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COPPOLA (EUROPA VERDE) – MOZIONE * TRANSIZIONE ECOLOGICA: « NO ALL’INSERIMENTO DI NUCLEARE E GAS NELLA “TASSONOMIA VERDE” DELL’UNIONE EUROPEA »

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17.05 - lunedì 17 gennaio 2022

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota inviata all’Agenzia Opinione) –

Il nucleare sta bussando di nuovo alle nostre porte: Cingolani, Salvini, la tassonomia dell’Unione Europea, stanno riportando in auge il tema, considerandolo come una reale possibilità per la transizione ecologica.

L’Italia ha già detto NO al nucleare in varie occasioni, con due referendum. Europa Verde si oppone a questa tecnologia dispendiosa e altamente rischiosa. Basta ricordare Chernobyl e Fukushima.

Ma non solo: anche il gas sta recuperando terreno, considerato addirittura un’ottima strategia per l’indipendenza energetica, riattivando le trivelle nel nostro Paese.

Tramite questa mozione si vuole lanciare un segnale forte per opporsi a queste strategie di greenwashing, riaffermando l’importanza di una riconversione energetica veramente sostenibile e sicura, che punti alle rinnovabili e all’efficienza energetica.

 

 

*
Premesso che:
La proposta della Commissione UE di inserire il nucleare e il gas nella “tassonomia verde”, cioè concedere l’accesso ai finanziamenti al Recovery fund a queste due fonti e tecnologie energetiche, ha suscitato la viva opposizione del movimento ambientalista in Europa, e molta perplessità in Italia anche da parte di esponenti politici del centro sinistra. È del tutto evidente l’interesse della Francia, che per molti mesi ha premuto sulla Commissione UE, a far pagare ai cittadini della UE il fallimento dell’industria di Stato per il nucleare, Areva, e i colossali costi per il decommissioning di buona parte del surdimensionato piano elettronucleare francese, nonché, caricare sempre a spese della UE, quindi anche nostre, la “force de frappe”, cioè il possesso nazionale, in nome della grandeur de France, indipendente dalla NATO, dell’armamento atomico;

Unire nella proposta il gas al nucleare è una captatio benevolentiae rivolta alla Germania, che chiude il nucleare entro l’anno in corso e ha ancora una larga produzione elettrica a carbone. Una transizione energetica nella quale il gas sostituisca il carbone ha pertanto elementi di ragionevolezza, tanto più che il metanodotto North Stream 2 fornirà gas direttamente dal Mar Baltico bypassando Ucraina, Bielorussia e i loro ricatti;

Ciononostante, non è affatto scontato che il nuovo governo tedesco ceda a quella strumentale proposta, ora avanzata anche della Commissione UE. L’impegno della transizione energetica della Germania si misura sugli ambiziosi obiettivi al 2030: 65% di riduzione dei gas climalteranti, anticipo dal 2038 al 2030 della fuoriuscita dal carbone, 200 GW di solare;

Lo scontro istituzionale contro la proposta della Commissione UE, già in corso, si aprirà formalmente nel Parlamento UE sugli atti delegati per l’inserimento di nucleare e gas nella “tassonomia verde”, trasmessi dalla Commissione. Una grande battaglia sulla vicenda più importante dei prossimi anni, perché è la cartina al tornasole se si intende dare fattuale seguito agli impegni presi nel G20 e confermati nella COP 26 a Glasgow, in linea con gli INDC dell’Accordo di Parigi, o se si tratta del “blabla” contestato dai giovani di Fridays For Future. Un “blabla” che confermerebbe, ancora una volta, l’inadeguatezza della politica a far fronte alle conseguenze del cambiamento climatico, di anno in anno più drammatiche in termini ambientali, di enormi costi economici e di vite umane;

Il Parlamento UE non è una “cupola” avulsa dai cittadini, in esso sono rappresentati gli elettori dei 28 Stati aderenti alla UE ed è la più alta forma di democrazia che, carente quanto si voglia ma con grande e decennale fatica, l’Europa è riuscita a darsi;

Spetta ai cittadini europei far sentire la loro voce ai loro rappresentanti nel Parlamento, anche tramite la ricchezza delle sedi istituzionali caratteristica di Stati come l’Italia. Da qui l’utilità, ma anche la necessità per la gravità delle decisioni, che la voce dei cittadini … trovi espressione nella loro più diretta rappresentanza politico-amministrativa: il Consiglio comunale.

Considerato che:

per l’opposizione all’inserimento del nucleare nella tassonomia verde, valgono motivi generali, che possono essere declinati in particolare per l’Italia e per un suo assai improbabile ritorno al nucleare. Infatti, anche mettendo da parte:

– la sua inattualità, avanzata perfino dall’AD dell’Enel, Starace;

– il rischio ambientale e radioattivo;

– la sua incapacità di fornire un contributo significativo contro il global warming:

sia a livello mondiale,
sia per il percorso “Net Zero 2050”,
sia per l’Italia, che è priva di centrali nucleari e non sarebbe in grado di realizzarne una operativa entro il 2030, come insegna il clamoroso fallimento a Flamanville (Francia) e Olkiluoto (Finlandia) del reattore di costruzione francese EPR, in ritardo, rispettivamente, di 10 e 12 anni e con un costo che è aumentato più di sei volte, da 3,2 miliardi di euro a 19,1 (Flamanville); o, come si registra, sempre per i costi, nell’accordo EDF e Governo inglese per l’EPR di Hinkley point, dove un contratto garantisce per 35 anni un prezzo per MWh prodotto (113 $) dieci volte superiore a quello del solare fotovoltaico;

– il fatto che il “popolo sovrano” si è pronunciato contro il nucleare con ben due referendum, nel 1987 e nel 2011, in quest’ultimo caso proprio contro l’ipotesi concreta del pacchetto di quattro reattori EPR (vedi punto precedente) dell’accordo Berlusconi-Sarkozy;

– il fatto che, già dichiarato da Forbes nel 1986 il maggior fallimento industriale degli Usa, è oggi un’industria agonizzante a livello mondiale, con le performance di costi in Europa sopra riportati;

– il fatto che i nostri due Nobel per la Fisica si sono pronunciati, Rubbia nel 2007 e Parisi poche settimane fa, contro i progetti nucleari perché, si parli di reattori di generazione III+, di generazione IV o di Smr, i principi di funzionamento sono da oltre sessant’anni sempre gli stessi – “il nucleare è più vecchio dei transistor”, ironizza Parisi – e alcuni miglioramenti apportati sono puramente ingegneristici, non in grado cioè di risolvere i problemi della contaminazione radioattiva durante il normale funzionamento, delle scorie legate all’esercizio e allo smantellamento dell’impianto a fine vita e della sicurezza. La “sicurezza intrinseca”, protagonista dei dibattiti del referendum 2011, è rimasta un progetto, avanzato da oltre trent’anni e rimasto oggetto al più di qualche simulazione e di articoli scientifici;

il Governo italiano ha già messo in conto circa quattro miliardi di euro per limitare il vertiginoso aumento delle bollette energetiche. Che cosa diventerebbero queste bollette se ai costi miliardari del decommissioning del modestissimo parco nucleare italiano si dovessero aggiungere quelli di una nuova sperimentazione nucleare? Un’industria che in tutto il mondo riesce a realizzare impianti solo col finanziamento pubblico, cioè a carico delle bollette, o, in mancanza di questo, arriva sull’orlo del fallimento, come la Westinghouse per la cancellazione nel 2017 del suo AP-1000, reattore anch’esso di terza generazione avanzata (III+) come l’EPR, e la crescita dei costi per l’impianto di “Vogtle”.

Per l’opposizione a nuovi investimenti nel gas, inevitabile conseguenza della sua introduzione nella “tassonomia verde” della UE, c’è da rilevare che:

è un indirizzo mondiale quello di ritenere nuove risorse finanziarie su Oil & Gas incompatibili con i percorsi di neutralità climatica al 2050, come ha rilevato mesi fa la stessa IEA, l’Agenzia dell’Energia dei Paesi OCSE e come, già nel 2020, ha sancito il ritiro di ben 87 miliardi di dollari da quel mercato da parte delle maggiori compagnie mondiali;

protrarre la transizione a gas con nuovi investimenti sarebbe la negazione di fatto degli obiettivi di una transizione energetica confrontabile, ad esempio, con quella tedesca, che ci deve riguardare sia nell’ambito di un efficace lotta al global warming, sia per la realizzazione di nuove tecnologie e nuova occupazione, sia per la competizione sul mercato;
al contrario della Germania, l’Italia ha promosso da oltre trent’anni una transizione a gas, avendo chiuso il nucleare nel 1990 e fermato il ricorso al carbone al livello di 40 anni fa (circa 10 Mtep);
in direzione contrapposta agli obiettivi UE 2030 si muove invece l’ENI, che ha favorito la “distrazione di massa” operata con il chiacchiericcio sul nucleare e che ha un obiettivo di riduzione del 25% dei gas climalteranti, contro il 55% sancito da tutti gli organi della UE, ultimo il Consiglio d’Europa a dicembre 2020; che si dà un obiettivo di 15 GW di fonti rinnovabili, sempre al 2030, a fronte delle sue concorrenti, Total con 100 GW e BP con 50 GW;

che la caparbia volontà dell’Eni di mantenere invariati i suoi assetti negli idrocarburi, ora e sempre, a danno della salute degli italiani, della riuscita dello stesso PNRR e, in ultimo, della sua stessa competitività, è stata espressa al massimo nel ripresentare il progetto Carbon Capture and Storage (CCS) da realizzare a Ravenna – come bandiera del voler restare nel metano anche per produrre idrogeno – per accedere: a un finanziamento UE a disposizione della Regione Emilia-Romagna; direttamente a un finanziamento tra i sette resi disponibili dalla UE e, infine, a un finanziamento nel Bilancio dello Stato italiano. Tutti e tre i tentativi sono stati respinti, nella successione indicata, con l’umiliazione, nel caso UE, dell’essere stato negato l’accesso anche ai 15 finanziamenti sovvenzionati dalla BCE;

che contro il gas e gli sforzi impiegati per far restare l’Italia nell’era dei fossili ha avuto luogo in tutti questi mesi una mobilitazione, partita da vari Atenei e dai luoghi storici di questa battaglia – Ravenna, Civitavecchia, la Val d’Agri –, alla quale, pur nell’assenza non casuale nella grande stampa, va attribuita una parte significativa nel respingimento delle pretese dell’Eni e che, lungi dal desistere, accompagnerà il dibattito di merito nel Parlamento UE;

che l’aumento del 470% del gas – il principale responsabile dell’aumento delle bollette e, peggio, dell’inflazione e del carovita che sta colpendo il Paese – configura rilevanti profitti per l’Eni, ma non per il popolo italiano, mentre incoraggia l’Ente pubblico a una rendita di posizione in contrasto col ruolo attivo che, anche per la sua diffusione sul territorio, dovrebbe invece svolgere per l’attuazione del PNRR;

 

il Consiglio della Provincia autonoma di Trento impegna la Giunta provinciale a

chiedere AL GOVERNO ITALIANO per i motivi sopra riportati:

di opporsi all’inserimento di nucleare e gas nella “tassonomia verde” della UE;

di orientare in rigorosa conseguenza le scelte del PNRR, in particolare impegnandosi perché gli obiettivi energia/clima al 2030 del PNIEC vengano al più presto rivisti e adeguati a quelli UE, siano ben definiti, anche in termini numerici, in un attendibile rapporto con quelli che si è dato il Governo tedesco;

di scoraggiare energicamente ogni nuovo investimento sul gas, dalle trasformazioni delle centrali a carbone al riconoscimento del capacity market;

che assuma come “linea del Piave climatica” la realizzazione del 40% degli obiettivi energia/clima entro il 2025, come raccomandato da Next Generation EU;

che imponga una forte modifica alle attuali strategie dell’Eni, che è un Ente pubblico di cui è anche in parte proprietario, con una rinuncia a nuovi investimenti sugli idrocarburi, a partire dal CCS di Ravenna; e affinché, coerentemente con un’efficace transizione ecologica, riveda significativamente verso l’alto i suoi obiettivi di riduzione dei gas climalteranti e di produzione di energie rinnovabili;

di conferire al PNRR un carattere di ampio coinvolgimento dei territori, attraverso in particolare Regioni e Province, come anche della ricerca che in essi si svolge ad opera di Università, Laboratori e articolazioni di Centri ed Enti nazionali.

 

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Cons. Lucia Coppola

consigliera provinciale/regionale – Gruppo Misto/Europa Verde

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