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ARCIDIOCESI DI TRENTO: MESSA IN COENA DOMINI, IL TESTO INTEGRALE DELL’OMELIA

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08.14 - venerdì 14 aprile 2017

(Fonte: Ufficio stampa Arcidiocesi di Trento) – Il testo dell’omelia dell’arcivescovo Lauro per la Messa In Coena Domini ieri sera in cattedrale, con inizio alle ore 20.30. Durante la liturgia si è rinnoveto il gesto della lavanda dei piedi, compiuto da Gesù con i discepoli: monsignor Tisi lo ha fatto a dodici sacerdoti e religiose anziani.

Oggi, Venerdì Santo, alle 15.00 in cattedrale l’Arcivescovo presiederà l’Azione liturgica della Passione e Morte di Gesù con l’adorazione silenziosa della croce, in serata alle ore 20.30 la Via Crucis nella basilica di S. Maria Maggiore.

 

 

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Don Primo Mazzolari,  nella sua omelia in occasione di una Messa in Coena Domini, così si esprimeva: “Povero Giuda! Forse, vi meraviglierete di questa parola. Che cosa gli sia passato nell’animo io non lo so. Non cercherò neanche di spiegarvelo, mi accontento di domandarvi un po’ di pietà per il nostro fratello Giuda. Non vergognatevi di assumervi questa fratellanza, io non me ne vergogno, perché so quante volte ho tradito il Signore”.

Con queste parole, don Primo ci aiuta a entrare nel mistero di questa Santa Cena, che sta sotto il segno del tradimento.

Tra tutte le esperienze umane, la più terribile è quella di essere traditi. Uno degli insulti più insopportabili è sentirsi dire: “Sei un Giuda”.

In positivo, la nostra ripulsa davanti a chi ci apostrofa con la sinistra espressione di “traditore”, rivela il bisogno fortissimo di incontrare persone fedeli, parole che tengono, istituzioni affidabili. In negativo, nel clima culturale odierno dove tendenzialmente le colpe sono sempre degli altri, l’appellativo di “Giuda” mette in luce la difficoltà di percepire che in ognuno di noi abitano gelosie, invidie, cattiverie. Nostre e di nessun altro.

Sarà sempre troppo tardi il momento in cui rinunceremo all’idea di essere perennemente innocenti. Solo chi, invece, riconosce, per dirla con la Genesi, che il male è accovacciato alla nostra porta (Gn 4,7), è  in grado di riconoscere anche il bene che lo abita. Forse, a partire da questa verità, possiamo cominciare a far fronte all’emergenza sotto gli occhi di tutti: l’allergia all’assunzione di responsabilità. Perfino la legislazione e la struttura organizzativa della società sono spesso pensate in modo che nessuno debba mai rispondere di niente.

Ma ecco la buona notizia: “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1), meglio sarebbe dire “fino al compimento”. Il tratto divino dell’umanità di Gesù, come ci ricorda l’apostolo Paolo, è l’essere stati amati, “quando eravamo nemici” (Rm 5,10). È questo il grande compimento che libera dalla paura di Dio, infonde gioia e speranza.

È meraviglioso contemplare il gesto di Gesù che lava i piedi ai discepoli. A Giuda, che lo tradisce; a Pietro, che lo rinnega e non comprende quello che il Maestro sta facendo; ai discepoli, che lo abbandoneranno; a noi, che non riusciamo, spesso, a rimanere fedeli al comandamento dell’amore. Tutti abbiamo necessità di incontrare l’Amore nuovo e innovativo di Gesù. Tutti abbiamo bisogno di essere lavati, come Gesù ricorda all’apostolo Pietro.

Tra poco rivivremo il gesto della lavanda dei piedi, con alcuni sacerdoti e religiose anziani. A causa dei loro problemi di salute, sono chiamati a dover dipendere dagli altri. Valgono per loro le parole di Gesù a Pietro: “Ti cingeranno la veste e ti porteranno dove tu non vuoi” (Gv 21,18). Questa loro condizione, altro non è che obbedienza alla vita.

Il termine obbedienza è parola culturalmente scomoda. In realtà, è la cifra alta della vita di Gesù e – che lo vogliamo o no – è la condizione esistenziale in cui tutti ci troviamo. Contrariamente, infatti, a quanto baldanzosamente diciamo, la vita ogni giorno ci obbliga a ripensarci, a doverci re-inventare. Questa sera ci è offerta l’opportunità di non subire questa obbedienza, ma di viverla da protagonisti.

Ad alcune condizioni. La prima è partecipare all’obbedienza di Gesù al Padre che comporta infrangere la prudenza per eccedere nella direzione dell’abbassarsi. Una seconda è correre il rischio di pensarsi legati alla vita dell’altro. Il terzo passo è capovolgere le nostre graduatorie, vivendo la provocazione di Gesù: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». (Mc 9,35)

L’Eucarestia ci fa dono di questa obbedienza che, anziché essere schiavitù, è libertà e vita.

 

 

+ Arcivescovo Lauro

 

 

 

 

 

 

In allegato il comunicato stampa:

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Foto: da archivio Arcidiocesi Trento

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