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ECONOMIA: BANKITALIA, INCONTRO CON VISCO SU SITUAZIONE FINANZIARIA DELL’ITALIA

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17.28 - martedì 11 aprile 2017

(Fonte: Banca d’Italia) – Incontro con il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco sulla situazione economica e finanziaria dell’Italia e sulle prospettive della governance economica dell’Unione europea.

 

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Intervento introduttivo

Signor Presidente, Onorevoli membri del Parlamento europeo,

Vorrei innanzitutto ringraziarvi per l’opportunità che mi viene data di illustrare le mie valutazioni su questioni attinenti ai miei compiti istituzionali. Mi soffermerò, in primo luogo, sul ruolo e sui limiti della politica monetaria nell’attuale fase ciclica dell’area dell’euro. Esaminerò, quindi, la situazione delle banche italiane nel quadro della graduale ripresa che oggi caratterizza l’economia del Paese.

Negli ultimi anni l’area dell’euro ha affrontato sfide ardue. I rischi al ribasso per la stabilità dei prezzi sono aumentati in maniera marcata dopo la metà del 2014; la possibilità di un disancoraggio delle aspettative di inflazione è divenuta concreta. In un contesto caratterizzato da alti livelli di debito pubblico e privato, l’attivazione di una spirale deflazionistica avrebbe esercitato gravi effetti depressivi sull’economia.

Ritengo che l’insieme delle misure monetarie adottate dal Consiglio direttivo della Bce abbia contrastato questi rischi in misura adeguata. I tassi di interesse ufficiali sono stati progressivamente ridotti; quelli sui depositi a brevissimo termine delle banche presso l’Eurosistema (deposit facility) sono stati portati su livelli negativi (l’elemento probabilmente meno “convenzionale” della nostra politica monetaria). Attraverso i programmi di acquisto di titoli, è stato immesso nell’economia un ammontare cospicuo di liquidità. Abbiamo infine condotto operazioni di rifinanziamento a condizioni premianti per gli intermediari che più accrescono il credito offerto a imprese e famiglie.

Nel complesso, queste misure hanno avuto e continuano ad avere effetti importanti. In loro assenza l’inflazione nell’area dell’euro sarebbe stata negativa nel 2015 e nel 2016; la crescita del prodotto sarebbe stata più debole. Secondo le stime della BCE, che condividiamo, nel triennio 2017-19 gli interventi di politica monetaria accresceranno il prodotto di oltre 1,5 punti percentuali.

Per l’Italia, nostre stime producono un risultato ancor più favorevole, dell’ordine di 2 punti percentuali. Le misure hanno fortemente ridotto la frammentazione finanziaria tra i paesi dell’area dell’euro, favorendo una trasmissione più omogenea dell’impulso monetario e, di conseguenza, un miglioramento delle condizioni di finanziamento dell’economia.

Sebbene i rischi di deflazione si siano sostanzialmente annullati, la dinamica dei prezzi nel complesso dell’area resta ancora moderata. L’aumento dell’inflazione registrato negli ultimi mesi è in larga parte riconducibile alle sue componenti più volatili, quali i prezzi dei beni energetici e alimentari. Al netto di queste componenti, l’inflazione rimane molto bassa, inferiore all’1 per cento, ed è prevista riportarsi solo gradualmente, di pari passo con il progressivo incremento della capacità produttiva utilizzata, su valori coerenti con la stabilità dei prezzi.

Per questa ragione è estremamente importante che il Consiglio direttivo preservi condizioni di finanziamento molto favorevoli, tali da assicurare una convergenza dell’inflazione verso il nostro obiettivo di stabilità dei prezzi, ampiamente condivisa nel complesso dell’area e destinata a durare. Il programma di acquisto di titoli, che si è deciso di proseguire almeno fino alla fine del prossimo dicembre, il basso livello dei tassi ufficiali e le indicazioni prospettiche sul futuro della politica monetaria (forward guidance) costituiscono un pacchetto coerente di misure. Una sua revisione non è al momento giustificata. Prima di modificare uno qualunque degli elementi che concorrono a determinare l’attuale orientamento della politica monetaria, dovremo essere sicuri che si sia avviato un deciso miglioramento dell’attività economica e dell’evoluzione dei prezzi, in grado di alimentarsi autonomamente.

Al momento non osserviamo segnali che suggeriscano che queste condizioni di forte accomodamento monetario stiano causando squilibri generalizzati. L’impatto delle misure di politica monetaria sui profitti delle banche è stato nel complesso contenuto. Eventuali minacce per la stabilità finanziaria potranno essere contrastate con il ricorso ad appropriate misure di natura macro-prudenziale, volte a limitare l’accumulazione di rischi sistemici e a regolare il ciclo finanziario in particolari settori o aree geografiche.

La politica monetaria è riuscita a scongiurare il rischio di una trappola deflattiva ma non può, da sola, garantire una durevole ripresa economica. Tutte le politiche economiche devono concorrere a questo obiettivo. Al sostegno della domanda aggregata devono contribuire misure di bilancio coerenti con le condizioni cicliche e con la posizione patrimoniale di ciascun paese. Inoltre, perché si possa determinare un innalzamento del potenziale di crescita sostenibile nel tempo, non si può prescindere da interventi di riforma volti a promuovere l’innovazione e innalzare la qualità del capitale uma.

La stessa entità e la natura diffusa delle sfide e dei cambiamenti che abbiamo di fronte – il progresso tecnologico, la globalizzazione, l’invecchiamento della popolazione, i flussi migratori – richiedono una strategia veramente comune che vada oltre gli interventi di emergenza. È illusorio credere di poter governare l’economia e la finanza, le cui dimensioni globali sono manifeste, nel ristretto ambito dei singoli paesi europei. Purtroppo una tale strategia comune sembra mancare.

Nel corso della crisi, le misure adottate per affrontare l’emergenza sono state progressivamente affiancate da un’azione di riforma della governance economica dell’Unione europea, in particolare nell’area dell’euro. Questa azione ha preso il via con interventi sulle regole comuni per la finanza pubblica e per la sorveglianza macroeconomica; si è poi estesa ad altri ambiti, segnando passi importanti verso una maggiore integrazione economica: il Meccanismo europeo di stabilità e l’unione bancaria sono gli esempi più rilevanti. Ma le riforme hanno progressivamente perso slancio.

Oggi, l’unione bancaria – il cui primo pilastro, il Meccanismo di vigilanza unico, è stato reso operativo in tempi estremamente brevi e in circostanze difficili – rimane incompleta. L’unione dei mercati dei capitali è un’iniziativa di assoluto rilievo ma resta in una fase molto preliminare. Nonostante l’impegno di molti, anche tra i membri di questo Parlamento, non sono stati compiuti progressi verso un’unione di bilancio. L’eredità della crisi ha fatto riemergere timori e pregiudizi che credevamo sepolti. La diffidenza porta al disaccordo; la ricerca esasperata di garanzie reciproche, lo sguardo volto esclusivamente ai vantaggi di breve periodo ostacolano l’adozione delle misure necessarie. Andare avanti sulla base di compromessi successivi sta diventando sempre più difficile. Sono convinto che il completamento dell’unione economica e monetaria si possa compiere solo con lo sviluppo di istituzioni designate a gestire la sovranità comune.

La crisi del debito sovrano è stata anche una crisi di fiducia: i differenziali di rendimento tra i titoli sovrani dell’area sono cresciuti tra i timori di reversibilità della moneta unica e la percezione di un rischio di ridenominazione. A quest’ultimo sono riconducibili circa i due terzi dell’aumento dello spread tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi nel momento più acuto della crisi dei debiti sovrani, nel 2011.

Oggi possiamo dire che l’Italia sta uscendo dalla peggiore crisi economica della sua storia. Dal 2008 al 2013, a seguito di una doppia recessione, il PIL è diminuito di quasi 10 punti percentuali; la produzione industriale di circa un quarto; gli investimenti del 30 per cento; i consumi dell’8 per cento.

La correzione di bilancio avviata nel momento più acuto della crisi, anche se pro-ciclica, era necessaria per riconquistare la fiducia dei mercati e per convincere i nostri partner della determinazione del Paese a correggere i suoi squilibri. Il saldo di bilancio primario è tornato in avanzo già nel 2011 e l’indebitamento netto è stato riportato al di sotto della soglia del 3 per cento del prodotto l’anno successivo. Il controllo della spesa corrente primaria ha svolto un ruolo importante: dal 2010 la crescita delle erogazioni è stata modesta in termini nominali, dell’ordine dell’1 per cento, contro una media di oltre il 4 per cento nei dieci anni precedenti.

Le tensioni sul mercato dei titoli sovrani si sono gradualmente estese alle banche, compromettendone la capacità di accedere al mercato internazionale dei capitali. Ne è seguita una stretta creditizia che si è sommata all’impulso restrittivo esercitato dalla necessaria correzione del bilancio pubblico. Nessuna compensazione è venuta da un’accelerazione della domanda estera, né dal resto dell’area dell’euro, né da altre economie. Nel complesso le politiche di bilancio dei paesi dell’area hanno assunto un’intonazione restrittiva. Solo la politica monetaria ha risposto, contrastando la frammentazione dei mercati e scongiurando il rischio di un vero e proprio tracollo finanziario.

Nel tempo, una crisi economica di queste proporzioni non poteva non colpire le banche italiane. Fino al 2012 il deterioramento della qualità dei prestiti era stato graduale e nel complesso gestibile. Ancora nel 2013 il Fondo monetario internazionale dava atto della capacità dimostrata dal sistema bancario italiano di contenere gli effetti della crisi e assicurare un’adeguata patrimonializzazione attraverso il ricorso al mercato. Successivamente, col perdurare della crisi ben oltre le previsioni della maggior parte degli analisti e delle istituzioni nazionali e internazionali, il diffondersi dei fallimenti d’impresa e la perdita di posti di lavoro hanno ulteriormente alimentato la crescita dei prestiti deteriorati. Nostre stime indicano che in assenza della doppia recessione l’ammontare lordo delle sofferenze nei confronti delle imprese sarebbe inferiore di circa due terzi rispetto a quello attuale.

In diversi casi, all’origine delle difficoltà delle banche abbiamo anche riscontrato decisioni aziendali viziate da comportamenti fraudolenti e scelte imprudenti nell’allocazione del credito. Si è trattato di una combinazione di fattori potenzialmente devastante. Nel complesso, tuttavia, i danni al sistema bancario si sono concentrati in pochi, ben identificati, intermediari, che sono stati – e sono tuttora – oggetto di un’azione di vigilanza intensa.

Molte fonti di rischio sono state rimosse o attenuate. Nella soluzione dei casi più critici il ruolo delle istituzioni europee continua a essere fondamentale. La consistenza dei prestiti deteriorati si sta gradualmente ma costantemente riducendo; la ripresa economica accelererà questa tendenza, anche grazie alle modifiche introdotte a livello legislativo e gestionale che sono in grado di velocizzare il processo di recupero dei crediti.

L’elevato ammontare di esposizioni deteriorate richiede una gestione accorta. La reale portata del fenomeno, tuttavia, va valutata sulla base di un’attenta considerazione delle specifiche condizioni di ciascuna banca.

Alla fine dello scorso anno le sofferenze e gli altri prestiti deteriorati iscritti nei bilanci delle banche italiane ammontavano a 173 miliardi al netto delle rettifiche di valore, il 9,4 per cento del complesso dei prestiti. Al lordo delle rettifiche i prestiti deteriorati erano pari a 349 miliardi, un ammontare che si riferisce al valore nominale delle esposizioni e, di conseguenza, non è rappresentativo del peso effettivo di questi attivi nei bilanci bancari. Dei 173 miliardi di prestiti deteriorati netti, 92 riguardavano situazioni in cui è possibile il ritorno alla regolarità dei pagamenti, soprattutto nel caso in cui la ripresa economica si rafforzi. Le sofferenze nette, ovvero le esposizioni nei confronti di debitori insolventi, ammontavano a 81 miliardi, il 4,4 per cento dei prestiti totali.

La maggior parte delle sofferenze è detenuta da banche le cui condizioni finanziarie non richiedono di cederle immediatamente sul mercato. Buone prassi di gestione delle esposizioni deteriorate combinano il miglioramento dei processi interni, la scelta di opportune strutture di incentivi e organizzative, il superamento dei problemi connessi con l’inadeguatezza dei sistemi informativi, le migliori decisioni circa la vendita diretta degli attivi sul mercato o l’esternalizzazione delle connesse attività di gestione a operatori specializzati.

Degli 81 miliardi di sofferenze nette complessive, solo circa 20 sono detenuti da banche, significative e meno significative che stanno attualmente sperimentando situazioni di difficoltà. In media il valore di bilancio delle sofferenze è pari al 40 per cento circa di quello lordo, una quota all’incirca doppia rispetto ai bassi prezzi di acquisto offerti al momento dagli operatori di mercato specializzati. Sulla base di tali prezzi le rettifiche di valore aggiuntive che queste banche potrebbero dover registrare possono essere stimate in circa 10 miliardi. Questo ammontare è significativamente inferiore ai 20 miliardi stanziati dal Governo italiano lo scorso dicembre al fine di prestare sostegno finanziario alle banche in difficoltà. Occorre tenere conto, inoltre, del fatto che l’uso dei fondi pubblici deve essere accompagnato da misure di burden sharing.

I prestiti deteriorati sono un’eredità del passato. Un’ulteriore, e più importante, sfida per il complesso delle banche europee riguarda il presente e il futuro, e ha a che fare con lo sviluppo tecnologico e la struttura dei mercati. Le tendenze in atto stanno comprimendo la redditività; va quindi rivisto il modello di operatività delle banche. La configurazione della rete di dipendenze, i servizi offerti, il ricorso alla tecnologia vanno ripensati con spirito innovativo. Tutto ciò è essenziale per le banche italiane, se vogliono competere efficacemente e rafforzare la loro stabilità.

Le prospettive dell’economia italiana sono andate migliorando, gradualmente ma costantemente, negli ultimi tre anni; la ripresa in corso, pur moderata, testimonia l’efficacia delle politiche messe in atto, ma indica altresì la necessità di interventi ulteriori. Nei primi mesi di quest’anno la produzione di beni e servizi ha continuato ad aumentare, anche se il ritmo della ripresa è lento, inferiore a quello delle altre maggiori economie dell’area dell’euro. La domanda interna sta beneficiando di condizioni monetarie e finanziarie favorevoli, come pure di una politica di bilancio moderatamente espansiva; prosegue il miglioramento del mercato del lavoro; la fiducia delle imprese è in aumento. Il credito bancario continua a espandersi, anche se le condizioni applicate alle imprese restano eterogenee.

Le nostre previsioni più recenti indicano un ulteriore moderato rafforzamento della crescita del prodotto. Come per il complesso dell’area, le prospettive dell’economia italiana sono tuttavia soggette a rischi, legati soprattutto a fattori geopolitici globali. Gli indicatori relativi all’incertezza sulle politiche economiche mostrano che essa è oggi molto elevata a livello nazionale e nell’area dell’euro, come al di fuori dell’Europa. Da diversi anni ormai l’Italia ha intrapreso un complesso percorso di riforma. I cambiamenti hanno iniziato a dare i loro frutti. L’impegno per modernizzare il Paese deve proseguire.

 

 

 

In allegato il documento contenuto nel comunicato stampa:

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