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OPERAZIONE COLOMBA: FERRARI, CERCARE LA SOLUZIONE PACIFICA DEI CONFLITTI

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06.25 - martedì 9 maggio 2017

(Fonte: Ufficio stampa Pat) –  Ieri pomeriggio a Trento alla Fbk di via Santa Croce. Moni Ovadia, Hafez Hurani e Alberto Capannini: tre voci per la non violenza

Moni Ovadia, Hafez Hurani e Alberto Capannini: tre voci per la non violenza e la risoluzione pacifica dei conflitti ieri a Trento, per un appuntamento promosso da Operazione Colomba in collaborazione con la Provincia autonoma di Trento e la partecipazione del Forum Trentino della Pace e dei Diritti Umani.

Tre ospiti d’eccezione, quindi, nell’auditorium Fbk di via Santa Croce, introdotti dall’assessora provinciale alla cooperazione allo sviluppo Sara Ferrari: l’artista “totale” Moni Ovadia (è attore, drammaturgo, scrittore, musicista), che con il suo teatro porta nel mondo le tante sfaccettature della cultura ebraica e Mitteleuropea, ma anche il suo messaggio in favore della pace, il rispetto dei diritti umani, il dialogo; Hafez Huraini, fondatore in Palestina del comitato popolare nonviolento delle colline a sud di Hebron, in una parte di Cisgiordania sottoposta a stretto controllo israeliano; Alberto Capannini, fondatore del corpo civile di pace Operazione Colomba, che conta molti aderenti anche in Trentino.

Voci diverse, una ebraica, l’altra palestinese, la terza italiana, ma accomunate dal fatto di essere in primo luogo voci di “cittadini del mondo” impegnati per la causa della non violenza.

Un’occasione, quella di oggi, per mettere al centro la necessità di dare forza e spazio alle esperienze di non violenza che vedono tra l’altro impegnati giovani anche  trentini. Operazione Colomba, attiva da più di 25 anni in territori di conflitto, è presente oggi in Palestina, Libano (da cui è partito anche il corridoio umanitario in favore dei profughi a cui ha aderito anche la Provincia autonoma), in Albania e Colombia.

“Soprattutto in un momento come questo ci è sembrato significativo che la comunità trentina tornasse a confrontarsi con il tema della non violenza e della risoluzione pacifica dei conflitti”, ha detto l’assessora provinciale alla solidarietà internazionale Sara Ferrari nel portare i suoi saluti agli ospiti.

Anche il consigliere provinciale Mattia Civico ha espresso la sua soddisfazione per l’interesse suscitato da questa proposta, e ha richiamato le parole pronunciate recentemente anche dal papa sul tema della non violenza, unica via per superare le guerre e i conflitti senza tuttavia capitolare di fronte all’ingiustizia.

Hurani, dialogando con Capannini, ha portato la sua esperienza di palestinese che vive in un territorio, quello a sud di Hebron (Cisgiordania, zona C), sottoposto al controllo di Israele e dove anche i coloni si accaniscono spesso contro la popolazione locale. “Nel 1999 – ha raccontato – 15 villaggi palestinesi della zona delle colline a sud di Hebron  vennero sgomberati con la forza, un grave crimine, rimasto ignorato dai media.Siamo riusciti a dare accoglienza a tutte queste persone nel mio villaggio, che non era fra quelli sgomberati.

Provare un sentimento di vendetta era cosa naturale. Venimmo raggiuti anche da attivisti israeliani e internazionali intenzionati a supportare la nostra causa. Con l’aiuto di avvocato israeliani riuscimmo infine a portare il nostro caso fino all’Alta Corte di Israele, con successo. Un grande risultato. Dopo questo episodio abbiamo iniziato a ragionare con la gente su come reagire efficacemente all’ingiustizia con strumenti non violenti. All’inizio quindi abbiamo scelto la non violenza senza nemmeno conoscerne il nome, coinvolgendo sempre di più anche attivisti israeliani. La non violenza attarversa confini e culture, è un patrimonio di tutti”.

Capannini ha portato la sua esperienza con Operazione Colomba, nata negli anni della guerra nella ex-Jugoslavia, e poi diffusasi in molto altri paesi in conflitto. L’idea è quella di “abitare il conflitto”, ma senza schierarsi con nessuno dei contendenti e senza mai cedere alla violenza, ma condividendo disagi e rischi delle persone comuni. “In Libano e Siria – ha spiegato – abbiamo cominciato con visitare questi paesi, dove milioni di persone vivono come profughi. Ma molti semplicemente aspirano a diventare profughi perché non hanno nemmeno questo status.

Abbiamo piantato una tenda in mezzo a loro e abbiamo iniziato a vivere con loro”. La condivisione come elemento fondamentale dell’azione non-violenta, insomma, perché “ogni vita vale”. In quest’ottica anche il profugo è prima di tutto un essere umano. “La non violenza non è fatta da una persona sola. E’ un’azione che coinvolge molte persone. Si crea una catena di solidarietà che alla fine rappresenta un’alternativa reale alla violenza”.

Moni Ovadia ha espresso il suo plauso per un’iniziativa che consente di affrontare temi come quello del conflitto in Palestina che oggi sono molto difficili da affrontare. “Queste questioni vengono troppo spesso ignorate dalla pletora dei talk show”. Ovadia, ebreo, ha definito gravissima la situazione del popolo palestinese sul piano umano e anche del diritto internazionale.

“Da 50 anni questo popolo vive o in diaspora o in una situazione di oppressione e umiliazione. Sotto lo sguardo pressoché indifferente della comunità internazionale, nonostante due risoluzioni dell’Onu siano state ignorate dai governi israeliani”. Richiamando le sue radici ebraiche Ovadia ha detto che sa molto bene cos’è la Shoah ma “i palestinesi non ne portano alcuna colpa”.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Foto: da comunicato stampa

 

 

 

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