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GIOVANNI CESCHI (PRESIDENTE CONSIGLIO SISTEMA EDUCATIVO PAT) * DIDATTICA A DISTANZA: « SUPERA L’OSTACOLO TEMPORANEO FISICO, MA LA SCUOLA MANTENGA INALTERATA LA RELAZIONE PERSONALE »

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09.45 - domenica 26 luglio 2020

«Ducunt volentem fata, nolentem trahunt»: la proverbiale sinteticità dei Romani ci avverte che il destino guida chi lo asseconda, trascina invece – come un fiume rapinoso – chi gli si oppone. Orbene: se una qualità va riconosciuta ai fautori delle nuove tecnologie applicate alla scuola, è proprio quella d’aver imparato ad assecondare così bene il destino da dare addirittura l’impressione di anticiparlo. Nel caso della DaD, la didattica a distanza che ha surrogato l’insegnamento in presenza nei mesi della pandemia, quel motto latino non si è mai rivelato così profetico. Sembra che tale modalità di contatto con gli studenti, cui l’etichetta “didattica” è stata precocemente e generosamente applicata al primo manifestarsi dell’emergenza, abbia vestito i panni del destino. Ora, rientrata l’emergenza che ha imposto la DaD come unica alternativa al blocco completo della scuola, si è aperto il dibattito sulla sua applicabilità anche all’insegnamento del post-Covid.

Un dibattito surreale, per la verità, ove si consideri che le tecnologie informatiche sono impiegate a scuola già da decenni, e che l’unica differenza rispetto al pre-Covid è consistita nell’esclusività della relazione informatica, sincrona o asincrona, durante il lockdown: essa ha reso per alcuni provvidenziale la disponibiltà di tali strumenti, per altri aleatoria la loro applicazione senza protocolli didattici definiti prima dell’imporsi rapinoso, come il fiume del destino, di un’urgenza di utilizzo. Giovanni Pascuzzi, dalle colonne del quotidiano l’Adige, ha correttamente concentrato l’attenzione sulla necessità di evitare preclusioni ideologiche per una forma di relazione che ha tenuto acceso il lumicino della scuola e scongiurato settimane di buio totale.

Mi siano però consentite alcune osservazioni a chiosa, per verificare se quei ragionamenti siano pienamente applicabili al mondo della scuola. Anzitutto il rimando non proprio calzante a don Milani, se è vero che la preoccupazione del sacerdote era quella di non perdere ragazzi per strada, che a tutti cioè fossero offerte eguali possibilità; mentre la didattica a distanza – come svariati dirigenti, consigli d’istituto, collegi docenti e consulte dei genitori hanno rilevato – è per natura ben poco inclusiva, perché dipende dalle dotazioni informatiche, cioè dal livello socio-economico, di studenti e famiglie. Quindi: meglio di niente è anche qualcosa, ma parlare di “opportunità” per la didattica a distanza quando il lockdown è finito e l’unica opportunità davvero inclusiva è quella di tornare tutti in presenza appare vagamente paradossale.

Andrà poi osservato che università e scuola sono mondi assai distanti, per quanto riguarda la relazione educativa: una lezione accademica con 250 studenti può svolgersi indifferentemente in presenza o a distanza perché con quei numeri è comunque “cinema”, cioè performance fissa e fruizione unidirezionale, mentre la lezione a scuola dev’essere “teatro”, cioè performance sempre nuova e dialogo continuo con gli allievi. Altrimenti dovremmo ammettere, ancora non proprio in coerenza con don Milani, che di fronte alla modernità del medium la relazione tra studenti e insegnanti passi in secondo piano. Dato e non concesso che nel 2020 l’insegnamento a distanza possa essere ancora spacciato per innovativo.

A una lettura più attenta e calata nel reale, si dovrà osservare che se un’opportunità la pandemia ha offerto, è stata quella di farci meglio comprendere di che natura sia l’urgenza che preme oggi sul mondo della scuola: come osserva Marco Gui in un recente saggio, redatto in tempi pre-pandemici e quindi non sospetti, «l’urgenza che la digitalizzazione porta al mondo della scuola è quella di formare cittadini criticamente consapevoli di questo cambiamento, prima ancora che studenti che ricevono didattica attraverso le tecnologie. È ora di seguire un approccio diverso in cui, più che aspettarci dalla tecnologia un miglioramento della scuola, pensiamo a come quest’ultima debba preparare a un mondo pervaso da essa» (Il digitale a scuola, Il Mulino 2019, p. 55).

Parlando infine del rapporto tra innovazione e progresso, un suggestivo spunto di riflessione è offerto dal celebre passo del Fedro platonico che avverte sui “rischi” della scrittura e dal parallelo che viene istintivo stabilire con l’informatica. Perché un simile parallelo risulta così suggestivo? Perché ogni potenziale rivoluzione tecnologica è sempre avversata, all’inizio, dai difensori della tradizione, almeno quanto è esaltata dai fautori dell’innovazione. Poi è il tempo, galantuomo infallibile, a decidere. Già in passato ho suggerito qualche cautela nel decantare le sorti magnifiche e progressive dell’informatica, sovrapponendola alla rivoluzione della scrittura. Sia perché il gioco di specchi platonico è evidente (la critica della parola scritta nel Fedro ci giunge pur sempre per il tramite della scrittura) sia perché l’educazione, anche nel mondo digitale, sempre alla scrittura rimane affidata: a cambiare, da analogica a digitale, è la consistenza del segno grafico, non il suo supremo valore simbolico di trasmissione del sapere.

E tale riflessione ci riporta all’enorme differenza tra innovazione, che riguarda lo strumento, e progresso, che è proteso al fine dell’agire umano. La didattica a distanza potrà essere innovazione, in quanto aiuta a superare l’ostacolo temporaneo di un divario fisico incolmabile tra insegnante e allievi, ma non dovrà mai essere confusa con il progresso, almeno finché la scuola manterrà inalterate le sue caratteristiche di relazione personale e la società di cui è espressione considererà tale relazione importante al pari, se non più ancora, dei valori identitari che si propone di trasmettere. Ogni dubbio su tale distinzione è spazzato via da una semplice presa d’atto: tutti, ma proprio tutti coloro che hanno riflettuto su questa parentesi di scuola sospesa nell’etere ammettono che tornare in presenza – purché in piena sicurezza sanitaria – è una priorità assoluta. E poiché sapevamo già da qualche decennio che la formazione (non l’insegnamento, si badi) può anche essere impartita a distanza, ad esempio per corrispondenza, non si vede quale opportunità in positivo la pandemia abbia offerto, in termini d’innovazione e men che meno di progresso, al mondo della scuola.

 

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Giovanni Ceschi

Docente di Latino e Greco al Liceo “Prati”

Presidente del Consiglio del sistema educativo Provincia autonoma di Trento

 

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