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LANCIO D'AGENZIA

CONSIGLIO PAT * QUARTA COMMISSIONE: « RESPINTO IL DDL OLIVI CONTRO IL REQUISITO 10 ANNI DI RESIDENZA PER BONUS BEBÈ, ZANELLA ACCUSA LA GIUNTA DI RAZZISMO »

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19.32 - mercoledì 25 maggio 2022

Respinto per un voto dalla IV Commissione dopo un acceso dibattito il ddl di Olivi contro il requisito dei 10 anni di residenza in Trentino per l’accesso delle famiglie al bonus bebè. Zanella accusa la Giunta di razzismo. Dalle audizioni sul testo unico che vieta l’utilizzo del la catena per i cani e gli animali di affezione, molti pareri favorevoli ma anche alcune perplessità e critiche dagli allevatori.

Ad animare oggi i lavori della Quarta Commissione presieduta da Claudio Cia (FdI) è stato il disegno di legge 104 di Alessandro Olivi (Pd), che prevede di ridurre da 10 a 2 anni, come stabilito dalla normativa nazionale, il requisito della residenza attualmente richiesto in Trentino dalla disciplina provinciale per permettere alle famiglie di chiedere e ottenere il cosiddetto bonus bebè a sostegno della natalità. Dopo un acceso dibattito che ha visto tra l’altro Paolo Zanella (Futura) accusare di razzismo la posizione politica dell’esecutivo, rappresentato in Commissione dall’assessora Stefania Segnana, che sostituiva il collega Spinelli, l’organo consiliare ha respinto il ddl di Olivi con tre voti contrari e tre a favore (i primi della maggioranza hanno prevalso su quelli dell’opposizione per il valore doppio del voto del presidente Cia). Poco prima Segnana aveva proposto al consigliere di rinviare l’esame del suo provvedimento in attesa della valutazione della Giunta che deciderà a breve se ricorrere all’avvocatura per resistere alla sentenza con cui il tribunale di Rovereto ha recentemente sospeso, con un giudizio di primo grado, l’applicazione del regolamento che dando attuazione alla legge provinciale impone il requisito dei 10 anni di residenza. Olivi ha rifiutato l’offerta dell’assessora ricordando di aver ricevuto la stessa proposta anche attraverso una telefonata in extremis proveniente dalla segreteria dell’assessore Spinelli. Metodo e tempistica inaccettabili, secondo il consigliere, che ha per questo giudicato irricevibile l’invito. Olivi ha così sollecitato la Commissione a pronunciarsi subito sul suo ddl che è quindi stato bocciato. Ora il testo passerà all’esame finale del Consiglio provinciale.

Nella prima parte dei lavori la Commissione ha effettuato le audizioni dedicate al testo unificato di due disegni di legge proposti da Cia (FdI) e dall’assessora Segnana, che modificando la normativa provinciale vieta di utilizzare la catena per i cani (come con altri animali d’affezione) e “qualunque altro strumento di contenzione simile, salvo che per ragioni sanitarie, documentabili e certificate dal veterinario curante, o per ragioni urgenti e temporanee di sicurezza, sulla base dei criteri stabiliti dalla Giunta”. Esclusivamente contro il riferimento a questi non meglio precisati “criteri” e il divieto della catena sono emersi dalle alcune organizzazioni impegnate nella protezione degli animali. Critiche sono emerse anche dai rappresentanti degli agricoltori e degli allevatori che utilizzano nei pascoli i cani da guadiania, da loro tenuti di notte legati alla catena per difendere il bestiame dai grandi predatori. A loro avviso in questi casi non c’è alternativa alla catena perché non tutti possono servirsi di box o gabbie. Favorevole al provvedimento, invece l’Ordine dei medici veterinari. Infine la Commissione ha votato a favore, con l’astensione di Zanella, alla scelta di concedere un’audizione al Sapar, l’organizzazione dei gestori del gioco di Stato, in vista dell’entrata in vigore, dall’agosto di quest’anno, della legge provinciale che prevede la chiusura di molte sale da gioco per ridurre i rischi di ludopatia.

La Quarta Commissione ha respinto, al termine di un acceso dibattito, con i tre voti contrari di Cia (FdI), Rossato (FdI) e Dalzocchio (Lega) i tre a favore di Olivi (Pd, presente al posto del collega Zeni), Zanella (Futura) e Demagri (Patt), il disegno di legge 104 di Olivi (Pd) che propone di modificare le norme provinciali sul benessere familiare e l’assegno unico e in particolare sul bonus bebè a sostegno delle famiglie. Il no della maggioranza ha prevalso in virtù del voto del presidente, Claudio Cia, che vale doppio. Il testo, formato da due articoli, prevede in particolare di ridurre da 10 a 2 anni il requisito richiesto alle famiglie per poter chiedere e ottenere il cosiddetto bonus bebè, introdotto con una legge provinciale voluta dalla Giunta Fugatti.

Olivi ha ricordato di aver chiesto recentemente la trattazione del ddl per far sedimentare l’esito delle consultazioni già effettuate su questo testo, da cui sono emersi pareri favorevoli all’esigenza di rendere omogeneo il sistema dei requisiti per poter accedere alle misure di assistenza pubblica introdotte dalla normativa provinciale a sostegno della famiglia. Il consigliere ha citato anche l’ultimo parere acquisito dalla diocesi di Trento che esorta il Consiglio a perseguire una posizione che garantisca l’uguaglianza tra trentini e le famiglie provenienti da fuori provincia che si sono insediate nel nostro territori. Olivi ha poi citato la sentenza “limpida e cristallina” con cui il tribunale di Rovereto ha recentemente definito discriminatoria la posizione della Provincia laddove con riferimento al bonus bebè impone per legge il requisito della residenza da almeno 10 anni nel Trentino per accedere a questo sostegno. “Il giudice – ha ricordato Olivi – si è chiesto se far rilevare l’incostituzionalità delle norme provinciali o chiederne la disapplicazione, optando per la seconda strada. Per questo Olivi ha chiesto alla Giunta e alla Commissione lo sforzo di evitare un ulteriore atto di inutile e cattiva propaganda lasciando intatta una norma considerata discriminatoria dalla giustizia. “Siamo l’unica realtà in tutta Italia a negare a molte famiglie il bonus bebè solo perché non risiedono da 10 anni nel nostro territorio. Altrove il requisito della residenza richiesta nel nostro Paese per ottenere questo sussidio è stato ridotto da tre a due anni. Olivi ha evidenziato anche che se è vero che il giudice del tribunale di Rovereto ha impegnato la Giunta a modificare subito il regolamento, “non si può tecnicamente modificare il regolamento senza modificare coerentemente anche la legge provinciale da cui discende”. Il consigliere ha sollecitato quindi la Giunta a modificare la legge provinciale perché non cozzi più con la normativa europea e con la Costituzione italiana.

L’assessora Segnana, che oggi ha sostituito in Commissione l’assessore Spinelli, sulla sentenza del 19 aprile del 2022 in merito alla legge provinciale in questione, ha preannunciato che la Giunta effettuerà a breve “apposite valutazioni per rivolgersi poi eventualmente all’avvocatura e capire come comportarsi al riguardo”. Per questo Segnana ha chiesto a Olivi di sospendere l’esame del suo ddl. Questo anche perché la sentenza prevede comunque la sospensione della norma regolamentare della Provincia.

Olivi ha rifiutato respinto l’offerta al mittente ricordando di aver ricevuto nei giorni scorsi da un collaboratore dell’assessore Spinelli una telefonata per rivolgergli la stessa proposta presentatagli oggi in Commissione dall’assessora Segnana, perché la Giunta avrebbe preso presto una decisione sul tema. “Questo metodo non è accettabile”, ha protestato Olivi, rammentando che Spinelli aveva difeso con forza il requisito dei 10 anni di residenza anche per i nuovi nati. A suo avviso inoltre la Giunta tenta scorrettamente di prendersi il merito di una modifica del regolamento, quando questa sollecitazione viene dal Consiglio provinciale. Rifiutando quindi la richiesta di sospendere la trattazione del proprio ddl, Olivi ne ha chiesto la votazione immediata da parte della Commissione.

Paolo Zanella (Futura) ha espresso amarezza per la legge voluta dalla Giunta e che tutti sapevano essere discriminatoria. “Ora lo ha detto anche un tribunale”. A questo punto si tratta – ha proseguito – di decidere se si vuole o no che la Provincia continui a discriminare i bambini nati nel nostro territorio. Oggi l’esecutivo vorrebbe rinviare questa decisione con una modifica del regolamento che sovvertirebbe la gerarchia delle fonti, perché le norme regolamentari non risulterebbero coerenti con la legge provinciale. Grave per Zanella è soprattutto che l’assessora abbia dichiarato che la Giunta intende valutare se ricorrere contro la sentenza del tribunale di Rovereto. “Siete razzisti”, ha tuonato il consigliere “e questo è vergognoso”, ha soggiunto. “La Giunta ha deciso di seguire una linea razzista – ha proseguito – decidendo di discriminare le persone in base alla provenienza, nonostante l’allineamento culturale dei migranti avvenga oggi in molti meno anni rispetto al passato. Se la Provincia vuole sostenere davvero la natalità allora non può permettersi di perdere quest’occasione per allineare la legislazione del Trentino a quella del Paese con politiche inclusive. Ma pare che l’esecutivo non voglia perdere occasione per dichiararsi ancora una volta razzista”.

Mara Dalzocchio (Lega), premettendo di non voler commentare la sentenza del tribunale di Rovereto, ha sostenuto che le misure contestate non sono rivolte a tutti ma solo a una determinata categoria di persone. “Il passaggio dai 10 ai 2 anni di residenza – ha argomentato – cambierebbe poco dal punto di vista del diritto, perché se il legislatore provinciale ha ritenuto di accordare un trattamento migliore a chi risiede nel nostro territorio da più tempo, questa è una scelta politica. Se il tema è invece la discriminazione, allora non si capisce perché due, tre o sette anni siano meglio di 10. Per evitare la discriminazione con questo criterio temporale si dovrebbe cancellare ogni riferimento agli anni, altrimenti non ha senso stabilire un limite. “Qualcuno dica qual è il limite temporale oltre il quale vi è discriminazione”, ha concluso Dalzocchio.

Paola Demagri (Patt) ha preso atto che la decisione della Giunta è politica, ma che l’istanza del ddl di Olivi risponde alla volontà di superare il criterio del “dimmi da dove vieni e ti dirò che diritti hai. La discriminazione – ha osservato – è legata non al tempo ma alla provenienza”. Se poi come ha detto Dalzocchio si togliessero di mezzo tutti i limiti temporali questo, secondo Demagri, sarebbe l’ideale. Pieno appoggio quindi, per la consigliera, al ddl di Olivi.

Katia Rossato (FdI) ha ricordato, a difesa della norma sui dieci anni di residenza, come spesso in passato ad essere discriminati siano stati gli italiani e i trentini. E ha citato il caso delle graduatorie Itea, dove gli stranieri hanno non di rado avuto la precedenza sulle famiglie e le persone che risiedono da molti anni nella nostra provincia. “Io non mi sento né razzista né discriminatoria – ha concluso Rossato – e non considero razzista e discriminatoria nemmeno la Provincia, perché girando sul territorio si può notare che molti trentini godono di benefici e di sostegno meno dei non trentini”.

L’assessora Segnana ha respinto “le offese di razzismo” rivolte alla Giunta, “perché – ha ricordato – gli assegni di natalità sono stati da noi erogati a italiani, europei ed extraeuropei. Questo strumento ci ha permesso di andare incontro alle necessità delle famiglie di qualunque provenienza dando a tutti un sostegno per poter avere figli. L’accusa di Zanella è quindi fuori luogo”. Quanto alla sentenza del tribunale di Rovereto, Segnana ha ricordato che la Giunta ha tempo fino al 19 giugno prossimo per esprimere valutazioni e decidere come procedere. E ha concluso preannunciando la possibile presentazione in aula di emendamenti al ddl di Olivi.

Il dirigente provinciale Nicola Foradori ha precisato che il giudice del tribunale di Rovereto avrebbe dovuto o impugnare per incostituzionalità la legge provinciale o considerarla disapplicata. La scelta della disapplicazione permette di non modificare la legge perché questa risulta coerente con l’ordinamento comunitario. E ha aggiunto che è possibile procedere a cambiare il regolamento anticipatamente rispetto a una modifica della legge provinciale, perché questa è da considerare disapplicata.

Zanella ha osservato che quando per questa legge la Provincia sarà definitivamente condannata in terzo grado e forse modificherà la normativa, la volontà discriminatoria risulterà conclamata perché molte sono le famiglie prive del requisito dei dieci anni di residenza che avrebbero potuto presentare domanda per il bonus bebè e non l’hanno fatto pur avendo figli nati nel Trentino. La verità per Zanella è che la Giunta ha voluto escludere queste famiglie per rispettare lo slogan “prima i trentini”, dimostrando di perseguire politicamente l’obiettivo di una discriminazione di stampo razziale.

Dalzocchio ha precisato che la norma ha al suo interno un riferimento temporale senza discriminare tra categorie di persone e famiglie. Se è discriminatoria la legge provinciale allora lo è anche il ddl di Olivi.

Olivi ha ribattuto che la sentenza evidenzia come più gli aiuti sono finalizzati a promuovere processi di inclusione sociale più non possono contenere norme escludenti. Secondo Olivi il giudice del tribunale di Rovereto ha ritenuto di scegliere la via della disapplicazione della norma provinciale per fare in modo che la discriminazione finisca in fretta. Perché se avesse optato per l’impugnativa costituzionale la discriminazione sarebbe continuata. La disapplicazione era ed è la strada più breve per far cessare la discriminazione. Il consigliere ha concluso invitando a prestare attenzione all’articolo 1 del ddl, perché votare contro questa norma significa dichiarare di condividere una norma che sancisce che per ottenere dei benefici sociali occorre possedere il requisito della residenza di dieci anni nel territorio del Trentino.

Segnana ha preso atto della richiesta di Olivi di procedere oggi in Commissione alla votazione del ddl ribadendo che la Giunta si riserva di valutare eventuali proposte di modifica al testo da proporre per l’esame finale in aula.

Cia ha sostenuto che “le norme provinciali che possono apparire discriminatorie sono forse nate da abusi accaduti in passato nell’ambito sia sanitario sia sociale. Non si tratta di norme che discriminano in base alla provenienza ma che mirano a proteggere l’accesso dei trentini alle opportunità offerte dalla Provincia. Ha poi preannunciato che il suo voto sarà in linea con la posizione contraria della Giunta al ddl, non cogliendo ostilità verso famiglie e persone straniere. “Certo – ha soggiunto – i 10 anni previsti come requisito non sono un termine congruo”, ma si è detto fiducioso che dopo la sentenza del tribunale di Rovereto la Giunta troverà una soluzione adeguata e in linea con la normativa europea e la costituzione per la salvaguardia dei diritti di tutti. Il capogruppo del FdI ha auspicato infine che come maggioranza ci si sieda attorno a un tavolo per condividere di più le scelte politiche. E ha concluso precisando di essere contrario al principio affermato dal ddl di Olivi, ma di non poter condividere l’accusa di razzismo e discriminazione rivolta alle politiche della Giunta.

Olivi ha richiamato un passaggio dell’ordinanza del giudice, nel quale si ricorda che la Provincia si era difesa in tribunale affermando che il bonus bebè era una misura per incentivare le nascite. Peccato che la Corte europea e la Consulta considerano il bonus bebè una misura che rientra nelle misure che puntano a rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto l’uguaglianza dei cittadini. Il consigliere ha infine espresso un rammarico perché si poteva evitare di lasciare nell’ordinamento della Provincia una norma che prevede un requisito discriminatorio solo per un’ottusa difesa del proprio operato. “Ma se prevalgono gli ordini di scuderia – ha concluso – non resta che prenderne atto”.

Le audizioni sul testo unificato che vieta di utilizzare ancora la catena per i cani e gli animali d’affezione

L’utilizzo o meno della catena per i cani e gli altri animali d’affezione è stato il tema al centro delle consultazioni che la Quarta Commissione presieduta da Claudio Cia (FdI) ha dedicato al testo unificato dei due disegni di legge, il 125 e il 131, proposti in merito da Cia e dall’assessora Segnana.

Per l’Apss Roberto Tezzele ha giudicato favorevolmente il testo unificato che prevede il divieto di usare la catena, ache se resta da risolvere il problema dell’alternativa alla detenzione degli animali nei box o in una gabbia.

Per Etica animalista Elena Ravanelli ha condiviso il provvedimento tranne che la norma (articolo 2 comma 3) che affida alla Giunta i criteri in base ai quali vi sia ancora la possibilità di tenere gli animali legati alla catena. Questo punto a suo avviso dovrebbe essere cancellato perché non si conoscono questi criteri.

Per l’Ente nazionale protezione animali (Enpa), Ivana Sandri ha salutato con favore il ddl che cancella una norma che vede il Trentino ultimo in questo campo a livello nazionale. Unica nota per Sandri: andrebbe previsto un inasprimento delle sanzioni in caso di inosservanza del divieto. Anche l’Enpa non ritiene giusto approvare la norma che affida alla Giunta la definizione dei criteri citati da Ravanelli.

 

Per l’associazione animali Amo, il referente locale Alberto Chiodega si è unito in toto al giudizio dei precedenti interlocutori consultati.

Per la Lav il presidente Simone Stefani, che è anche nella Commissione provinciale animali di affezione, ha apprezzato la proposta di modifica della legge che accoglie positivamente una richiesta che arriva dal territorio per l’introduzione del divieto di detenzione alla catena dei cani. Richiesta emersa dalla Commissione, mentre – ha aggiunto – il riferimento dei criteri affidati alla Giunta rischia di introdurre elementi che snaturerebbero la proposta di modifica della legge se si oltrepassano i casi dell’urgenza e di contenzione.

Per la Lega dei cani e gestore del canile di Trento Luca Lombardini, condividendo il testo ha suggerito di identificare alternative rispettose del benessere dell’animale. Questa legge potrebbe allineare il Trentino alle normative già presenti in altre regioni d’Italia. Occorre limitare al massimo le interpretazione e le condizioni in base alle quali gli animali possono essere rimessi alla catena. I criteri che la Giunta avrà il compito di definire in base alla nuova norma non sono noti ma la speranza è che siano in linea con lo spirito del provvedimento.

 

Demagri: quali sono i criteri che la Giunta dovrebbe definire?

Paola Demagri (Patt) ha chiesto quali potrebbero essere i criteri che il ddl prevede di affidare alla definizione della Giunta, che possano andare al di là delle eccezioni previste per urgenze ed esigenze di sicurezza. Se i criteri non sono chiariti il rischio è che per qualunque motivo si potrebbe permettere nuovamente la detenzione degli animali alla catena. Come nel caso degli animali di guardiania, tenuti legati alla catena.
Ravanelli di Etica animalista e Stefani di Lav hanno risposto che la proposta di legge dovrebbe fermarsi ai casi nei quali un cane deve essere detenuto alla catena per motivi di urgenza e sicurezza. Non si capisce quali altri casi potrebbero essere oggetto di deroga secondo i criteri che la Giunta dovrebbe definire.
Lombardini ha ricordato che non si può associare a problemi di salute dei cani il loro mantenimento della catena. Se invece il proprietario di un cane lega l’animale alla catena perché deve allontanarsi da casa questo non giustifica questa misura.
Cia ha sottolineato che voler negare alla Giunta il compito di fissare dei criteri, denota un pregiudizio che rischia di vanificare la stessa legge.
Ivana Sandri ha spiegato che ad esempio nel caso di un cane da guardiania destinati alla tutela di un gregge, l’allevatore non lo può tenere legato alla catena se non per motivi molto precisi e rari che rientrano in circostanze urgenti e per ragioni di sicurezza. Se in Italia hanno già legiferato su questo tema e le ragioni temporanee e di sicurezza per tenere un cane incatenato sono ritenute ovunque sufficienti e soggetto a controllo.

 

Le perplessità degli agricoltori e degli allevatori.

Per gli Agricoltori italiani del Trento (Cia) Paolo Calovi ha detto che gli animali d’affezione vanno distinti nettamente dai cani da guardiania. Si continua a raccomandare di mantenere coltivati i pascoli in montagna, ma per questo agli allevatori sono indispensabili i cani da guardiania contro il rischio di orsi e lupi. Ma i cani di guardiania se qualche persona si avvicina al gregge possono diventare aggressivi. Per questo vanno tenuti legati a una lunga catena. Calovi ha chiesto quindi una deroga per allevatori e agricoltori in quanto né gli uni né gli altri maltrattano gli animali solo perché li tengono legati alla catena, o fanno mancar loro cibo e acqua. Questi cani anche se legati la notte devono poter svolgere il loro lavoro di guardiano. Calovi ha concluso esprimendo la speranza “che non si costringano gli agricoltori a scendere in piazza”. Anche Massimo Tomasi ha sottolineato che per gli allevatori non sempre è possibile trovare un’alternativa alla catena perché pochi hanno la possibilità di dotarsi di un box.

Per Confagricoltura Lorenzo Gretter si è associato all’appello della Cia perché per attività che richiedono misure di protezione dai grandi carnivori. Si rende necessario che nelle attività di alpeggio i cani vengano salvaguardati mantenendoli legati alla catena pur salvaguardandone il benessere. Questi animali sono infatti preziosi collaboratori che garantiscono la sicurezza non solo degli animali in custodia ma anche delle persone. In tal senso la richiesta è stata rivolta alla Giunta provinciale attraverso il Tavolo Verde.

Per la Federazione provinciale allevatori il presidente Giacomo Broch ha ribadito che i cani per questi operatori sono dei collaboratori che fanno la guardia alle aziende. Gli allevatori vogliono bene agli animali e non li maltrattano. Se hanno 8-10 metri di catena i cani hanno una grandissima possibilità di movimento. Inoltre il cane degli allevatori non è sempre legato alla catena ed è più maltrattato un cane tenuto chiuso in una casa. Certo vi possono essere allevatori maltrattano i cani ma si tratta di casi isolati ed è quindi sbagliato generalizzare.

 

La discussione.

Demagri ha preso atto che la funzione del cane da guardiania è dirimente per come viene gestito questo animale. Ha chiesto quindi se l’applicazione del divieto limiterebbe il lavoro del cane.

Broch per la Federazione allevatori ha riconosciuto che il divieto della catena sarebbe un limite perché il cane è un collaboratore dell’azienda che anche legato svolge la sua funzione. Di notte il cane è in mezzo alle pecore ma di giorno è impossibile rinunciare alla catena perché per il pastore è impossibile portarsi appresso al pascolo un box o una gabbia.

Il presidente Cia ha ipotizzato che, forse, proprio per concedere queste eventuali deroghe agli allevatori, il ddl prevede che la Giunta possa definire dei criteri appositi.

Per l’Ordine dei medici veterinari Marco Ghedina ha giudicato positivamente il ddl con cui la Provincia prende finalmente atto che è eticamente anacronistico consentire che un cane sia tenuto legato a una catena, tranne che per ragioni di salute e di pericolosità. I veterinari sono quindi favorevoli al provvedimento anche se accontentare tutti è sempre difficile. Ha senso che possibili deroghe stabilite con i criteri che sarà la Giunta a definire abbiano anche ragioni lavorative riconducibili alle funzioni affidate ai cani. Ma anche tenere i cani legati alla catena perché gli allevatori si trovano altrove è assolutamente contestabile. L’uso della catena, ha concluso, è ormai un indice di degrado sociale. In questi casi il problema non riguarda il cane ma dei proprietari per i quali si dovrebbero chiamare i servizi sociali.

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