Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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** Immagine creata da redazione Opinione tramite Intelligenza artificiale – Chat Gpt **
Nel Nord Italia il lavoro part-time ha prevalentemente il volto femminile: in Trentino per ogni uomo che lavora a tempo parziale ci sono ben 8 donne in condizioni simili. In Alto Adige e Veneto sono circa 7, mentre in Lombardia 6. Il 2 dell’Estonia e il 3 dei Paesi Bassi restano molto lontani per tutte. In Liguria, Piemonte e Lombardia la maggiore diffusione della trappola del part-time involontario, ma anche in Trentino, Emilia-Romagna e Veneto la quota è molto alta. Alto Adige quasi a livelli svedesi. In tutto il Nord oltre 520 milioni di ore lavorative perse ogni anno: un talento femminile sprecato che frena la crescita.
Nel 2023, il part-time in Italia ha ancora un volto prevalentemente femminile. Nelle regioni del Nord, per ogni uomo con un impiego a tempo parziale ci sono in media quasi 6 donne nella stessa condizione. Le disparità più elevate si registrano nel Trentino dove questo rapporto raggiunge 8,3 donne che lavorano in part-time per ogni uomo, seguito dall’Alto Adige (7) e dal Veneto (6,9). Anche altre regioni del Nord come Lombardia (6) e Valle d’Aosta (5,8) presentano divari significativi.
Le regioni settentrionali dell’Italia restano significativamente distanti dai modelli più virtuosi rappresentati dai paesi nordeuropei. L’Estonia, con sole 2 donne per ogni uomo in part-time, rappresenta il benchmark più virtuoso, seguita da Svezia (2,4) e Danimarca (2,5). Le regioni settentrionali presentano una notevole distanza: il Trentino dovrebbe ridurre il proprio divario di 6,3 punti per allinearsi all’Estonia, mentre l’Alto Adige e il Veneto dovrebbero diminuire rispettivamente di 5 e 4,9 punti. Il divario tra i modelli nordici e quelli italiani evidenzia quanto le nostre regioni debbano ancora progredire nelle politiche di equità di genere e conciliazione vita-lavoro per raggiungere standard europei più avanzati.
Ma siamo migliorati negli ultimi 10 anni? Alcune regioni hanno registrato timidi miglioramenti: l’Alto Adige ha visto una riduzione del divario da 8,7 a 7 donne per uomo (-1,7 punti), mentre il Friuli-Venezia Giulia ha ridotto il gap da 6,5 a 5,3 (-1,2). Tuttavia, in altre aree si è verificato un aumento del divario: il Trentino è passato da 6,9 a 8,3 (+1,4), la Liguria da 4,3 a 5,4 (+1,1) e la Lombardia ha registrato un incremento di un punto. Complessivamente, il Nord-ovest ha visto un aumento del part-time femminile, passando dal 4,8 al 5,5, con un incremento di 0,7 punti, mentre il Nord-est ha registrato un lieve aumento di 0,3 punti.
La realtà del part-time: troppo spesso non è una scelta
Il lavoro part-time può rappresentare un’opportunità importante per la conciliazione tra vita professionale e familiare, offrendo maggiore flessibilità a chi ha impegni domestici o familiari. Tuttavia, per molte donne il part-time diventa una trappola, soprattutto quando non è una scelta volontaria, ma una necessità imposta dalla mancanza di alternative a tempo pieno.
Il lavoro parziale si trasforma in una limitazione delle opportunità di carriera e di crescita professionale, con ricadute negative sul reddito e sulla realizzazione personale. Questo paradosso è particolarmente evidente nelle regioni del Nord Italia, dove le donne sono maggiormente penalizzate dal part-time involontario, il quale rende ancora più difficili l’indipendenza economica e l’accesso a posizioni più qualificate.
In Liguria si registra la percentuale più alta di part-time involontario1 femminile (16,8%),
con un divario di 12,3 punti percentuali rispetto agli uomini (4,5%). Situazioni simili si osservano in Piemonte (14,5% donne, 3,4% uomini) e nel Nord-ovest in generale (13,8% vs 3,4%), evidenziando come questo fenomeno colpisca in misura nettamente maggiore le donne in tutte le aree geografiche analizzate.
Spostandosi verso Nord-Est, la situazione si attenua progressivamente: Trentino (12,7% vs 2,6%), Veneto (11,9% vs 2,5%), fino all’Alto Adige con solo il 5,7%. Le regioni del Nord-est contano complessivamente un impiego del part-time involontario dell’11,7% per il genere femminile vs 2,8% del genere maschile.
I paesi europei inclusi nel confronto mostrano tassi di part-time involontario di gran lunga inferiori rispetto al Nord Italia. Estonia (2,5% donne, 1,5% uomini), Danimarca (2,4% donne, 1% uomini) e Germania (2,3% donne, 1% uomini) presentano non solo percentuali più basse in assoluto, ma anche divari di genere contenuti. Queste differenze potrebbero essere attribuite a fattori strutturali come politiche del lavoro più inclusive, un migliore accesso ai servizi per la conciliazione tra vita privata e lavoro e un mercato occupazionale più flessibile.
La distanza tra l’Italia e questi modelli virtuosi è considerevole: nelle regioni del Nord Italia con la situazione più critica (Liguria, Piemonte), il part-time involontario femminile è fino a 7 volte superiore rispetto ai paesi nordici. Anche l’Alto Adige, la realtà italiana più virtuosa, presenta valori più che doppi rispetto a Estonia e Danimarca, evidenziando la necessità di interventi strutturali per migliorare la qualità dell’occupazione femminile in Italia.
Chi perde tempo, perde talento: l’enorme spreco del part-time involontario femminile
Il part-time involontario determina una enorme quantità di ore di lavorative perse, con un impatto sproporzionato sulle donne.
Osservando questi dati, emerge chiaramente il grande spreco di capitale umano che affligge le regioni settentrionali. Si tratta di un potenziale produttivo inespresso, con conseguenze dirette sul PIL regionale e nazionale.
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In Lombardia, la regione più popolosa e produttiva d’Italia, si perdono quasi 194 milioni di ore lavorative femminili che potrebbero contribuire significativamente all’economia regionale.
• In Veneto e Piemonte, entrambe con oltre 86 milioni di ore femminili perse, si evidenzia come anche regioni considerate dinamiche soffrano di una sostanziale sottoutilizzazione del talento femminile.
• Complessivamente, il Nord Italia perde oltre 520 milioni di ore lavorative delle donne all’anno, contro 156 milioni per gli uomini.
Questo massiccio sottoutilizzo di risorse umane compromette l’attrattività economica delle regioni. Le aree che non riescono a offrire opportunità di lavoro a tempo pieno, soprattutto per le donne, perdono competitività, limitano la loro crescita potenziale e vedono emigrare talenti verso aree con migliori opportunità occupazionali.
Il part-time involontario non rappresenta solo una perdita di reddito, ma anche uno spreco di investimenti in formazione e capitale umano. Persone istruite costrette a lavorare meno ore di quanto desidererebbero non possono esprimere pienamente il loro potenziale, con ripercussioni sulla crescita professionale, sul reddito familiare e, in ultima analisi, sulla domanda interna.
Affrontare questo aspetto del divario di genere significherebbe liberare un enorme potenziale economico inespresso, migliorando non solo i tassi di occupazione formale, ma anche la qualità e l’intensità del lavoro. Politiche mirate a incentivare l’occupazione a tempo pieno, in particolare femminile, potrebbero trasformare queste ore perse in un motore di crescita economica per l’intero Paese.
Fonte: elaborazioni FNE su dati Eurostat e BES
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Questa nota è stata preparata da:
Alice Giacomelli, ricercatrice junior
Elisabetta Lamon, ricercatrice senior
Luca Paolazzi, direttore scientifico
Slavica Zec, ricercatrice senior