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ISTAT * DEMOGRAFIA 2022: « IL TRENTINO ALTO ADIGE PRIMO PER “SPERANZA DI VITA ALLA NASCITA” (81,5) E PER “NUMERO MEDIO FIGLI PER DONNA” (1,51) » (REPORT PDF)

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10.29 - venerdì 7 aprile 2023

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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La popolazione cala ancora ma non al livello del biennio 2020-21. Aumentano gli stranieri. Natalità al minimo storico, mortalità ancora elevata: meno di 7 neonati e più di 12 decessi per 1.000 abitanti. Recupero di attrattività nei confronti dell’estero: il saldo migratorio netto sale da +88mila nel 2020 e +160mila nel 2021 a +229mila nel 2022. Movimenti migratori interni in crescita: i trasferimenti di residenza tra comuni sono 1 milione 484mila, +4% rispetto al 2021, +10% rispetto al 2020. Lieve crescita del numero degli stranieri: La popolazione di cittadinanza straniera al 1° gennaio 2023 è di 5 milioni e 50mila unità, in aumento di 20mila individui (+3,9‰) sull’anno precedente.

 

 

 

Ancora in calo la popolazione residente
Alla luce dei primi risultati provvisori, la popolazione residente in Italia al 1° gennaio 2023 è di 58 milioni e 851mila unità, 179mila in meno sull’anno precedente, per una riduzione pari al 3‰. Prosegue, dunque, la tendenza alla diminuzione della popolazione, ma con un’intensità minore rispetto sia al 2021 (-3,5‰), sia soprattutto al 2020 (-6,7‰), anni durante i quali gli effetti della pandemia avevano accelerato un processo iniziato già nel 2014.
Appurato che nel 2022 la popolazione residente presenta una decrescita simile a quella del 2019
(-2,9‰), sul piano territoriale si evidenzia un calo demografico importante che interessa il Mezzogiorno (-6,3‰). Il Centro (-2,6‰) e soprattutto il Nord (-0,9‰), che pur presentano un saldo demografico negativo, hanno valori migliori della media nazionale. Sul piano regionale, la popolazione risulta in aumento solo in Trentino-Alto Adige (+1,6‰), in Lombardia (+0,8‰) e in Emilia-Romagna (+0,4‰). Le regioni, invece, in cui si è persa più popolazione sono la Basilicata, il Molise, la Sardegna e la Calabria, tutte con tassi di decrescita più bassi del -7‰.
Su base nazionale, il calo della popolazione è frutto di una dinamica demografica sfavorevole che vede un eccesso dei decessi sulle nascite, non compensato dai movimenti migratori con l’estero. I decessi sono stati 713mila, le nascite 393mila, toccando un nuovo minimo storico, con un saldo naturale quindi di -320mila unità.

 

Le iscrizioni dall’estero sono state pari a 361mila mentre 132mila sono state le cancellazioni per l’estero. Ne deriva un saldo migratorio con l’estero positivo per 229mila unità, in grado di compensare solo in parte l’effetto negativo del pesante bilancio della dinamica naturale.
Sul versante della mobilità interna, nel 2022 si rileva un aumento del volume complessivo dei movimenti del 4%, con 1 milione 484mila trasferimenti di residenza registrati tra Comuni contro 1 milione 423mila dell’anno precedente. Infine, le ordinarie operazioni di allineamento e revisione delle anagrafi (saldo per altri motivi) comportano un saldo negativo per ulteriori 88mila unità.
La popolazione di cittadinanza straniera al 1° gennaio 2023 è di 5 milioni e 50mila unità, in aumento di 20mila individui (+3,9‰) sull’anno precedente. L’incidenza degli stranieri residenti sulla popolazione totale è dell’8,6%, in leggero aumento rispetto al 2022 (8,5%). Quasi il 60% degli stranieri, pari
a 2 milioni 989mila unità, risiede al Nord, per un’incidenza dell’11%, la più alta del Paese. Risulta attrattivo per gli stranieri anche il Centro, dove risiede un milione 238mila individui (25% del totale) con un’incidenza del 10,6%, al di sopra della media nazionale. Il Mezzogiorno ha invece meno presenza straniera, 824mila unità (16%), per un’incidenza del 4,2%.

 

Speranza di vita in crescita per gli uomini ma stabile per le donne
La speranza di vita alla nascita nel 2022 è stimata in 80,5 anni per gli uomini e in 84,8 anni per le donne, solo per i primi si evidenzia, rispetto al 2021, un recupero quantificabile in circa 2 mesi e mezzo di vita in più. Per le donne, invece, il valore della speranza di vita alla nascita rimane invariato rispetto all’anno precedente. I livelli di sopravvivenza del 2022 risultano ancora sotto quelli del periodo pre-pandemico, registrando valori di 6 mesi inferiori nei confronti del 2019, sia tra gli uomini che tra le donne.

Sebbene il rallentamento della speranza di vita delle donne rispetto agli uomini costituisca un processo ravvisabile già in anni precedenti la pandemia, quest’ultima può aver acuito il trend. L’impatto della crisi sul sistema sanitario, e la conseguente difficoltà nella programmazione di visite e controlli medici, potrebbero esser state particolarmente forti per le donne, più inclini degli uomini a fare prevenzione. Ad esempio, dai dati dell’indagine “Aspetti della vita quotidiana” risulta che tra il 2019 e il 2021 la percentuale di donne che ha dichiarato di aver rinunciato a prestazioni sanitarie sia aumentata di 5 punti percentuali (dal 7,5% al 12,7%), per gli uomini tale aumento è stato invece di 4 punti percentuali (dal 5% al 9,2%).

Nel Nord la speranza di vita alla nascita è di 80,9 anni per gli uomini e di 85,2 per le donne; i primi recuperano circa un mese rispetto all’anno precedente al contrario delle donne che invece lo perdono. Il Trentino-Alto Adige è ancora la regione con la speranza di vita più alta sia tra gli uomini sia tra le donne, il Friuli-Venezia Giulia è invece la regione che ha registrato il maggior guadagno rispetto all’anno precedente, circa sei mesi per entrambi i sessi. Il Centro è l’unica area per cui si registrano incrementi di sopravvivenza in tutte le regioni, anche se lievi, rispetto al 2021: per gli uomini l’incremento è dello 0,2, mentre per le donne dello 0,1. La speranza di vita più alta tra gli uomini si annota in Toscana (81,3), per le donne nelle Marche (85,4).

Anche il Mezzogiorno nel complesso fa registrare gli stessi incrementi del Centro, ma al suo interno ha una situazione più eterogenea. Si passa da regioni come Molise (solo per gli uomini) e Puglia, dove i guadagni rispetto all’anno precedente sono intorno ai 6 mesi di vita, alla Sardegna, dove la forte mortalità ha fatto sì che si sia perso circa mezzo anno di vita per entrambi i sessi. Quest’ultima è la regione dove la quota di rinunce a prestazioni sanitarie è più elevata (nel 2021 era pari al 18,3% contro il dato nazionale dell’11%). La Campania, con valori della speranza di vita di 78,8 anni per gli uomini e di 83,1 per le donne, resta la regione dove si vive meno a lungo. La spiegazione di fondo, in conclusione, è che le variazioni congiunturali della speranza di vita che si stanno rilevando nell’ultimo triennio siano ancora fortemente correlate a quella che è stata l’evoluzione della pandemia dal 2020 in poi. I parziali recuperi di quanto perso nel periodo più critico (che è stato diverso da regione a regione) sono dipesi sia dall’efficienza del sistema sanitario, pesantemente sottoposto a pressione, sia dalla preoccupazione che psicologicamente può aver indotto le persone (soprattutto se donne e se fragili) ad avvalersi meno che in passato dei servizi medico-sanitari.

 

 

In Trentino-Alto Adige la fecondità più alta
La regione con la fecondità più alta è il Trentino-Alto Adige con un valore pari a 1,51 figli per donna. Le regioni a seguire, Sicilia e Campania, registrano valori molto più bassi, rispettivamente 1,35 e 1,33. In questo insieme di regioni le madri sono mediamente più giovani, con valori dell’età media al parto compresi tra il 31,4 della Sicilia e il 32,1 del Trentino-Alto Adige.
Regioni con fecondità decisamente contenuta sono il Molise e la Basilicata, con un valore di 1,09 figli per donna, ma su tutte spicca la Sardegna che, con un valore pari a 0,95, è per il terzo anno consecutivo l’unica regione con una fecondità al di sotto dell’unità.

Nel Mezzogiorno, che presenta un valore del tasso di fecondità totale di 1,26, solo Sicilia, Campania e Calabria hanno una fecondità al di sopra della media nazionale (rispettivamente 1,35, 1,33 e 1,28 figli per donna), è invece al di sotto nelle altre cinque regioni.
Viceversa, nel Nord, che registra la stessa fecondità del Mezzogiorno, solo Piemonte (1,22) e Liguria (1,20) presentano una fecondità al di sotto della media nazionale, nelle altre sei è invece maggiore di 1,24.

Nel Mezzogiorno si trovano le regioni con la più elevata età media al parto, Basilicata (33,2), Sardegna e Molise (32,9). Si tratta delle regioni con il più basso tasso di fecondità, la cui diminuzione è legata proprio alla continua posticipazione dell’esperienza della maternità che di fatto si tramuta sempre più in una definitiva rinuncia.
Scendendo a livello provinciale, il primato della fecondità più elevata spetta alla provincia di Bolzano/Bozen (1,65), seguita da Gorizia (1,45), Crotone (1,44), Ragusa (1,43), Palermo (1,42) e Catania (1,41). Il primato della fecondità più bassa spetta alle province sarde, con ben tre province su cinque, Cagliari, Sud Sardegna, Oristano, al di sotto di un figlio per donna (0,93 la prima, 0,90 le ultime due).

 

 

 

 

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