(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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Matrimoni e divorzi in diminuzione, crescono le seconde nozze e le unioni civili. Nel 2023 sono stati celebrati in Italia 184.207 matrimoni, il 2,6% in meno rispetto al 2022. I matrimoni religiosi presentano un calo consistente rispetto all’anno precedente. (-8,2%), accentuando una tendenza alla diminuzione già in atto da tempo.Sono state celebrate 29.732 nozze con almeno uno sposo straniero (il 16,1% del totale dei matrimoni), stabili rispetto al 2022. Nei primi otto mesi del 2024 i dati provvisori indicano una nuova diminuzione dei matrimoni (-6,7%) rispetto allo stesso periodo del 2023.
Matrimoni in diminuzione
Nel 2023 i matrimoni sono stati 184.207, in diminuzione rispetto all’anno precedente (-2,6%); il calo è stato più consistente nel Mezzogiorno (-5,8%) rispetto al Nord (-0,3%), in posizione intermedia il Centro (-1,3%). I dati provvisori dei primi otto mesi del 2024 mettono in luce una ulteriore diminuzione (-6,7%, a conferma di un ridimensionamento della nuzialità che negli ultimi quarant’anni non ha conosciuto soste, al netto di alcuni momenti storici duranti i quali il numero dei matrimoni ha mostrato andamenti altalenanti in relazione a fenomeni di tipo congiunturale.
Nel 2000, ad esempio, si rilevò un aumento dei matrimoni da collegare al desiderio di celebrare le nozze all’inizio del nuovo millennio. All’opposto, nel triennio 2009-2011, il calo fu particolarmente accentuato per il crollo delle nozze dei cittadini stranieri, scoraggiati dalle modifiche legislative volte a limitare i matrimoni di comodo. Inoltre, non va dimenticata la crisi economica del 2008 il cui impatto produsse effetti sui comportamenti nuziali delle coppie. Infine, nel 2020 si è assistito a un dimezzamento del numero dei matrimoni per effetto della pandemia da Covid-19 (e delle sue misure di contenimento) che ha visto molte coppie posticipare le nozze, in parte poi celebrate nel successivo biennio 2021-2022.
Nel 2023 i 139.887 primi matrimoni mostrano, se confrontati con l’anno precedente, una diminuzione del 4,3%, più consistente rispetto a quella del totale dei matrimoni (-2,6%). Nel 2023 la quota dei primi matrimoni rispetto al totale delle celebrazioni è pari al 75,9%, evidenziando un netto calo anche rispetto al 79,4% del 2019 (anno in cui il numero di matrimoni totali era stato simile a quello del 2023). La diminuzione tendenziale dei primi matrimoni, al netto delle oscillazioni di breve periodo, è strettamente connessa alla progressiva diffusione delle libere unioni (convivenze more uxorio) . Queste ultime sono più che triplicate tra il biennio 2000-2001 e il biennio 2022-2023 (da circa 440mila a più di 1 milione e 600mila), un incremento da attribuire soprattutto alle libere unioni di celibi e nubili.
Sul piano tendenziale, uno dei motivi per il quale la primo-nuzialità in Italia arretra si deve alla trasformazione del processo di transizione alla vita adulta. Quest’ultima oggi segue percorsi diversi rispetto al passato, quando il motivo prevalente di uscita dal nucleo di origine era legato alla formazione di una nuova famiglia attraverso le nozze . Secondo i dati dell’Indagine Famiglie e soggetti sociali (2016) tra le generazioni di uomini nate tra il 1982 e il 1986 la convivenza more uxorio è preferita al matrimonio (22,5% contro 21,8% di chi lascia la casa dei genitori entro i trent’anni); seguono le altre motivazioni quali, per esempio, lavoro, studio e autonomia. Tra le donne, l’uscita dalla famiglia di origine si concretizza in via preponderante tramite il matrimonio (40% tra le nate negli anni Ottanta), seguita dalla convivenza, con percentuali via via crescenti di generazione in generazione.
Negli ultimi decenni, inoltre, il ridimensionamento numerico delle nuove generazioni, dovuto alla bassa fecondità, che dalla metà degli anni Settanta si è sempre mantenuta ben sotto il livello di sostituzione, sta producendo un effetto strutturale negativo sui matrimoni. Man mano che le generazioni più giovani, meno numerose di quelle dei genitori, entrano nella fase adulta della vita si riduce la numerosità della popolazione in età da matrimonio e, di conseguenza, anche a parità di propensione a sposarsi, cala inesorabilmente il numero assoluto di nozze.
Sei matrimoni su 10 celebrati con rito civile
Nel 2023 il 58,9% dei matrimoni è stato celebrato con rito civile, in continuità con il valore dell’anno precedente (56,4%) e in linea con l’aumento tendenziale osservato nel periodo pre-pandemico (52,6% nel 2019). La quota particolarmente elevata di matrimoni civili osservata nel 2020 (71,1%) ha costituito quindi un’eccezione, determinata dalle misure di contenimento dell’emergenza sanitaria che hanno colpito soprattutto le celebrazioni con rito religioso.
Il rito civile è chiaramente più diffuso nelle seconde nozze (95,0%), essendo spesso una scelta obbligata , e nei matrimoni con almeno uno sposo straniero (91,2% contro 52,7% dei matrimoni di sposi entrambi italiani). La scelta del rito civile va però diffondendosi sempre di più anche tra i primi matrimoni (47,5% nel 2023).
Considerando i primi matrimoni tra sposi entrambi italiani (86,1% del totale dei primi matrimoni) l’incidenza di quelli celebrati con rito civile è del 41,0% nel 2023 (33,4% nel 2019 e 20,0% nel 2008). La variabilità territoriale per tale tipologia di coppia è spiccata: si riscontrano incidenze di celebrazioni con rito civile più basse nel Mezzogiorno (23,9%) e più alte nel Nord (56,1%). La scelta del regime patrimoniale di separazione dei beni (74,3%) si conferma tendenzialmente in crescita rispetto al passato (40,9% nel 1995, 62,7% nel 2008 e 73,4% nel 2022).
Prosegue l’aumento delle seconde nozze
L’aumento dell’instabilità coniugale contribuisce alla diffusione delle seconde nozze e delle famiglie composte da almeno una persona che abbia vissuto una precedente esperienza matrimoniale, fenomeno che genera nuove tipologie familiari. Al tendenziale aumento di questa tipologia di matrimoni, registrato soprattutto nel biennio 2015-2016 come conseguenza dell’introduzione nel 2015 del “divorzio breve”, ha fatto seguito una progressiva stabilizzazione che si è protratta fino al 2019.
Nel 2023 le seconde (o successive) nozze per almeno uno degli sposi sono state 44.320, finora il valore più alto mai registrato (la quota sul totale dei matrimoni è del 24,1%). Tale percentuale solo nel 2020 era stata più elevata (28,0%) ma tale circostanza si verificò in realtà come conseguenza di una congiuntura sfavorevole che fece contrarre in modo più deciso i primi matrimoni e, tra questi ultimi, quelli religiosi. L’aumento delle seconde nozze per almeno uno degli sposi è del 3,3% rispetto al 2022; se entrambi gli sposi hanno un matrimonio precedente alle spalle l’aumento è più consistente (+7,2%).
Il 15,8% degli sposi e il 14,8% delle spose ha alle spalle un divorzio, ma tali percentuali mostrano un andamento crescente di pari passo all’aumentare dell’età dei nubendi; il 52,2% degli sposi e il 52,8% delle spose dai 50 anni in poi ha sciolto il proprio vincolo coniugale tramite il divorzio. Solo l’1,5% degli sposi e lo 0,9% delle spose prima del matrimonio era vedovo; le percentuali salgono, rispettivamente, al 6,3% e al 4,6% se si considerano sposi e spose dai 50 anni in poi.
Stabili i matrimoni con almeno uno sposo straniero
Nel 2023 sono state celebrate 29.732 nozze con almeno uno sposo straniero (il 16,1% del totale dei matrimoni), stabili rispetto al 2022. La quota di matrimoni con almeno uno sposo straniero è notoriamente più elevata nelle aree in cui è più radicato l’insediamento delle comunità straniere. Nel Centro-nord un matrimonio su cinque riguarda almeno uno sposo straniero mentre nel Mezzogiorno questa tipologia di matrimoni è pari al 9,3%. A livello regionale in cima alla graduatoria vi sono la provincia autonoma di Bolzano/Bozen (28,9%), l’Umbria (23,7%) e la Toscana (23,4%).
I matrimoni misti (in cui uno sposo è italiano e l’altro straniero) ammontano a 21.211 e continuano a rappresentare la parte più consistente dei matrimoni con almeno uno sposo straniero (71,3%). Quasi i tre quarti dei matrimoni misti riguardano coppie con sposo italiano e sposa straniera (15.389, l’8,4% delle celebrazioni a livello nazionale nel 2023). Le donne italiane che hanno scelto un partner straniero sono 5.822, il 3,2% del totale delle spose.
La cittadinanza degli sposi nei matrimoni misti presenta diversità rispetto al genere e le ragioni di questi diversi comportamenti nuziali vanno ricercate, verosimilmente, nei progetti migratori e nelle caratteristiche culturali proprie delle diverse comunità, oltre che nella prevalenza maschile o femminile delle collettività presenti in Italia. Nel 2023 gli uomini italiani hanno sposato una cittadina rumena nel 19,8% dei casi, ucraina nel 9,7%, brasiliana nel 6,1% e russa nel 5,9%. Le donne italiane hanno contratto matrimonio più frequentemente con uno sposo di cittadinanza marocchina (11,9%) o albanese (8,5%). I matrimoni tra cittadini entrambi stranieri ammontano a 8.521, di questi 5.184 con almeno uno sposo residente in Italia; i restanti 3.337 corrispondono a nozze celebrate in Italia da parte di non residenti.
Aumentano i matrimoni misti con nuovi cittadini
La possibilità di distinguere la cittadinanza degli sposi italiani, dalla nascita o per acquisizione, permette di far luce sui comportamenti nuziali in base al background migratorio. Tra i matrimoni misti, il 14,6% coinvolge uno sposo italiano per acquisizione; nel 2018 questa quota era esattamente la metà. Tra i matrimoni di entrambi sposi italiani, quelli in cui almeno uno dei due è italiano per acquisizione sono il 4,5% quota più che raddoppiata rispetto al 2018.
Considerando il complesso dei matrimoni con almeno uno straniero o un italiano per acquisizione (escludendo le coppie di entrambi italiani dalla nascita) quasi due matrimoni su 10 sono formati da coppie con entrambi italiani di cui almeno uno per acquisizione e quasi uno su 10 da coppie miste con italiani per acquisizione (Figura 2).
Il consistente aumento della presenza di italiani per acquisizione al momento del matrimonio è in linea con un più avanzato processo di integrazione dei cittadini stranieri; sempre più matrimoni, teoricamente misti, sono in realtà celebrati tra cittadini che alla nascita possedevano la stessa cittadinanza estera.
L’Italia si conferma meta del “Turismo matrimoniale”
L’Italia esercita una forte attrazione per numerosi cittadini residenti all’estero, soprattutto in paesi a sviluppo economico avanzato, che scelgono il Bel Paese come luogo di celebrazione delle nozze. Nel 2023 si rilevano 3.337 nozze tra sposi entrambi stranieri e non residenti, quasi il 2% di tutti i matrimoni. A partire dal 2020 questa tipologia di nozze (coppie di entrambi stranieri e non residenti) aveva subito una consistente flessione a causa delle restrizioni imposte alla mobilità internazionale, passando dai 4.094 del 2019 ai 918 del 2020 (-77,6%); nel 2021 si è avviata una fase di ripresa (1.574) consolidatasi negli anni successivi.
I matrimoni tra stranieri in cui almeno uno dei due sposi risulti residente in Italia (depurati quindi dall’effetto del “turismo matrimoniale”) nel 2023 sono stati 5.184, stabili in valore assoluto rispetto ai 5.142 dell’anno precedente. Va ricordato che in molti casi i cittadini immigrati arrivano in Italia dopo aver già contratto il matrimonio nel paese di origine oppure vi fanno temporaneamente ritorno per questo scopo; un significativo numero di celebrazioni di cittadini stranieri residenti in Italia, quindi, avviene all’estero e non rientra tra i matrimoni oggetto della rilevazione.
Ci si sposa più tardi
Il mutamento nei modelli culturali, nonché l’effetto di molteplici fattori quali l’aumento diffuso della scolarizzazione e l’allungamento dei tempi formativi, le difficoltà nell’ingresso nel mondo del lavoro e la condizione di precarietà del lavoro stesso hanno comportato, negli anni, una progressiva posticipazione del calendario di uscita dalla famiglia di origine. La quota di giovani che resta nella famiglia di origine fino alla soglia dei 35 anni è pari al 61,2%, quasi tre punti percentuali in più in circa 20 anni .
Questa protratta permanenza comporta un effetto diretto sul rinvio delle prime nozze. Tale effetto si amplifica nei periodi di congiuntura economica sfavorevole spingendo i giovani a ritardare ulteriormente, rispetto alle generazioni precedenti, le tappe dei percorsi verso la vita adulta, tra cui quella della formazione di una famiglia . Sul posticipo del primo matrimonio, inoltre, incide anche la diffusione delle convivenze prematrimoniali.
L’analisi del tasso di primo-nuzialità totale, una misura trasversale attraverso la quale si può valutare quanti primi matrimoni siano attesi da una ipotetica generazione di 1.000 individui, consente di far luce sui processi di formazione delle coppie, di quelle giovani in particolare. Tale indice segnala, in base a quanto registrato nel 2023, un’intensità di 399 primi matrimoni per 1.000 uomini e 450 per 1.000 donne; valori in diminuzione rispetto all’anno precedente (2,2 punti percentuali in meno sia per gli uomini sia per le donne). A livello aggregato, la tendenza al rinvio porta l’età media alle prime nozze a 34,7 anni per gli uomini (+0,1 punti rispetto all’anno precedente) e a 32,7 anni per le donne (+0,2).
Unioni civili in aumento sul 2022
Il 5 giugno 2016 è entrata in vigore la Legge che ha introdotto in Italia l’istituto dell’unione civile tra persone dello stesso sesso . Nel corso del secondo semestre 2016 si sono costituite 2.336 unioni civili, un numero particolarmente consistente che ha riguardato coppie da tempo in attesa di ufficializzare il proprio legame affettivo. Al boom iniziale ha fatto poi seguito una progressiva stabilizzazione.
Le 3.019 unioni civili tra coppie dello stesso sesso costituite presso gli Uffici di Stato Civile dei Comuni italiani nel 2023 evidenziano un aumento rispetto all’anno precedente (+7,3%), ma i dati provvisori dei primi otto mesi del 2024 delineano un calo (-2,1%) rispetto allo stesso periodo del 2023. Si conferma anche nel 2023 la prevalenza di unioni tra uomini (1.694 unioni, il 56,1% del totale), stabili rispetto all’anno precedente (56,7%).
Il 35,5% delle unioni civili è nel Nord-ovest, seguito dal Centro (24,3%). Tra le regioni, in testa si posiziona la Lombardia con il 23,5%; seguono il Lazio (13,3%) e l’Emilia-Romagna (10,4%). A livello nazionale nel 2023 si sono avute 5,1 nuove unioni civili per 100mila residenti, mentre nel Mezzogiorno l’indicatore è all’incirca la metà. La Lombardia e l’Emilia-Romagna si collocano al primo posto a pari merito tra le regioni (7,1 per 100mila) seguite dal Lazio (7,0) e dal Piemonte (6,9) (Figura 4).
Emerge con evidenza il ruolo attrattivo dei grandi Comuni: più di un quarto delle unioni si sono costituite nel complesso dei 12 grandi Comuni. In testa si trova il Comune di Roma (con l’8,4%), seguito da quello di Milano (6,8%).
Le unioni civili con almeno un partner straniero sono il 17,0%; nel Centro si attestano al 18,1%, nel Nord al 17,4% mentre nel Mezzogiorno sono il 14,4%.
Al pari dei matrimoni, anche le unioni civili si caratterizzano per la presenza di partner con cittadinanza italiana per acquisizione: tra le unioni miste tra partner italiano e straniero, il 14,8% coinvolge un partner italiano per acquisizione; nel 2018 questa quota era circa un terzo. Tra le unioni di partner entrambi italiani, quelli in cui almeno uno dei due è italiano per acquisizione sono il 4,5%; quota quasi triplicata rispetto al 2018.
Considerando il complesso delle unioni civili con almeno uno straniero o un italiano per acquisizione (escludendo dall’analisi le coppie di entrambi italiani dalla nascita) il 17,9% è costituito da coppie con entrambi italiani di cui almeno uno per acquisizione e il 10,9% da coppie miste con italiani per acquisizione.
Età più matura per chi si unisce civilmente
Fino al 2019 gli uniti civilmente hanno evidenziato una struttura per età in progressivo “ringiovanimento” rispetto al biennio 2016-2017. L’introduzione nel nostro ordinamento di questo istituto giuridico, infatti, ha consentito inizialmente a coppie anche in età più avanzata – che da tempo aspettavano tale possibilità – di ufficializzare la propria unione e da qui il profilo più maturo che aveva contraddistinto questa prima fase (con un’età media superiore ai 49 anni per gli uomini e intorno ai 46 anni per le donne). Negli anni a seguire il profilo per età delle unioni si è progressivamente ringiovanito (nel 2019 l’età media degli uomini era di 44,5 anni, delle donne di 39,6).
Nell’anno della pandemia, tuttavia, l’età media all’unione civile cresce in misura eccezionale: 47,2 anni per gli uomini (quasi 3 anni in più) e 41,8 per le donne (oltre 2 anni in più). Nel 2022 le età medie calano nuovamente e nel 2023 sono stabili rispetto all’anno precedente con valori pari a 45,4 anni tra gli uomini e a 39,0 anni tra le donne.
La struttura per età di chi entra in unione è molto diversa da quella di chi si sposa, soprattutto tra gli uomini (Figura 5). Se l’età media degli uniti mostra una lenta tendenza al ringiovanimento l’età media degli sposi, invece, vede un trend di crescita – con l’unica eccezione dell’anno della pandemia – che culmina con i 40,5 anni del 2023 (rispetto ai 38,1 anni del 2018).
Nel 2023 la quota degli uomini con meno di 40 anni che si unisce civilmente è pari al 37,0%, ben al di sopra del 21,6% del 2020, ma molto più bassa di quella osservata tra gli sposi di pari età (59,2%).
Per le donne che si uniscono civilmente nel 2023 ben oltre la metà di esse (56,6%) ha meno di 40 anni (era il 50,0% nel 2018). I profili per età delle donne che si sposano e che si uniscono civilmente appaiono tra loro più simili, ma con differenze evidenti prima dei 30 anni: nel 2023 in questa fascia di età si colloca il 14,9% delle unite civilmente contro il 25,1% delle spose; valori simili si osservano invece nella fascia di età 30-39 anni (rispettivamente 41,7% e 42,8%).
Sabato il giorno preferito per nozze e unioni
Il 46,2% delle nozze e delle unioni civili del 2023 (considerate nel loro complesso) si sono svolte di sabato. Anche osservando distintamente matrimoni religiosi, matrimoni civili e unioni civili i profili per giorno della settimana in cui si decide di formalizzare il proprio legame affettivo sono molto simili. La preferenza per il sabato è particolarmente accentuata nel caso dei matrimoni religiosi (53,1%) mentre nel caso delle unioni civili è del 39,4%. Il giorno meno opzionato per i matrimoni è il martedì: in tale giorno si sono celebrati il 3,5% dei matrimoni religiosi e il 6,1% di quelli civili. Il giorno della settimana, invece, in cui si sono costituite meno unioni civili è la domenica (6,8%), seguita dal martedì (7,4%).
La preferenza per il giorno della settimana è legata ovviamente a valutazioni di ordine organizzativo ed economico: da una parte, alla necessità di decidere in largo anticipo la data per opzionare luoghi di celebrazione e di festeggiamento più “gettonati”; dall’altra, a quella di scegliere giorni meno richiesti per trovare posto più a ridosso dell’evento e magari usufruire di agevolazioni in termini economici. Non da ultime, soprattutto nel caso delle celebrazioni civili, sono da considerare questioni di carattere amministrativo, legate alla disponibilità degli uffici di stato civile a garantire il servizio in particolari giorni della settimana.
Al di là di questi aspetti, la stagionalità dei matrimoni è da sempre legata al calendario del lavoro e a quello delle festività religiose. Storicamente, soprattutto nelle aree rurali, il calendario seguiva il ciclo naturale dei lavori agricoli e si osservava una rarefazione dei matrimoni in corrispondenza dell’attività stagionale agricola, soprattutto nei periodi estivi di raccolta dei prodotti. In tempi moderni l’andamento delle ferie estive e scolastiche sembra, invece, rappresentare un elemento centrale nella stagionalità del fenomeno della formazione di una famiglia attraverso il matrimonio o l’unione civile.
Si osservano sostanzialmente due picchi: uno a inizio settembre che poi degrada lentamente fino a fine ottobre, l’altro a giugno al culmine di un periodo più ampio che va da metà aprile a inizio agosto.
Le cinque date del 2023 in cui ci si è sposati e uniti di più sono tutte di sabato e, in graduatoria decrescente, sono: 9 settembre, 2 settembre, 24 giugno, 23 settembre e 10 giugno. Il 17 giugno, pur essendo un sabato nel periodo di picco, si trova, invece, in decima posizione. Per i matrimoni religiosi le prime cinque date in graduatoria ricalcano perfettamente quelle complessive, mentre per quelli civili le cinque date preferite sono le stesse ma posizionate in ordine diverso con in testa il 23 settembre. Anche per le unioni civili la data preferita è stata sabato 9 settembre, seguita dal 10 giugno (presente anch’essa nella “top five” complessiva), dal 16 settembre, dal 3 giugno e dal 20 maggio.
Separazioni e divorzi in rallentamento
Nel 2023 le separazioni sono state complessivamente 82.392 (-8,4% rispetto all’anno precedente). I divorzi sono stati 79.875, il 3,3% in meno rispetto al 2022 e il 19,4% in meno nel confronto con il 2016, anno in cui sono stati finora i più numerosi (99.071). Il trend dei divorzi è stato sempre crescente dal 1970 (anno di introduzione del divorzio nell’ordinamento italiano) fino al 2015. In tale anno il numero di divorzi subì una forte impennata (+57,5%) in relazione all’entrata in vigore di due importanti Leggi che hanno modificato la disciplina dello scioglimento e della cessazione degli effetti civili del matrimonio: il Decreto legge 132/2014, che ha introdotto le procedure consensuali extragiudiziali senza più il ricorso ai Tribunali (direttamente presso gli Uffici di Stato Civile o tramite negoziazioni assistite da avvocati) e soprattutto la Legge 55/2015 (c.d. “Divorzio breve”) che ha fortemente ridotto l’intervallo di tempo tra separazione e divorzio (12 mesi per le separazioni giudiziali e sei mesi per quelle consensuali) determinando un vero boom del fenomeno.
Dopo l’aumento registrato tra il 2015 e il 2016 – che ha riguardato in misura più attenuata anche le separazioni – l’andamento dei divorzi fino al 2019 si è mantenuto stabile con piccole oscillazioni. Nel 2020 è stato invece ben visibile l’impatto della pandemia, soprattutto per effetto delle chiusure degli uffici e delle restrizioni alla mobilità, con conseguenze, nel caso dei provvedimenti presso i Tribunali, anche sui procedimenti di separazione o divorzio avviati negli anni precedenti. Tale impatto è stato poi riassorbito nel 2021, quando i livelli sono tornati sostanzialmente quelli pre-pandemici.
Nel 2023 si nota un ridimensionamento (-10,9%) della componente consensuale delle separazioni (considerando nel loro complesso quelle in Tribunale e quelle extragiudiziali). L’81,0% delle separazioni si è concluso consensualmente, mostrando una diminuzione rispetto al trend di crescita di questa componente osservato fino al 2021. Le separazioni giudiziali, caratterizzate da una maggiore durata dei procedimenti, confermano il trend di aumento iniziato nel 2018 (interrottosi solo nel 2020).
Tradizionalmente più contenuta rispetto alle separazioni è la quota della componente consensuale (sia giudiziale che extragiudiziale) nei divorzi (70,6%); questa appare sostanzialmente in linea con l’anno precedente (71,5%). I divorzi giudiziali presso i Tribunali nel 2023 si mantengono stabili rispetto al 2022 (-0,5%) mentre i divorzi con rito consensuale mettono in luce un netto ridimensionamento (-14,3%).
Non è ancora possibile valutare gli effetti del D. Lgs. 149 del 10 ottobre 2022 (la cosiddetta “riforma Cartabia”) introdotta con l’obiettivo di razionalizzare i procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie. La facoltà di proporre contestualmente la domanda di separazione personale e quella di divorzio è entrata in vigore dal 28 febbraio 2023, ma varie sentenze interpretative successive hanno di fatto rallentato l’entrata a regime delle nuove procedure.
Separazioni e divorzi non più soltanto in Tribunale
Nel 2023 il 28,6% delle separazioni e un divorzio su tre si sono conclusi con procedure extragiudiziali. Le due fattispecie introdotte dal Decreto legge 132/2014 per chi intenda separarsi o divorziare consensualmente, in alternativa alla tradizionale ratifica da parte del giudice, sono: la convenzione di negoziazione assistita da almeno un avvocato per parte (ex art. 6); l’accordo innanzi all’Ufficiale di Stato Civile in assenza di patti di trasferimento patrimoniale e di figli minori, di figli maggiorenni incapaci/portatori di handicap grave o economicamente non autosufficienti (ex art. 12). Il peso di queste due “nuove” procedure nel 2023 corrisponde rispettivamente al 35,3% delle separazioni consensuali e al 46,6% dei divorzi consensuali.
Negli accordi extragiudiziali per separarsi o divorziare la componente più consistente è quella degli accordi stipulati direttamente presso gli Uffici di Stato Civile (ex art. 12). Nel 2023, 13.833 separazioni e 19.021 divorzi sono stati effettuati direttamente presso il Comune (con tempi e costi molto più bassi rispetto alle altre procedure): si tratta del 16,8% di tutte le separazioni e del 23,8% di tutti i divorzi. Nel 2023 le quote delle negoziazioni assistite da avvocati (ex art. 6) sono, invece, l’11,8% delle separazioni e il 9,1% dei divorzi, entrambe in aumento rispetto all’anno precedente.
La propensione a ricorrere agli accordi extragiudiziali di divorzio è diffusa soprattutto nel Centro-nord, ma con alcune differenze per tipologia: la procedura ex art.12 (direttamente presso lo Stato Civile) è più presente nel Nord-est (32,4%), seguita dal Nord-ovest (31,3%), mentre quella ex art.6 (negoziazioni assistite da avvocati) mostra il suo picco nel Centro (14,1%) (Figura 8). Le regioni in cui il ricorso alle procedure ex art. 12 è più diffuso, con il vincolo di tutte le condizioni già ricordate, sono la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (39,8%), la provincia autonoma di Bolzano/Bozen (35,9%) e l’Emilia-Romagna (34,8%). La quota di accordi ex art. 6 raggiunge il suo valore massimo nel Lazio (19,8%), in Campania (12,8%) e in Sicilia (10,9%).
I divorzi consensuali conclusi in Tribunale sono quelli che presentano una minore variabilità territoriale mentre il ricorso ai divorzi giudiziali è più diffuso nel Mezzogiorno (39,6%) con picchi nei Tribunali della Calabria (44,0%) e della Puglia (42,4%).
Considerando i divorzi per 1.000 abitanti, a livello nazionale l’indicatore è pari a 1,4, stabile rispetto all’anno precedente. La variabilità territoriale va riducendosi e si assiste a una progressiva convergenza tra i livelli registrati nel Nord e nel Mezzogiorno. A livello regionale, in cima alla graduatoria ci sono Liguria, Sicilia e Sardegna (con l’1,6 per mille) mentre il valore più basso si osserva nella provincia autonoma di Bolzano/Bozen (0,9 per mille), in Molise e Basilicata (1,1 per mille).