con quali mezzi si intendano perseguire gli obiettivi del PNRR (nel processo penale forse attraverso una App nata già obsoleta e che al momento consente solo di decuplicare il tempo necessario all’evasione di una richiesta di archiviazione?), si è avuta una nuova manifestazione del timore per il preteso eccessivo potere degli uffici di procura e per i pretesi abusi delle intercettazioni o di altri strumenti di ricerca della prova, essenziali nel contrasto delle forme di criminalità organizzata o di gravi delitti contro l’economia e la pubblica amministrazione.
Nel doveroso rispetto delle decisioni delle corti nazionali e sovranazionali in materia di utilizzazione delle conversazioni acquisite tramite i telefoni cellulari, e nel parimenti dovuto rispetto dei principi costituzionali di tutela della riservatezza delle conversazioni private, va quindi riaffermata la necessaria difesa e salvaguardia dello strumento delle intercettazioni.
I magistrati stanno già dimostrando grande capacità di lavoro e di sacrificio e nulla può essere loro richiesto in più. È stato fissato l’obiettivo pressoché irraggiungibile dell’eliminazione del 90% dell’arretrato entro il giugno 2026, senza che il Governo abbia mai consultato l’ANM.
Non esiste efficienza senza investimento di risorse: è essenziale mantenere inalterato il numero degli addetti all’Ufficio per il processo, anche dopo il 2026.
Resta fondamentale il mantenimento dell’attuale modalità di reclutamento e di formazione di giudici e pubblici ministeri, poiché valorizza la comune cultura della giurisdizione, che è essenziale per tutti gli appartenenti all’ordine giudiziario, siano essi giudici che pubblici ministeri, quale prima garanzia dell’indagato e vero fondamento della legittimazione e responsabilità dell’organo del pubblico ministero, che è il primo presidio del rispetto delle garanzie per la persona sottoposta a indagini e per la persona offesa.
Da ultimo, ma non per importanza, devono essere rimarcate le gravi criticità della relazione a proposito del reato di abuso di ufficio.
L’abrogazione di tale delitto rischia di rendere priva di sanzione la violazione degli obblighi di astensione, la dolosa alterazione di concorsi pubblici, l’assegnazione di appalti, lavori o servizi pubblici, in assenza di procedure di evidenza pubblica: una fascia di impunità che non appare in linea con le esigenze, riconosciute dallo stesso Guardasigilli nella sua relazione alle Camere, di serio ed effettivo contrasto ai fenomeni corruttivi.
Del resto, è difficile comprendere come sia perseguibile con l’abrogazione della indicata fattispecie di reato l’obiettivo di porre rimedio alla c.d. paura della firma: solo la semplificazione delle norme che ispirano e disciplinano l’azione amministrativa e delle norme sulle competenze ed il rafforzamento dei controlli interni possono rappresentare rimedi efficaci a questa patologia.
Il Comitato Direttivo Centrale dell’Anm sollecita pertanto il Ministro, cui spetta per costituzione il compito di “organizzazione e funzionamento dei servizi relativi alla giustizia”, ad attuare una reale politica di sostegno dei magistrati, impegnati a garantire il migliore servizio ai cittadini e l’attuazione degli obiettivi del PNRR, garantendo mezzi e risorse, e si riserva ogni necessaria iniziativa a tutela dell’essenza della giurisdizione.