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ISTAT * RAPPORTO: « NEL 2022 IN ITALIA PIL A +3,7%, INFERIORE ALLA SPAGNA (+5,5%), SUPERIORE A FRANCIA (+2,5%) E GERMANIA (+1,8%) »

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11.35 - venerdì 7 luglio 2023

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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L’edizione 2023 del Rapporto intende fornire una base informativa e di analisi ampia e rigorosa non solo per misurarsi con la complessità del presente, dovuta al susseguirsi di crisi a livello internazionale e nazionale, ma anche per progettare una nuova fase di sviluppo sostenibile e inclusivo. Assumendo un approccio integrato tra aspetti demografici, economici e sociali il Rapporto focalizza l’attenzione sulle conseguenze dell’evoluzione demografica con particolare riferimento al mercato del lavoro, sul ruolo del capitale umano come fattore di inclusione e sviluppo, sulle criticità ambientali e le sfide della transizione ecologica, sulla capacità di innovazione e resilienza del sistema delle imprese. Il PNRR offre l’opportunità di valorizzare il ruolo centrale dei giovani, del sistema produttivo e della società civile come protagonisti attivi del cambiamento. Tra gli elementi innovativi di questa edizione del Rapporto si segnalano i focus di approfondimento tesi ad evidenziare aspetti di rilievo legati all’ampliamento dei divari territoriali e ai confronti inter-generazionali e di genere.

 

CAPITOLO 1 – L’ITALIA TRA EREDITÀ DEL PASSATO E INVESTIMENTI PER IL FUTURO

Terminato nel primo trimestre 2022 lo stato di emergenza sanitaria nazionale, nel corso dell’anno sono emersi nuovi elementi di criticità. Il forte rincaro dei prezzi dell’energia e delle materie prime, accentuato dal conflitto in Ucraina, ha condizionato l’evoluzione dell’economia, con rilevanti aumenti dei costi di produzione per le imprese e dei prezzi al consumo per le famiglie. Nonostante l’attenuarsi della fase più critica della crisi energetica, nel primo trimestre 2023, l’andamento dell’inflazione condizionerà l’evoluzione dei consumi e dei salari reali nel prossimo futuro.

Non mancano, tuttavia, segnali favorevoli. Nel 2022 è proseguita la fase di recupero dell’attività produttiva iniziata nel primo trimestre 2021. A fine anno il saldo commerciale è tornato in attivo. Dati incoraggianti arrivano dal mercato del lavoro, in cui all’aumento degli occupati si è associata la diminuzione dei disoccupati e degli inattivi.

Nel primo trimestre 2023 si registra una dinamica congiunturale positiva per il Pil, superiore a quella delle altre economie dell’Unione europea, trainata soprattutto dal settore dei servizi. La manifattura mostra invece segnali di rallentamento.

Sul fronte demografico, gli effetti dell’invecchiamento della popolazione si fanno sempre più evidenti: il consistente calo delle nascite registrato nel 2022 rispetto al 2019, circa 27 mila nascite in meno, è dovuto per l’80 per cento alla diminuzione delle donne tra 15 e 49 anni di età e per il restante 20 per cento al calo della fecondità. L’invecchiamento è destinato ad accentuarsi nei prossimi anni, con effetti negativi sul tasso di crescita del Pil pro capite.

Investendo sul benessere delle nuove generazioni, si può fare in modo che l’insufficiente ricambio generazionale sia in parte compensato dalla loro maggiore valorizzazione. Gli indicatori che riguardano il benessere dei giovani in Italia sono però ai livelli più bassi in Europa. Le notevoli risorse finanziarie messe in campo per uscire dalla crisi dovrebbero supportare investimenti che accompagnino e rafforzino il benessere dei giovani nelle diverse fasi dei percorsi di vita, intervenendo fin dai primi anni di vita.

 

La situazione economica del paese
 Nel 2022 a livello globale si sono accentuate le forti pressioni al rialzo dei prezzi già emerse a fine 2021, L’escalation del conflitto russo-ucraino ha determinato un aumento esponenziale soprattutto delle quotazioni delle materie prime energetiche – in particolare del gas naturale – e dei prodotti alimentari che vedono i paesi coinvolti nella guerra tra i principali esportatori. Nella seconda metà del 2022, tuttavia, i listini dei prezzi delle materie prime hanno cominciato a diminuire. L’inversione di tendenza è stata guidata dalla diversificazione delle fonti di approvvigionamento da parte dei paesi importatori, dal clima particolarmente mite registrato nell’ultima parte dell’anno e dalla moderazione della domanda mondiale. In media di anno, nel 2022 il tasso di crescita del commercio mondiale si è ridotto a 5,1 per cento, dal 10,4 per cento del 2021.
 Nel 2022 l’Italia ha segnato una crescita del Pil pari a +3,7 per cento, inferiore, tra le maggiori economie, solo a quella della Spagna (+5,5 per cento). L’aumento dell’attività economica in Francia e Germania è stato, invece, rispettivamente, pari a +2,5 per cento e +1,8 per cento.
 La crescita del Pil dell’Italia nel 2022 è stata sostenuta, come nel 2021, dai consumi delle famiglie residenti e dagli investimenti fissi lordi, mentre la domanda estera netta ha fornito un contributo negativo. La spesa delle famiglie ha accelerato rispetto all’anno precedente (+5,5 per cento nel 2022 rispetto al +4,9 per cento del 2021), mentre la spesa per investimenti è aumentata del 9,4 per cento, raggiungendo una quota sul Pil pari al 21,5 per cento, il valore più elevato dell’ultimo decennio.
 Sempre nel 2022, l’incremento degli investimenti in costruzioni è stato particolarmente sostenuto (+10,3 per cento quelli in abitazioni e +12,9 per cento quelli in fabbricati non residenziali e altre opere), stimolato dalle misure agevolative volte alla riqualificazione del patrimonio edilizio, così come quello in impianti, macchinari e armamenti (+8,6 per cento). Più modesto è stato invece l’aumento degli investimenti in prodotti della proprietà intellettuale (+4,5 per cento), seppure in accelerazione rispetto all’anno precedente (+1,4 per cento)
 A livello territoriale, il Pil è cresciuto nel 2022 in misura più elevata nel Nord-est (+4,2 per cento) e nel Centro (4,1 per cento) mentre la crescita e stata più moderata nel Mezzogiorno (+3,5 per cento) e nel Nord-ovest (+3,1 per cento).
 La pandemia ha avuto un impatto negativo soprattutto sul sistema produttivo del Centro-Nord, ma la performance di Sud e Isole nello stesso periodo è risultata comunque piuttosto modesta. Nel 2021 il differenziale di Pil del Mezzogiorno con il resto del Paese è tornato vicino ai valori più elevati toccati nel 2019 (-14,9mila euro).
 Nel 2022 gli scambi commerciali dell’Italia sono stati fortemente influenzati dall’andamento dei prezzi. Le esportazioni di beni in valore hanno conseguito un forte incremento (+20 per cento) inferiore, tuttavia, a quello delle importazioni (+34,6 per cento) sostenute dal consistente rincaro delle materie prime, in particolare di quelle energetiche. Il saldo commerciale italiano, diventato negativo a fine 2021, è tornato positivo solo alla fine dello scorso anno.
 Nel 2022, l’Indice Armonizzato dei Prezzi al Consumo (IPCA) è cresciuto in media dell’8,7 per cento, come in Germania e più che in Francia e Spagna (5,9 per cento e 8,3 per cento rispettivamente). Nei primi mesi del 2023, il deciso rallentamento del prezzo delle materie prime e in particolare dei listini europei del gas ha determinato un rallentamento della crescita dei prezzi al consumo. A giugno 2023, l’indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività, al lordo dei tabacchi, ha registrato una variazione nulla su base mensile e un aumento del 6,4 per cento su base annua. La decelerazione del tasso di inflazione è determinata dal rallentamento su base tendenziale dei prezzi dei beni energetici non regolamentati (da +20,3 per cento a +8,4 per cento). Nello stesso mese, l’“inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, è in rallentamento ma risulta ancora elevata (+5,6 per cento).
 Il tasso di inflazione del nostro Paese si è, tuttavia, mantenuto al di sopra di quello medio dell’area euro a partire dal quarto trimestre 2022. Il divario si è però ridotto: è sceso a 1,9 punti percentuali a maggio, a fronte di un differenziale di 3,1 a dicembre dello scorso anno.
 Nel corso del 2022 il numero di occupati è cresciuto del 2,4 per cento (+545mila unità) facendo registrare un aumento di molto superiore rispetto a quello osservato nel 2021 (+0,7 per cento pari a 167mila unità). Tale aumento ha pienamente compensato il crollo occupazionale registrato nel 2020 riportando nuovamente l’occupazione ai livelli del 2019, ma rimane comunque inferiore a quelli conseguiti dai principali paesi europei e dell’Ue27 nel complesso.
 Il tasso di occupazione di 15-64enni è salito nel 2022 al 60,1 per cento (+1,9 punti percentuali in un anno), collocandosi al di sopra di quello osservato nel 2019. Si registra inoltre un forte calo del numero di persone in cerca d’occupazione ( -339 mila unità) rispetto all’anno precedente. Il numero di inattivi di età compresa tra i 15 e i 64 anni, ridottosi già nel corso del 2021, è calato ancora
(-484mila unità) scendendo sotto il livello precrisi.
 Per quanto riguarda l’occupazione giovanile (25-34 anni) risultano occupati nel 2022 quasi 8 giovani su 10 nel Centro-Nord a fronte dei 5 circa nel Mezzogiorno

Il quadro demografico
 Nel primo quadrimestre 2023 le nascite (118mila unità) continuano a diminuire: -1,1 per cento sul 2022, -10,7 per cento sul 2019. Per quanto riguarda i decessi si assiste a una decisa inversione della tendenza negativa che aveva drammaticamente interessato il precedente triennio: sono 232mila nei primi quattro mesi del 2023, 21mila in meno sul 2022, 42mila in meno rispetto al 2020 e quasi 2mila unità in meno rispetto al 2019.
 Al 31 dicembre 2022, la popolazione residente in Italia ammonta a 58.850.717 unità (-179.416 rispetto all’inizio dello stesso anno, -3,0 per mille); tale calo presenta, tuttavia, un’intensità minore, sia rispetto a quello osservato nel 2021 (-3,5 per mille), sia a quello del 2020 (-6,8 per mille), tornando a livelli simili al periodo pre-pandemico (-2,9 per mille nell’anno 2019).
 Al 31 dicembre 2022 si stima una presenza di 5.050.257 cittadini stranieri, in aumento di 20mila unità sull’anno precedente (+3,9 per mille), composta per il 51,0 per cento da donne. L’incidenza degli stranieri residenti sulla popolazione totale è dell’8,6 per cento, sostanzialmente in linea con l’anno precedente.
 Il 2022 si contraddistingue per un nuovo record del minimo di nascite (393mila, per la prima volta dall’Unità d’Italia sotto le 400mila) e per l’elevato numero di decessi (713mila). Dal 2008, anno di picco relativo della natalità, le nascite si sono ridotte di un terzo.
 Il saldo naturale è diminuito in modo progressivo nel corso del tempo, toccando il minimo nel biennio 2020-2021, quando si è registrata una riduzione di oltre 300mila individui in media annua. A questo si aggiunge, nel 2022, un ulteriore decremento di 321mila unità, che porta quindi, in soli tre anni, alla perdita di quasi un milione di persone (957mila unità).
 Il calo delle nascite tra il 2019 e il 2022 (27mila unità in meno) dipende per l’80% dal cosiddetto “effetto struttura”, ovvero dalla minore numerosità e dalla composizione per età delle donne. Il restante 20 per cento è dovuto, invece, alla minore fecondità: da 1,27 figli in media per donna del 2019 a 1,24 del 2022.

 L’evoluzione di periodo del numero medio di figli per donna in Italia continua a essere fortemente condizionato dalla posticipazione della genitorialità verso età più avanzate. L’età media al parto per le donne residenti in Italia, aumentata di un anno dal 2010 al 2020, è stabile negli ultimi due anni e pari a 32,4 anni.
 Nel 2022 la stima della speranza di vita alla nascita è di 80,5 anni per gli uomini e 84,8 anni per le donne; solo per i primi si nota, rispetto al 2021, un recupero quantificabile in circa 2 mesi e mezzo di vita in più. I livelli di sopravvivenza del 2022 risultano ancora al di sotto di quelli del periodo
pre-pandemico, registrando valori di oltre 7 mesi inferiori rispetto al 2019, sia tra gli uomini, sia tra le donne.
 Nonostante l’elevato numero di decessi di questi ultimi tre anni, oltre 2 milioni e 150mila, di cui l’89,7 per cento riguardante persone con più di 65 anni, il processo di invecchiamento della popolazione è proseguito, portando l’età media della popolazione da 45,7 anni a 46,4 anni tra l’inizio del 2020 e l’inizio del 2023.
 La popolazione ultrasessantacinquenne ammonta a 14 milioni 177mila individui al 1° gennaio 2023, e costituisce il 24,1 per cento della popolazione totale. Tra le persone ultraottantenni, si rileva comunque un incremento, che li porta a 4 milioni 530mila e a rappresentare il 7,7 per cento della popolazione totale.
 Il numero stimato di ultracentenari raggiunge il suo più alto livello storico, sfiorando, al 1° gennaio 2023, la soglia delle 22 mila unità, oltre 2 mila in più rispetto all’anno precedente. Gli ultracentenari sono in grande maggioranza donne, con percentuali superiori all’80 per cento dal 2000 a oggi.
 Risultano in diminuzione tanto gli individui in età attiva, quanto i più giovani: i 15-64enni scendono a 37 milioni 339mila (sono il 63,4 per cento della popolazione totale), mentre i ragazzi fino a 14 anni sono 7 milioni 334mila (12,5 per cento).
 Gli scenari demografici prevedono un consistente aumento dei cosiddetti “grandi anziani”. Nel 2041 la popolazione ultraottantenne supererà i 6 milioni; quella degli ultranovantenni arriverà addirittura a 1,4 milioni.
 Nel 2022 le iscrizioni anagrafiche dall’estero ammontano a 361mila, con un incremento del 13,3 per cento rispetto al 2021. Forte impulso alle iscrizioni dall’estero è dato dalle conseguenze della guerra in Ucraina alla fine di febbraio 2022. Al 31 dicembre 2022 si osserva un consistente aumento di iscrizioni in anagrafe dall’estero di cittadini ucraini (da circa 9mila nel 2021 a quasi 30mila nel 2022).
 Il rallentamento dei flussi in uscita, osservato a partire dall’anno della pandemia, prosegue nel 2022 pur in assenza di vincoli agli spostamenti. Le cancellazioni per l’estero scendono a 132mila, -16,7 per cento rispetto all’anno precedente.
 I flussi migratori, dopo una fase di marcata prevalenza della componente maschile durata fino agli anni Novanta, negli ultimi venti anni hanno fatto registrare un sostanziale equilibrio di genere. Al 1° gennaio 2022, le donne rappresentano il 49,3 per cento del totale degli stranieri non comunitari di 18 anni e più con un regolare permesso di soggiorno. Molto evidente la struttura per genere a forte connotazione femminile della collettività ucraina: le donne rappresentano più dell’80 per cento degli ingressi, senza variazioni negli ultimi quindici anni.
 Al 31 dicembre 2022, dei 7.904 comuni italiani, 4.070 fanno parte delle aree centrali (51,5 per cento) e 3.834 delle aree interne (48,5 per cento). Tra il 1° gennaio 2002 e il 1° gennaio 2023 la popolazione delle aree interne è diminuita, passando dal 23,9 per cento al 22,7 per cento della popolazione totale. Il declino demografico nelle aree interne si osserva già dal 2011, mentre nelle aree centrali dal 2015.

 Al 1° gennaio 2023 si registrano 117,9 anziani di 65 anni e più ogni 100 giovani di 15-34 anni (erano 70,5 al 1° gennaio 2002); nelle aree interne tale rapporto è pari a 122,1 (era 73,6 nel 2002), mentre nelle aree centrali è pari a 116,7 (era 69,5).

Le nuove generazioni come motore della crescita futura
 Nel 2022 quasi un giovane su due (47,7 per cento dei 18-34 enni) mostra almeno un segnale di deprivazione in uno dei domini chiave del benessere (Istruzione e Lavoro, Coesione sociale, Salute, Benessere soggettivo, Territorio). Di questi giovani oltre 1,6 milioni (pari al 15,5 per cento dei
18-34enni), sono multi-deprivati ovvero mostrano segnali di deprivazione in almeno 2 domini. I livelli di deprivazione e multi-deprivazione sono sistematicamente più alti nella fascia di età 25-34 anni, che risulta la più vulnerabile.
 In Italia il meccanismo di trasmissione intergenerazionale della povertà (trappola della povertà) è più intenso che nella maggior parte dei paesi dell’Unione europea: quasi un terzo degli adulti (25-49 anni) a rischio di povertà proviene da famiglie che, quando erano ragazzi di 14 anni, versavano in una cattiva condizione finanziaria.
 La spesa pubblica per istruzione in rapporto al PIL mostra un minore impegno del nostro Paese per questa funzione rispetto alle maggiori economie europee (4,1 per cento del Pil in Italia nel 2021 contro il 5,2 in Francia, il 4,6 in Spagna e il 4,5 in Germania) e in generale rispetto alla media dei paesi Ue27 (4,8 per cento).
 L’Italia spende per le prestazioni sociali erogate alle famiglie e ai minori una quota rispetto al Pil molto esigua pari all’1,2 per cento a fronte del 2,5 per cento della Francia e del 3,7 per cento della Germania.
 La copertura dei posti disponibili nelle strutture educative per la prima infanzia (0-2 anni) rispetto ai bambini residenti è pari al 28 per cento, ancora inferiore al target europeo del 33 per cento da raggiungere entro il 2010 e molto lontana dal nuovo target del 50 per cento entro il 2030.
 Quasi il 5 per cento dei bambini sotto i tre anni frequentano la scuola di infanzia come anticipatari: nonostante queste strutture non prevedano adattamenti del servizio alle esigenze specifiche dei bambini di 2 anni, sono più accessibili per maggiore diffusione sul territorio e costi molto più contenuti rispetto agli asili nido.
 La maggior parte degli edifici scolastici statali non dispone di tutte le attestazioni relative ai requisiti di sicurezza: le certificazioni sono detenute da poco meno del 40 per cento dei casi. Riguardo alla raggiungibilità con il trasporto pubblico, si osserva uno svantaggio significativo per il Mezzogiorno: il 14,8 per cento degli edifici considerati risulta poco raggiungibile, sia con scuolabus sia con i collegamenti pubblici (7,8 per cento nel Centro e 5,7 per cento nel Nord).
 Poco più di un terzo degli edifici scolastici, statali e non, è privo di barriere fisiche, con una forbice di quasi 8 punti tra le regioni del Nord e quelle del Mezzogiorno a sfavore di quest’ultimo. Solo il 16% delle scuole dispone di “segnalazioni visive” per studenti con sordità o ipoacusia, mentre le “mappe a rilievo e i percorsi tattili”, necessari a rendere gli spazi accessibili agli alunni con cecità o ipovisione, sono presenti solo nell’1,5% delle scuole.

 

CAPITOLO 2 – CAMBIAMENTI NEL MERCATO DEL LAVORO E INVESTIMENTI IN CAPITALE UMANO

Gli scenari demografici più recenti mettono in luce come entro i prossimi venti anni in Italia vi sarà una riduzione consistente della popolazione in età di studio e di lavoro. Tuttavia, la contrazione della platea di studenti può essere mitigata dalla diminuzione degli abbandoni nelle scuole secondarie superiori e da un aumento dei tassi di partecipazione all’istruzione universitaria. In entrambi i casi in Italia si sono registrati progressi significativi già nell’ultimo decennio, ma la distanza dai Paesi più virtuosi dell’Unione è ancora ampia, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno. Inoltre, le maggiori criticità di queste ultime riguardano anche le competenze dei diplomati, che risultano in media più basse rispetto a quelle misurate al Centro-Nord. Quasi un quinto dei giovani tra 15 e 29 anni in Italia non lavora e non studia (il dato più elevato tra i Paesi Ue dopo la Romania), e fino a un terzo in Sicilia. Favorirne l’ingresso nel sistema formativo e nel mercato del lavoro potrebbe contribuire a ridurre la dissipazione del capitale umano dei giovani, risorsa sempre più scarsa nel prossimo futuro. Gli effetti del calo della popolazione in età da lavoro e dell’invecchiamento sono apprezzabili già oggi. Nonostante il recente andamento favorevole dell’occupazione, l’Italia si colloca ancora all’ultimo posto in ambito europeo e, al tempo stesso, detiene il primato (dopo la Bulgaria) per l’elevata età media degli occupati. L’aumento dei tassi di occupazione, in particolare per i giovani e le donne, potrebbe compensare la perdita prevista nel numero di occupati per effetto della dinamica demografica e ridurre la disuguaglianza di genere nei redditi. Gli effetti delle tendenze demografiche sul mercato del lavoro non vanno intese dunque come un destino ineluttabile. Il nostro Paese può conseguire ampi margini di contenimento degli effetti sfavorevoli della dinamica demografica agendo sul recupero dei ritardi strutturali. In questa prospettiva, per competere nella società della conoscenza, è fondamentale l’investimento in capitale umano e l’impiego di professionalità qualificate, unitamente alla modernizzazione del sistema produttivo

Prospettive demografiche e popolazione in età di studio e di lavoro
 Tra il 2021 e il 2050 in Italia si stima una riduzione della popolazione residente pari a quasi 5 milioni, fino a poco più di 54 milioni. Continuerà il processo di invecchiamento (nel 2023 l’età mediana, 48,3 anni, è la più elevata tra i Paesi Ue27) e la struttura per età della popolazione cambierà in gran parte già nel periodo 2021-2041, quando la fascia di età fino ai 24 anni si ridurrà di circa 2,5 milioni (-18,5 per cento) e quella tra i 25 e i 64 anni di 5,3 milioni (-16,7 per cento). Al contrario crescerà di quasi un milione la popolazione tra i 65 e 69 anni (+27,8 per cento) e di 3,8 milioni (+36,2 per cento) quella di 70 anni e più, che nel 2041 comprenderà la generazione del baby boom.
 Considerando la popolazione tra 0 e 24 anni e l’impatto sul sistema dell’istruzione, nel 2041 si prevede una riduzione minima (il 5,3 per cento) per i bambini tra 0 e 5 anni, un calo di oltre il 25% per i giovani tra 11 e 18 anni (in istruzione secondaria), e di poco inferiore al 20 per cento per le fasce d’età corrispondenti all’istruzione elementare (6-10 anni) e universitaria (19-24 anni). Con riferimento alla popolazione in età di lavoro, e considerando la tendenza all’innalzamento dell’età pensionabile, per la classe 25-69 anni la riduzione sarà pari al 12,3 per cento.
 Sul territorio, l’entità della riduzione sia delle fasce d’età giovani sia di quelle in età di lavoro sarà maggiore nel Mezzogiorno (in Basilicata si stima una contrazione pari o superiore al 30 per cento per la fascia d’età 25-64 anni e 0-24 rispettivamente), mentre il Centro-Nord sarà favorito dalla dinamica migratoria in ingresso.
Struttura e dinamica del mercato del lavoro
 Tra il 1993 e il 2022, il processo di invecchiamento delle forze di lavoro tra 15 e 64 anni è stato più rapido di quello della popolazione della stessa classe d’età, con una crescita dell’età media di 6,2 anni rispetto a 3,9 anni, arrivando nel 2022 a 43,6 anni contro 42,0 per la popolazione. Questo processo è accelerato negli ultimi vent’anni, in particolare in seguito alla riforma pensionistica del 2011.
 Il tasso di attività della popolazione tra 15 e 64 anni nel periodo 1993-2022 è cresciuto di circa 6 punti percentuali (al 65,6 per cento), esclusivamente per l’aumento della partecipazione femminile, aumentata in misura quasi doppia (al 56,5 per cento), mentre il tasso di attività maschile è rimasto sostanzialmente invariato (nel 2022, pari al 74,7 per cento). Corrispondentemente si è ridotto in tutte le classi d’età il divario di genere, che resta comunque ampio, superando, nel 2022, i 20 punti percentuali, fatta eccezione per la classe dei 15-34enni per i quali è di 12,6 p.p.
 Nel 2022 gli occupati di 15 anni e più in Italia sono cresciuti di 784mila unità rispetto al 2004. Alla crescita ha contribuito l’aumento di ben 349mila occupati nella classe dei 65 anni e oltre, la cui consistenza è raddoppiata, come diretta conseguenza del ritardo nell’età di pensionamento.
 Tra il 2004 e il 2022 il numero di donne occupate è aumentato di quasi un milione, a fronte di una riduzione di 154mila uomini, e l’incidenza delle donne sugli occupati è salita dal 39,4 per cento al 42,2 per cento, valore inferiore rispetto alla media Ue27 (46,3 per cento). Nello stesso periodo, sul territorio la crescita complessiva dell’occupazione compendia un aumento di oltre 1 milione di occupati nel Centro-Nord e una diminuzione di quasi 300mila nel Mezzogiorno.
 Con riferimento agli occupati tra 15 e 64 anni, ad aprile del 2023 si è tornati ai livelli della primavera del 2008, precedente la grande recessione. Il tasso di occupazione invece è pari al 61 per cento, superiore di oltre due punti a quello raggiunto nel 2008. L’aumento del tasso a parità di occupati si deve alla riduzione della popolazione in età di lavoro di 1,3 milioni rispetto al 2007, frutto di una contrazione di quasi 4 milioni nella classe 15-49, e una crescita di 2,6 milioni nella classe 50-64 anni.
 Tra il 2004 e il 2022 in Italia il tasso di occupazione tra i 15 e i 34 anni si è ridotto di 8,6 punti percentuali (al 43,7 per cento). Per i 50-64enni, invece, il tasso d’occupazione aumenta di 19,2 punti (al 61,5 per cento).
 L’occupazione qualificata – sintetizzata da coloro che svolgono una professione dei primi tre Grandi gruppi della classificazione ISCO-08 – nel periodo 2011-2022 in Italia è cresciuta molto meno rispetto alle altre maggiori economie dell’Unione (meno di 1 punto percentuale contro 4,7 nell’Ue27), e oggi rappresenta il 36 per cento del totale (come in Spagna, che partiva da posizioni più arretrate), rispetto a valori prossimi al 47 per cento in Germania e al 49 per cento in Francia.
 Il titolo di studio offre migliori opportunità di occupazione e reddito da lavoro, in particolare nelle regioni del Mezzogiorno e per le donne. Rispetto agli individui con al più la licenza media nella classe di età tra i 25 e i 64 anni, il tasso di occupazione dei laureati è di 30 punti superiore. Questa differenza arriva a 35 punti nel Mezzogiorno, a 44 tra le donne e sfiora i 50 punti tra le donne del Mezzogiorno. Inoltre, i laureati percepiscono in media un reddito netto pari a circa 2,5 volte quello dei lavoratori con al più la licenza media (2,8 volte nell’Ue27).
 All’aumentare del titolo di studio della donna cala significativamente la percentuale di coppie in cui l’uomo è l’unico percettore di reddito da lavoro: dal 47,4 per cento quando la donna ha al più una licenza media al 9,6 per cento se è laureata.
 Nella classe di età 30-34, per la quale si possono considerare conclusi gli studi, il 12,1 per cento degli individui dichiara di non aver mai lavorato (7 per cento tra i laureati e 21,4% tra chi possiede al massimo la licenza media). L’effetto discriminante del titolo di studio riguarda soprattutto le donne: non ha mai lavorato il 7,5 per cento delle 30-34enni laureate contro il 38,3 per cento delle coetanee con al più la licenza media mentre è molto ridotta la differenza tra gli uomini (6,2 per cento rispetto a 8,5 per cento).
 In Italia, nel 2022 quasi un quinto dei giovani tra i 15 e i 29 anni non studia, non lavora e non è inserito in percorsi di formazione (c.d. Neet). Il tasso italiano di Neet è di oltre 7 punti percentuali superiore a quello medio europeo e, nell’Unione europea, secondo solo alla Romania. Il fenomeno interessa in misura maggiore le ragazze (20,5 per cento) e, soprattutto, i residenti nelle regioni del Mezzogiorno (27,9 per cento) e gli stranieri, che presentano un tasso (28,8 per cento) superiore a quello degli italiani di quasi 11 punti percentuali; questa distanza raddoppia nel caso delle ragazze straniere, per le quali il tasso sfiora il 38 per cento.

La formazione e l’impiego del capitale umano
 Tra il 2012 e il 2022, la quota di giovani tra 25 e 34 anni che hanno conseguito almeno un titolo di studio secondario superiore è cresciuta di 6 punti percentuali, raggiungendo il 78 per cento. Questa rimane però ancora di 7,4 punti al di sotto della media europea (se si considera la classe 25-64 anni, il distacco arriva a 16,5 punti). Permane lo svantaggio del Mezzogiorno (per i giovani 25-34enni la differenza con la media nazionale è di 4,7 punti percentuali al Sud e 9,1 nelle Isole), e la situazione più favorevole per le ragazze, con una quota di oltre 5 punti superiore a quella dei coetanei maschi.
 Tra i 18-24enni, nel 2022 l’11,5 per cento ha abbandonato precocemente gli studi, senza conseguire un diploma secondario superiore. In questo caso, il distacco con l’Ue27 in un decennio si è ridotto da 4,7 punti percentuali a soli 1,9. L’incidenza degli abbandoni è superiore di oltre 4 punti tra i maschi rispetto alle femmine e, sul territorio, sfiora il 18 per cento nelle Isole.
 Nell’anno scolastico 2021/22, quasi un giovane su 10 che hanno conseguito il diploma secondario superiore ha competenze in italiano e matematica inferiori a quelle degli studenti del secondo anno dello stesso ciclo (c.d. dispersione implicita). Si confermano le differenze di apprendimento per genere (la dispersione implicita tra ragazze è inferiore di 4,6 punti rispetto ai ragazzi) e, soprattutto, territoriali: nel Mezzogiorno la quota di dispersione implicita sfiora il 20 per cento in Campania, mentre è inferiore al 2 per cento in Trentino-Alto Adige/Sudtirol.
 Nell’anno accademico 2021/22, l’incidenza degli immatricolati a corsi universitari sulla popolazione di riferimento dei 19enni è cresciuta di 10 punti percentuali rispetto all’anno accademico 2011/12, raggiungendo il 56 per cento; tra gli immatricolati la quota di donne si mantiene stabile intorno al 55 per cento. Circa il 30 per cento delle immatricolazioni è in corsi con orientamento scientifico-tecnologico (c.d. discipline STEM).
 Nel 2020 il flusso di laureati in rapporto alla popolazione di età 20-29 anni è quasi in linea con la media europea: per le lauree di primo livello rappresenta il 31,3 per mille (34,3 per la Ue27), con una crescita di 7 punti rispetto al 2013; per le lauree magistrali rappresenta il 21,1 per mille in Italia e il 22,1 per mille nell’Ue27; infine, i laureati (di qualsiasi livello) in discipline STEM nel 2020 rappresentano il 16,5 per mille (1,9 punti sotto la media Ue27).
 Nel 2022, le risorse umane in scienza e tecnologia (persone occupate in professioni qualificate e/o con un livello istruzione terziaria) rappresentano nell’Ue27 quasi la metà della popolazione attiva tra i 25 e i 64 anni e il 37,4 per cento in Italia; qui la crescita rispetto al 2011 è stata di soli 2,8 punti percentuali a fronte degli 8,4 punti in più registrati nell’Ue27. A livello territoriale, l’incidenza varia da circa il 40 per cento nel Nord-ovest e nel Centro al 30,5 per cento nelle Isole, mentre per fascia d’età raggiunge il 40,8 per cento tra le persone con meno di 35 anni, riducendosi al 34,5 per cento nella classe 55-64 anni.
 In Italia, nel 2021 il tasso di espatrio per i laureati di 25-34 anni è pari al 9,5 per mille tra gli uomini e al 6,7 per mille tra le donne. Il fenomeno degli espatri, differenziato sul territorio nazionale, si associa col permanere di una forte migrazione di giovani qualificati dalle province del Mezzogiorno verso quelle economicamente più dinamiche del Centro e, soprattutto, del Nord, che nel complesso registrano quindi un bilancio positivo.

 

CAPITOLO 3 – CRITICITÀ AMBIENTALE E TRANSIZIONE ECOLOGICA

Le tematiche ambientali si collocano ai primi posti tra le principali preoccupazioni dei cittadini. Nel 2022 oltre il 70 per cento dei residenti in Italia, dai 14 anni in su, considera il cambiamento climatico o l’aumento dell’effetto serra tra le preoccupazioni prioritarie.
L’attenzione per i bisogni presenti e per quelli delle future generazioni dovrebbe permeare l’azione degli operatori economici e la progettazione delle politiche pubbliche a livello nazionale e locale, anche in considerazione dei cambiamenti normativi e delle opportunità già disponibili anche a livello europeo (Green Deal, Recovery Fund, RePower Eu).
Tra le maggiori criticità dell’ambiente italiano, si dedica attenzione: alla scarsità delle risorse naturali, con particolare riguardo all’acqua; alle emissioni di gas climalteranti, alla mobilità e agli effetti della qualità dell’aria. Tra le azioni messe in campo viene riportato il quadro dell’espansione dei boschi e delle aree protette, sia terrestri sia marine, la gestione dei rifiuti solidi urbani e lo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili.
Il processo di transizione ecologica è destinato a modificare le fonti e i prezzi dei beni energetici e l’analisi della recente dinamica dei prezzi energetici ci segnala una particolare vulnerabilità del nostro Paese e una netta sperequazione nell’impatto dell’inflazione energetica sulle famiglie .Le strategie di policy europee volte a garantire un processo di transizione giusto (Just transition) si concentrano sul tema della povertà energetica, tema sul quale si offre un quadro aggiornato delle statistiche disponibili e una valutazione sull’efficacia dei bonus energetici nel mitigare il fenomeno.

Le risorse naturali
 Le preoccupazioni ambientali si declinano differentemente per classe di età. I giovani fino a 34 anni sono più sensibili alla perdita della biodiversità (32,1 per cento tra i 14 e i 34 anni contro 20,9 per cento degli over 55), alla distruzione delle foreste (26,2 per cento contro 20,1 per cento) e l’esaurimento delle risorse naturali (24,7 per cento contro 15,9 per cento). Gli ultracinquantenni si dichiarano, invece, più preoccupati dei giovani per il dissesto idrogeologico (26,3 per cento contro 17,0 per cento degli under 35) e l’inquinamento del suolo (23,7 per cento contro 20,8 per cento)
 Le giovani donne sono più preoccupate per le principali problematiche ambientali rispetto ai coetanei (66,4 per cento delle 14-24enni, contro il 57,9 per cento dei coetanei). Tra i giovanissimi (14-19 anni), le ragazze sono più preoccupate dei loro coetanei per i cambiamenti climatici (+ 7,4 punti percentuali), la perdita di biodiversità (+6,7 punti), la produzione e smaltimento dei rifiuti (+4,3 punti) e la distruzione delle foreste (+3,7 punti).
 La riduzione delle precipitazioni, accompagnata dall’aumento delle temperature, ha portato ad una minore disponibilità media annua della risorsa idrica, che nel trentennio 1991-2020 si riduce del 20 per cento rispetto alla media del trentennio 1921-1950, raggiungendo nel 2022 il suo minimo storico, quasi il 50 per cento in meno rispetto all’ultimo trentennio 1991-2020. A tale problema si associa una condizione di persistente criticità nell’infrastruttura idrica, infatti, nel 2020, il 42,2 per cento dell’acqua immessa nelle reti di distribuzione dell’acqua potabile non arriva agli utenti finali.
 La siccità e i problemi di approvvigionamento di acqua hanno influito pesantemente sull’annata agricola appena trascorsa, facendo registrare, nei conti economici nazionali, una riduzione della produzione, del valore aggiunto e dell’occupazione del settore agricolo. Il calo dei volumi di produzione nel 2022 ha caratterizzato tutti i comparti produttivi tranne quelli frutticolo, florovivaistico e le attività secondarie; in flessione coltivazioni (-2,5 per cento in volume), legumi (-17,5 per cento), olio d’oliva (-14,6 per cento), cereali (-13,2 per cento), piante foraggere (-9,9 per cento), ortaggi
(-3,2 per cento), piante industriali (-1,4 per cento) e vino (-0,8 per cento).
 A partire dal 2008 e fino al 2013 si rileva una progressiva riduzione del consumo interno di materia sia pro capite sia rispetto al Pil, che segnala una maggiore sostenibilità della crescita economica. Questa positiva evoluzione tende poi a stabilizzarsi negli anni successivi, per poi presentare una lieve inversione di tendenza nell’ultimo periodo (2019-2021).
 Nel 2020, in Italia sono stati censiti 4.037 siti estrattivi, tra attivi e non attivi, autorizzati alla coltivazione, costituiti da 3.928 cave e 109 miniere. Tra le regioni, il più alto numero di siti si trova in Lombardia (441 siti), Puglia (402) e Veneto (380). La riduzione dell’attività ha prodotto una diminuzione della pressione delle attività estrattive sul territorio, in termini di intensità di estrazione. Tuttavia, le estrazioni nazionali tornano a crescere nel 2021 (si stima un aumento del 12 per cento circa sul 2020), profilando così la ripresa della crescita delle pressioni ambientali collegate.
 A causa del rallentamento delle attività economiche dovuto alla pandemia, nel 2020 l’estrazione totale di minerali non energetici nel Paese ha segnato un calo rispetto al 2019 (circa -4,5 per cento). I prelievi si concentrano al Nord (circa il 47 per cento del totale nazionale) e al Centro (21,5 per cento), con la Lombardia in testa tra le regioni (oltre 13 milioni di m3), seguita dal Piemonte (7,9).

Emissioni e mobilità
 In Europa continuano a diminuire le emissioni di gas serra: nel 2019, prima della battuta d’arresto dovuta alle limitazioni alla mobilità e alla contrazione delle attività produttive indotte dalla pandemia, erano il 24 per cento in meno rispetto al 1990. L’Italia è tra i cinque paesi Ue27 che forniscono il contributo maggiore a tale riduzione.
 Circa un terzo delle famiglie è insoddisfatto dei trasporti pubblici: prima della pandemia, nel 2019, il 33,5 per cento dichiarava molta o moltissima difficoltà di collegamento nella zona in cui risiede; è il peggiore dato degli ultimi dieci anni (29,5 per cento nel 2010). Contestualmente, rimane elevata la quota di coloro che usano abitualmente il mezzo privato per raggiungere il luogo di lavoro (74,2 per cento) e rimane bassa la quota di studenti che usano solo i mezzi pubblici per recarsi al luogo di studio (28,5 per cento).
 Nel 2021 circolavano in Italia 39,8 milioni di autovetture, 673 ogni mille abitanti (tasso di motorizzazione). Tra i paesi Ue, soltanto Polonia e Lussemburgo superano questo valore pro capite, che nelle altre maggiori economie dell’Unione si attesta su livelli molto più bassi (583 in Germania, 571 in Francia, 525 in Spagna).
 Contrariamente al tasso di motorizzazione, l’indice del potenziale inquinante associato ai veicoli in circolazione presenta negli ultimi anni un andamento decrescente: tra il 2015 e il 2021, è sceso da 170 a 124 in tutta Italia.
 Con riferimento alla qualità dell’aria nell’Ue27, l’esposizione a lungo termine ponderata con la popolazione al particolato PM2,5, ha registrato una diminuzione graduale, ma rilevante, tra il 2006 e il 2020 (-39,5 per cento), raggiungendo 11,2 μg/m3 nel 2020. In Italia, invece, il miglioramento è stato più lento e nel 2020 si è arrivati a 15 μg/m3.
 L’andamento dell’esposizione a lungo termine al PM2,5spiega ampiamente le differenze tra l’Italia e gli altri maggiori paesi europei in termini di mortalità connessa. Tra il 2005 e il 2020, infatti, mentre in Germania, Francia e Spagna le stime dei decessi prematuri da PM2,5 sono più che dimezzate (passando, rispettivamente, da 81 a 35, da 64 a 25 e da 82 a 38 decessi per 100mila abitanti), i progressi dell’Italia sono stati molto più lenti (da 124 a 88).

Verso un futuro sostenibile
 Nel 2021, rallentano i progressi nella raccolta differenziata dei rifiuti urbani (64,0 per cento, in aumento di un punto percentuale rispetto al 2020), che cresceva in media del 2,9 nel triennio precedente all’anno della pandemia, non riuscendo ancora a raggiungere il target nazionale del 65 per cento fissato per il 2012.
 Nel 2020, l’Italia raggiunge il 51,4 per cento di riciclo dei rifiuti urbani, superando la media Ue27 (49,2 per cento) e posizionandosi tra i primi sette paesi. Dal lato dello smaltimento, nel 2021 continua a diminuire la percentuale di rifiuti urbani conferiti in discarica (19 per cento), con una riduzione di due terzi rispetto al valore del 2004 (59,8 per cento) e con forti criticità nella distribuzione territoriale degli smaltimenti.
 La superficie complessiva delle aree verdi urbane è in continuo aumento: in media +0,3 per cento all’anno dal 2011 (+0,6 per cento nei capoluoghi metropolitani). Le differenze nella disponibilità di aree verdi a livello territoriale sono notevoli: la dotazione più elevata si trova nei capoluoghi del
Nord-est (62,2 m2 per abitante), la più bassa nelle Isole (19,3). Negli ultimi 10 anni, la superficie dedicata alla forestazione urbana è aumentata progressivamente (+22,2 per cento).
 Nel periodo 2000-2020, rispetto alla crescita media del patrimonio boschivo dell’Ue27 (+1,8 punti percentuali), l’Italia registra il maggiore incremento (+4,0 punti percentuali), seguita da Francia (+3,6), Polonia (+1,0) e Germania (+0,2). Per quanto riguarda le aree marine protette il livello raggiunto dall’Italia nel 2022 pari al 13,4 per cento del territorio nazionale (media Ue27 8,2 per cento, nel 2022), assicura una buona copertura: dal 2018 al 2020 il nostro Paese ha triplicato le acque tutelate (dal 3,8 per cento del 2018, al 7,2 del 2019 e al 13,4 del 2020).
 Nel periodo 2011-2021 è il fotovoltaico ad aumentare maggiormente la quota, dal 13,0 per cento al 21,5 per cento (+8,5) sul totale di energia prodotta da fonti rinnovabili. Al secondo posto l’eolico dall’11,9 al 18,0 per cento (+6,1) e al terzo le bioenergie (+3,3, dal 13,1 al 16,4 per cento). Al contrario, le fonti rinnovabili di tipo idroelettrico e geotermico diminuiscono rispettivamente di 16,2 punti percentuali (dal 55,2 al 39 per cento) e di 1,7 punti (dal 6,8 al 5,1 per cento).
 Nel periodo 2016-2021 sono stati complessivamente erogati a imprese, famiglie e altri beneficiari oltre 61 miliardi di euro per i principali strumenti di incentivazione connessi alla produzione di energia elettrica da “fonti rinnovabili e assimilate”. Tra gli strumenti di incentivazione, il meccanismo dedicato agli impianti solari fotovoltaici, il cosiddetto Conto Energia (CE), è quello che ha attratto le maggiori risorse, con un picco raggiunto nel 2017 di circa 6,2 miliardi di euro. Nel 2021, per il CE sono stati erogati complessivamente 5,9 miliardi di euro, i maggiori beneficiari in termini di importo erogato sono le imprese market (53mila aziende) prevalentemente localizzate in Lombardia, Trentino-Alto Adige, Lazio ed Emilia-Romagna. In termini di numerosità, i maggiori beneficiari sono, invece, le famiglie consumatrici (oltre 350mila).
 Nel biennio 2019-2020, su un totale di 3.261 istituzioni pubbliche ubicate nei comuni capoluogo di provincia e di città metropolitana, il 32,2 per cento ha adottato forme di rendicontazione sociale o ambientale, in leggera diminuzione (-0,5 punti percentuali) rispetto al biennio 2016-2017. A livello di ripartizione, la rendicontazione è più diffusa nei capoluoghi del Sud (quasi 34 per cento).

 Nel 2020, ogni 100 amministrazioni pubbliche dei comuni capoluogo di provincia e di città metropolitana, 24 hanno effettuato almeno una procedura di acquisto di beni e/o servizi verdi, ovvero acquisti di una tra le 18 categorie regolamentate dai Criteri Ambientali Minimi (CAM). Sul territorio, le procedure GPP sono più frequentemente adottate al Nord (27,6 per cento), che distanzia il Sud di 9 punti percentuali.

Povertà energetica
 L’Italia è stata uno dei paesi più colpiti dagli aumenti dei prezzi energetici, in particolare per quanto riguarda l’energia elettrica: il prezzo per uso domestico, che nel secondo semestre 2020 era più basso di quello di Germania e Spagna, ha subito nell’arco di due anni un incremento così ampio (+72,4 per cento) da diventare il più alto tra le maggiori economie europee.
 L’impatto della crescita dei prezzi dei beni energetici è stato relativamente più pesante per le famiglie con più bassi livelli di spesa: l’inflazione misurata dall’indice IPCA relativa ai beni energetici per le famiglie con i livelli di spesa più bassi è stata superiore di oltre 13 punti a quella registrata per le famiglie con i livelli di spesa più alti (rispettivamente, +60,6 per cento e +47,5 per cento).
 Nel medio periodo il processo di transizione ecologica è destinato a modificare radicalmente le fonti e i prezzi dell’energia e, anche in virtù della sperequazione nell’impatto della variazione dei prezzi energetici, non si può dare per scontato che i costi e i benefici di questo processo siano distribuiti in modo equo tra le diverse fasce di popolazione.
 La lotta alla povertà energetica è un aspetto chiave delle recenti strategie di policy della Commissione Europea per favorire una transizione ecologica equa. In Italia, nel 2022, il 17, 6 per cento delle famiglie a rischio di povertà dichiara di non essere in grado di riscaldare adeguatamente l’abitazione, mentre il 10,1 per cento dichiara arretrati nel pagamento delle bollette. Tra le maggiori economie europee solo la Germania mostra un’incidenza più bassa per entrambi gli indicatori.
 Le famiglie che hanno una spesa energetica troppo elevata unite a quelle il cui reddito scende sotto la soglia di povertà, una volta fatto fronte alle spese energetiche, sono l’8,9 per cento delle residenti in Italia e il 27,1 per cento di quelle che ricevono in bolletta i bonus sociali, pensati per mitigare l’impatto sulle famiglie della crescita dei prezzi dei beni energetici.
 L’importo medio dei bonus sociali (elettricità e gas insieme) è stimato, nel 2022, a 992 euro per famiglia beneficiaria e oltre il 90 per cento del valore totale della spesa per i bonus erogati è destinata alle famiglie appartenenti ai primi due quinti di reddito, le più povere. Le famiglie ancora in povertà energetica dopo aver ricevuto il bonus sono il 25,1 per cento: l’effetto del bonus nella riduzione della povertà energetica si attesta, dunque, su 2 punti percentuali.

 

CAPITOLO 4 – IL SISTEMA PRODUTTIVO TRA RESILIENZA E INNOVAZIONE

Nei primi mesi del 2022, all’uscita dall’emergenza sanitaria, il sistema produttivo italiano ha dovuto fare fronte, senza soluzione di continuità, all’emergere di nuovi fattori di crisi di natura politica, economica e ambientale. Il mondo delle imprese italiane ha mostrato una notevole capacità di resilienza agli shock originati dall’incremento dei prezzi dei beni importati, e in particolare dai prodotti energetici: ha trasferito sui prezzi di vendita l’aumento dei prezzi degli input produttivi, ma al contempo ha avviato anche strategie più complesse per rafforzare la competitività e incrementare l’efficienza energetica.
Nel corso del 2022 si è registrato un ampio recupero delle esportazioni, fortemente penalizzate durante la fase più acuta della pandemia. La partecipazione alle catene globali del valore si accompagna a una maggiore competitività sui mercati internazionali, ove quest’ultima è strettamente legata anche alla capacità di innovare e di investire in conoscenza. Le imprese innovative godono di significativi vantaggi nelle performance economiche e nella propensione all’export, anche a parità di dimensione media di impresa. Gli incentivi pubblici alla R&S, con il meccanismo del credito di imposta, sono uno stimolo efficace, ma selettivo, alla crescita della produttività totale dei fattori, in particolare per le imprese esportatrici manifatturiere e multinazionali.
Alcuni segnali di evoluzione digitale si rilevano per le istituzioni non profit, un settore che negli anni della crisi economica e dell’emergenza sanitaria ha avuto un ruolo centrale nel cogliere le esigenze dei territori e nel rispondere tempestivamente ai bisogni sociali, anche adottando modalità innovative. Nei primi mesi del 2023, e quindi appena fuori dalla fase più acuta della crisi energetica, una quota rilevante di imprese italiane nella manifattura e nei servizi di mercato ha dichiarato di aver intrapreso o pianificato l’adozione di strategie di sviluppo sostenibile. Ulteriori evidenze descrivono comportamenti virtuosi nel campo dell’innovazione eco-sostenibile. Tuttavia, sul sistema produttivo italiano pesano, oltre agli scenari economici globali incerti e instabili, la sua elevata frammentazione e la sua scarsa propensione a investire, soprattutto da parte delle imprese piccole e micro.

Aspetti strutturali e resilienza delle imprese
 In Italia la dimensione media di impresa è pari a 4 addetti, in linea con quella di Spagna e Paesi Bassi ma inferiore a quella di Germania e Francia e alla media europea (5,5 addetti). La quota di imprese medio-grandi si attesta intorno all’1 per cento, con un contributo al valore aggiunto del 55 per cento. Il resto è ripartito tra piccole e micro-imprese – rispettivamente il 20 per cento e il 25 per cento – quote sensibilmente superiori alla media europea.
 Nel confronto con i principali partner europei, la produttività media delle imprese italiane nel 2020 è la più bassa, superiore solo a quella della Spagna, sia se si considera l’insieme delle attività dell’industria e dei servizi non finanziari, sia se si limita l’analisi al solo settore manifatturiero (rispettivamente, 46mila e 60mila euro per addetto).
 Le medie e le grandi imprese manifatturiere italiane mostrano nel 2020 livelli di produttività (72,5mila e 85mila), superiori alla Francia (62,5mila e 82,9mila), mentre le piccole imprese manifatturiere
(20-49 addetti) sono più produttive di quelle tedesche (55,1mila rispetto a 52,3mila). Nel confronto con le altre principali economie, la micro-impresa in Italia mostra valori della produttività apparente del lavoro particolarmente contenuti (27,6 per il complesso delle imprese, superiore solo alla Spagna).
 Durante il secondo decennio degli anni duemila, le imprese italiane si caratterizzano per una debole crescita in media annua della produttività del lavoro, il tasso di crescita medio annuo in termini nominali è pari allo 0,1 per cento calcolato sul totale delle imprese non finanziarie, e di poco superiore (0,6 per cento) nel manifatturiero.
 Mentre le piccole e medie imprese italiane risultano maggiormente orientate all’export delle stesse tipologie di imprese residenti nelle maggiori economie dell’Ue27, le grandi imprese italiane manifatturiere presentano una propensione all’export inferiore a quelle degli altri paesi europei considerati (48,8 per cento contro 85,5 per cento della Germania e 80 per cento della Francia).
 Nel 2020, la quota dei prodotti di proprietà intellettuale sul complesso degli investimenti è del 2,8 per cento sensibilmente inferiore a Germania e Francia (rispettivamente, 6 e 7,5 per cento).
 L’Italia è uno dei paesi europei con la più bassa intensità energetica, caratteristica che ha mitigato gli effetti negativi derivanti dalla forte dipendenza energica dall’estero. Nel complesso del settore manifatturiero, la riduzione dell’intensità di impiego dell’energia (-2,7 per cento) dipende dai progressi dei settori maggiormente energivori, quali la produzione della carta, la lavorazione dei minerali
non-metalliferi e la fabbricazione dei prodotti chimici.
 L’analisi per profili di internazionalizzazione, riferita al 2019, mostra come circa 9mila imprese, pari al 13 per cento del totale, facciano parte di gruppi multinazionali esteri o italiani e generi oltre il 70 per cento dell’export e circa l’80 per cento dell’import.
 Le imprese a conduzione femminile attive nel 2020 sono un milione e 200mila (27,6 per cento del totale), quelle paritarie rappresentano una componente residuale (2,4 per cento).
 Le imprese a conduzione femminile si caratterizzano per una prevalenza di ditte individuali (64,1 per cento a fronte del 58,8 di quelle maschili), un minor numero medio di addetti (il 2,9 per cento ha 10 o più addetti, contro il 5,1 di quelle maschili) e per un’età di impresa più bassa.
 Le imprese a conduzione femminile operano per lo più nel settore dei servizi (68,9 a fronte del 51,1 per cento delle imprese maschili), caratterizzandosi per una più elevata incidenza nel settore Sanità e assistenza sociale (12,4 e 5,5 per cento), nelle Attività professioni, scientifiche e tecniche (20,1 e 17,2 per cento) e nei Servizi di alloggio e ristorazione (9,2 e 6,4 per cento).
 L’imprenditorialità giovanile è stata rilevata in tre casi su quattro in ditte individuali rispetto al 63 per cento del totale delle imprese, nel 18 per cento dei casi in società di capitali rispetto al 22 per cento del totale e nel 6,5 per cento dei casi in società di persone e cooperative rispetto al 14,1 per cento del totale.
 Il 46,5 per cento delle imprese giovanili si trova al Nord, dove tipicamente risiedono la metà delle imprese del nostro Paese, ma è nel Mezzogiorno che l’incidenza delle imprese caratterizzate dall’impronta dei giovani è più elevata: rispettivamente 13,9 per cento nel Sud e 13,2 per cento nelle Isole, rispetto al 10,1 per cento del Nord-est
 I giovani imprenditori operano prevalentemente nel settore dei servizi (85,9 per cento) e nel settore sanità e assistenza sociale 19,4 per cento, il 16 per cento nel settore dei servizi alloggio e ristorazione, il 17 per cento nelle attività artistiche sportive, di intrattenimento e divertimento, il 14 per cento nei servizi alle imprese e nell’istruzione, il 13,1 per cento nelle attività professionali, scientifiche e tecniche, mentre si riduce nelle costruzioni, 9,2 per cento, e nella manifattura, circa il 7 per cento.
 Sono 423 i Sistemi Locali del Lavoro (SLL) dove sono localizzate unità locali di imprese esportatrici appartenenti a multinazionali italiane e concentrate nel Nord. Vaste aree dell’Italia meridionale e insulare sono prive di multinazionali italiane esportatrici.
 Nel 2020 le esportazioni italiane, con l’eccezione della farmaceutica e dei prodotti alimentari, hanno risentito pesantemente dell’irrompere della pandemia (-9,1 per cento), per poi iniziare nel 2021 una fase di sostanziale recupero per la quasi totalità dei settori (+19,2 per cento) e un ulteriore marcato miglioramento nel 2022 (+20 per cento).
 Il numero di presenze per abitante nei Brand turistici, definiti dall’Istat come aree di eccellenza per l’attrattività potenziale dei flussi turistici, supera la media nazionale: in particolare superano ampiamente le 100 presenze per abitante le valli dolomitiche del Trentino-Alto Adige – Val Gardena (208,5), Val di Fassa e Val di Fiemme (139,4), Val Pusteria (122,6) – e le Cinque Terre (173,7).

L’innovazione come risposta alle crisi e fattore di competitività
 Nel triennio 2018-2020, il 50,9 per cento delle imprese industriali e dei servizi con 10 o più addetti ha svolto attività innovative di prodotto e di processo. La quota è in calo di circa 5 punti percentuali rispetto al triennio precedente. Tra le cause della sospensione o riduzione dell’innovazione c’è stata l’emergenza sanitaria, indicata dal 64,8 per cento delle aziende con attività innovative, in particolare per le più piccole (il 66,7, contro il 50,2 per cento delle grandi).
 Nel 2020 la caduta delle attività di innovazione si è accompagnata a un crollo della spesa per l’innovazione di oltre un quarto rispetto al 2018 (da 45,5 a 33,6 miliardi di euro).
 Le imprese hanno continuato a investire prioritariamente sulla R&S che nel 2020 si è confermata la voce principale degli investimenti per l’innovazione (50,6 per cento della spesa complessiva) e la cui quota percentuale aumenta di 13,7 punti rispetto al 2018.
 La propensione all’innovazione cresce all’aumentare della dimensione aziendale: se nelle piccole imprese una su due è risultata attiva sul fronte dell’innovazione, in quelle di media dimensione il 65,7% ha svolto attività innovative e nelle grandi tre su quattro hanno innovato.
 Le imprese innovatrici godono di un differenziale positivo di produttività del lavoro rispetto alle non innovatrici pari a +37%. Il differenziale aumenta per le imprese innovatrici attive nella R&S (+44,7%) ed è massimo nelle grandi imprese attive nella R&S (+46,7%).
 Tra le innovatrici, le imprese che investono in R&S beneficiano di un differenziale positivo di produttività rispetto a quelle che non svolgono attività di R&S (+5,6%). Il differenziale è massimo nel settore dei servizi (+8,2%).
 L’innovazione premia anche la redditività delle imprese. Mediamente le imprese innovative mostrano una redditività che è superiore di 8 punti percentuali rispetto alle non innovative. Nelle grandi imprese il differenziale cresce ulteriormente (+11 punti percentuali).
 La propensione all’export è maggiore nelle imprese innovatrici rispetto alle non innovatrici (+11,4 punti percentuali) e cresce ulteriormente nelle grandi imprese (+13,5 punti). Le imprese innovative attive nella R&S godono del maggior vantaggio rispetto alle innovatrici che non investono in R&S (+5,1 punti), particolarmente nel gruppo delle medie imprese (+6,7 punti).
 In Italia, le risorse erogate al settore privato per la ricerca e l’innovazione attraverso il canale fiscale sotto forma di credito d’imposta sono cresciute nel tempo, passando dallo 0,03 per cento del Pil nel 2015 allo 0,19 per cento nel 2019, in flessione nel 2020 fino allo 0,13 per cento. La platea delle imprese beneficiarie è concentrata nel comparto manifatturiero, con una incidenza maggiore nelle imprese esportatrici e nelle multinazionali.
 La quota di microimprese beneficiarie è minore rispetto alle altre imprese e si mantiene al di sotto del 4 per cento per tutto il periodo 2015-2020. La quota di imprese beneficiarie nel Mezzogiorno è inferiore rispetto al Nord del Paese lungo tutto il periodo considerato, tuttavia, la quota delle imprese del Mezzogiorno aumenta stabilmente tra il 2015 e il 2020, passando dal 9,6 per cento al 24,9 per cento.

 La maggior parte delle Istituzioni Non Profit (INP) ha già intrapreso un percorso di digitalizzazione. Nel 2021 4 INP su 5 ha utilizzato almeno una tecnologia digitale, adottando prevalentemente infrastrutture digitali di base, come la connessione fissa a banda larga o la connessione mobile a Internet.
 La maggior parte delle INP, pari al 69,2 per cento adotta un numero limitato di tecnologie, in media 2. Solo il 5,5 per cento utilizza un numero maggiore di tecnologie (almeno 5), dotandosi di tecnologie specializzate che influenzano i processi organizzativi e produttivi.
 I principali ostacoli incontrati dalle INP nell’avviare il processo di digitalizzazione sono legati all’assenza di risorse: oltre un quarto delle INP denuncia una carenza di risorse finanziarie e il 12,6 per cento segnala di non disporre di personale qualificato. La scarsa cultura digitale è segnalata come ostacolo da oltre il 30 per cento delle INP attive nella filantropia e nella promozione del volontariato.

Le imprese e lo sviluppo sostenibile
 Nel 2022, quasi il 60 per cento delle imprese manifatturiere e la metà di quelle attive nei servizi di mercato ha adottato misure finalizzate a rafforzare la sostenibilità dei processi di produzione. La propensione cresce con la dimensione di impresa e nelle regioni del Nord del Paese.
 La pianificazione di azioni a favore della sostenibilità nel periodo 2023-2025 coinvolge il 64,5 per cento delle imprese manifatturiere e il 52,5 per cento delle imprese attive nei servizi di mercato. L’utilizzo di energia da fonti rinnovabili e il miglioramento dell’efficienza energetica emergono come le attività più rilevanti nella pianificazione delle azioni future.
 La sfida ambientale condiziona anche i modelli di business delle imprese innovatrici, Nel periodo 2018-2020 il 40,3 per cento delle imprese innovatrici ha dichiarato di aver introdotto una o più innovazioni eco-sostenibili e il 25,4 per cento ha introdotto innovazioni che hanno comportato una maggiore efficienza energetica.
 A livello settoriale, l’impegno rivolto alla sostenibilità ambientale è stato maggiore tra le imprese innovatrici dell’industria (45,5 per cento) e delle costruzioni (40,2 per cento), mentre ha riguardato solo un terzo delle imprese dei servizi (33,7 per cento).
 Le imprese che hanno investito in tecnologie innovative a basso consumo energetico mostrano un vantaggio in termini di produttività, soprattutto in presenza di investimenti in R&S (84,8mila euro). Il vantaggio si riduce nelle piccole imprese (61,6mila euro), mentre cresce sensibilmente nelle imprese appartenenti a gruppi multinazionali italiani (99,9mila euro) ed esteri (103,4mila euro).
 Nel settore agricolo le imprese che effettuano investimenti innovativi e adottano pratiche biologiche rappresentano appena il 4,5 per cento del totale, sono localizzate soprattutto nel Centro (20,7 per cento) e nel Nord-est (30,4 per cento), hanno una dimensione media di 3,5 addetti rispetto ai circa due addetti del totale delle imprese e l’età del conduttore risulta più bassa delle imprese non innovative (49 anni rispetto a 57).
 Essere un’azienda agricola giovane (capo azienda fino a 40 anni) e grande (oltre 9 addetti) sono i principali fattori a influenzare la probabilità di introdurre una innovazione di tipo sostenibile. Sulla base di un modello di tipo probabilistico, emerge che entrambe queste caratteristiche triplicano la probabilità di introdurre innovazioni sostenibili.
 La produttività del lavoro delle imprese agricole si attesta su valori medi pari a 9,6mila euro, che sottendono, tuttavia, situazioni diversificate. La produttività è sensibilmente più elevata nelle imprese innovative (non biologiche), con un valore mediano che si avvicina ai 17mila euro per lavoratore, mentre il valore delle imprese innovative biologiche è inferiore e si avvicina ai 11mila euro.
 Nel 2020 la redditività media delle aziende agricole mostra valori medi negativi (-18,6 per cento), e registra un calo generale rispetto al 2019, a causa dei maggiori costi per tutte le imprese e dei minori ricavi, dovuti alla pandemia. Tra le aziende biologiche, l’adozione di pratiche innovative determina un sensibile miglioramento delle condizioni di redditività: il valore mediano è pari al 28,1 per cento rispetto al valore nelle imprese biologiche non innovative (-14,0 per cento).
 L’impatto negativo della pandemia ha mostrato a livello comunale un effetto più marcato sulla crescita economica ed occupazionale per alcuni specifici comparti dei servizi alla persona, con conseguenze negative diffuse a livello territoriale. Nel confronto 2019-2020, il 70,1 per cento dei comuni ha registrato per questi settori una performance economica negativa in termini sia di valore aggiunto sia di occupazione.
 Per il 45,2 per cento, la pandemia ha segnato il passaggio da una situazione di stabilità o crescita economica a una di instabilità o decrescita.
 Nel Mezzogiorno, il Molise rappresenta la regione con la più alta quota di comuni in crisi (20,3 per cento), seguito dalla Sicilia (19,8 per cento).

 

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