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DEGASPERI (ONDA CIVICA) * APSS TRENTINO: « CONDANNATA PER MOBBING DA CORTE DI APPELLO PER I COMPORTAMENTI DI UN DIRETTORE DELL’OSPEDALE S. CHIARA, QUALI PROVVEDIMENTI SONO STATI ASSUNTI? »

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13.33 - mercoledì 27 ottobre 2021

In Trentino esiste una patologia oculare chiamata «cecità selettiva», ovvero una malattia particolare che affligge i vertici di APSS e consente di non vedere ciò che non si vuol vedere, e di vedere solo ciò che si vuol vedere? La risposta alla domanda parrebbe essere affermativa, specie dopo che si è venuti a conoscenza, grazie ad una sentenza della Corte di Appello di Trento, che APSS è stata condannata a risarcire i danni per condotte vessatorie ai danni di un’anestesista.

Ma chi ha messo in atto condotte vessatorie nei riguardi di una sottoposta, una dottoressa anestesista? Il direttore di una Unità Operativa di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale Santa Chiara di Trento. Leggendo la sentenza della Corte di Appello di Trento, che è la numero 5/2020, abbiamo «scoperto» parole durissime volte a censurare le condotte vessatorie, tutte accertate dal Tribunale di Trento e riportate nelle motivazioni, per condannare l’operato dell’APSS.

Si parla apertamente di «trasferimenti tra reparti senza consenso», di ripercussioni negative in seguito alla richiesta di fruire di congedi parentali con imposizione di rinunce e ritorsioni, discriminazioni relative ai compensi di risultato con valutazioni negative espresse dal Direttore di Unità Operativa a fronte di carichi di lavoro insostenibili e molto altro ancora. Si parla, e si condanna, per «mobbing». La sentenza statuisce infatti che quelli sopra citati sono «i fatti essenziali» ed individua apertamente il Direttore dell’U.O. di Anestesia e Rianimazione del S. Chiara, XX, quale «autore e punto di riferimento per le condotte di cui si discute».

Condotte «aventi tutte idoneità lesiva, tutte volontarie e tutte coerenti con un intento vessatorio». Sempre la sentenza stabilisce che «l’intensità della condotta [del primario] era diretta a liberarsi della dottoressa, intesa come problema per la sua situazione familiare» (aveva avuto l’ardire di avere ben tre figli!), ed aggiunge che è impossibile pensare che la Direzione dell’Ospedale S. Chiara, cioè il dott. Mario Grattarola, e i vertici dell’Azienda (all’epoca dei fatti si parla dei dottori Bordon e Dario), non fossero a conoscenza della situazione. Ed è pacifico che, come peraltro parrebbe essere accaduto nel caso di Sara Pedri, mai hanno agito al fine di modificare questa condotta.

La Corte di Appello conclude che «l’elemento intenzionale è evidente, trattandosi di condotte tutte volontarie, di cui era palese l’idoneità a creare una situazione di sofferenza psicologica nella dottoressa che le subiva», e che «le condotte del primario sono state poste in essere deliberatamente e nella consapevolezza della loro idoneità lesiva dell’integrità psichica».

Risultato: APSS è stata condannata per «mobbing» e deve risarcire il danno alla dottoressa. La APSS ha dovuto sopportare un consistente onere risarcitorio e di indennizzo in maniera diretta nonostante il nome del Direttore dell’U.O. di Anestesia e Rianimazione del S. Chiara ricorra citato direttamente almeno dodici volte nella sentenza.

Quali conseguenze ha portato tutto ciò nella gestione da parte degli ex-vertici aziendali, ovvero da parte del Direttore Generale Paolo Bordon, del Direttore Sanitario Claudio Dario, del Direttore del Sop Giovanni Maria Guarrera, del Direttore del S. Chiara Mario Grattarola, del Direttore del Personale, Federici? Non risultano allo scrivente consigliere iniziative di censura nei confronti del Direttore di Anestesia e Rianimazione né denunce alla Corte dei Conti a suo carico. Perché?

Le mancate verifiche, a differenza di quanto fatto nel caso riguardante il direttore di ginecologia del S. Chiara, XX e della XX (i quali hanno concesso l’onore al Trentino di finire e restare tutt’oggi sulle prime pagine di tutti i più importanti quotidiani e trasmissioni di inchiesta della TV nazionale per presunte vessazioni e maltrattamenti a carico di plurimi collaboratori), hanno creato un ulteriore caso clamoroso, forse anche unico in Italia: infatti, il 30 aprile 2021 il XX si è visto assegnare l’onorificenza di Cavaliere dell’Ordine al Merito della Repubblica.

Al Presidente della Repubblica qualcuno aveva mai parlato della sentenza numero 5/2020?
Noi crediamo di no e perciò vorremmo sapere chi ha perorato la causa del XX.
Non sono note iniziative di verifica neanche da parte degli altri preposti di APSS alla gestione delle «risorse umane», ovvero il dott. Gabardi, la dottoressa Magnoni, il dott. Gherardini.
Che il focolaio di «cecità selettiva» si sia esteso fino ai loro uffici?
Da questa sentenza parrebbe di capire che i casi di mobbing, presunto od accertato, in APSS siano molti di più di quello, per nulla isolato, che riguarda i dottori XX e XX.
E pensare che, nel caso dei due vertici di Ginecologia del S. Chiara, in maniera che oggi suona quasi beffarda, il dott. Bordon ha dichiarato alla stampa che «Non c’erano elementi di questa “presunta” gravità» a loro carico.
Banale evidenziare che, se i controlli non si fanno, gli «elementi» non si trovano e, grazie alla «cecità selettiva», non si vedono. «Ne avevamo parlato anche con l’allora direttore sanitario ospedaliero provinciale Claudio Dario e con il direttore del Sop Giovanni Maria Guarrera», ha confermato alla stampa l’ex-dg di Trento e oggi dg di Bologna Bordon per il caso XX- XX ma inutilmente, a quanto pare, visti i risultati.

 

Tutto ciò premesso si interroga il Presidente della Provincia per conoscere

  1. quali provvedimenti siano stati assunti da APSS nei confronti del XX;
  2. se i responsabili della gestione delle «risorse umane» di APSS, il DG, il DS, il Direttore del Sop, il Direttore del S. Chiara fossero e siano informati del caso conclusosi con la condanna, in Corte di Appello, a carico di APSS, e quali verifiche abbiano singolarmente avviato e con quali esiti;
  1. preso atto della pronuncia della Corte di Appello, quali provvedimenti sanzionatori siano stati irrogati e nei confronti di chi, anche per pervenire al recupero delle somme che APSS ha dovuto versare alla professionista «mobbizzata», certamente un palese danno erariale;
  2. a quanto ammontino, nel dettaglio, il risarcimento danni e le spese legali sopportate da APSS per la vicenda ricostruita in premessa;
  3. se tale condanna non implichi automaticamente una denuncia alla Corte dei Conti con richiesta di rivalsa sul professionista che ha messo in atto le condotte di «mobbing» dato che, come è attestato dalla sentenza 5/2020, i fatti per i quali è stata causa sono stati riconosciuti contenere «l’elemento intenzionale, trattandosi di condotte tutte volontarie», cioè di natura dolosa e non colposa.

A norma di regolamento si richiede risposta scritta.

Cons. prov. Filippo Degasperi

 

 

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