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ANM – ASSOCIAZIONE MAGISTRATI * INTERVENTO SEGRETARIO GENERALE SALVATORE CASCIARO: « PER UNA AUTENTICA DIFESA DELLA GIURISDIZIONE » (TESTO INTEGRALE)

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11.56 - sabato 21 ottobre 2023

Per una autentica difesa della giurisdizione.

1. Negli ultimi tempi abbiamo assistito a dichiarazioni di esponenti politici che hanno censurato provvedimenti giurisdizionali non per il contenuto della motivazione, ma per l’asserita ideologia del giudice che l’aveva adottata. L’accusa talvolta si è estesa in termini generici e inaccettabili all’ordine giudiziario nel suo complesso e si è rimproverato alla Magistratura, o a “pezzi di essa”, di essere “non rispettosi della volontà popolare” o “nemici della sicurezza nazionale” o ancora di “favorire l’immigrazione clandestina”.
Hanno fatto eco a tali dichiarazioni martellanti campagne sugli organi di stampa volte a dileggiare singoli magistrati (ricordiamo l’espressione “scafisti in toga”) col proposito di screditarne l’operato. Magistrati rei di avere assunto decisioni sui migranti ritenute contrarie alle linee politiche portate avanti dal Governo in carica.

Si è così corso il rischio di turbare il sereno svolgimento delle funzioni non solo di chi è stato bersaglio diretto di tali attacchi ma anche dei tanti giudici che, nelle più diverse sedi giudiziarie, si occupano quotidianamente della materia dell’immigrazione, materia delicata perché impone la conoscenza e l’analisi di una complessa disciplina multilivello, di diritto interno e internazionale.
Rispetto a tali condotte, non rispettose del principio della separazione dei poteri, men che meno del ruolo e della funzione del magistrato, ma anche del dovere di assicurare una corretta informazione nell’interesse dei cittadini, non posso che lanciare un segnale di allarme.

2.

Sono persuaso che la difesa della giurisdizione e della sua indipendenza debba essere volta a contrastare gli attacchi esterni, ma non solo.
La difesa della giurisdizione richiede anche un impegno vigile per la salvaguardia del suo prestigio e della sua credibilità agli occhi dei cittadini che possono talora rimanere disorientati per effetto di condotte tenute dagli stessi appartenenti all’ordine giudiziario.
È giusto che un giudice coltivi la ‘politica delle idee’ e non basta che conosca alla perfezione le leggi ma è altrettanto necessario che comprenda la società nella quale esse sono chiamate a vivere.
Se non si può tendere ad un’anacronistica apoliticità o neutralità culturale, sarebbe (nondimeno) auspicabile evitare che un giudice possa entrare in logiche conflittuali o partitiche ovvero che si cali in contesti di tensione o dialettica sociale, connaturati a certe manifestazioni pubbliche o di piazza, rispetto alle quali sarebbe il caso di fare prudentemente un passo indietro.
Certo, il magistrato come ogni cittadino gode dell’esercizio dei diritti fondamentali di libertà, ma le funzioni esercitate e la qualifica rivestita non sono indifferenti e prive di effetto per l’ordinamento costituzionale (Corte cost. n. 170/2018), di qui la possibilità di limiti all’esercizio di quei diritti giustificati sia dalla particolare qualità e delicatezza delle funzioni giudiziarie, sia dai principi costituzionali di indipendenza e imparzialità che le caratterizzano.
Per questo l’imparzialità della decisione va tutelata anche attraverso l’irreprensibilità, la riservatezza e la prudenza dei comportamenti individuali, evitando di apparire all’esterno come soggetti di parte. Non dobbiamo immaginare che sviluppare queste riflessioni – che riflettono oggi la sensibilità, se non di tutta, almeno di una parte della magistratura associata – possa indebolire l’efficacia di un possibile intervento a tutela della giurisdizione, intervento che non potrà anzi che uscire in definitiva rafforzato da una obiettiva ricostruzione, senza veli, della realtà degli accadimenti per come percepiti, prima ancora che al nostro interno, dall’opinione pubblica.

 

3.

Resta tuttavia il fatto, indiscutibile, e mi avvio a conclusione sul punto, che l’eventuale inopportunità del contegno del magistrato e l’inosservanza delle regole della prudenza nell’attività extra-funzionale non possono mai giustificare violenti e indiscriminati attacchi alla giurisdizione o al singolo magistrato, tanto più deplorevoli se mossi da esponenti delle istituzioni della Repubblica in grado, proprio per il ruolo ricoperto, di minare la fiducia dei cittadini nell’Ordine giudiziario.
Carichi esigibili
1. Consta che sarà portata in Plenum il prossimo 25 ottobre la delibera ‒ tanto attesa dai colleghi ‒ sui carichi esigibili. Non si può che esprimere grande apprezzamento per tale storico passaggio consiliare che si traduce nell’assolvimento di un obbligo di legge rimasto lettera morta per oltre dieci anni.
L’Anm ha partecipato il 2 ottobre scorso (con una delegazione composta dal sottoscritto e dalla vicepresidente Maddalena, dai componenti della Giunta Aldo Morgigni ed Emilia Di Palma nonché dai rappresentanti della 7^ commissione permanente di studio, Chiara Gagliano e Roberta D’Onofrio) a un incontro preliminare a Palazzo dei Marescialli in cui sono state fornite sommarie indicazioni sull’impostazione metodologica seguita dalla 7^ commissione del Csm.
2. In quella sede ci è stato detto che dai carichi esigibili sarà esclusa, almeno per ora, la Corte di Cassazione. Le motivazioni sono state collegate a una non meglio precisata difficoltà di gestione dei dati numerici di quell’Ufficio.
Ho (abbiamo) segnalato l’esigenza che i colleghi della Corte di cassazione, costretti a livelli di produttività altissimi e difficilmente conciliabili con l’esercizio della funzione nomofilattica, siano compresi da subito tra gli uffici giudiziari per cui è previsto l’avvio della sperimentazione sui carichi esigibili.
Con delibera del 14 luglio scorso, dall’eloquente titolo “Preservare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione”, questo Comitato direttivo, pur nel quadro dei target del Pnrr che per la Cassazione erano peraltro già prossimi al conseguimento, aveva affermato che la funzione nomofilattica della Suprema Corte era messa a repentaglio da «una produzione di massa di sentenze non conciliabile con il ruolo costituzionale di giurisdizione superiore».
Confido in un ripensamento sul punto dell’Organo di autogoverno: l’attuale esclusione sembra non agevolmente comprensibile.

3. Quanto alla metodologia seguita dalla 7^ Commissione del Csm siano consentite, sia pure con la prudenza dettata dalla conoscenza solo sommaria acquisita in occasione di quell’unico incontro consiliare, alcune brevi considerazioni. La riforma Cartabia (legge n. 71 del 2022) ha modificato la disciplina dei programmi di gestione degli uffici giudiziari, introducendo la nuova figura dei «risultati attesi» che ogni capo dell’ufficio deve fissare annualmente «sulla base dell’accertamento dei dati relativi al quadriennio precedente e di quanto indicato nel programma di cui all’articolo 4 del decreto legislativo 25 luglio 2006, n. 240», ma che devono essere comunque stabiliti «nei limiti dei carichi esigibili di lavoro individuati dai competenti organi di autogoverno».

La nuova disciplina distingue, quindi, i «risultati attesi», che competono al capo dell’ufficio, dai «carichi esigibili», che devono essere individuati dal Csm e che costituiscono limite invalicabile al potere del capo dell’ufficio di indicare, appunto, i “risultati attesi”.
Il metodo seguito dalla 7^ Commissione del Csm, invece, se ho ben compreso, è volto a tenere fuori dai carichi esigibili ‒ considerati come limite individuale del singolo magistrato inteso come risorsa avulsa dall’Ufficio in cui è incardinato ‒ l’incremento produttivo frutto dell’apporto dei funzionari dell’Ufficio per il Processo (UPP), di modo che il capo dell’ufficio non vedrà più nel carico esigibile un limite assoluto di produttività individuale, ma un’indicazione numerica suscettibile, se riterrà, di variazione, anche al rialzo, a seconda del livello di copertura degli organici dell’ufficio del processo ‒ composto da giudici di pace, personale amministrativo e funzionari UPP ivi addetti ‒ che affiancherà, nella singola sede giudiziaria, il magistrato nel suo quotidiano lavoro.

Così facendo, si esalta indubbiamente la discrezionalità del capo dell’Ufficio, ma ci si discosta (a mio parere) dalla ratio della legge che intende quella discrezionalità (appunto) opportunamente contenere e circoscrivere. Si rischia di indebolire il contenuto precettivo della disposizione sui carichi esigibili che è volta non solo a tutelare il singolo magistrato ma anche la stessa qualità del lavoro giudiziario. Il carico esigibile, per come lo intendiamo, è la soglia di impegno lavorativo oltre la quale si corre il rischio che l’attenzione cali e il lavoro perda di qualità, a tutela della giurisdizione e degli utenti del servizio giustizia, prima ancora che degli stessi magistrati, e tale soglia non può essere differente – come, se non nominalmente, di fatto accadrà – da ufficio a ufficio, perché si tratta di un limite intrinseco delle capacità lavorative umane.

Oltretutto la deroga per l’apporto dell’Upp non tiene conto che il lavoro dei funzionari ivi addetti ha come “terminale” finale il magistrato il quale deve approfondire, valutare, ed eventualmente modificare, quanto predisposto dai suoi collaboratori.

 

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Salvatore Casciaro – Segretario Generale

 

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