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ARCIDIOCESI DI TRENTO * SAN VIGLIO – OMELIA VESCOVO TISI: « IN QUESTI GIORNI HO VISTO REALIZZARSI LE PAROLE DEL PROFETA EZECHIELE, IO STESSO CERCHERÒ LE MIE PECORE E NE AVRÒ CURA »

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10.35 - sabato 26 giugno 2021

Così come nella Lettera alla comunità “Occhi” (oggi sarà consegnata ai fedeli), sono i giovani i protagonisti dell’omelia dell’arcivescovo di Trento Lauro Tisi nella Messa solenne per il patrono della Diocesi e della città capoluogo San Vigilio (in Cattedrale ad ore 10, con diretta streaming e TV).

Monsignor Tisi racconta di essere rimasto particolarmente colpito dal recente incontro con un gruppo di giovani impegnati in un campo solidale accanto a persone affette da disagio psichico. “Non posso tacere quanto ho visto e udito” sottolinea don Lauro, affidando “come tesoro prezioso a ogni comunità della Diocesi lo sguardo entusiasta di ciascuno di quei giovani”, i quali al ‘grazie’ dell’Arcivescovo rispondono, in modo quasi disarmante: “Siamo noi a dire grazie, per avere avuto finalmente la possibilità di metterci in gioco!”.

“Nel loro chinarsi spontaneo e generoso su quei volti affaticati, percepisco – aggiunge monsignor Tisi – la chiamata dello Spirito Santo, rivolta a ogni nostra comunità, perché ritrovi le ragioni del suo esistere: servire e prendersi a cuore chi è provato dalla vita.

Questa è la Chiesa che desidero e sogno, il dono che chiedo al Padre, per intercessione di Vigilio. Diversamente, per riprendere le parole del testo di Efesini, corriamo il rischio di diventare una Chiesa senza Cristo, senza Dio, senza speranza”.

“Per giungere a questo approdo – conclude don Lauro – abbiamo una via: la convocazione eucaristica domenicale. Come vorrei non si riducesse a uno stanco passaggio rituale, ma fosse il convocarsi di uomini e donne affascinati da Gesù di Nazareth”.

 

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OMELIA SOLENNITA’ SAN VIGILIO
CATTEDRALE DI TRENTO 26 GIUGNO 2021

“Io stesso cercherò le mie pecore e ne avrò cura” (Ez 34,11).
In questi giorni ho visto realizzarsi le parole del profeta Ezechiele. Invitato da un gruppo di giovani protagonisti dell’iniziativa diocesana “Passi di prossimità”, ho condiviso con loro alcune ore a servizio di persone afflitte da disagio psichico. La gioia contagiosa di questi ragazzi dispensava momenti di serenità e pace a chi fatica a trovare ragioni per vivere.

Non posso tacere quanto ho visto e udito.

In questo giorno, in cui la Chiesa trentina fa memoria del vescovo Vigilio, instancabile seminatore del Vangelo nella nostra terra, sento di dover affidare come tesoro prezioso a ogni comunità della Diocesi lo sguardo entusiasta di ciascuno di quei giovani. Non posso, inoltre, dimenticare la loro risposta al mio grazie: “Siamo noi a dire grazie, per avere avuto finalmente la possibilità di metterci in gioco!”.

Mentre, come i discepoli di Emmaus, la nostra Chiesa rischia di consegnare i suoi giorni alla tristezza e al rimpianto, colgo nella testimonianza di questi ragazzi uno shock salutare per rimetterci in cammino e tornare al largo.

Nel loro chinarsi spontaneo e generoso su quei volti affaticati, percepisco la chiamata dello Spirito Santo, rivolta a ogni nostra comunità, perché ritrovi le ragioni del suo esistere: servire e prendersi a cuore chi è provato dalla vita. Questa è la Chiesa che desidero e sogno, il dono che chiedo al Padre, per intercessione di Vigilio.

Diversamente, per riprendere le parole del testo di Efesini, corriamo il rischio di diventare una Chiesa senza Cristo, senza Dio, senza speranza.

Il Risorto invita i discepoli a cercarlo nella periferia della Galilea, anziché nella solennità del Tempio di Gerusalemme. I giovani – con la loro esigenza di trovare autenticità, la voglia di mettersi in gioco, servire e incontrarsi, i loro dubbi, le rabbie e talora le contraddizioni – sono la nostra vera Galilea.

In loro ritroviamo alcuni tratti del sorprendente pastore raccontatoci nella pagina evangelica: anziché vivere del gregge, Egli dà la vita per le pecore.

Abbiamo la possibilità concreta di diventare familiari di Dio, con Cristo pietra angolare. Quanto i nostri giovani ci hanno mostrato può trovare realizzazione nella misura in cui ciascuna nostra comunità saprà, concretamente, sostenere l’affaticato, tendere la mano al povero, incontrare chi è ai margini.

Per giungere a questo approdo abbiamo una via: la convocazione eucaristica domenicale. Come vorrei non si riducesse a uno stanco passaggio rituale, ma fosse il convocarsi di uomini e donne affascinati da Gesù di Nazareth, disponibili a lasciarsi inquietare dalla Parola, ansiosi di ritrovarsi per condividere, col pane della vita, la gioia di sentirsi fratelli e sorelle. I nostri giovani potrebbero, allora, trovare una casa in cui sentirsi accolti e fare davvero festa.

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