News immediate,
non mediate!
Categoria news:
LANCIO D'AGENZIA

BANKITALIA * GIORNATA MONDIALE RISPARMIO 2022 ACRI: VISCO, « INTERVENTO DEL GOVERNATORE » (PDF)

Scritto da
16.43 - lunedì 31 ottobre 2022

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
///

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La congiuntura economica e la politica monetaria. Negli ultimi mesi l’incertezza che caratterizza il quadro economico e finanziario internazionale è notevolmente aumentata. L’attività economica globale risente pesantemente delle conseguenze dell’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia.
Le ripercussioni più evidenti si osservano sul mercato dell’energia: il prezzo del gas consegnato in Europa ha registrato oscillazioni senza precedenti, toccando 340 euro per megawattora, da valori inferiori a 20 all’inizio del 2021; dalla fine di agosto, con il raggiungimento degli obiettivi di stoccaggio da parte dei principali paesi europei, è gradualmente sceso attorno a 100 euro, ma le quotazioni dei futures segnalano il suo permanere su valori elevati ancora per tutto il prossimo anno. Sono stati colpiti anche i corsi dei beni alimentari sui mercati mondiali, dove le tensioni si sono almeno in parte allentate dopo gli accordi di fine luglio tra la Russia e l’Ucraina che hanno sbloccato le consegne di grano dai porti del Mar Nero.

Il peggioramento delle prospettive di crescita è diffuso. Secondo il Fondo monetario internazionale il tasso di espansione dell’economia globale diminuirebbe dal 3,2 per cento stimato per quest’anno al 2,7 nel 2023, quasi un punto percentuale in meno rispetto a quanto previsto lo scorso aprile. Nell’area dell’euro la crescita del prodotto scenderebbe dal 3,1 per cento del 2022 allo 0,5 nel prossimo anno, un sostanziale arresto e una revisione al ribasso di quasi due punti percentuali in soli sei mesi.

I rincari delle materie prime hanno avuto straordinarie ricadute anche sui prezzi al consumo. A livello globale l’inflazione è salita da meno del 5 per cento nel 2021 a circa il 9 quest’anno. In risposta a tali pressioni, in quasi tutti i paesi avanzati e in molte economie emergenti e in via di sviluppo le banche centrali hanno avviato una fase di restrizione delle condizioni monetarie al fine di contrastare l’aumento dell’inflazione corrente e attesa, nonché il rischio di un possibile avvio di rincorse tra prezzi e salari.

In questo quadro di elevata incertezza, nel Bollettino economico della Banca d’Italia sono stati presentati due scenari di previsione per l’economia italiana. Il primo presuppone che i flussi di gas dalla Russia al nostro paese rimangano sui livelli osservati in media negli ultimi mesi e che gli andamenti dei prezzi delle materie prime siano in linea con quelli desumibili dai recenti contratti futures. In questo scenario la crescita del prodotto scenderebbe dal 3,3 per cento stimato per il 2022 allo 0,3 nel 2023. Il PIL calerebbe nella seconda metà di quest’anno, per poi riprendersi gradualmente dal secondo trimestre del 2023. La complessiva debolezza dell’attività economica rifletterebbe sia quella dei consumi, che si ridurrebbero penalizzati dalla diminuzione del potere di acquisto delle famiglie, sia quella degli investimenti in macchinari e attrezzature, che rallenterebbero per l’incertezza e per l’aumento dei costi di finanziamento. Vi inciderebbe inoltre il peggioramento degli scambi internazionali.
Nel secondo scenario, più avverso, si ipotizzano un’interruzione completa dei flussi di gas russo verso l’Europa dal trimestre in corso e prezzi delle materie prime energetiche significativamente più alti; vi si accompagnerebbe un più marcato rallentamento del commercio internazionale. In questo caso nel 2023 si registrerebbe una contrazione del prodotto dell’ordine dell’1,5 per cento e l’inflazione supererebbe il 9 per cento, circa 2,5 punti percentuali in più che nel primo scenario.

In un contesto difficile come quello attuale le proiezioni puntuali di questi due scenari hanno natura puramente indicativa e sono strettamente legate alle ipotesi sui prezzi e sulla disponibilità delle materie prime, in larga parte basate sugli sviluppi del conflitto in Ucraina. In ogni caso, i rischi sulla crescita sono orientati al ribasso e dipendono, non solo per il nostro paese, oltre che dalle tensioni geopolitiche, dalle prospettive dell’economia negli Stati Uniti, dove, anche a causa della forte restrizione delle condizioni monetarie, molti indicatori scontano una possibile contrazione del prodotto nei prossimi mesi. Ulteriori ripercussioni negative potrebbero derivare da un eventuale brusco rallentamento dell’economia cinese, principalmente connesso con le fragilità del settore delle costruzioni, nonché dalla persistenza dell’inflazione su livelli elevati più a lungo di quanto attualmente previsto.
Nell’area dell’euro l’inflazione ha sfiorato in settembre il 10 per cento, sospinta soprattutto dall’eccezionale aumento dei prezzi dell’energia (oltre il 40 per cento sui dodici mesi). Al netto delle componenti più volatili – oltre all’energia, gli alimentari – che più risentono del conflitto in Ucraina, l’inflazione ha raggiunto il 4,8 per cento.

Quasi due terzi dell’aumento complessivo dei prezzi al consumo registrato negli ultimi dodici mesi sarebbero stati causati dai rincari dell’energia, direttamente e attraverso gli effetti sui costi di produzione; tale quota sale a circa quattro quinti se si tiene conto anche dell’impatto dei prezzi dei generi alimentari che, pur se non legati all’energia, hanno comunque risentito del conflitto in Ucraina.
Secondo le proiezioni degli esperti della Banca centrale europea (BCE) diffuse in settembre, nella media del 2022 la dinamica dei prezzi al consumo nell’area si collocherebbe al di sopra dell’8 per cento, per poi scendere gradualmente al di sotto del 6 nel corso del 2023 e convergere verso un valore vicino all’obiettivo del 2 per cento nella seconda parte del 2024. Un quadro simile emerge dalle aspettative desunte dalle quotazioni dei contratti legati all’inflazione (inflation-linked swaps) e dai sondaggi effettuati in ottobre, quali quello condotto dalla BCE presso gli analisti monetari o quelli di altri istituti privati. Le attese delle famiglie rilevate dall’indagine della BCE sono invece su valori leggermente più elevati, pari al 5 per cento nei prossimi dodici mesi e al 3 in un orizzonte di tre anni. Ciò verosimilmente riflette non solo una maggiore rilevanza di elementi retrospettivi nella formazione delle aspettative ma anche il peso notevole delle componenti più volatili dell’inflazione nel paniere di consumo dei nuclei meno abbienti.

La dinamica salariale, in Italia e in generale nell’area dell’euro, è finora rimasta moderata. Nel nostro paese le retribuzioni contrattuali, al netto delle componenti una tantum, hanno registrato nel secondo trimestre una crescita tendenziale dello 0,9 per cento, 0,3 punti in più rispetto a quella di inizio anno, soprattutto per via dei rinnovi dei contratti nel settore pubblico. Hanno accelerato anche nella media dell’area, al 2,5 per cento. La dinamica del costo del lavoro si rafforzerebbe nella parte finale di quest’anno e nel prossimo per gli aumenti che potrebbero essere concessi al fine di compensare la perdita di potere di acquisto dei lavoratori, connessi in alcuni paesi anche agli incrementi dei salari minimi.
Al momento non vi sono quindi evidenti segnali di un rilevante “disancoraggio” delle aspettative d’inflazione dall’obiettivo di stabilità dei prezzi. Il contesto di netto indebolimento dell’attività economica e la quota modesta di retribuzioni indicizzate all’inflazione nel complesso dell’area sembrano altresì contenere il rischio di una rincorsa tra prezzi e salari sostenuta e diffusa. Il processo di “normalizzazione” delle condizioni monetarie in atto dalla fine del 2021, con la conclusione dei programmi di acquisto di titoli e l’avvio del rialzo dei tassi di politica monetaria, è volto a contrastare con decisione la possibilità che questi due rischi si materializzino.

Lo scorso giovedì il Consiglio direttivo della BCE ha aumentato i tassi di interesse ufficiali di 0,75 punti percentuali, portando a 2 punti l’incremento complessivo dal 21 luglio. Si è così compiuto un sostanziale passo in avanti nell’azione di riassorbimento dell’accomodamento monetario, allontanando in buona misura il tasso sui depositi delle banche presso l’Eurosistema dai livelli negativi che erano stati necessari per ostacolare il rischio di deflazione e limitare le ricadute della crisi pandemica. Sulla base delle attese degli operatori di mercato, i tassi reali a un anno restano comunque molto bassi e diverrebbero appena positivi dalla fine del 2023.

La decisione di modificare i termini e le condizioni della terza serie di operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine (TLTRO-III) ha trovato giustificazione nella necessità di garantire che anche il contributo di questo strumento sia coerente con il più ampio processo di normalizzazione della politica monetaria. La ricalibrazione intende rafforzare la trasmissione degli aumenti dei tassi ufficiali alle condizioni dei prestiti bancari e rimuovere i vincoli al processo di riduzione del bilancio dell’Eurosistema attraverso il rimborso anticipato delle operazioni TLTRO-III. Il Consiglio ha rinviato la discussione sui tempi e i modi di una graduale revisione del reinvestimento del capitale rimborsato sui titoli in scadenza nell’ambito dei programmi di acquisto di attività finanziarie, mantenendo per i prossimi mesi la flessibilità connessa con il rinnovo di quelli nell’ambito del programma per l’emergenza pandemica (PEPP).

Il rialzo dei tassi ufficiali dovrà proseguire per attenuare il rischio che il persistere di un’elevata inflazione causata dal susseguirsi di shock “di offerta” si trasli sulle aspettative di famiglie e imprese, alimentando la dinamica dei prezzi e determinando aumenti più forti delle retribuzioni. Il ritmo di incremento dei tassi e il loro punto di arrivo, tuttavia, non possono essere predeterminati sulla base di proiezioni o scenari precostituiti, che in questa fase hanno una natura puramente indicativa. L’elevata incertezza richiede di procedere in modo graduale, valutando con attenzione l’adeguatezza dell’orientamento monetario sulla base delle evidenze che si renderanno via via disponibili. Non va comunque sottovalutato il pericolo che il deterioramento delle prospettive economiche si riveli peggiore del previsto, rendendo sproporzionato un passo eccessivamente rapido nella normalizzazione dei tassi ufficiali. Si tratta di un rischio di cui il Consiglio dovrà tenere conto nei prossimi mesi, al pari di quello di lasciare che l’inflazione resti eccessivamente alta per troppo tempo.

Il Consiglio dovrà allo stesso tempo continuare a valutare attentamente gli effetti delle proprie decisioni sulla stabilità finanziaria. I differenziali di rendimento tra i titoli di Stato dei paesi dell’area dell’euro più esposti alle oscillazioni di mercato e quelli tedeschi, in aumento dall’inizio del 2022, si sono ridotti dopo l’annuncio, alla metà dell’anno, oltre che dell’attivazione della flessibilità nel reinvestimento dei titoli acquistati nell’ambito del PEPP, dell’approvazione del nuovo strumento contro il rischio di frammentazione (Transmission Protection Instrument, TPI). Quello italiano, che nelle scorse settimane aveva risentito dell’incertezza politica e dell’accresciuta avversione al rischio nei mercati, negli ultimi giorni è sceso fino a 210 punti base, un livello ancora notevolmente più alto di quelli prevalenti in altri paesi dell’area colpiti come il nostro, dieci anni fa, dalla crisi dei debiti sovrani. Per una sua decisa e persistente diminuzione restano cruciali prudenza sul bilancio pubblico e politiche volte a riportare il Paese su un elevato sentiero di crescita.
Il risparmio in Italia: incertezza e crescita economica

Nell’attuale fase congiunturale l’andamento del risparmio riflette spinte contrastanti. Da un lato, è sostenuto dalla risposta di natura precauzionale delle famiglie all’elevata incertezza sulle prospettive economiche; dall’altro, è indebolito dal tentativo di mantenere adeguati livelli di consumo a fronte del notevole acuirsi delle pressioni sui prezzi.

In Italia, in linea con le tendenze registrate negli altri principali paesi dell’area dell’euro, è proseguita la riduzione della propensione al risparmio delle famiglie in atto dal secondo trimestre del 2021, dopo l’eccezionale rialzo nella fase più acuta della pandemia, quando era salita con forti oscillazioni da meno del 10 per cento di fine 2019 al 18 per cento dei primi mesi del 2021. Nel secondo trimestre di quest’anno, per il complesso delle famiglie (che include quelle “produttrici”), la propensione al risparmio si è attestata all’11 per cento, in calo di circa due punti percentuali rispetto all’ultimo trimestre del 2021.
In termini assoluti il risparmio delle famiglie si è avvicinato a 35 miliardi di euro nei tre mesi terminanti a giugno; pur tenendo conto dell’aumento dei prezzi registrato dal deflatore dei consumi, il livello era ancora del 13 per cento più alto di quello precedente lo scoppio della pandemia (dopo essere pressoché raddoppiato nei mesi immediatamente successivi). Nei primi sei mesi di quest’anno la riduzione in termini reali ha di poco superato il 16 per cento, risentendo dell’aumento dei prezzi per oltre 3 punti percentuali.

Gli andamenti aggregati nascondono una notevole eterogeneità all’interno del settore. La capacità di risparmiare è infatti molto diversa tra le famiglie: per molti nuclei a basso reddito il risparmio potrebbe essere stato nullo o negativo; la formazione di risparmio si è verosimilmente concentrata presso le famiglie con redditi medio-alti, per le quali la quota di spesa per beni di prima necessità, che hanno registrato rincari particolarmente elevati, è relativamente minore.
In giugno, per effetto del forte calo dei prezzi delle attività, il valore della ricchezza finanziaria delle famiglie era sceso di quasi 350 miliardi di euro rispetto alla fine del 2021, a circa 4.900 miliardi. La ricchezza reale, costituita prevalentemente da abitazioni, era invece pari a circa 6.250 miliardi, con un aumento di 50 e il recupero dei livelli precedenti il ribasso avviatosi nel 2018 e già interrottosi lo scorso anno. Questo miglioramento ha riflesso sia il graduale incremento delle quotazioni di mercato delle abitazioni sia i nuovi investimenti immobiliari. Tenendo conto della lieve crescita delle passività finanziarie (circa 10 miliardi), la ricchezza netta delle famiglie è diminuita a circa 10.150 miliardi, un valore pari a 8,2 volte il reddito disponibile (era 8,4 a fine 2019). Valutata al netto dell’aumento del deflatore dei consumi, la ricchezza netta in termini reali si è ridotta di oltre il 6 per cento rispetto alla fine del 2021, di cui circa la metà a causa dell’inflazione.

L’accentuata volatilità nei mercati ha influito sulla composizione delle attività finanziarie delle famiglie. È proseguito l’aumento, seppure a ritmi più contenuti, dei depositi e del circolante, che a fine giugno avevano raggiunto un livello pari a un terzo del totale delle attività, il valore più elevato da oltre venti anni. Dopo un prolungato periodo di flessione, nella prima metà di quest’anno la quota investita direttamente in titoli obbligazionari a medio e lungo termine è leggermente salita, sospinta dal crescente costo-opportunità relativo alla detenzione di attività più liquide; ciò ha in parte compensato la riduzione della quota di attività detenute sotto forma di titoli azionari e in partecipazioni (in Italia riconducibili soprattutto alla proprietà familiare delle piccole e medie imprese), connessa con la flessione dei corsi sui mercati finanziari. Questi due comparti rappresentano nel complesso poco meno del 30 per cento del totale delle attività finanziarie.

Gli investimenti in strumenti del risparmio gestito, pur riducendosi, sono rimasti positivi nel primo semestre dell’anno; la relativa quota ammonta a oltre un terzo del totale delle attività finanziarie. L’espansione di questo comparto, in atto dagli inizi dello scorso decennio, è stata sospinta dalla sottoscrizione di quote di fondi comuni e di polizze assicurative; rimangono invece ancora limitati gli investimenti nei fondi pensione.
Lo sviluppo del comparto potrebbe essere favorito da un più diffuso ricorso degli investitori istituzionali ai fondi alternativi mobiliari specializzati nella valutazione e nella selezione di progetti complessi come, ad esempio, le ristrutturazioni aziendali. Il ruolo svolto da questi fondi, che operano su un orizzonte temporale di medio termine, può essere particolarmente importante per il finanziamento delle imprese di minore dimensione, in particolare quando volto all’ampliamento della scala operativa e agli investimenti in innovazione.

A fronte dell’elevata incertezza sulle prospettive economiche, è ancora più opportuno perseguire un’adeguata diversificazione degli investimenti, prestando la necessaria attenzione al contenimento dei rischi, così da proteggere il risparmio dall’aumento dell’inflazione e cogliere le opportunità che possono emergere nei comparti che beneficiano di rendimenti più alti. Restano fondamentali, a questo riguardo, i progetti volti ad aiutare i risparmiatori a prendere decisioni consapevoli e, più in generale, a innalzare il loro livello di cultura finanziaria; questo è tanto più urgente per quella fascia della popolazione economicamente vulnerabile che subisce più di altre le ripercussioni dell’inflazione sul potere d’acquisto dei redditi. La Banca d’Italia è fortemente impegnata su questo fronte, anche con iniziative che, come quelle tenutesi nell’ambito della quinta edizione del Mese dell’educazione finanziaria che oggi si conclude, sono rivolte a giovani e adulti lungo tutto il territorio nazionale.
Il settore finanziario e l’allocazione delle risorse per le attività produttive

In Italia le banche continuano a svolgere un ruolo molto rilevante per l’allocazione del risparmio all’attività produttiva e agli investimenti. A fronte del quasi 50 per cento delle azioni e partecipazioni, l’indebitamento bancario rappresenta circa il 17 per cento del totale delle passività delle società non finanziarie, contro il 6 dei prestiti da altre società finanziarie e il 4 della provvista obbligazionaria. Nell’attuale fase ciclica il credito bancario alle imprese ha continuato a crescere: nei dodici mesi terminanti in settembre, anche a seguito dei maggiori costi connessi con lo shock energetico, ha accelerato al 4 per cento, dall’1 dello scorso gennaio. Il mantenimento della solidità dei bilanci bancari richiede che si presti particolare attenzione, anche con il puntuale ricorso agli accantonamenti, all’aumento del rischio di credito, evitando in tal modo che l’ineludibile inasprimento dei criteri di offerta dei prestiti connesso con la maggiore rischiosità dei prenditori, di cui già si avvertono i primi segnali, possa trasformarsi in una grave stretta creditizia.

Le banche italiane affrontano questa fase partendo da una situazione nel complesso equilibrata e certamente migliore di quella in cui si trovarono a fronteggiare le crisi finanziarie di dieci e più anni fa. I crediti deteriorati hanno continuato a ridursi; sono proseguite le cessioni e i tassi di deterioramento si sono mantenuti molto bassi nel confronto storico. Al netto delle rettifiche di valore, la loro incidenza sul totale dei finanziamenti era scesa alla fine di giugno all’1,5 per cento: per le banche significative, il divario di questo indicatore rispetto alla media degli altri istituti europei si è ridotto a soli 0,2 punti percentuali.

Il rapporto tra il capitale di maggiore qualità e il totale delle attività ponderate per il rischio, pur diminuito di 50 punti base nel primo semestre dell’anno, al 14,8 per cento, rimane al di sopra dei valori del 2019. Il calo è stato determinato prevalentemente dalla distribuzione di utili da parte di alcuni grandi intermediari, dalla perdita di valore dei titoli contabilizzati al fair value, dal progressivo venir meno del regime transitorio introdotto nel 2018 con l’entrata in vigore del principio contabile IFRS9. Nel confronto storico la redditività si colloca su valori elevati: nel primo semestre di quest’anno il rendimento annualizzato del capitale e delle riserve è salito al 9 per cento, sostenuto dalla forte espansione del margine di interesse e, in misura minore, dal contenimento dei costi e dal mantenimento delle rettifiche di valore su livelli contenuti.
Sebbene al momento non vi siano segnali rilevanti di peggioramento della qualità degli attivi bancari, stime basate sui più recenti scenari macroeconomici pubblicati dalla Banca d’Italia indicano che con il nuovo anno il flusso di nuovi crediti deteriorati potrebbe crescere significativamente. All’aumento delle insolvenze contribuirebbe principalmente il rallentamento ciclico, con effetti verosimilmente maggiori per i crediti verso le imprese più esposte agli aumenti del prezzo dell’energia. Anche se alcune banche potrebbero incontrare maggiori difficoltà, specie in uno scenario particolarmente avverso, secondo le nostre più recenti valutazioni il sistema nel suo complesso dovrebbe comunque essere in grado di assorbire lo shock.

A fronte di queste prospettive ci attendiamo che le banche rivedano prontamente gli scenari utilizzati per la classificazione dei prestiti e riconoscano senza ritardi le perdite attese. Una corretta classificazione contabile e prudenziale non solo accresce la trasparenza dei bilanci, ma permette anche di meglio gestire i rischi. Svalutazioni effettuate – coerentemente con i principi contabili internazionali – a fronte di un aumento prospettico della probabilità di insolvenza dei debitori consentono di diluire l’impatto del deterioramento della qualità del credito. Allo stesso tempo, grazie agli utili conseguiti nell’anno, il rafforzamento della dotazione patrimoniale aiuta a meglio sostenere l’impatto di una evoluzione del quadro macroeconomico peggiore di quanto atteso.

Le banche di credito cooperativo (BCC) hanno storicamente avuto un ruolo molto rilevante nell’intermediazione del risparmio, con particolare riguardo al finanziamento delle imprese di minori dimensioni. Tale ruolo non è venuto meno, si è anzi rafforzato a seguito della riforma, nonostante i dubbi più volte manifestati. Nei quasi quattro anni passati dall’avvio dei gruppi cooperativi la loro quota di mercato dei prestiti alle imprese è rimasta stabile a circa il 10 per cento, quasi il 20 se si considerano i finanziamenti alle sole piccole e micro imprese. La dimensione media dei prestiti è inoltre rimasta pressoché invariata, suggerendo che la clientela di riferimento tipica delle BCC non sia mutata. Grazie al rafforzamento dei profili tecnici delle banche del settore, la riforma ha quindi permesso loro di preservare il ruolo di sostegno alle imprese nei territori di insediamento nel difficile contesto che ha caratterizzato gli ultimi anni.

Tra la fine del 2018 e lo scorso giugno il rapporto tra i crediti deteriorati e il totale dei finanziamenti facenti capo ai gruppi cooperativi si è ridotto, al netto delle rettifiche, dal 6,0 all’1,8 per cento e i tassi di copertura sono saliti di quasi 18 punti percentuali, al 68 per cento. Il rapporto tra costi e ricavi è sceso di oltre 11 punti percentuali, al 64 per cento, e il rendimento del capitale e delle riserve è aumentato fino a superare, nel primo semestre di quest’anno, quello medio delle altre banche significative italiane. Dal 2018 il coefficiente patrimoniale relativo al capitale di migliore qualità è aumentato di 3 punti percentuali, al 19 per cento. Notevoli progressi sono avvenuti anche nell’ambito del governo societario e degli standard gestionali. La costituzione dei gruppi ha consentito inoltre di rendere più sicuro, veloce e fluido il superamento di situazioni di fragilità di singole affiliate.

È indubbio che la riorganizzazione del credito cooperativo abbia richiesto alle BCC e alle capogruppo importanti cambiamenti sul piano strategico, organizzativo e operativo, con costi di impianto e nuovi oneri connessi in parte con l’appartenenza a intermediari qualificati come significativi a fini di supervisione. Questi cambiamenti sono tuttavia avvenuti in un contesto regolamentare e di vigilanza attento alle caratteristiche delle BCC, connotate a livello individuale da dimensioni e complessità contenute. In particolare, per quelle con attivo di bilancio non superiore a 5 miliardi sono previste regole in materia di governo societario e remunerazioni graduate secondo criteri di proporzionalità, recentemente rivisti per ampliarne la portata. Per tutte, la Banca d’Italia ha inoltre eliminato l’obbligo di redigere i resoconti individuali riguardo all’autovalutazione dell’adeguatezza del patrimonio e della liquidità e semplificato gli obblighi di informazione riguardo al ricorso a fornitori esterni. Il criterio di proporzionalità guida anche la disciplina dei controlli interni: gli intermediari possono infatti articolare le funzioni di controllo in modo più snello se ciò è coerente con il profilo di rischio, la dimensione e la complessità operativa.

Così come quella bancaria, anche l’industria del risparmio gestito gode di una situazione complessivamente favorevole. Nei primi sei mesi del 2022 il calo delle quotazioni ha determinato una contrazione del patrimonio dei fondi di investimento, ma la raccolta netta è rimasta leggermente positiva. Coerentemente con le aspettative su tassi di interesse e inflazione, sono cresciute le sottoscrizioni di fondi azionari a fronte dei rimborsi di fondi obbligazionari.

Prosegue l’interesse degli investitori verso i fondi di investimento sostenibili: nella prima metà dell’anno i fondi italiani che perseguono obiettivi ambientali, sociali e di governo societario (environmental, social and governance, ESG) sono stati interessati da nuove sottoscrizioni, mentre i restanti hanno registrato deflussi. I fondi italiani, inclusi quelli alternativi, presentano rischi di liquidità e leva in media contenuti, caratteristiche che dovrebbero limitare le conseguenze di possibili ulteriori turbolenze di mercato.
La raccolta e l’allocazione del risparmio potranno beneficiare dell’investimento in nuove tecnologie. Come ho più volte ricordato, le innovazioni che ricorrono alla tecnologia dei registri distribuiti (distributed ledger technologies, DLT) hanno il potenziale di ridurre i costi dell’intermediazione, con benefici per gli investitori e per le imprese. Tuttavia, l’innovazione non è esente da rischi. Occorre distinguere

tra la tecnologia e le cripto-attività che la utilizzano: riguardo a queste ultime abbiamo ripetutamente informato i risparmiatori, richiamando l’esigenza di ben distinguere tra le cripto-attività emesse a fronte di attività reali o finanziarie e quelle, al contrario, prive di valore intrinseco. Lo scorso giugno abbiamo inoltre inviato a tutti i soggetti vigilati, agli operatori sorvegliati nell’ambito del sistema dei pagamenti, ai fornitori di servizi tecnologici una comunicazione che sottolinea l’esigenza di adeguati presidi per attenuare i rischi connessi con l’impiego della DLT (“Comunicazione della Banca d’Italia in materia di tecnologie decentralizzate nella finanza e cripto-attività”, giugno 2022).
Ulteriore chiarezza verrà fatta dalla definitiva approvazione del regolamento dell’Unione europea in materia di cripto-attività (Markets in Crypto-Assets Regulation, MiCAR). Regole comuni per l’emissione e l’offerta al pubblico di questi strumenti e requisiti per la prestazione di servizi a essi collegati favoriranno la tutela degli utenti, l’integrità e la stabilità del sistema finanziario, creando al contempo le condizioni perché anche in Europa si colgano le opportunità offerte dalla tecnologia. Il regolamento relativo a un regime pilota per le infrastrutture di mercato basate sui registri distribuiti (il cosiddetto DLT pilot regime), pubblicato lo scorso giugno, consentirà inoltre di sperimentare nuove modalità di emissione e circolazione degli strumenti finanziari sotto la supervisione della Consob e della Banca d’Italia.
I risultati preliminari di una indagine da noi svolta nei mesi scorsi indicano un crescente interesse verso le potenzialità della DLT e delle cripto-attività da parte degli intermediari, che sempre in maggior numero svolgono attività di ricerca e sperimentazione, con particolare attenzione alla prestazione di servizi come la custodia, la ricezione e trasmissione di ordini, e lo scambio tra cripto-attività e valute. Nelle more dell’introduzione di regole specifiche, vigiliamo affinché ciò avvenga nei limiti della regolamentazione esistente e presidiando adeguatamente i rischi.

I costi dell’inflazione impongono un intervento deciso da parte del Consiglio direttivo della BCE volto a scongiurare il pericolo che essa si trasli sulle aspettative, innescando una rincorsa tra prezzi e salari, con il rischio di aumentarne la durata e di amplificarne gli effetti negativi sulle nostre economie. Dallo scorso luglio i tassi ufficiali sono stati aumentati di 2 punti percentuali, partendo dai livelli

straordinariamente bassi determinatisi nel far fronte prima alle conseguenze della crisi finanziaria globale e di quella dei debiti sovrani, poi a quelle della pandemia. Il rapido peggioramento delle prospettive economiche, che risentono soprattutto dell’eccezionale incremento dei costi dell’energia, richiede ancora di agire in modo progressivo, considerando con attenzione il rischio del prolungamento di un’inflazione inaccettabilmente elevata e tenendo altresì conto, con altrettanta attenzione, delle possibili ripercussioni dei mutamenti del quadro congiunturale. Consapevoli dei rischi per la stabilità finanziaria e delle implicazioni per lo stesso mantenimento della stabilità dei prezzi nel caso in cui si dovesse verificare un più grave, inatteso, peggioramento della congiuntura, si può certo discutere del ritmo al quale far salire i tassi ufficiali, ma ritengo che non si debbano avere dubbi sulla direzione intrapresa né sul fatto che il loro livello non sia ancora coerente con il conseguimento dell’obiettivo di un’inflazione al 2 per cento nel medio periodo.

In seguito alla necessaria normalizzazione delle condizioni monetarie, il costo per il servizio del debito è destinato a salire. Ciò rende ancora più importante delineare un percorso realistico per proseguire la fase di graduale rientro dagli alti livelli del debito pubblico in rapporto al PIL avviata negli ultimi due anni. Sarebbe un segnale decisivo di credibilità per i mercati, che si tradurrebbe in premi per il rischio sovrano più bassi, contenendo l’onere da interessi e riducendo lo sforzo necessario per raggiungere gli obiettivi di bilancio.

Se le conseguenze redistributive e allocative dei maggiori costi dell’energia non possono essere ignorate, i margini per l’erogazione di aiuti a famiglie e imprese saranno verosimilmente molto più limitati che negli ultimi due anni; possono essere ampliati con la riduzione di altre spese. Interventi temporanei e mirati, destinati ai nuclei e ai comparti produttivi in maggiore difficoltà, potranno contribuire a contenere la riduzione dei redditi reali e, per tale via, le pressioni sull’inflazione connesse con le richieste salariali senza compromettere l’equilibrio dei conti pubblici.
Negli ultimi due anni la riduzione del rapporto tra debito e prodotto ha beneficiato della ripresa dell’economia, più rapida del previsto, ed è stata favorita da un aumento dei prezzi certo tanto poco desiderato quanto ampio e prolungato. Ma oggi non possiamo che auspicare e ricercare una rapida diminuzione della “tassa” da inflazione, per la stabilità dell’economia, per la protezione del risparmio e per il sollievo di chi più risente dell’eccezionale aumento dei costi energetici. Bisognerà fare attenzione a non ripetere gli errori di quaranta e più anni fa quando a persistere dell’inflazione dovuto alla vana rincorsa tra prezzi e salari si associarono molti anni di disavanzi eccessivi, con la conseguenza ultima della crisi finanziaria e valutaria di cui ricorre in questi mesi il trentennale.

Resta fondamentale indirizzare le risorse pubbliche a sostegno della crescita economica. Il Paese oggi beneficia del forte impulso assicurato dalle ingenti risorse rese disponibili, nell’ambito del Next Generation EU (NGEU), per gli investimenti e le riforme previsti nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. I finanziamenti ricevuti ammontano già a 46 miliardi; a breve ne verranno erogati altri 21, sotto forma sia di trasferimenti sia di prestiti a basso costo. La realizzazione, completa e senza ritardi, di questo piano, ambizioso ma realistico, potrà tradursi in un rafforzamento significativo del potenziale di crescita della nostra economia.

L’Italia, che è il principale beneficiario delle risorse comuni fornite con il programma NGEU, ha la responsabilità di dimostrare con risultati concreti quali progressi può conseguire un’Unione europea più forte e coesa. La nostra economia, dopo anni di ristagno, può tornare su un sentiero di sviluppo sostenuto e durevole fondato sul rinnovo e l’ampliamento delle infrastrutture e sull’accumulazione di capitale, non solo fisico. Si tratta di un obiettivo alla nostra portata; quanto più si manifesterà la determinazione e la capacità di conseguirlo, tanto più agli investimenti pubblici potrà associarsi la forza rinnovata dell’investimento privato, fondata sul necessario alimento del risparmio, che le famiglie italiane hanno laboriosamente accumulato nel tempo.

 

 

 

Loader Loading...
EAD Logo Taking too long?

Reload Reload document
| Open Open in new tab

Scarica PDF

Categoria news:
LANCIO D'AGENZIA
© RIPRODUZIONE RISERVATA
DELLA FONTE TITOLARE DELLA NOTIZIA E/O COMUNICATO STAMPA

È consentito a terzi (ed a testate giornalistiche) l’utilizzo integrale o parziale del presente contenuto, ma con l’obbligo di Legge di citare la fonte: “Agenzia giornalistica Opinione”.
È comunque sempre vietata la riproduzione delle immagini.

I commenti sono chiusi.