(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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Al confine tra Asia e Oceania, il Papa a Baro incoraggia l’opera dei missionari tra le tribù.
Il Papa ieri pomeriggio, dopo la tappa a Vanimo per l’incontro con 20 mila persone nella spianata davanti alla cattedrale, si è trasferito nel vicino villaggio per incontrare privatamente nella Holy Trinity Humanistic School i quattro missionari argentini che svolgono un’opera costante anche tra le comunità più isolate nella giungla. Migliaia di persone per le strade a gettare fiori e salutare il passaggio del Pontefice, danze e canti tribali in suo onore.
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Salvatore Cernuzio – Inviato a Vanimo
Quantificarli sarebbe impossibile. Erano in piedi per strada a lanciare foglie e petali di fiori, seduti su sedie di plastica o a terra lungo la parte sterrata, affacciati dalle finestre delle palafitte sulla riva dell’oceano. Sbucavano da dietro i cespugli o da sotto capanne. Si posizionavano all’ombra dei cartelloni con il volto del Papa e la scritta “Welcome”. Rimanevano in ordine, solo qualcuno ogni tanto tagliava la strada per passare dall’altra parte. Centinaia di migliaia di persone, di volti, di occhi abbinati a sorrisi sghembi e incorniciati da copricapi indigeni, tagli rasati e strane acconciature o semplicemente da folti ricci, hanno accompagnato i circa 6 km di tragitto del Papa dalla spianata antistante la cattedrale di Vanimo al villaggio di Baro, frazione ancora più vicina alla zona di confine della Papua Nuova Guinea. Più avanti, l’Indonesia; prima quella che le tribù locali chiamano il Bush, alla lettera il cespuglio, la giungla profonda dove vivono comunità isolate dal mondo e dal suo sviluppo.
L’incontro coi missionari. Dopo l’incontro con 20 mila abitanti della diocesi papuana, seconda città visitata in Papua Nuova Guinea oltre alla capitale Port Moresby, Papa Francesco ha voluto recarsi a Baro per incontrare i missionari argentini lì attivi da anni, tra cui padre Martin Prado, 35 anni, sua vecchia conoscenza e contatto costante in questi anni. La Holy Trinity Humanistic School, scuola cattolica gestita dalla parrocchia di Holy Trinity e dall’Istituto del Verbo Incarnato, presente in questi territori dal 1997, è stato il luogo dell’incontro. Un edificio scolastico fondato nel 1964 dai Missionari Passionisti che, diviso in una scuola primaria di oltre 400 studenti e una nuova scuola media di 100 studenti, vuole offrire agli allievi un’educazione umanistica cattolica.
Danze e canti. In questa struttura bianca a due piani, il Papa è arrivato dopo aver attraversato due ali di folla danzanti con gruppi che si diversificavano in base al trucco e ai costumi. Alcuni erano quasi del tutto nudi, altri portavano conchiglie, foglie e indumenti di legno e paglia. “Ogni gruppo etnico ha il proprio abito di riconoscimento e i capi villaggio si distinguono, ad esempio, per un certo tipo di piume o di conchiglie”, spiega un missionario locale. “Pure le danze sono tutte diverse. Quelle offerte al Papa in questi giorni sono le danze riservate alle massime autorità e rappresentano onore”. Per buona parte della strada in golf kart, Francesco ha assistito a questi tributi d’onore, scanditi dal suono del tamburo kundu o da canti gutturali, dal finestrino dell’auto bianca, parcheggiata poi nel cortile della Holy Trinity School.
Carezze ai bambini. Ad attenderlo lì c’era un gruppo anche lì incalcolabile di bambini con la maglia arancione dell’istituto, tutti in fila ordinati, sotto in giardino o sopra i balconi. La compostezza è una delle caratteristiche della popolazione papuana, capaci di manifestazioni di entusiasmo oltre ogni aspettativa ma anche di passare dal chiasso più totale a un religioso silenzio in una frazione di secondo. Tutta in silenzio si è svolta infatti la cerimonia d’arrivo del Pontefice con due bambini ciechi che gli hanno offerto collane di fiori e di piume. Lui ha ricambiato con rosari e caramelle e, ad uno dei due, che gli ha affondato il viso nella talare bianca, ha fatto delle carezze sulla testa.
Il silenzio è stato interrotto dal coro nel nella School & Queen of Paradise Hall dove si era sistemata l’orchestra dell’istituto, una delle iniziative per fornire quella formazione umanistica di cui si faceva cenno. Brani con archi e percussioni del repertorio classico sono stati offerti al Papa che ha elogiato la bravura degli allievi ai quali ha portato in dono diversi strumenti musicali. Merito del direttore Jesus Briceño, venezuelano che per metà anno vive in Venezuela e, l’altra metà, in Papua Nuova Guinea. Con i giovani delle tribù usa il meto abreu, molto famoso in America Latina, che consiste nell’utilizzare la musica per offrire un’opportunità di riscatto a ragazzi altrimenti in situazioni di disagio: “Iniziano a studiare e fare cose belle”, racconta. Da cinque anni Jesus è a Vanimo e ora guida un gruppo di circa 120 ragazzi tra cui la piccola Maria Joseph, violinista, che ha condiviso la sua testimonianza con il Papa. “Sono orgoglioso di questi risultati”, dice.
L’opera delle suore. La tappa successiva di Francesco è stata su un palchetto allestito con fiori, piante, fiocchi e alcune ‘composizioni’ con la Madonna di Lujan, la Vergine patrona dell’Argentina, la cui devozione è fortemente vissuta tra gli abitanti del villaggio che la chiamano Mama Lujan. Merito di padre Martin e gli altri missionari dell’Argentina e pure delle suore che collaborano alla missione, le Servidoras del Señor y de la Virgen de Matará, braccio femminile dell’Ive, le quali svolgono diversi apostolati nelle parrocchie, dedicandosi in particolare ai malati. Alla Madonna patrona del popolo porteño hanno intitolato pure una struttura, la “Casa di Lujan”, dove accolgono ragazze vittime di violenza e abusi, spesso anche dalle loro stesse famiglie che le accusano di stregoneria. Non provengono da Vanimo ma da villaggi e regioni limitrofe da cui scappano per fuggire a morte certa.
In missione nella foresta. Le suore, come detto, aiutano i missionari del Verbo incarnato – due preti di vita attiva e due monaci – in questa non sempre facile evangelizzazione in luoghi dove si vive un cristianesimo delle origini. Dove cioè gli attuali missionari sono i primi a mettere piede in queste terre per portare la Buona Novella. Curano le varie “cappelle”, raccontano loro stesse, e fanno lunghi viaggi in posti isolati dove restano per giorni e giorni insieme alle comunità. “Lavoriamo al processo di inculturazione con comunità legate alla natura e al rapporto con la terra”.
Questo servizio è uno dei temi principali dell’incontro riservato del Papa con i suoi conterannei e un gruppo di religiose, alcune venute pure dalle Isole Salomone ed entrate a turno nel piccolo saloncino per salutare Francesco. Racconta ai media vaticani, padre Miguel de La Calle: “Abbiamo parlato della missione e ci ha dato consigli e suggerimenti. Abbiamo parlato dell’Argentina, del nostro Istituto, ma il Santo Padre sa già tutto perché sta sempre in contatto con padre Martin, quindi non siamo entrati nel dettaglio, sono stati discorsi generali. Poi ha assaggiato il mate e la torta fredda… Siamo molto contenti che è venuto, così come tutti voi”. “Siamo contenti”, lo dice pure padre Martin, di corsa per gli ultimi saluti prima della ripartenza per Port Moresby con il C130 dell’Air Force australiano: “Non possiamo ancora credere che il Papa è stato qui con noi. Una cosa bellissima, bellissima. Un corazón muy grande quello del Santo Padre di venire qua”.