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CONSIGLIO PAT * IV COMMISSIONE: « CARCERE DI SPINI GARDOLO (TN), SONO TROPPI I DETENUTI CON GRAVI DISAGI PSICHICI, NELLE AUDIZIONI EMERSE LE PROBLEMATICHE PER I TRASFERIMENTI DA FUORI »

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19.19 - martedì 23 novembre 2021

Troppi detenuti con gravi disagi psichici trasferiti da gestire nel carcere di Spini. Molte le problematiche emerse dalle audizioni della IV Commissione.

La questione delle molte, troppe persone detenute nella Casa circondariale di Spini di Gardolo affette da disagio psichico anche grave, che né il personale sanitario né gli agenti di polizia penitenziaria sono in grado di gestire e contenere adeguatamente per carenza di organici, è emersa con evidenza dalle consultazioni volute oggi dalla Quarta Commissione presieduta da Claudio Cia (FdI). Le audizioni – dedicate alle condizioni di vita dei detenuti e del personale della Casa circondariale, nonché alle possibili misure migliorative da adottare – chieste per primo da Paolo Zanella (Futura), hanno permesso di acquisire informazioni dai più importanti interlocutori coinvolti: la Garante dei diritti dei detenuti Antonia Menghini; la sostituta comandante del reparto dirigente di polizia penitenziaria della Casa circondariale Ilaria Lomartire (intervenuta al posto della direttrice Annarita Nuzzaci); Simona Sforzin dell’Azienda provinciale servizi sanitari; e Andrea Mazzarese, segretario del Sindacato nazionale autonomo di polizia penitenziaria (SiNaPPe).

 

LA GARANTE: RADDOPPIATI I CASI DI AUTOLESIONISMO. OCCORRE OVVIARE ALLE CARENZE DI PERSONALE.

La Garante dei diritti dei detenuti Antonia Menghini, che ha recentemente presentato la relazione annuale sulla propria attività, si è soffermata sull’incidenza della pandemia nella vita all’interno della Casa circondariale, con alcune problematiche generate dal Covid 19 e altre acuite dalla crisi sanitaria. “Oggi la situazione interna – ha esordito – è particolarmente difficile anche se si sta cercando di uscire da un periodo nero. Durante le fasi peggiori della pandemia erano venuti meno i colloqui in presenza dei detenuti con i loro cari, le restrizioni dei movimenti hanno ridotto le ore di apertura delle celle di pernottamento, con limitazioni aggiuntive della libertà personale dei detenuti. Ancora, con la pandemia si è acuita la lontananza dal mondo esterno, che è la cifra detentiva dell’esecuzione della pena intramuraria, perché è stato impedito per mesi l’accesso al carcere sia di volontari sia di altri operatori non dipendenti dell’amministrazione penitenziaria. Gli unici contatti sono stati i colloqui da remoto via Skype. Positivo è stato, durante la pandemia, il fatto che l’amministrazione penitenziaria abbia dotato la Casa circondariale di WhatsApp, permettendo ai detenuti di comunicare con i loro cari per alleviarne l’isolamento. Anche la colorazione delle regioni italiane ha ridotto la possibilità dei familiari di andare a trovare i detenuti in carcere. La scuola interna alla Casa circondariale è stata a lungo sospesa per il divieto di accesso alla struttura imposto ai docenti in particolare a causa del focolaio di Covid-19 che si era verificato l’anno scorso. Interruzione forzata che ha riguardato anche le attività formative e di laboratorio. Per fortuna – ha proseguito Menghini – è stata invece quasi sempre garantita l’attività lavorativa, grazie alla collaborazione con l’agenzia del lavoro provinciale. La pandemia ha inciso anche sui numeri delle persone detenute, che in Italia sono calate di 7.000 unità. Poi si è registrato un leggero e progressivo aumento. Da questo punto di vista la Garante ha ricordato l’importantissimo lavoro svolto dalla magistratura di sorveglianza, che per limitare il pericolo di diffusione del contagio e considerando alcune situazioni particolarmente a rischio, ha permesso di riconoscere per qualche tempo misure alternative alla detenzione per l’esecuzione della pena all’esterno della struttura. Questo ha permesso di ridurre le presenze anche nella Casa circondariale di Trento. Gli strumenti adottati dal governo nazionale sono stati invece meno efficaci – ha osservato Menghini –, perché in qualche caso giudicato idoneo hanno permesso l’esecuzione della pena presso il domicilio a persone detenute che non disponevano di riferimenti abitativi sul territorio. E questo ha vanificato la misura.

 

Fondamentale investire ancor più sul lavoro.
Molto critica – ha sottolineato la Garante – anche la ricaduta della pandemia sui trasferimenti, perché le richieste presentate sono state sospese tranne che per gravissimi motivi di salute e di sicurezza. Questo si è riflesso sul diritto il diritto del detenuto di esecuzione della pena nell’istituto più prossimo al luogo di dimora della famiglia. Anche la polizia penitenziaria è stata colpita dal contagio durante la pandemia e si è resa quindi necessaria una riorganizzazione del personale. Lo stesso è accaduto per il comparto sanitario.
Menghini ha segnalato che – il dato è di ieri – nella struttura di Spini vi sono 305 persone detenute che lavorano, ma molto spesso questo risulta solo sulla carta, perché nel 93% dei casi si tratta di attività che durano al massimo sei mesi all’anno e neppure full time, limitate a un solo turno lavorativo. Investire sul lavoro è rimane comunque assolutamente centrale – ha sottolineato la Garante – e per questo servirebbero convenzioni con cooperative o imprese interessate ad affidare alle persone detenute a Spini alcune attività. Due “luci” importanti – ha ricordato – si sono però accese in questo periodo nero che la vita detenitiva sta attraversando: dall’inizio dell’estate 2021 è iniziato il progetto “seminare oggi per raccogliere domani”, anche con un finanziamento della Provincia, che coinvolgerà 43 persone, 17 delle quali in esecuzione penale esterna. Quest’anno hanno iniziato a lavorare per questo progetto 7 donne il cui impegno è stato particolarmente apprezzato. Si tratta di un progetto costoso ma del quale le persone detenute hanno estremo bisogno, perché non si tratta di occupare il loro tempo ma di fornire una formazione professionalizzante che un domani sia spendibile all’esterno nel mercato del lavoro. Opportunità di cui questo progetto è uno splendido esempio. Altro progetto: un corso per le detenute con quattro macchine da cucire donate all’istituto di pena per una formazione nel settore della modellistica sartoriale. Esperienza, questa, che ha dato a queste persone la soddisfazione di sentirsi produttive e creative.

 

Pesante il deficit di personale a fronte di casi sempre più difficili da gestire.
La Garante ha poi evidenziato le criticità che, pur esistendo anche prima della pandemia, il Covid ha accentuato. In primis quella dell’autolesionismo. L’epidemia ha ulteriormente compresso i diritti già limitati riconosciuti nel carcere alle persone detenute, incidendo il loro equilibrio. I casi di autolesionismo sono raddoppiati rispetto agli anni precedenti. Poi la casa circondariale continua a scontare problemi di carenza di personale. Manca dal 2019 manca una direzione esclusiva della struttura di Trento. Dovrebbero esserci inoltre almeno 6 educatori mentre ce ne sono solo tre. Le unità di polizia penitenziaria dovrebbero essere 227 mentre oggi sono 140 e ultimamente sono scesi di 15 unità. Tutto ciò – ha commentato Menghini – concorre sia a rendere molto gravosa la gestione della Casa circondariale sia a rallentare l’offerta trattamentale. Quanto al comparto medico, da inizio ottobre è venuta meno l’assistenza sulle 24 ore, anche se ora l’Apss conta di risolvere il problema. Infine rimane alto il disagio psichico nel carcere, acuito dalla pandemia. Oggi la Casa circondariale vede la presenza del 10% delle persone detenute, affetta da grave patologia psichiatrica e un certo numero di queste in fase di acuzie. E’ quindi urgente, per Menghini, organizzare un Centro diurno per la riabilitazione psichiatrica. Quanto all’elevato numero di ingressi da trasferimento, la Garante ha osservato, anche rispondendo a una domanda di Paolo Zanella, che molti detenuti vengono trasferiti nella Casa circondariale di Spini perché l’amministrazione penitenziaria continua a pensare che a Trento vi sia una struttura con disponibilità di posti, mentre altri istituti del Triveneto scoppiano per il sovraffollamento.

 

LA SOSTITUTO COMANDANTE DEL CARCERE: PROBLEMI ANCHE CON I DETENUTI DEFINITIVI.

La sostituto comandante del reparto dirigente di polizia penitenziaria della Casa circondariale di Spini di Garolo, Ilaria Lomartire, intervenuta al posto della direttrice Annarita Nuzzaci, ha confermato che da qualche tempo a questa parte la situazione interna è complicata. Ciò a causa di una serie di problematiche “che – ha spiegato – non dipendono dalla volontà dell’amministrazione penitenziaria e che si sono sovrapposte nello stesso periodo. Innanzitutto c’è un problema di tipologia della popolazione detenuta più che di numeri. Oggi vi sono 300 detenuti: 278 uomini e 22 donne. Non vi è una situazione grave di sovraffollamento. La condizione del reparto femminile è buona sia per le detenute sia per il personale di polizia penitenziaria, i cui numeri per questa sezione sono adeguati. Più critica è invece la situazione della popolazione detenuta maschile, in particolare appartenente alla categoria dei cosiddetti detenuti protetti. Nel loro caso vi è in effetti sovraffollamento, con camere detentive da tre o da quattro”. Molto critica è poi – ha proseguito Lomartire – la carenza di organico di polizia penitenziaria. Dal novembre del 2019 ad oggi il numero degli agenti è calato in modo impressionante e questo determina che si lavori in condizioni di estremo disagio e difficoltà. Si tenta di far fronte al problema, ma i numeri sono troppo bassi, perché vi sono 75 poliziotti in meno: ne dovremmo avere 227 e invece ce ne sono 152. La situazione si è aggravata negli ultimi mesi a causa da una serie di ingressi di soggetti affetti da patologie psichiatriche importanti. Dall’estate scorsa è diventato molto gravoso gestire persone detenute particolarmente problematiche e violente. Molti sono stati ricoverati all’ospedale di Trento nel reparto di psichiatria, con necessità di piantonamento del personale di polizia che così si riduce ulteriormente a Spini. Gli episodi accaduti nella Casa circondariale sono noti anche per gli articoli di stampa apparsi qualche tempo fa. Ci troviamo quindi in una condizione di particolare difficoltà”. Un altro dato evidenziato dalla comandante Lomartire riguarda la presenza di detenuti condannati in via definitiva, che sono in tutto 207, vale a dire i due terzi della popolazione del carcere. Si tratta di detenuti che non dovrebbero trovare collocazione in una Casa circondariale come quella di Spini bensì in istituti di reclusione in grado di offrire possibilità di recupero e rieducazione in vista del loro reinserimento sociale. La Casa circondariale non ha la possibilità di soddisfare questa esigenza perché il personale è impegnato in altri tipi di servizio. Occorre quindi reinventarsi per svolgere anche questo ruolo.

Più assenze da quando è obbligatorio il green pass.
Rispondendo a una domanda di Mara Dalzocchio (Lega), la comandante ha precisato che la comprensenza nella Casa circondariale di una sezione maschile e di una sezione femminile non creal alcun problema di convivenza. E interpellata poi da Zanella ha escluso che la carenza di personale di polizia sia riconducibile anche al rifiuto di qualcuno di vaccinarsi e di esibire il green pass, anche se da quanto la certificazione è stata introdotta si registra un maggior numero di assenze. La comandante, sollecitata da Cia sempre sul problema della grave carenza di agenti di polizia penitenziaria, ha ricordato che da giugno scorso ad oggi se sono andate altre 7-8 unità, una la settimana scorsa. Un’altra se ne andrà il 20 dicembre prossimo. Lomartire ha spiegato che continuerà a scrivere all’amministrazione penitenziaria perché intervenga a questo riguardo. Rispondendo a Zanella, ha precisato che molti detenuti con condanna definitiva provengono dal Trentino, mentre altri arrivano dal distretto del Triveneto e vengono trasferiti qui dall’ufficio centrale del provveditorato di zona che è a Padova.

 

L’APPS: ASSISTENZA RIORGANIZZATA PER DARE MAGGIORE COPERTURA.

Per l’Azienda provinciale per i servizi sanitari, Simona Sforzin ha ricordato che all’inizio del 2019 è stata riorganizzata l’assistenza sanitaria nel carcere ed è stata ripensata la presenza infermieristica, medica e degli altri professionisti assegnati alla struttura. Per l’assistenza infermieristica il progetto ha previsto la presenza dalle 7 alle 22 con 14 unità, mentre si è stabilita la presenza di un medico 24 ore su 24 e non più solo a richiesta per problemi dovuti a dipendenze e a disagio psichico. Si è prevista un’assistenza specialistica psichiatrica più stabile come anche la consulenza del Serd, titolare della gestione istituzionale dei pazienti con dipendenze patologiche. Ed è stata rivista l’assistenza specialistica con la presenza di alcuni consulenti prima chiamati sono in caso di bisogno. Si è quindi strutturato un calendario e nel gennaio 2020 è stata completata la presenza h 24 dei medici, con la stipula di un contratto ad hoc per la continuità assistenziale in carcere con peculiarità legate al setting di lavoro e una maggiorazione oraria. Si è partiti quindi con un gruppo di medici che coprivano tutte le ore in carcere. Una fascia diurna 8-16 di presenza di medici specialisti come la dott.ssa Mazzetti, o di medici in libera professione. E la continuità clinica h 24 garantita da medici di base. Sono stati reclutati nuovi infermieri per consentire il turnover, atteso da mesi e in qualche caso da anni. Turnover attivato nel giugno 2020. “Abbiamo ottenuto la disponibilità di uno psichiatra esperto inizialmente per 30 ore – ha ricordato Sforzin – e sono state sistemate le posizioni di psicologi e medici del Serd. Questa riorganizzazione ha funzionato con una certa stabilità nel 2020. Poi per la gestione dell’emergenza sanitaria Covid l’Apss ha creato un’area Covid interna al carcere, nella quale trattenere i pazienti positivi, alcuni dei quali trasferiti in altri carceri. Questo nucleo è tuttora attivo e dispone di una zona filtro con 6 camere di detenzione dedicate. Il sistema è stato portato avanti anche l’anno scorso nonostante lo stillicidio di medici. L’Apss è però riuscita a tamponare la situazione per tutto il 2020, garantendo la compresenza di due medici nella fascia diurna. Parallelamente è stata portata avanti la collaborazione con uno studio di psicologia per supportare gli infermieri nella gestione dei detenuti e questi stessi operatori all’interno della struttura carceraria. Questo periodo, infatti, per un gruppo di infermieri particolarmente giovane, è stato molto impegnativo. Nell’estate del 2021 se ne sono andati molti medici e infermieri. Si è quindi arrivati a non avere più una turnistica che garantisse la copertura delle notti da parte dei medici, cessata a metà ottobre. Si è perciò ritornati alla guardia medica territoriale di Trento come in passato. E alla necessità della polizia penitenziaria di chiamare eventualmente il medico di guardia utilizzando il numero unico”.

 

Segnali di miglioramento. In dicembre tornerà l’assistenza medica sulle 24 ore.
“Oggi – prosegue Sforzin – la situazione migliora perché si vedono degli spiragli con l’aumento della tariffa oraria per la continuità assistenziale anche nelle ore notturne. Si vedrà se questa misura migliorerà la situazione. Inoltre recentemente si è saputo che un dirigente medico al quale sarà affidato un incarico a tempo determinato perché garantisca la presenza diurna tutti i giorni come medico del carcere. E’ stato anche proposto un incarico libero professionale per i medici che frequentano il corso di medicina generale. Inoltre è tornato un altro medico dalla Lombardia. Prevediamo che in dicembre potremo riattivare l’assistenza sanitaria h 24. Stiamo per procedere all’inserimento della seconda tecnica della riabilitazione psichiatrica. Abbiamo avuto un’altissima prevalenza di detenuti psichiatrici con conseguenti ricoveri ospedalieri e diagnosi molto impegnative. Questi pazienti sono difficili da gestire e sono accolti nella zona delle celle limitrofe all’infermeria per poterli tenere sott’occhio. Il quadro non lascia tranquilli: vi sono state delle aggressioni, una delle quali importante ai danni di un operatore sanitario da parte di un detenuto. Vi sono state anche aggressioni verbali e lancio di oggetti contro gli infermieri. Stiamo cercando di ottimizzare il più possibile alcuni processi ma il clima di lavoro non è certo tra i migliori”.

 

La priorità è ripristinare la presenza interna del medico la notte.
Cia ha chiesto a Sforzin se la fuga del personale sanitario dal carcere sia motivata da conflitti tra gli stessi operatori dell’Apss. Pare infatti che vi siano professionisti che se ne sono andati a causa del clima insopportabile all’interno dell’equipe sanitaria. Cia ha chiesto se si sia provveduto a garantire quantomeno l’armonia all’interno dell’equipe. Circa la guardia medica, ha osservato che sicuramente questo medico non può conoscere i pazienti. Se poi ogni detenuto dev’essere seguito da almeno due agenti, questo mette in difficoltà il carcere. L’impressione è che oggi il carcere rischi di diventare un surrogato dei reparti psichiatrici.
Sforzin ha risposto confermando che l’accesso dei medici di guardia che non conoscono i pazienti può comportare un aumento dei ricoveri, ma questo è dovuto all’aumento delle diagnosi psichiatriche. “A metà ottobre – ha ricordato – sono state trovate nel carcere sostanze di cui le persone detenute hanno abusato, che provocano sintomatologie importanti non distinguibili dalle psicosi”. Oggi quindi, per Sforzin, la priorità dell’Apss è ripristinare la presenza del medico la notte. Perché con la guardia medica vi è la possibilità che i detenuti simulino problemi di salute. Servono quindi controlli e presenze adeguate di sanitari all’interno della Casa circondariale. “Pazienti che hanno terapie importanti prescritti dagli specialisti, vengono tenuti in osservazione in infermeria dove, però, di notte non rimane nessuno. Va quindi garantita di nuovo tutta la sicurezza necessaria”. Quanto alle uscite di alcune unità di personale sanitario, Sforzin ha detto che non è chiaro perché siano avvenute ed è difficile capirne la causa. In ogni caso l’aggravarsi della situazione interna ha reso molto difficile lavorare nel carcere. Non si sa se vi siano altri elementi relazionali legati alle persone: le dinamiche sono molto complesse e acuite dal contesto circostante. Vi è anche una percezione di scarsa sicurezza da parte del personale sanitario. Una precondizioneper la permanenza degli operatori è quindi, per Sforzin, riavere una dotazione organica completa. Altrimenti si ha una valutazione parziale e si rischia di attribuire responsabilità che non sono affatto chiare. Per l’Apss a questi problemi è necessario dare risposte organizzative adeguate, che mettano gli operatori nelle condizioni di lavorare tranquillamente, perché i conflitti personali non si possono gestire.
Paolo Zanella (Futura) ha espresso grandissima preoccupazione perché in un momento storico in cui il personale sanitario manca ovunque, il carcere rischia di essere l’ambiente che otterrà gli interventi più tardivi per risolvere il problema. E ha ringraziato l’Apss per l’attenzione prestata alle esigenze di questa struttura.
Cia si è detto preoccupato dell’incapacità di capire perché un sanitario se ne va. Perché questo impedisce di comprendere quale sia il problema di un determinato ambiente. Occorre creare le condizioni perché anche caratteri conflittuali riescano a convivere nello stesso ambiente lavorativo.

IL SINDACATO DEI POLIZIOTTI: 10 CAMERE ANDREBBERO RISERVATE AI DETENUTI PIU’ PROBLEMATICI, DA SEGUIRE CON SPECIALISTI.

Il segretario del Sinappe, Andrea Mazzarese, che rappresenta il sindacato nazionale autonomo di polizia penitenziaria che opera da 24 anni nella casa circondariale di Trento, ha spiegato di avere competenza non solo su questo ma anche su altri istituti di pena del Triveneto, con i quali è a suo avviso importante confrontarsi. “Negli ultimi anni – ha raccontato – le lavorative dei poliziotti penitenziari sono peggiorate moltissimo a causa dei detenuti con patologie psichiatriche. Patologie che i poliziotti non hanno le competenze per fronteggiare, non avendo conoscenze professionali in materia psicologica. Serve quindi personale qualificato per questo tipo di attività”. “Su questo problema – ha ricordato – ci siamo confrontati con il provveditore dell’amministrazione penitenziaria che si era impegnato a cercare di riservare 8-10 posti nelle camere detentive in cui ospitare questo tipo di detenuti, da affidare a personale specializzato. Poi lui se n’è andato e l’ipotesi è rimasta nel cassetto. Il risultato è che oggi questi detenuti problematici mettono a soqquadro il carcere. L’età media dei poliziotti penitenziari è di 55-58 anni e questo personale fatica a contenere letteralmente, sul piano fisico, detenuti che hanno 27-28 anni. Vi sono poi gli episodi riportati dalla stampa delle aggressioni al personale di polizia penitenziaria, preso letteralmente a pugni. Servirebbero quindi posti dedicati per i detenuti che hanno problemi psichiatrici. E specialisti che se ne occupino. Il personale di polizia penitenziaria è inoltre molto limitato nei numeri rispetto ad alcuni anni fa. I 30 agenti arrivati nel 2017, quand’era presidente della Provincia Ugo Rossi, se ne sono andati e ora abbiamo di nuovo estremo bisogno di personale”. Per questo Mazzarese ha lanciato un appello al mondo politico trentino perché faccia pressione sul Ministero della giustizia affinché vengano assegnati a Trento almeno 30 poliziotti penitenziari. “Il lavoro, tenuto conto anche delle molte ore di straordinario che i poliziotti si sobbarcano, è talmente pesante che il personale finisce per ammalarsi. Troppo difficile è rapportarsi anche con detenuti con disturbi psichici che, spesso, non parlano neppure l’italiano. Oggi i poliziotti sono poco più di 150 mentre ce ne dovrebbero essere 227. Per Trento il Sinappi chiede quindi alle autorità politiche di intervenire perché si affronti il problema dei detenuti affetti da patologie psichiatriche, assumendo psicologi e psichiatri che seguano queste persone e togliendo così agli agenti questo compito insostenibile. Andrebbero dedicate almeno 10 camere ai detenuti affetti dalle patologie più gravi”, ha concluso.

 

Prossimamente la IV Commissione effettuerà delle audizioni per approfondire il fenomeno dei suicidi nella nostra provincia.

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