Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
///
Oltre due cittadini su tre attenti agli sprechi, quasi un terzo non si fida di bere l’acqua del rubinetto.
In occasione della Giornata mondiale dell’acqua, istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 e celebrata ogni anno il 22 marzo, Istat pubblica un approfondimento integrato sul tema. Il quadro informativo offerto fa riferimento a numerose rilevazioni, pertanto i dati più aggiornati sono disponibili per anni diversi.
Nel 2022 in alcune aree del Paese rimane elevata la frammentazione gestionale dei servizi idrici per uso civile. Nel 2023 sono state adottate misure di razionamento dell’acqua in un terzo dei capoluoghi di provincia/città metropolitana del Mezzogiorno. Un quarto della spesa per la protezione dell’ambiente nel 2022 è destinato ai servizi di gestione delle acque reflue.
Nel 2022 i prelievi di acque minerali naturali a fini di produzione sono in lieve flessione rispetto all’anno precedente (-0,8%). Nell’annata agraria 2019/2020 l’autoapprovvigionamento idrico è utilizzato per più di un terzo delle superfici agricole irrigate.
La salvaguardia delle risorse idriche e la gestione responsabile dei servizi a esse correlati sono fondamentali per garantire un uso equilibrato della risorsa, la sostenibilità ambientale, il benessere della popolazione e la crescita economica, come richiamato nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile adottata dalle Nazioni Unite. Al tema dell’acqua è dedicato principalmente il Goal 6 (“Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico sanitarie”) a cui si aggiungono altri Goals (tra gli altri, il 13 e 14) per la natura integrata e indivisibile degli obiettivi.
Affrontare le sfide derivanti dal cambiamento climatico e dalla crescente pressione sulle risorse naturali richiede un impegno costante nella tutela dell’acqua. Promuoverne un uso responsabile è cruciale affinché la risorsa idrica rimanga accessibile non solo alle generazioni attuali ma anche a quelle future. La gestione sostenibile dell’acqua richiede anche un monitoraggio continuo della risorsa supportato da informazioni sempre più aggiornate, complete e dettagliate a livello territoriale.
In occasione della Giornata mondiale dell’acqua, istituita dalle Nazioni Unite nel 1992 e celebrata ogni anno il 22 marzo, l’Istat pubblica un focus che riassume i principali e più recenti risultati delle indagini, elaborazioni e analisi condotte dall’Istituto su questo tema. L’obiettivo è offrire all’utente una visione integrata delle statistiche sulle acque, con particolare attenzione al territorio, alla popolazione e alle attività economiche.
In alcune Regioni ancora frammentata la gestione dei servizi idrici
Nel corso del 2022 i gestori dei servizi idrici per uso civile sono 2.110, di cui 1.738 in economia (82,4%), ovvero Comuni ed enti locali, e 372 gestori specializzati (17,6%) (Figura 1). Questi enti hanno svolto nel 2022 almeno uno dei seguenti servizi idrici pubblici: prelievo di acqua per uso potabile, distribuzione dell’acqua potabile, fognatura, depurazione delle acque reflue urbane. In particolare, quattro enti su 10 si sono occupati dell’intera filiera, dal prelievo alla depurazione (Figura 2).
A seguito della riforma che nel 1994 ha introdotto il servizio idrico integrato, il numero dei gestori continua a diminuire progressivamente (erano 7.826 nel 1999). Rispetto al 2020 si registra una riduzione di 281 gestori, dovuta ad alcuni cambiamenti nella gestione che hanno interessato soprattutto le province di Como, Varese e Rieti.
L’attuazione della riforma è tuttavia ancora incompleta e persiste una significativa frammentazione nella gestione del servizio idrico, soprattutto in Calabria, Campania, Molise, Sicilia, Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e nelle province autonome di Bolzano/Bozen e Trento. Nel triennio 2022-2024 sono però emersi importanti segnali di integrazione gestionale, in corso di consolidamento, anche in alcune di queste aree con l’avvio dell’affidamento del servizio idrico integrato a un gestore unico.
Sebbene l’obiettivo non sia ancora completamente raggiunto, questo processo di concentrazione nella gestione dei servizi idrici per uso civile, attualmente in corso in alcuni territori del Paese, è anche in linea con l’indicatore SDG 6.5.1 che promuove l’implementazione della “gestione integrata delle risorse idriche” a tutti i livelli.
Prelievo di acqua per uso potabile: offerta concentrata nei gestori specializzati
Nel 2022, il prelievo di acqua per uso potabile è gestito da 1.492 enti (-127 sul 2020): nel 79,4% dei casi si tratta di gestori in economia (1.184 enti) e nel restante 20,6% di gestori specializzati (308). Calabria (262) e Sicilia (248) sono i territori con il maggior numero di operatori attivi nell’ambito del prelievo idropotabile. Di contro, sempre nel 2022, il numero minore di gestori (4) è in Umbria e Basilicata.
Benché in numero nettamente inferiore, gli enti gestori specializzati dominano il prelievo idropotabile poiché generalmente operano su ampie aree del territorio e su fonti di approvvigionamento rilevanti. Nel 2022, dei 9,14 miliardi di metri cubi di acqua prelevata per uso potabile, i 308 gestori specializzati hanno prelevato il 91% del totale (circa 8,3 miliardi di metri cubi), un dato in leggero incremento rispetto al 2020, a testimonianza del progressivo processo di accentramento nella gestione del servizio.
I 1.184 gestori in economia sono invece responsabili del prelievo del 9% del volume totale, pari a circa 812 milioni di metri cubi, quasi interamente derivati da fonti sotterranee (sorgenti e pozzi).
Nel distretto idrografico dell’Appennino settentrionale i prelievi sono gestiti quasi esclusivamente da enti specializzati, che coprono il 99% del volume, lasciando solo l’1% alla gestione in economia. Anche nei distretti idrografici dell’Appennino centrale, Sardegna e Fiume Po, il prelievo è prevalentemente gestito da enti specializzati e le quote in economia variano tra il 2% e il 4%. In proporzione, la gestione in economia dei prelievi è relativamente più diffusa nei distretti idrografici della Sicilia (30%), dell’Appennino meridionale (14%) e delle Alpi orientali (12%).
Il panorama dei gestori delle fonti di approvvigionamento per uso potabile evidenzia una marcata diversificazione a livello locale. La maggior parte dei gestori che si occupa dell’approvvigionamento gestisce anche la distribuzione comunale dell’acqua (1.437, oltre il 95% degli enti). A questi enti si affiancano operatori che, nel ciclo potabile, si occupano esclusivamente del prelievo accanto ai gestori di sovra-ambito e ai grossisti di acqua per uso potabile, che movimentano significativi volumi destinati ai gestori di rete, operano anche piccole gestioni che amministrano fonti idriche più limitate, poi convogliate alla distribuzione.
Gestione in economia dei prelievi idropotabili: l’incidenza più alta in Valle d’Aosta
A livello regionale la gestione in economia dei prelievi di acqua per uso potabile ha un’incidenza particolarmente alta in Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste (78% del volume prelevato). Risultano significative anche le percentuali nelle Province autonome di Bolzano/Bozen e Trento (circa il 61%), in Sicilia (30%), Molise (25%), Calabria (23%) e Campania (17%). Nelle altre Regioni, la gestione in economia riguarda meno del 5% del volume complessivo (Figura 3). L’Umbria è l’unica Regione dove tutti i prelievi sono gestiti da operatori specializzati; Basilicata, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Puglia, Toscana e Veneto presentano valori residuali di volumi gestiti in economia.
Prelievo di acqua potabile: un terzo proviene dal 5% circa delle sorgenti
Nonostante il numero degli enti coinvolti nel prelievo per uso potabile resti ancora elevato, circa la metà del volume complessivo di acqua prelevata (4,6 miliardi di metri cubi) proviene da soli 24 gestori, appena l’1,6% degli enti attivi nel prelievo. Di questi, solo uno gestisce il servizio in economia (Regione Campania). Il volume prelevato più consistente è gestito da Acea Ato 2, che opera nel distretto idrografico dell’Appenino Centrale e si occupa dell’approvvigionamento anche della città di Roma.
L’approvvigionamento idropotabile in Italia è costituito prevalentemente dalle acque sotterranee prelevate da sorgenti e pozzi. Oltre il 50% delle fonti di approvvigionamento per uso potabile è rappresentato dalle sorgenti che contribuiscono al 36,2% del prelievo totale con un volume di 3,3 miliardi di metri cubi.
Più di 900 sorgenti (circa il 5% del totale) hanno portate prelevate superiori o pari ai 10 litri al secondo e forniscono 2,7 miliardi di metri cubi d’acqua per uso potabile, pari all’80% dei volumi da sorgente e al 29% del totale prelevato da tutte le fonti in uso. Tali sorgenti non sono distribuite in modo omogeneo sul territorio nazionale. Le sorgenti con prelievi superiori ai 100 litri al secondo si trovano soprattutto nei distretti idrografici dell’Appennino centrale e dell’Appennino meridionale; le Regioni Campania, Abruzzo e Lazio da sole contribuiscono invece al 43% del totale prelevato da sorgente.
Considerando le emergenze sorgive con portate prelevate pari ad almeno 10 litri al secondo, le sorgenti con prelievi non superiori ai 50 litri al secondo rappresentano il 76% dei casi e il 16% del volume prelevato e si trovano prevalentemente nei distretti idrografici del Fiume Po e dell’Appennino meridionale.
Dall’analisi in serie storica risulta che, a partire dal 2012, il prelievo dalle sorgenti con portate prelevate a scopo idropotabile pari ad almeno 10 litri al secondo è nel complesso stazionario, con la sola eccezione dell’anno 2020, in cui c’è stata una leggera flessione dei volumi prelevati, presumibilmente legata agli effetti della pandemia da Covid-19 sugli usi non domestici dell’acqua.
Servizio di distribuzione dell’acqua potabile attivo in quasi tutti i Comuni italiani
L’acqua potabile prelevata raggiunge i punti di utilizzo finale tramite le reti comunali di distribuzione, che provvedono alle esigenze idriche di cittadini, imprese, uffici, alberghi e attività commerciali, agricole e industriali, nonché agli usi pubblici, quali il lavaggio strade, scuole, ospedali, verde pubblico e sistemi antincendio. Nel 2022, il servizio di distribuzione dell’acqua potabile è attivo in 7.891 Comuni su 7.904, con copertura completa o parziale del territorio.
Nel 2022 solo 13 Comuni, dove risiedono complessivamente circa 58mila abitanti (lo 0,1% della popolazione totale), sono totalmente sprovvisti del servizio pubblico di distribuzione dell’acqua potabile. In questi Comuni, situati in Lombardia (6), Veneto (4) e Friuli-Venezia Giulia (3), si ricorre a soluzioni di autoapprovvigionamento, come i pozzi privati, per soddisfare il fabbisogno idrico della popolazione.
Gestione specializzata della distribuzione dell’acqua per più di otto italiani su 10
Nel 2022, le reti comunali di distribuzione dell’acqua potabile sono gestite da 1.811 enti (-154 rispetto al 2020). Nell’84,8% dei casi si tratta di gestori in economia (1.536) e nel 15,2% di gestori specializzati (275).
A livello regionale, la gestione interamente specializzata del servizio è presente solo in Umbria, ma ha una forte incidenza anche in Basilicata, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Toscana e Veneto. Al contrario, la gestione in economia è prevalente in Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, ma è significativa anche in Calabria e nelle province autonome di Bolzano/Bozen e Trento. In Molise si sta assistendo al graduale passaggio da una gestione completamente in economia a una specializzata.
Il servizio di distribuzione dell’acqua potabile, dove attivo, è gestito da enti specializzati in oltre quattro Comuni su cinque, e circa in un Comune su cinque ha una gestione in economia.
La gestione mista (in cui enti in economia e specializzati operano su aree diverse dello stesso Comune), piuttosto rara a livello nazionale, è invece abbastanza diffusa nella provincia autonoma di Bolzano/Bozen e nel territorio della città metropolitana di Catania.
In termini quantitativi, dei 4,6 miliardi di metri cubi di acqua erogata agli utenti finali nel 2022, circa l’88% è affidato a gestori specializzati, mentre il restante 12% è gestito in economia. Al 31 dicembre 2022, dove è attivo il servizio, l’84,1% dei residenti in Italia vive in Comuni in cui la rete è gestita esclusivamente da enti specializzati (ma ci possono essere aree del Comune non coperte dalla rete pubblica), il 6,2% risiede in Comuni con gestione mista e il restante 9,6% con gestione in economia (Figura 4).
Nel Sud e nelle Isole si registra la maggiore incidenza, in termini di popolazione, di gestioni esclusivamente in economia, rispettivamente per il 21,9% e 29,2% dei residenti.
Perdite più ingenti nella distribuzione dell’acqua gestita in economia
Le perdite idriche nei Comuni italiani che dispongono di un servizio pubblico di distribuzione dell’acqua potabile si differenziano tra i vari modelli di gestione.
Nel 2022, alle gestioni in economia (ovvero quelle in cui il servizio è gestito direttamente dai Comuni o enti locali), nonostante alcune esperienze particolarmente virtuose, corrispondono perdite idriche totali in distribuzione pari al 45,5% del volume immesso in rete. Tale valore è superiore di 3,1 punti percentuali rispetto alla media nazionale (42,4%). Di contro, nelle gestioni specializzate, il valore delle perdite in distribuzione è complessivamente inferiore e pari al 41,9%.
6,6 milioni di residenti non allacciati alla rete fognaria pubblica
Nel 2022 al servizio pubblico di fognatura comunale provvedono 1.866 gestori (-265 rispetto al 2020). Si tratta del servizio con il più alto numero di gestori e con la quota maggiore di operatori in economia (1.690, pari al 90,6%). Il servizio è attivo nel 99,5% dei Comuni, con copertura completa o parziale del territorio. In 41 Comuni, dove risiedono 397mila abitanti (0,7% della popolazione nazionale), il servizio è invece completamente assente; 26 di questi sono in Sicilia (6,7% della popolazione regionale).
Anche laddove è disponibile, il servizio non sempre copre l’intero territorio comunale, in particolare nelle zone con case sparse, montane o difficilmente accessibili, o nei Comuni in cui la rete è stata recentemente attivata. In alcuni casi, la rete fognaria esiste ma non è ancora in esercizio, poiché manca il collegamento a un depuratore. Nelle aree prive di fognatura pubblica, le acque reflue urbane vengono generalmente gestite attraverso sistemi autonomi di smaltimento, come le vasche Imhoff private.
Si stima che circa nove abitanti su 10 (88,8% della popolazione) siano allacciati alla rete fognaria pubblica, indipendentemente dalla presenza di impianti di trattamento successivi. Sono circa 6,6 milioni, invece, i residenti non allacciati alla rete. La situazione si presenta tendenzialmente stabile a livello nazionale rispetto al 2020 (88,7%).
Nel 2022, l’Italia si colloca al nono posto tra i Paesi dell’Ue27 per la percentuale di popolazione servita dal servizio pubblico di fognatura. Al primo posto si trova il Lussemburgo, dove l’intera popolazione è collegata alla rete; percentuali di copertura molto alte (oltre il 97%) si registrano anche nei Paesi Bassi, a Malta, in Spagna e Germania. In fondo alla classifica si trovano Romania (59,2%) e Croazia (57,4%).
Sicilia, regione con la minore copertura del servizio pubblico di fognatura
L’82,2% dei Comuni italiani ha una copertura del servizio pubblico di fognatura superiore al 75% dei residenti, per il 14,2% è compresa tra il 50% e il 75%, per il 2,4% tra il 25% e il 50%, e solo una quota residuale (lo 0,6%) ha una copertura inferiore al 25% o non ha una rete in esercizio (lo 0,5%).
In 13 Regioni e Province autonome su 21 si rileva una percentuale di copertura superiore al dato nazionale. Nel Nord-ovest si ha la maggiore copertura (94,6%), e in particolare alla Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste corrisponde il valore regionale più alto (97,9%). Il Nord-est presenta nel complesso un livello di copertura pari all’85,2% e il Veneto ha il dato regionale di copertura più basso della ripartizione (79,8%), seppur in crescita rispetto al 2020 (Figura 5).
La copertura del servizio pubblico di fognatura nelle Isole è la più bassa (81,1%) e in Sicilia, con un servizio esteso al 76,5% dei residenti, raggiunge il valore minimo (-12,3 punti percentuali rispetto al dato nazionale). A livello provinciale, il valore minimo dell’indicatore si registra nella città metropolitana di Catania, dove il servizio copre poco più di un residente su tre (35,8%).
I dati relativi alla copertura del servizio pubblico di fognatura sono riferiti all’intero territorio nazionale e da considerarsi indipendenti dal reporting biennale della Direttiva Acque Reflue (91/271/CEE e normative correlate).
Gestione del servizio fognario in economia ancora in un Comune su cinque
Al 31 dicembre 2022, il 79,0% dei Comuni con servizio di fognatura ha una gestione affidata a operatori specializzati, il 20,9% una gestione in economia e il restante 0,1% una gestione mista (con la presenza di gestori sia in economia sia specializzati che operano su tratti diversi di rete nell’ambito dello stesso comune). In termini demografici, le gestioni specializzate sono attive nei Comuni in cui risiede l’87,4% della popolazione italiana (possono esserci aree del Comune non coperte dalla rete fognaria pubblica).
L’Umbria è l’unica Regione in cui il servizio pubblico di fognatura comunale è totalmente a carico di gestori specializzati. In Veneto, Friuli-Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana, Marche e Basilicata i servizi sono quasi completamente a gestione specializzata. La gestione in economia prevale invece in Molise (dov’è in corso il passaggio a una gestione specializzata), Calabria, Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e nella provincia autonoma di Bolzano/Bozen.
Nel Nord-ovest più di un terzo degli impianti di depurazione dei reflui urbani
Nel 2022 la depurazione delle acque reflue urbane è il servizio idrico con il minor numero di enti gestori:
1.277 (-100 rispetto al 2020): 1.067 gestori in economia (83,6%) e 210 gestori specializzati (16,4%). Gli impianti di depurazione delle acque reflue urbane in esercizio nel corso dell’anno sono pari a 18.118; di questi il 56% ha un trattamento di abbattimento dei carichi inquinanti di tipo vasca Imhoff/primario e il 44% di tipo secondario/avanzato. Un impianto su tre è localizzato nelle Regioni del Nord-ovest.
Complessivamente questi impianti hanno la capacità di trattare un carico inquinante corrispondente a 107,3 milioni di abitanti equivalenti, derivanti da reflui di origine domestica e in parte anche industriale. Tale valore è leggermente superiore a quello del 2020 (107,1 milioni) poiché in questo periodo sono entrati in esercizio dei nuovi grandi depuratori, soprattutto in Sicilia e in Abruzzo.
Gli impianti in esercizio con trattamento secondario/avanzato, pur in numero inferiore, sono progettati per trattare il 94% del carico inquinante (espresso in abitanti equivalenti) che potenzialmente potrebbe arrivare ai depuratori delle acque reflue urbane (Figura 6). Tale quota si riduce in Calabria, Campania e Molise dove la capacità depurativa degli impianti almeno secondari è inferiore all’80%.
Prosegue il razionamento dell’acqua nei capoluoghi del Mezzogiorno
Nel 2023 un terzo dei capoluoghi di provincia/città metropolitana del Mezzogiorno (14 Comuni) ha adottato misure di razionamento nella distribuzione dell’acqua potabile, attuando riduzioni o sospensioni dell’erogazione idrica. Misure di razionamento sono state adottate nella maggior parte dei capoluoghi della Sicilia (tutti tranne Enna, Ragusa e Siracusa) e della Calabria (tranne Crotone), in uno dell’Abruzzo (Chieti), due della Puglia (Foggia e Bari) e uno della Sardegna (Nuoro). Rispetto al 2019 (dato più basso dal 2015), il numero dei capoluoghi interessati da misure di razionamento passa da 9 a 14, includendo anche Bari e Messina tra i poli delle città metropolitane.
Ad Agrigento e Trapani le misure più restrittive di erogazione dell’acqua
Tra i fattori che hanno inciso sulla scarsa o insufficiente disponibilità della risorsa idrica di questi territori, ci sono la forte obsolescenza della rete infrastrutturale idrica, i marcati deficit di precipitazioni rispetto alla media climatologica 1991-2020 (-40% in Calabria e -60% in Sicilia, tra settembre e dicembre 2023; Audizione informale alla Camera del Commissario straordinario nazionale per l’adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica, marzo 2024), le temperature superiori alle medie climatiche e le riduzioni delle portate degli invasi (-30% il livello totale degli invasi in Sicilia e Sardegna).
In sei capoluoghi le restrizioni nella distribuzione dell’acqua potabile hanno interessato tutto il territorio comunale. Ad Agrigento la situazione più critica, dove l’acqua ai residenti è stata sospesa o ridotta in tutti i giorni dell’anno, con turnazioni settimanali, in base alla zona e serbatoio di distribuzione. A Trapani l’erogazione è stata ridotta e/o sospesa per alcune giornate, con periodicità definite, mentre a Messina la riduzione è avvenuta principalmente nelle ore notturne dei mesi estivi: le due città per fronteggiare l’emergenza idrica hanno fatto ricorso al servizio sostitutivo di autobotte. A Chieti e Catanzaro la misura è stata adottata per fascia oraria. A Foggia, a causa della rottura di una condotta idrica, l’erogazione di acqua potabile, dal 19 giugno al 2 luglio 2023, è stata garantita ai residenti tramite autobotte.
L’adozione di misure di razionamento ha invece coinvolto solo una parte del territorio comunale in otto capoluoghi (tutti localizzati in Calabria e Sicilia, oltre a Bari e Nuoro), tra i quali quelli di tre città metropolitane (Reggio di Calabria, Palermo e Catania). Rispetto al 2021 (ultimo dato disponibile), risulta migliorata sia la quota della popolazione residente interessata da misure restrittive, passata dal 2,8% (485.057 residenti) all’1,1% (191.357 residenti), sia il numero dei Comuni coinvolti (erano 12).
Nel 2023, le misure di razionamento nel suo complesso, applicate su parte e/o tutto il territorio comunale, hanno interessato circa 800mila persone, il 4,6% della popolazione residente nei capoluoghi. Nel dettaglio, le situazioni più critiche estese a tutto il territorio hanno colpito Agrigento, dove la distribuzione dell’acqua è stata sospesa per 208 giorni e ridotta per 157; Trapani e Messina, dove le riduzioni sono state attuate rispettivamente per 180 e 101 giorni e, in misura più contenuta, Chieti e Catanzaro, dove le riduzioni e/o sospensioni sono state applicate per 60 e 30 giorni. A Foggia, a causa della rottura di una condotta idrica sub-urbana, l’acqua è stata ridotta per 12 giorni e sospesa per due.
Situazioni mediamente critiche, con disservizi per parte del territorio e della popolazione residente, sono rilevate “nelle ore notturne in tutti i giorni dell’anno” a Cosenza (il 60% del territorio per un totale di 38.283 residenti) e Vibo Valentia (il 32,1%, 10mila residenti). Minori disagi hanno coinvolto Caltanissetta, Catania e Reggio di Calabria, dove la riduzione dell’erogazione ha interessato rispettivamente il 25,6%, 19,8% e 15,0% della popolazione, mentre disservizi marginali si sono occasionalmente verificati a Bari (7,0%), Palermo (3,3%) e Nuoro (0,2%) (Figura 7).
Rispetto al 2023, nel 2024 la situazione si è acuita ulteriormente, con un incremento sia del numero dei capoluoghi coinvolti sia della durata e intensità delle misure emergenziali. L’anno scorso, infatti, l’emergenza idrica si è manifestata in modo ancora più evidente in alcune aree del territorio nazionale, a causa di risorse idriche insufficienti a soddisfare le necessità della popolazione e delle attività, determinando restrizioni ancora più severe e frequenti.
Nel Mezzogiorno le maggiori lamentele per irregolarità nell’erogazione dell’acqua
Le lamentele espresse dalle famiglie in merito alla presenza di irregolarità nell’erogazione dell’acqua, rilevate attraverso la rilevazione “Aspetti della vita quotidiana” confermano le problematiche territoriali legate al razionamento dell’acqua già emerse dalle osservazioni dirette della rilevazione “Dati ambientali nelle città”. La scarsità d’acqua e le difficoltà al suo accesso rappresentano una criticità per le famiglie soprattutto nelle aree del Mezzogiorno, dove il fenomeno del razionamento, come visto in precedenza, è più acuto, almeno nelle grandi città.
Nel 2024 l’8,7% delle famiglie dichiara di aver riscontrato irregolarità nel servizio di erogazione dell’acqua nelle abitazioni, una quota invariata rispetto al 2023. Il disservizio investe, pur in percentuali molto diverse, tutte le Regioni e interessa circa 2 milioni 300mila famiglie. Di queste, oltre due terzi sono residenti nel Mezzogiorno (1,6 milioni di famiglie): Calabria e Sicilia (rispettivamente con il 29,9% e il 29,2% delle famiglie) risultano le Regioni più esposte ai problemi di erogazione dell’acqua nelle abitazioni.
Diametralmente opposta la situazione nel Nord-ovest e nel Nord-est dove appena il 3,1% e il 3,5% delle famiglie, rispettivamente, denuncia un servizio di erogazione irregolare, mentre nel Centro lamenta il problema circa il 6% delle famiglie. Solo il 3,6% delle famiglie che vivono in Comuni con più di 50mila abitanti manifesta disagi relativi alla irregolarità dell’erogazione dell’acqua (Figura 8).
Le valutazioni delle famiglie confermano che le criticità del servizio possono avere un carattere stagionale o rappresentare un problema sistematico e continuativo: in particolare, tra le famiglie che rilevano irregolarità nell’erogazione dell’acqua poco meno del 40% le riscontra durante tutto l’anno, il 27,8% solamente durante il periodo estivo e il 31,2% le descrive come un evento sporadico.
Per l’erogazione dell’acqua costi considerati elevati da quattro famiglie su 10
Oltre la metà delle famiglie (53,7%) considera adeguati i costi sostenuti per l’erogazione dell’acqua ma ben il 39,8% li giudica elevati. Alti livelli di insoddisfazione per l’entità della spesa si rilevano nelle Isole (55,2%), nel Sud (45,6%) e nel Centro (42,0%); più contenuti nel Nord-ovest (34,2%) e nel Nord-est (29,4%).
Nel 2024 il 76,2% delle famiglie valuta molto o abbastanza soddisfacente la qualità dell’acqua in termini di “odore, sapore e limpidezza” (l’86,4% nel 2023). Le famiglie insoddisfatte sono il 23,8% del totale nazionale, ma la quota è sensibilmente più alta in Sicilia (37,2%), Calabria (34,4%) e Sardegna (33,9%).
Ancora poca fiducia nell’acqua del rubinetto
Nel 2024, le famiglie che dichiarano di non fidarsi di bere l’acqua del rubinetto sono il 28,7%. Il dato è stabile rispetto al 2023, pur nel contesto di una progressiva riduzione delle preoccupazioni rispetto a venti anni fa (40,1% nel 2002). Permangono però notevoli differenze sul piano territoriale, passando dal 18,4% nel Nord-est al 49,5% nelle Isole. A livello regionale, le percentuali più alte si riscontrano in Sicilia (50,0%), in Sardegna (48,2%) e in Calabria (39,9%). La popolazione che risiede nei Comuni centro dell’area metropolitana o in Comuni piccolissimi (sotto i 2mila abitanti) manifesta meno sfiducia nel bere l’acqua del rubinetto (rispettivamente 25,2% e 26,0%).
Maggiore insoddisfazione per il servizio idrico nelle Isole
Nel 2024, l’86,4% delle famiglie allacciate alla rete idrica comunale si ritiene molto o abbastanza soddisfatto del servizio idrico. Il livello di soddisfazione varia sul territorio in misura piuttosto marcata: sono molto o abbastanza soddisfatte circa il 92% delle famiglie residenti al Nord, l’85,8% di quelle del Centro e l’81,8% del Sud; nelle Isole la percentuale raggiunge il minimo (72,3%) (Figura 9).
Le famiglie che dichiarano di essere molto o abbastanza soddisfatte della comprensibilità delle bollette sono il 65,7%. Nel Mezzogiorno si rileva un livello di insoddisfazione (poco o per niente soddisfatte) sensibilmente al di sopra della media nazionale (41,4% nelle Isole e 40,3% nel Sud), con valori più alti in Calabria (44,2%), Campania (43,1%) e Sicilia (41,5%). Risulta elevata la quota dei soddisfatti tra quanti risiedono nelle città con più di 50mila abitanti, pari al 70,7%.
La frequenza di lettura dei contatori è molto o abbastanza soddisfacente per otto famiglie su 10 (78,2%). Tra le famiglie poco o per niente soddisfatte (il 21,8% in media nazionale) si riscontra un forte divario territoriale, con elevate percentuali di bassa soddisfazione soprattutto in Calabria (44,6%), Sicilia (36,2%) e Campania (34,9%).
Rispetto alla frequenza della fatturazione, si mantiene alta la percentuale di famiglie molto o abbastanza soddisfatte, pari all’82,4% del totale. In Calabria la percentuale di famiglie poco o per niente soddisfatte raggiunge il 37,8%, in Sicilia il 33,2% e in Campania il 27,0%.
Oltre due persone su tre preoccupate dei cambiamenti climatici
Gli effetti dei cambiamenti climatici e/o dell’effetto serra rientrano tra i cinque problemi ambientali che preoccupano di più le persone con almeno 14 anni: indicati dal 69,2% degli individui intervistati nel 2024, il valore rimane stabile rispetto all’ultimo triennio (Figura 10). Livelli massimi di preoccupazione sono espressi nel Nord-ovest e nel Centro (rispettivamente 70,3% e 70,4%), minimi (67,7%) nel Sud.
Il 28,5% delle persone di 14 anni e più si dichiara preoccupata per il dissesto idrogeologico (alluvioni, frane e valanghe) e la quota sale al 32,4% tra le persone con più di 55 anni di età. Complessivamente il valore nazionale è in crescita di due punti percentuali rispetto al 2023. In particolare, l’aumento è di circa cinque punti percentuali nel Nord e addirittura di circa nove in Emilia-Romagna, Regione duramente colpita dagli eventi alluvionali degli ultimi due anni.
Giovani più preoccupati dell’inquinamento delle acque
Nel 2024, il 37,9% degli individui di 14 anni e più si dichiara preoccupato per l’inquinamento delle acque (fiumi, mari, laghi, falde), valore che sale al 39,8% al Nord-ovest, mentre nel Sud si attesta al 35,7%. Una maggiore sensibilità sul tema viene espressa dai giovani tra i 14 e i 24 anni (40,3%) rispetto agli over 55enni (36,0%). L’incidenza di quanti si preoccupano di questo problema è inoltre maggiore tra coloro che abitano in Comuni di periferia di città metropolitana (38,7%) e nei Comuni con più di 50mila abitanti (39,1%).
Nel 2024, quasi il 70% delle persone di almeno 14 anni dichiara di prestare attenzione a non sprecare acqua, a conferma della diffusa consapevolezza della necessità di una corretta gestione delle risorse naturali. Permangono però differenze regionali significative, con quote che assumono il valore minimo in Calabria (62,8%) e massimo in Sardegna (75,0%).
Umbria sempre in testa per il consumo di acqua minerale
Nel 2024, la quota di persone di 11 anni e più che consuma almeno mezzo litro di acqua minerale al giorno è pari all’82,6%, e risulta sostanzialmente invariata nell’ultimo triennio. Il consumo di acqua minerale è maggiore nel Nord-ovest (87,2%) e nelle Isole (84,8%), e minore nel Sud (76,0 %). A livello regionale, l’Umbria mantiene il primato nel consumo di acqua minerale (92,0%), mentre nella provincia autonoma di Bolzano/Bozen si registra il valore minimo (58,6%).
Prelievi di acque minerali naturali in lieve flessione nel 2022
Nel 2022, i prelievi nazionali di acque minerali naturali a fini di produzione si attestano sui 18,9 milioni di metri cubi, in lieve calo (-0,8%) rispetto al precedente anno e proseguendo la tendenza flessiva registrata dal 2021. I prelievi complessivi, infatti, hanno segnato una crescita dal 2015 al 2020, passando da 16,2 milioni a quasi 19,8 milioni di metri cubi, con un tasso medio annuo del +4% circa. Tale tendenza si è interrotta nel 2021, quando si è registrato un calo del -3,4% rispetto al 2020.
Sono 308 le concessioni minerarie autorizzate in Italia per l’estrazione di acque minerali, rilasciate dalle Istituzioni pubbliche locali e 212 i Comuni che nel proprio territorio ospitano almeno un sito estrattivo.
I prelievi nazionali si concentrano per oltre la metà al Nord (54,1%) con 10,2 milioni di metri cubi (di cui 7,3 nel Nord-ovest). Seguono il Sud (21,2%) e il Centro (17,5%), rispettivamente con 4 e 3,3 milioni di metri cubi. La Lombardia si colloca in testa (3,8 milioni di metri cubi prelevati) insieme al Piemonte (3,1), Regioni che complessivamente contano il 36,7% delle quantità estratte nel Paese. Molto rappresentative anche Veneto (con 2,1 milioni di metri cubi), Campania (2) e Umbria (1,3) (Figura 11).
Nel 2022, la lieve flessione dei prelievi nazionali di acque minerali naturali è ascrivibile alla diminuzione delle attività di estrazione al Sud (-8,7%), pari a circa -386mila metri cubi, e al Nord-ovest (-2,5%) con 187mila metri cubi in meno. Sette Regioni contribuiscono ai minori volumi prelevati, in particolare Campania e Piemonte, dove sono stati estratti rispettivamente 340 e 126mila metri cubi in meno rispetto al 2021, segue la Basilicata (-75mila metri cubi). Fra le Regioni che registrano prelievi in aumento, il Veneto è in testa con circa 220mila metri cubi in più (+11,5%); in seconda posizione la Sardegna (circa +49mila metri cubi; +13,6%), seguita dalle Marche (+41mila metri cubi, +8%).
Nel 2022, l’indicatore di pressione ambientale Intensità di estrazione (IE) – dato dal rapporto fra volumi prelevati e superficie territoriale di riferimento – è pari, a livello nazionale, a 63 metri cubi estratti per chilometro quadrato. Tale valore, in linea con quello registrato nel 2021, risulta però superiore al valore medio del quinquennio 2016-2020 (59 metri cubi per chilometro quadrato).
L’indicatore segna il valore più alto nel Nord-ovest (126, pari al doppio del valore nazionale), determinato in particolare dall’elevata intensità di estrazione di Lombardia (163) e Piemonte (124).
Nel 2022 i prelievi di acque minerali naturali si concentrano nel distretto idrografico del Fiume Po con circa 7,6 milioni di metri cubi (40,3% del totale nazionale), seguito dal distretto dell’Appennino meridionale, con quasi 4 milioni di metri cubi (20,9% del totale nazionale). Nei distretti idrografici delle Alpi orientali e dell’Appennino centrale (rispettivamente il 15,1% e il 10,6% dei prelievi nazionali) sono estratti complessivamente circa 4,9 milioni di metri cubi.
I distretti idrografici della Sicilia e dell’Appenino settentrionale assicurano insieme quasi 2 milioni di metri cubi e con la Sardegna (354mila metri cubi) rappresentano circa il 13% dei prelievi nel Paese. L’indicatore IE ha un valore più alto nel distretto idrografico del Fiume Po (93 metri cubi/km2, in linea con l’anno precedente) e nel distretto delle Alpi orientali (82), seguiti dall’Appennino meridionale (58).
In aumento il valore aggiunto della gestione delle acque reflue e dell’acqua
Nel 2022 la produzione ai prezzi base di beni e servizi finalizzati alla gestione delle acque reflue e alla gestione dell’acqua (Classe 2 della Cepa, classe 10 della CreMA) si è attestata a 13,9 miliardi di euro (a prezzi correnti) e il valore aggiunto a 6,0 miliardi di euro, con un incremento rispettivamente dell’10,8% e del 9,6% rispetto all’anno precedente (Figura 12). Il comparto rappresenta il 6,4% in termini di produzione e il 7,5% in termini di valore aggiunto dell’intero settore delle ecoindustrie (Conto dei beni e servizi ambientali).
Questi dati includono la produzione realizzata da tutti gli operatori economici (market e non market) e le attività svolte in proprio dai comparti produttivi.
La gestione delle acque reflue assorbe il 94,9% della produzione con un valore di 13,2 miliardi di euro di beni e servizi prodotti e il 95,4% del valore aggiunto con un valore di 5,7 miliardi di euro. La quota più consistente di questi importi è costituita dalla fornitura di servizi di fognatura e depurazione che, incluse le manutenzioni e installazioni di impianti, si attesta a 10,4 miliardi di euro di produzione. La realizzazione di reti di fognatura e di impianti di trattamento delle acque reflue ammonta a 931 milioni di euro.
I servizi di consulenza, di ingegneria e di architettura raggiungono i 571 milioni di euro di produzione, mentre 653 milioni di euro è il valore della produzione dei servizi di amministrazione e controllo svolti dalla Pubblica Amministrazione. Infine, la produzione di apparecchi e strumenti utili allo svolgimento delle attività di depurazione delle acque reflue (quali macchinari e apparati per l’analisi e il filtraggio degli inquinanti, veicoli, carboni attivi) ammonta a 634,7 milioni di euro.
Dei 13,9 miliardi di euro di produzione complessiva, il 5,1% (pari a 709,9 milioni di euro) è destinato alla gestione delle risorse idriche, cioè alle attività che hanno lo scopo di rendere efficiente il prelievo di acqua, ridurre le perdite nella distribuzione, sostituire l’uso della risorsa idrica con altre risorse alternative, riusare e risparmiare l’acqua. Il 79,6% di questa produzione è destinato alla manutenzione e riparazione delle reti di distribuzione.
In aumento la spesa per i servizi di gestione delle acque reflue
Le risorse spese da Famiglie, Società e Amministrazioni Pubbliche per i servizi di gestione delle acque reflue nel 2022 ammontano a 13,1 miliardi di euro (a prezzi correnti) e sono aumentate del 15% rispetto al 2021 (Figura 13).
Tale ammontare rappresenta un quarto delle risorse complessive (pari a 51,4 miliardi di euro) destinate alla protezione dell’ambiente, cioè alla prevenzione, riduzione ed eliminazione dell’inquinamento e di ogni altra forma di degrado ambientale. Oltre alla gestione dei reflui la spesa complessiva per la protezione ambientale comprende le risorse spese per la tutela dell’aria e del clima, del suolo e delle acque del sottosuolo, della biodiversità e del paesaggio, la gestione dei rifiuti e l’abbattimento del rumore e delle vibrazioni.
Nel 2022 gli acquisti di servizi di gestione dei reflui per il consumo (intermedio o finale) da parte di Famiglie, Società e Amministrazioni Pubbliche costituiscono oltre l’80% (10,6 miliardi di euro) della spesa complessiva per la gestione delle acque reflue, mentre le spese per investimenti sostenute da operatori economici pubblici e privati rappresentano il restante 20%.
Oltre il 64% delle spese per consumi (6,8 miliardi di euro) è sostenuta da operatori privati e pubblici che utilizzano i servizi di depurazione a titolo di consumi intermedi, ossia come costi sostenuti per la gestione della propria attività. Nella quasi totalità dei casi (6,7 miliardi) si tratta dell’acquisto da terzi di servizi di depurazione e, per la parte restante (poco più di 100 milioni), di costi per l’acquisto di beni e servizi e per il pagamento di salari e stipendi per realizzare in proprio la depurazione dei reflui generati dal processo produttivo. Il restante 36% della spesa per consumi (pari a 3,8 miliardi) è costituito da consumi finali delle famiglie e delle Amministrazioni Pubbliche.
Nel 2022, le famiglie sostengono spese per 2,6 miliardi di euro come utenti dei servizi di depurazione, mentre la parte restante dei consumi finali (1,2 miliardi) è rappresentata dai consumi collettivi delle Amministrazioni Pubbliche che forniscono servizi di amministrazione, regolamentazione, formazione, informazione e comunicazione connessi alla gestione delle acque reflue a beneficio dell’intera collettività.
Le spese per investimenti sostenute nel 2022 da operatori economici pubblici e privati per la gestione delle acque reflue sono state pari a 2,6 miliardi di euro. Si tratta per l’80,8% di investimenti di società private che producono servizi di depurazione venduti a terzi, per il 12,6% di investimenti di operatori appartenenti alle Amministrazioni Pubbliche e, per la parte restante (meno di 200 milioni), delle spese sostenute dalle imprese industriali per apparecchi e macchinari che riducono l’inquinamento delle acque reflue generato dal proprio processo produttivo.
La spesa nazionale per la tutela ambientale è calcolata al netto dei finanziamenti ricevuti dall’estero, stimati in circa 62 milioni di euro nel 2022.
Più di un quarto delle superfici irrigate è coltivato a mais
Nell’annata agraria 2019/2020, delle 2.358 migliaia di ettari irrigati (19% della Superficie agricola utilizzata – Sau) i seminativi rappresentano il 68,5% delle superfici irrigate. Seguono le superfici investite a coltivazioni legnose agrarie (27,5%) e i prati permanenti e pascoli (4,0%).
Tra i seminativi, il mais è la coltivazione che incide maggiormente sul totale irrigato (26,4%): si tratta in prevalenza di mais per la produzione di granella (19,0%) e, in parte minore, di mais verde (7,4%); il riso è la seconda coltivazione e rappresenta il 9,0% delle superfici irrigate.
Tra le coltivazioni legnose agrarie, la vite è quella che incide maggiormente sul totale irrigato (9,5%), seguita dalle coltivazioni fruttifere (7,9% esclusi gli agrumi, 11,8% compresi gli agrumi) (Figura 14).
L’analisi della quota di superficie irrigata rispetto a quella totale investita per ciascuna coltivazione evidenzia che il riso è l’unica coltivazione con la superficie totalmente irrigata. Tra i seminativi, altre colture maggiormente irrigate sono le ortive all’aperto (80,6% della superficie investita), il mais verde (79,7%), il mais per la produzione di granella (67,3%) e la patata (66,3%).
Nel gruppo delle coltivazioni permanenti (o legnose agrarie) spiccano gli agrumi, con l’irrigazione dell’83,8% della superficie investita; quote inferiori riguardano il complesso degli alberi da frutta (47,9%), la vite (35,5%) e l’olivo (12,6%).
Tra le tecniche di irrigazione considerate, la più diffusa è l’aspersione, utilizzata dalle aziende agricole per irrigare il 38,0% della superficie complessivamente irrigata. Seguono la microirrigazione, usata per una superficie irrigata pari al 21,5% del totale, lo scorrimento superficiale e infiltrazione laterale (28,4%), la sommersione (7,0%) e l’utilizzo di altri sistemi (5,1%).
Autoapprovvigionamento idrico per più di un terzo delle superfici irrigate
La più comune fonte di approvvigionamento idrico è l’acquedotto, consorzio di irrigazione e bonifica o altro ente irriguo, utilizzata per irrigare oltre la metà delle superfici irrigate (59,7%). Seguono le acque sotterranee all’interno o nelle vicinanze dell’azienda, impiegate per irrigare il 23,9% delle superfici, e le acque superficiali all’interno dell’azienda (bacini naturali ed artificiali) o all’esterno dell’azienda (laghi, fiumi o corsi d’acqua) per il 13,2%. Infine, si utilizza un’altra fonte rispetto alle precedenti per irrigare il 3,2% delle superfici.
Nell’annata agraria 2019/2020, il servizio di consulenza irrigua è stato richiesto solo dal 6,3% delle aziende che hanno irrigato, con un’elevata variabilità a livello regionale: i valori più alti si osservano nelle province autonome di Trento e Bolzano/Bozen (rispettivamente 34,5% e 37,7%) e nella Regione Emilia-Romagna (10,9%); quelli più bassi nelle Regioni Marche (1,3%), Abruzzo (1,7%) e Molise (1,4%).