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OPI – ORDINE PROFESSIONI INFERMIERISTICHE TRENTO * EDITORIALE PRESIDENTE PEDROTTI: « CAMBIARE “RICETTA” FARE LE SCELTE GIUSTE, CON CORAGGIO »

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11.11 - domenica 5 dicembre 2021

Editoriale del Presidente Daniel Pedrotti. NOTIZIARIO PROFESSIONE INFERMIERE – ORGANO DELL’ORDINE DELLE PROFESSIONI INFERMIERISTICHE DELLA PROVINCIA DI TRENTO – EDIZIONE DICEMBRE 2021

CAMBIARE “RICETTA” FARE LE SCELTE GIUSTE, CON CORAGGIO

Ci sono segnali positivi e possiamo affermare che c’è un clima generale di consapevolezza della necessità di quella rivoluzione del territorio che, da una parte, è la risposta razionale e coerente alla situazione sanitaria nel nostro Paese e nella nostra Provincia, e dall’altra, oggettivamente, fa perno in larga parte sulla professionalità infermieristica.
Gli infermieri rappresentano la figura centrale attorno alla quale ruota gran parte della rivoluzione del territorio disegnata nel PNRR. Siamo convinti di avere di fronte una grande responsabilità, una grande sfida ed in questo senso è necessario fare le scelte giuste ed avere il coraggio di farle.

 

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Tra contenuti e contenitori: la forza dell’équipe multiprofessionale

Come Ordine rileviamo un grande lavoro a livello nazionale e provinciale per migliorare e innovare il Sistema sanitario al fine di garantire risposte di salute appropriate e coordinate ai bisogni sanitari e socio- sanitari emergenti dei nostri cittadini. Ma è evidente che c’è ancora molto da fare rispetto ai modelli organizzativi attualmente in essere. In questo senso è necessario parlare di contenuti anziché di contenitori. I contenitori sono stati ampiamente ben descritti e anche sostenuti da dati ed evidenze dal Ministero della Salute, dall’Istituto Superiore di Sanità e da Agenas.

Discutere se il contenitore si deve chiamare in un modo piuttosto che in un altro è un mero esercizio teorico, che sposta l’attenzione e non ci consente di parlare del contenuto. Perché il tema è il contenuto, ovvero, ad esempio, come si sta dentro le case della comunità, come si sta dentro il distretto o dentro un pronto soccorso. Un conto è affermare che i professionisti lavorano in modo interprofessionale e sinergico, un conto è realizzare i comportamenti professionali dei professionisti che abitano il territorio, le RSA, gli ospedali. È evidente che non basta stare nei setting di cura, ma occorre creare le condizioni normative e organizzative affinché si realizzi una reale interprofessionalità, un reale lavoro in équipe, nella presa in cura della persona, dove ogni professionista può apportare, in un’ottica di appropriatezza professionale, il proprio specifico contributo alla salute dei cittadini.

Cambiamo il nome alle cose, ma poi si lavora sempre adottando gli stessi modelli di prima, ormai obsoleti e non più all’altezza e appropriati per continuare a garantire risposte efficaci ai bisogni di salute dei cittadini e al contempo per valorizzare i professionisti veri attori del Sistema Salute della nostra Provincia. Durante la pandemia, chi entrava nelle case delle persone erano gli infermieri: sono loro che hanno raccolto un bisogno che era frammentato e che hanno provato a ricomporre. Abbiamo provato a farlo con i mezzi che avevamo e gli infermieri sono stati i primi a essere coinvolti in modo diretto per questo ruolo, grazie anche all’intervento del decreto Rilancio, che proprio in questo senso ha introdotto l’infermiere di famiglia e di comunità nel distretto.

Questo ruolo, di conseguenza, che rappresenta la professione e che risponde al bisogno prioritario trovato in quella famiglia, in quella comunità, in quel singolo. I meccanismi di lavoro non possono essere gerarchizzati secondo modelli precostituiti, ma deve esserci un adattamento reciproco. Questa è una vera équipe multiprofessionale. In questo senso è necessario che l’operazione sia impostata su basi solide, non di facciata, lasciando spazio poi a gerarchie ormai vecchie di anni. Basi che soprattutto mettano il professionista giusto al posto giusto e considerino obsolete, inutili e dannose scelte legate a vecchi stereotipi che ormai anche a livello internazionale, come dimostra anche l’OCSE, sono rifiutati. Sia negli ospedali che sul territorio serve una corretta e misurata politica del personale in funzione delle vere esigenze, della sua formazione, della specializzazione (e non solo dei medici) e soprattutto dello sviluppo di meccanismi già sperimentati in molte Regioni con risultati positivi replicabili con i necessari adattamenti sul territorio provinciale.

 

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Infermiere di famiglia e comunità: una ricchezza necessaria (e doverosa)

Per quanto riguarda la figura dell’infermiere di famiglia e comunità, è stato citato più volte e sembra l’uovo di Colombo. La Federazione nazionale e l’Ordine delle Professioni Infermieristiche della Provincia di Trento, prima Collegio IP.AS.VI, è da almeno 10 anni che continuano a sostenerlo e ad affermare che l’infermieristica di famiglia e di comunità è un’evoluzione non solo auspicata, ma anche doverosa rispetto alla modifica dei bisogni di salute della popolazione.

Il “di famiglia” significa che l’infermiere è il candidato naturale a essere in qualche modo il care manager, colui che identifica, raccoglie il bisogno, lo decodifica, lo inserisce nei percorsi, prende decisioni su problemi e bisogni infermieristici, realizza in forte integrazione con altri professionisti progetti di promozione, educazione e gestione proattiva della salute a livello di persona, famiglia e comunità e mette in rete le risorse che devono rispondere a questo bisogno. Il “di comunità”, significa che è inserito nel tessuto sociale della comunità di riferimento e che a sua volta fa rete con tutta la comunità attraverso reti formali e informali. Significa che si occupa ad esempio degli studenti nella scuola – ma non solo – perché la scuola è una comunità ed è inserita nella comunità; significa che si occupa dell’ambiente nella logica “One Health” perché guarda alla promozione della salute e di stili di vita corretti, ma anche alla necessità di quelle azioni di promozione, di prevenzione alla base della “One Health”, dell’alimentazione, dell’attività fisica e di molti altri aspetti.

La bozza di documento di Agenas e Ministero della Salute sull’Assistenza Territoriale definisce lo standard di almeno 1 infermiere di comunità ogni 2000-3000 abitanti.
Considerata la potenziale rilevanza per i cittadini di questa figura si deve evitare che venga risucchiata nell’obsoleto sistema basato su gerarchie e supremazie professionali, per farne invece un professionista a diretto contatto con il cittadino, che entra nella sua casa, con ampia responsabilità e autonomia, realizzando in tal modo proprio la “prossimità” così insistentemente richiamata. E anche su questo le indicazioni di Agenas sono chiarissime: le Regioni e Provincie Autonome conservano certo il loro margine di autonomia nella realizzazione operativa, ma questi non sono temi che si possono eludere. Forse ora può diventare qualcosa di ancora più ricco perché l’esperienza pandemica agli infermieri oltre alle fatiche, allo stress, alla paura della malattia e della morte con cui ci siamo confrontati tutti i giorni da 18 mesi a questa parte 24 ore su 24 nelle Rsa, sul territorio, in ospedale, nell’urgenza-emergenza, ha regalato la ricchezza di entrare nelle case delle persone e di prenderle per mano insieme ai loro bisogni sociosanitari. Questa ricchezza acquisita ad alto prezzo non ce la potrà togliere nessuno.

 

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Tagli alla sanità: un patto sociale per riformare

Dopo oltre un anno e mezzo abbiamo visto e toccato con mano che i tagli degli scorsi anni al sistema sanitario sono stati un fallimento con conseguenze drammatiche. Certo, paghiamo un’organizzazione miope degli ultimi 20 anni. Gli organici sottodimensionati rispetto a quanto raccomanda la letteratura, già da prima della pandemia, in particolare in contesti che accolgono pazienti ad alta complessità e criticità assistenziale – RSA, medicina, geriatria, terapie intensive, territorio – hanno impattato sulla qualità dell’assistenza e sul benessere lavorativo dei professionisti ed operatori sanitari.

È perentorio ormai sviluppare una sanità moderna e innovativa. Siamo arrivati al punto che non possono farlo la politica o i tecnici da soli, seppur abbiano responsabilità importanti e primarie: serve un patto sociale tra le professioni sanitarie, i cittadini e le istituzioni. È necessario potenziare il territorio e riorganizzare il sistema delle RSA. Pur nella buona gestione, questa emergenza ha messo allo scoperto una forma disumana con cui la nostra società gestisce gli anziani e un grave sottodimensionamento delle dotazioni infermieristiche a fronte di bisogni sanitari sempre più complessi dei residenti nelle RSA. Grazie ai continui stimoli dell’Ordine degli ultimi anni, la PAT ha istituito quest’estate un tavolo di lavoro proprio sull’assistenza in RSA finalizzato a “mettere a terra” indirizzi e decisioni concrete sugli standard di dotazioni infermieristiche ormai obsolete e insufficienti in questi importanti contesti di assistenza, sulla formale valorizzazione della professione infermieristica attraverso percorsi di carriera e sulla governance assistenziale di livello dirigenziale. Salutiamo con favore la presenza in esso della consigliera Elisa Contini e della vicepresidente Nicoletta De Giuli, oltre a rappresentanti, molti dei quali infermieri, della PAT, di APSS, di UPIPA e Consolida. Auspichiamo un cambio di passo e scelte del tavolo innovative e coraggiose.

 

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Qualità e quantità: serve rendere attrattiva la professione

Gli infermieri italiani guadagnano poco, lavorano molto – come si è stato evidente durante la pandemia – e hanno scarse possibilità di carriera per come sono organizzati oggi i servizi. E qui si collegano temi importanti e sensibili evidenziati anche dal Rapporto Health at a Glance 2021 pubblicato dall’OECD:

servono più infermieri e servono più infermieri specialisti. Il ruolo chiave che gli infermieri svolgono nel fornire assistenza negli ospedali, nelle strutture di assistenza a lungo termine e nella comunità, è di nuovo evidenziato durante la pandemia di COVID-19, ma per l’OCSE in molti Paesi ce ne sono troppo pochi per far fronte alla domanda di salute delle persone. L’Italia è di poco migliorata rispetto agli anni precedenti: ora ne ha 6,2 per mille abitanti (+0,3), in Trentino sono 7.8 per mille abitanti, ma la media OCSE è di 8,8 e ci sono Paesi che vanno molto oltre questo rapporto.

Servono più infermieri anche per far fronte ai nuovi bisogni di salute dei cittadini caratterizzati dalla cronicità e per sostenere nuovi modelli professionali grazie all’evoluzione delle competenze e dell’autonomia degli infermieri. Anche allargando la disponibilità didattica degli Atenei. Ma è imprescindibile parallelamente investire sulla formazione che significa garantire al SSP e quindi ai cittadini professionisti di qualità e quindi salute. Investire sulla formazione si intende investire sui docenti, sui tutor, sull’accoglienza e la qualità delle sedi di tirocinio, su strutture idonee: aule, aule studio, centri di simulazione.

È quindi fondamentale definire in modo più accurato i fabbisogni formativi di base e specialistici della professione infermieristica, ovvero di quanti infermieri il Sistema salute ha bisogno, della loro qualità e dei livelli di specializzazione. Gli infermieri sono una risorsa preziosa ed insostituibile, che va valorizzata e utilizzata nel sistema salute in modo appropriato. Al di là di garantire dotazioni infermieristiche e di personale di supporto sicure nei vari contesti sanitari e socio sanitari è necessario definire per quali modelli organizzativi assistenziali. Quindi la politica dei fabbisogni e il dialogo tra Università, Assessorato alla Salute e Ordine si deve orientare verso una politica indirizzata su quali modelli professionali si devono realizzare: quali e quanti infermieri “servono” al sistema salute, quali competenze occorrono, compresa la formazione specialistica di area clinica, ma anche dell’area della formazione, dell’organizzazione e della ricerca

serve rendere attrattiva la professione infermieristica. Nella maggior parte dei Paesi, la crescita numerica di infermieri è stata trainata dal crescente numero di laureati in infermieristica. Le nazioni che ne hanno di più, li hanno reclutati e formati con una serie di misure per attirare più studenti nella formazione universitaria e trattenere più infermieri nella professione, migliorando le loro condizioni di lavoro, economiche, di posizione e carriera. Gli infermieri italiani sono fra i più sottopagati a livello europeo. Health at a Glance 2021 fa il raffronto delle retribuzioni degli infermieri e peggio dell’Italia nella classifica dei guadagni vanno solo altre dieci nazioni sui 35 Paesi OCSE. La prima azione per rendere attrattiva la professione, è quella di garantire retribuzioni dignitose e all’altezza della responsabilità assunte dagli infermieri, evoluta in modo esponenziale negli ultimi 20 anni a fronte di stipendi pressoché stabili.

Seconda azione è necessario istituire percorsi di carriera nelle aree della clinica, della formazione e dell’organizzazione. Le funzioni specialistiche, le direzioni infermieristiche con un’appropriata stratificazione dei livelli di responsabilità della linea professionale sono un’occasione di miglioramento degli standard assistenziali e dei percorsi di presa in carico dei cittadini, oltre che una dovuta e meritata valorizzazione degli infermieri. Rendere attrattiva la professione impatterà anche su un’altra priorità già sopra descritta: aumentare il numero di studenti che si iscrivono all’esame di accesso alla laurea triennale in infermieristica, molto carente in alcune aree geografiche della nostra Provincia, e quindi assicurare per il futuro al nostro sistema salute più infermieri distribuiti sul territorio provinciale e di qualità.

In sintesi la ricetta deve prevedere più infermieri, più formazione (e relativi investimenti su docenza, tutorato, spazi per le aule e per centri di simulazione, tecnologie), specializzazioni e possibilità di carriera, retribuzioni all’altezza delle responsabilità assunte dagli infermieri.

 

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Le scelte giuste oggi per un futuro “riformato”

C’è ancora molto da fare, e l’Ordine, in qualità di ente sussidiario dello Stato, in questa “riforma” attualmente in corso del Sistema Sanitario Provinciale, ma anche per i prossimi anni, può dare un contributo importante all’analisi dei fabbisogni, alla declinazione di modelli professionali innovativi (infermiere di famiglia e comunità, infermiere specialista, dirigente e direttore infermiere) e su come ci si mette in rete e si lavora in sinergia, anche con il supporto della tecnologia, per garantire le risposte di salute ai bisogni emergenti dei cittadini.

E allora chiediamo di partecipare attivamente nella concreta declinazione di questi contenuti perché i contenitori ci sono e l’Ordine delle Professioni Infermieristiche della Provincia di Trento li ha accettati, siano essi condivisibili o meno. Queste scelte condizioneranno i prossimi 100 anni del nostro sistema sanitario provinciale. Come Ordine non intendiamo rimanere fuori da questo dibattito ed intendiamo starci con il contributo che possiamo dare per lo sviluppo di una rete veramente di solidarietà, sussidiarietà e di appropriatezza del nostro sistema socio-sanitario provinciale, superando una buona volta e per sempre la dimensione gerarchica fondata sulle supremazie professionali, per riconoscere invece le professionalità specifiche, tutte, e articolare un sistema modellato sulle esigenze espresse dai cittadini, senza rincorrere vecchi modelli ma facendo le scelte giuste. Costa sacrificio, certo non è facile, ma se non lo facciamo ora sprecheremo un’occasione che non avremo mai più, che è il PNRR.

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