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CGIA MESTRE * INFLAZIONE – DEPOSITI: « NEL 2022-2023 RISPARMI GIÙ PER 164 MLD (-6.338 EURO A FAMIGLIA) / PRIMA BOLZANO (PRELIEVO MEDIO 10.542) / SECONDA MILANO (8.500) / TERZA TRENTO (8.461) »

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10.18 - sabato 25 febbraio 2023

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota inviata all’Agenzia Opinione) –

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CAUSA INFLAZIONE, NEL 2022-2023 RISPARMI GIU’ DI 164 MILIARDI PARI A -6.338 EURO A FAMIGLIA.

 

In questi due anni di inflazione record, i depositi delle famiglie italiane patiranno una “sforbiciata” da 163,8 miliardi di euro. Come si è giunti a questo risultato? In primo luogo, l’Ufficio studi della CGIA ha ipotizzato che i 1.152 miliardi di euro1 presenti nei conti correnti bancari non abbiano registrato alcuna variazione nell’arco temporale preso in considerazione. In secondo luogo, dopo aver stimato che nel biennio 2022-2023 l’inflazione crescerà di quasi il 15 per cento (+8,1 l’anno scorso e +6,1 quest’anno), ha calcolato la perdita di potere d’acquisto dei nostri risparmi. L’esito emerso da questa elaborazione è “spaventoso”: praticamente ci troviamo di fronte a una patrimoniale da quasi 164 miliardi di euro che a ogni singolo nucleo familiare “costerà” mediamente 6.338 euro.

Bolzano, Milano, Trento, Lecco e Treviso le province più penalizzate. A livello territoriale, nel biennio 2022-2023 il costo più salato lo soffriranno le famiglie delle regioni più ricche: in Trentino Alto Adige la perdita di potere di acquisto medio sarà pari a 9.471 euro, in Lombardia di 7.533, in Emilia Romagna di 7.261 e in Veneto di 7.253 (vedi Tab.1). A livello provinciale, invece, la “patrimoniale” colpirà, in particolar modo, le famiglie residenti a Bolzano, che subiranno un prelievo medio di 10.542 euro. Seguono Milano con 8.500, Trento con 8.461, Lecco con 8.201 e Treviso con 7.948. Le famiglie meno “colpite”, invece, saranno quelle ubicate in provincia di Siracusa con 3.842 euro, Trapani con 3.595 e Crotone con 3.130 (vedi Tab. 2).

La patrimoniale di Amato ci costò 31 volte meno. A distanza di oltre 30 anni, molti ricordano ancora con grande sdegno il prelievo straordinario del 6 per mille applicato dall’allora Governo Amato sui conti correnti degli italiani. Nella notte tra il 9 e il 10 luglio del 1992, infatti, quella misura costò alle famiglie italiane 5.250 miliardi di lire, ovvero 2,7 miliardi di euro. Attualizzando questo importo, il prelievo si attesta a 5,3 miliardi di euro; praticamente un “sacrificio” economico 31 volte inferiore a quello stimato dall’Ufficio studi della CGIA (163,8 miliardi di euro) nel biennio 2022-2023.

 

Ora le banche devono alzare gli interessi sui depositi. Con un tasso di interesse praticato dalla BCE che lo scorso dicembre si è attestato per quasi tutto il mese al 2 per cento (vedi Graf.1), ovvero, lo stesso di quello che avevamo nel febbraio del 2009, che effetti economici ha prodotto a un ipotetico correntista? Se 14 anni fa il tasso attivo era dello 0,75 per cento, 2 mesi fa si è attestato allo 0,12 per cento, “provocando” uno svantaggio per il risparmiatore dello 0,63 per cento. In altre parole, a fronte di 10 mila euro depositati nel conto corrente, rispetto al 2009 ci troviamo con 63 euro in meno in un anno. Se, come sostengono molti esperti, entro la fine del 2023 il tasso salisse al 4 per cento, raggiungendo lo stesso livello toccato tra il luglio 2007 e il giugno 2008, sui nostri ipotetici 10 mila euro depositati in banca perderemmo 107 euro (vedi Tab.3). Non si tratta di cifre importanti, tuttavia se le banche tornassero a riconoscere un leggero aumento dei tassi attivi sulle somme libere depositate nei conti correnti, la clientela potrebbe almeno coprire i costi fissi. Cosa, invece, che è stata praticata dagli istituti sulle somme vincolate, anche se, molto spesso, per tantissimi correntisti districarsi tra un “mare” di offerte è estremamente difficile. Uno sforzo economico, quello che dovrebbero sostenere le banche se ritoccassero all’insù i tassi sui risparmi non vincolati, tranquillamente sostenibile, visto che nell’ultimo anno le cose sono andate molto bene. I cinque più importanti istituti nazionali – Intesa, Unicredit, BancoBpm, Monte Paschi e Bper – hanno chiuso il 2022 con utili netti pari a 12,7 miliardi. Un aumento del 65 per cento rispetto al 20212.

 

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(*) Per il 2022 è stata applicata un’inflazione pari al +8,1 su base nazionale (indice NIC dell’Istat); a livello regionale e ripartizionale si è fatto riferimento ai dati territoriali sempre dell’indice NIC opportunatamente quadrati in modo che la somma del potere d’acquisto perso nelle singole regioni (e nelle ripartizioni) corrispondesse esattamente al dato nazionale (tale esercizio è stato necessario in quanto l’indice dei prezzi sul quale si calcola l’inflazione è un numero approssimato ad una cifra dopo la virgola). Nel 2022 l’inflazione a livello regionale è variata da un minimo del +6,9% in Valle d’Aosta ad un massimo del +9,7% in Sicilia. A livello di ripartizioni l’inflazione è stata massima nel Mezzogiorno (+8,7%), seguita dal +8,6% del Nord Est, dal +7,9% del Centro, e minima al Nord-ovest (+7,8%).
(**) Per il 2023 è stata applicata a tutti i territori l’inflazione del +6,1% secondo le ultime previsioni della Commissione Europea (13 febbraio 2023). La stima per famiglia è stata ottenuta rapportando la perdita di potere d’acquisto totale dei depositi al numero delle famiglie indicato dall’Istat al 31/12/2019 (ultimo disponibile).

 

 

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