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ANM – ASSOCIAZIONE NAZIONALE MAGISTRATI: SANTALUCIA, « NON SIAMO INSOFFERENTI AI CONTROLLI DISCIPLINARI, CONSAPEVOLI DELLA RESPONSABILITÀ DISCIPLINARE »

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12.49 - sabato 13 maggio 2023

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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Relazione introduttiva CDC 13-14 maggio 2023 – Giuseppe Santalucia

Dall’ultima nostra riunione di marzo sono intervenute poche ma significative novità, che assorbiranno in queste due giornate buona parte delle nostre energie.

Dico che le novità sono poche per mettere subito in chiaro che gli annunci reiterati di riforme di importanti settori della legislazione penale e processuale penale – dall’abolizione dell’abuso di ufficio alla riscrittura della fattispecie criminosa del traffico di influenze, dalla revisione del sistema delle intercettazioni alla introduzione della struttura collegiale del giudice della cautela personale, e fors’anche reale, fino alla revisione della geografia giudiziaria con la riapertura antistorica dei piccoli uffici giudiziari soppressi – non sono ancora divenuti oggetto di confronto allargato anche alla rappresentanza dell’associazione magistrati.

Nulla di più di quanto leggiamo sulla Stampa ci è dato ancora sapere, dal momento che il Ministero della giustizia, che di questi progetti, pare di capire ancora di massima, è promotore non ci ha sul punto mai convocato anche solo per una illustrazione di dettaglio. Eppure, proprio ieri ho appreso, sempre da organi di Stampa, che è prossima la presentazione in Consiglio dei ministri di un pacchetto di riforme a cui ha lavorato il Ministro della Giustizia.

Altro è invece avvenuto, ed è qualcosa che ci ha allarmato. Parlo, ovviamente, della iniziativa disciplinare del Ministro della giustizia contro i componenti del collegio della Corte di appello di Milano che emise il provvedimento cautelare (arresti domiciliari nei confronti del cittadino russo Artem Russ) nel procedimento per la decisione sulla domanda di estradizione degli Stati uniti d’America.

Oggi siamo chiamati a decidere su quanto ci è stato richiesto e sollecitato da varie assemblee sezionali e da alcune Giunte esecutive sezionali, ma sulla questione ci siamo già mossi immediatamente con prese di posizione pubblica della Giunta nazionale, mie e del Segretario generale.

Sia io che il Segretario generale, ma anche altri componenti della Giunta e di questo Comitato direttivo, abbiamo preso parte ad una nutrita e appassionata assemblea della sezione di Milano, in cui molti sono intervenuti in difesa dei valori fondamentali della giurisdizione con parole ferme e sempre rispettose delle attribuzioni del Potere esecutivo.

Ho successivamente letto i deliberati delle nostre articolazioni distrettuali, che si sono mosse nella stessa direzione, dimostrando quanto già era visibile nell’assemblea milanese, e cioè che la magistratura italiana è pronta e attenta, come sempre e senza patire alcuna stanchezza, nella riaffermazione non già dei suoi privilegi ma, consentitemi e non è per nulla una boutade, dei privilegi che la democrazia assicura alla collettività intera.
Mi riferisco alla irrinunciabile pretesa collettiva di poter contare su una magistratura effettivamente autonoma ed indipendente.

Voglio essere breve e ricorro ad un espediente, ad una domanda retorica.

L’immediata presa di posizione che buona parte della magistratura associata ha saputo dare alla iniziativa ministeriale sta a significare che i magistrati coltivano l’indicibile e arrogante pretesa di immunità disciplinare?

Qualcuno con approccio ingenuo e qualcun altro con una buona dose di malafede potrebbero pensare che sia così e allora dò una risposta univoca, chiara, non manipolabile.

La magistratura italiana non ha insofferenza rispetto ai controlli disciplinari, ed è pienamente consapevole dell’impronta costituzionale della responsabilità disciplinare.

Non si può però tacere che l’incolpazione mossa ai magistrati della Corte di appello di Milano, nei termini in cui è stata costruita, si pone deliberatamente e all’evidenza fuori dai confini in cui l’esercizio del potere ministeriale è costituzionalmente ammesso e richiesto.

Si addebita ad un giudice, ad un giudice collegiale, di non aver accolto per intero le deduzioni del pubblico ministero, non si prospetta e neanche si abbozza la descrizione di una negligenza grave e inescusabile

Infine, si ignora quel che già il solo buon senso suggerisce, ossia che l’incidente internazionale a cui lo Stato italiano è stato esposto, non consegnando la persona dell’estradato, potrebbe forse, chissà, trovar causa, non nel provvedimento che ha disposto gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico, quanto nel modo in cui si è provveduto al controllo sulla regolare esecuzione di un provvedimento coercitivo emesso ed applicato vari mesi prima che si realizzasse la fuga.

Ma su questo è calato il silenzio e ci si è accontentati di scaricare ogni colpa sui magistrati, la cui forza, che risiede nella loro indipendenza, può tramutarsi in debolezza quando la narrazione è nelle mani del Potere e sfrutta anche il loro doveroso riserbo e la necessità che soprattutto loro rispettino tempi e modalità di azione degli organi disciplinari.

In questo modo – vi rassegno la mia impressione – si fa affidamento sul rapido succedersi delle news che distrae l’opinione pubblica e consolida la superficiale sensazione che i colpevoli siano loro, i soliti magistrati, per il vero quasi sempre accusati di essere forcaioli ed appiattiti sulle scelte e le volontà del pubblico ministero, oggi incolpati del contrario, di non aver accolto la domanda del pubblico ministero e di aver preso sul serio, come in tanti altri casi, il principio di adeguatezza delle misure cautelari, di aver praticato la regola della custodia carceraria come extrema ratio!

Nulla è più lontano di questa vicenda dalle politiche del garantismo liberale che molti attendevano e in cui qualcuno ancora confida, forse per non riconoscere l’errore di precoci entusiasmi che alla prova dei fatti, e non da ora, avrebbero dovuto spegnersi.

Questo severo giudizio non è solo il nostro, non è soltanto dei magistrati facilmente accusabili di inclinazione alla difesa corporativa sempre e comunque.

È, e di ciò mi compiaccio, degli avvocati della Camera penale di Milano che con un bel documento del 19 aprile scorso, il cui titolo richiama al dovere del rispetto ella giurisdizione, hanno parlato dell’iniziativa disciplinare addirittura in termini di “forte elemento di intimidazione correlato alle particolarità del caso concreto”.

Potremmo ora dirci che un’azione disciplinare di tal tipo non deve intimorire, proprio per la sua palese fragilità.

Ma sarebbe questo un atteggiamento poco rispettoso nei confronti dell’Autorità politica, perché equivarrebbe a non prendere sul serio le iniziative del Ministro, preconizzandone il fallimento alla prima prova di razionalità valutativa.

Noi invece siamo animati da un autentico e radicato sentimento di rispetto nei confronti delle Istituzioni tutte e del Ministro della giustizia tra queste, e non banalizziamo, non sottovalutiamo.

Sappiamo del resto, lo abbiamo imparato dal passato, che sarebbe atteggiamento anche poco prudente, perché quel che all’inizio appare un paradosso, una bizzarria, può celare e anticipare un pericoloso mutamento di sensibilità, di visione delle relazioni tra organi del Potere e Istituzioni di garanzia.

E per tale ragione non ci consentiamo cali di attenzione e rifuggiamo da ridimensionamenti consolatori di quel che resta comunque una brutta pagina che avremmo voluto non fosse mai scritta.

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2. Quando più di un anno fa ci riunimmo in assemblea generale avemmo facile gioco nel prevedere che la giurisdizione, sfiancata dagli annosi problemi di organizzazione e dai sempre più intollerabili carichi di lavoro, sarebbe stata insidiata dalle politiche riformatrici – che in quella sede facemmo oggetto di una pubblica discussione critica – sui fianchi più esposti, più sguarniti, individuabili l’uno nella responsabilità disciplinare – e abbiamo ora assistito a quanto alto possa essere il rischio di invasioni indebite -; e l’altro nella cd. produttività, ormai declinata in termini esclusivamente quantitativi, anche ma non solo per tener fede agli ambiziosi obiettivi del PNRR.

Il tema della produttività, e questo è un aspetto di particolare gravità, è stato collegato, in un infelice disegno efficientista, all’introduzione e all’accentuazione di relazioni gerarchiche negli uffici, con la conseguenza di una inedita e dannosa saldatura tra area del disciplinare e obiettivi di smaltimento del carico di lavoro in misura progressivamente sempre più elevata.

2.1. Il futuro allora temuto possiamo dire che è già qui, tra noi.
E ne è testimone il deliberato della Giunta sezionale della Corte di cassazione, che è nel nostro ordine del giorno perché pone temi ineludibili e che riguardano tutta la magistratura e la giurisdizione.

La Corte di cassazione sopporta il peso di numeri di ricorsi inimmaginabili per una autentica Corte suprema, sia nel settore civile che in quello penale.

La nomofilachia che qualifica la Corte di cassazione sta ad indicare una funzione di indirizzo interpretativo a beneficio della prevedibilità delle decisioni.

Lo svolgimento di questa funzione non può però fare a meno di riflessioni approfondite, di studio accurato, di discussioni preliminari tra i consiglieri ragionevolmente articolate e, se del caso, lunghe.

Per tutto questo, che richiede tempo, il tempo non c’è, e così la nomofilachia diviene sempre più materia convegnistica e sempre meno pratica giudiziaria vissuta.

Manca la risorsa fondamentale per una nomofilachia diffusa ed accettabile, intendo non concentrata soltanto nelle Sezioni unite, perché bisogna smaltire, correre, scrivere, depositare, in un susseguirsi fordista di udienze e precamere, di fascicoli e minute che viaggiano nei trolley sempre più colmi dei colleghi cassazionisti, i quali nella spola tra la scrivania di casa e lo scanno di udienza non hanno tempo da dedicare ad una rivista, ad un libro (e, si badi, intendo materiale giuridico, attrezzi del loro lavoro) e direi quasi alla lettura stessa delle sentenze delle Sezioni unite.

2.2. L’ossessione dei numeri si è impadronita dell’organizzazione giudiziaria, dal Palazzaccio al Tribunale più periferico, con in mezzo le Corti di appello, da cui chi può fugge grazie all’infausto meccanismo dell’improcedibilità per decorso del tempo che pone, e porrà drammaticamente alla scadenza del periodo transitorio, il cerino nelle mani dei giudici, a cui verrà chiesto conto, magari in sede disciplinare, delle ragioni per le quali quel tal processo è sfumato, perché non è stato concluso nei due anni a far data da un termine farlocco, che non è certo quello del giorno in cui hanno avuto il fascicolo e l’atto di impugnazione.

Cosa fare?

La risposta non è per nulla semplice ma credo sia giunto il momento per un cambio di linea e di ciò dovrebbe occuparsi soprattutto il Csm.

Dovremmo cominciare a pensare che, oltre una determinata soglia di produttività, i moduli organizzativi degli uffici e delle sezioni che inducono e premono per numeri di smaltimento del carico sempre più elevati non sono indice di lodevole capacità organizzativa dei nostri dirigenti, semidirettivi e direttivi.

E che, anzi, rivelano scarsa comprensione della essenzialità di un aspetto, ossia che il prodotto giudiziario serve non soltanto ad arricchire statistiche e migliorare performance di rendimento ma, ancor prima, per fare giustizia e per far sì che la giustizia possa essere prevedibile e sufficientemente stabile.

Dentro il tema dei carichi esigibili, di cui ci siamo occupati nell’ultima riunione di marzo, v’è la questione delle soglie di produttività che definirei anomale.
Anomale perché dovrebbero attirare l’attenzione del Csm al fine di verificare se siano indice dell’alterazione dell’equilibrio, necessario e insostituibile, tra numero e qualità delle decisioni, che rischia di saltare per strategie iperproduttivistiche adottate anche in ragione dell’assenza di chiari argini di cultura organizzativa.

2.3. La questione ha portata generale ma per la Corte di cassazione, per la peculiarità del ruolo, ha spiccata urgenza.

La leva per un cambiamento radicale è, lo sappiamo, nelle mani del Legislatore, perché non molto, o quanto meno non tutto, può essere affrontato e risolto con fantasia organizzativa.

Il sistema delle impugnazioni richiede un maggior coraggio nella predisposizione normativa di seri e risolutivi filtri, perché controllare tutto, o molto, può vanificare l’effettività del controllo, come del resto è attestato dal ritardo con cui in alcune materie la Corte di cassazione riesce ad intervenire.

 

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3. Sarebbe già qualcosa se potessimo dire che almeno ci si muove in questa direzione, e invece alcuni segnali ci fanno pensare che si possa addirittura imboccare la direzione contraria.

Più di un mese fa abbiamo ricevuto una convocazione, con una certa urgenza, da parte del Ministro della giustizia e io e il Segretario generale ci siamo recati il 4 aprile ad un incontro, alla presenza ovviamente del Ministro, per una prima discussione sul tema posto con forza dall’Unione delle Camere penali, che chiede una riforma della recente riforma del sistema delle impugnazioni penali in aspetti solo apparentemente di dettaglio.

Chiede l’eliminazione di alcuni oneri a carico dell’imputato impugnante, previsti a pena di inammissibilità, quali il deposito, in uno con l’atto di appello, della dichiarazione o elezione di domicilio, e il mandato speciale dell’imputato assente al difensore, da conferirsi successivamente alla emissione della sentenza, affinché questi possa proporre validamente impugnazione.

Abbiamo illustrato già in quella sede, e poi con nota successiva, le buone ragioni che sconsigliano vivamente la controriforma, del tutto distonica rispetto al quadro generale che pretende tempi rapidi e che non può permettersi di incamerare impugnazioni che vedano infine sentenze esposte al rischio di rescissione e quindi, con un costosissimo gioco dell’oca, alla reiterazione di processi già fatti con un dispendio di energie e risorse intollerabile.

Non sappiamo quali siano i progetti sul punto del Ministro, confidiamo, proprio come l’Unione delle Camere penali ma con argomenti assai diversi, nella sua vocazione garantista, perché è innegabile che solo un processo efficiente può far sì che le garanzie della persona, e dell’imputato in particolare, si trasferiscano dai codici alla realtà giudiziaria vissuta.

Se il processo è una risorsa scarsa e preziosa, si può chiedere a chi è titolare del diritto di impugnare di esercitarlo con serietà. È una pericolosa suggestione affermare che un diritto sia compresso quando si chiede, a beneficio anche dei concorrenti diritti di altri, tanti, imputati, di esercitarlo con serietà e consapevolezza.

 

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4. Voglio infine ricordare che sono in programma dal 24 al 27 maggio, a Roma, due importanti eventi organizzati dall’Anm, uno in cooperazione con il Dap dal titolo “Testimoni Capaci” e l’altro con la Corte di cassazione, denominato “Notte bianca per la legalità”.

Si tratta di progetti pensati, elaborati ed attuati dalla nostra XV Commissione, particolarmente onerosi dal punto di vista organizzativo – il calendario infatti si snoda su ben quattro giornate – che attuano una delle nostre linee di azione, l’apertura alla società per concorrere con le nostre modeste forze, ma con la nostra non marginale esperienza e sensibilità, ad un’azione strategica in favore della comunità tutta, quale l’educazione alla legalità, la formazione e l’informazione sui temi della legalità .

Dal 24 al 26 maggio, e diranno meglio Giacomo Ebner, Raffaella Marzocca e Luca Poniz, che dirigono e coordinano la Commissione per la legalità, si svolgerà l’evento “Testimoni Capaci”, che consiste in una veglia-staffetta, con un ricco programma di attività, dinnanzi all’autovettura in cui persero la vita a Capaci Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, custodita negli spazi della Scuola di formazione del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria.

Grazie all’apporto di tanti colleghi, giovani e meno giovani e di esponenti della società civile, ricorderemo le Rose spezzate, il sacrificio estremo di molti magistrati che hanno perso la loro vita per mano della mafia e del terrorismo, e rifletteremo, insieme a tanti studenti, sull’attualità del loro esempio.

Quindi sabato 27 si terrà la Notte bianca in Corte di cassazione, evento conclusivo dell’articolato programma, anche questo ricco di iniziative di coinvolgimento di numerosi studenti.

Dei contenuti e dell’articolazione minuta dei nutriti programmi apprenderemo a breve dal presidente e dai coordinatori della XV Commissione.

Ho voluto soltanto dare atto, con queste brevi battute, del lavoro fatto, invitare tutti noi a partecipare, e soprattutto rivolgere un sincero affettuoso ringraziamento a quanti si sono adoperati senza risparmiarsi in una fatica organizzativa non da poco.

Anzitutto a Giacomo Ebner, a Raffaella Marzocca e a Luca Poniz, che hanno l’onere di direzione e di coordinamento della Commissione. So poi che, in queste impegnative attività preparatorie, sono stati coadiuvati egregiamente da Roberta D’Onofrio, Enrico Infante e Alessandra Maddalena, ed è giusto che i loro meriti siano conosciuti e riconosciuti.

Ma soprattutto il mio pensiero grato, e vorrei che fosse condiviso da tutti noi, va alle colleghe e i colleghi che, senza incarichi di rappresentanza, animano e danno forza alla XV, come del resto alle numerose altre nostre Commissioni interne.

Alle importanti iniziative di maggio, che sono un ottimo modo per commemorare i magistrati vittime della mafia e del terrorismo e per fare tesoro della memoria per la costruzione del futuro, hanno contribuito – li cito in rigoroso ordine alfabetico – Emilia Conforti, giudice penale a Roma, Filomena De Sanzo, giudice civile a Cosenza, Monica Mastrandrea, giudice civile a Torino, Giovanna Nozzetti, giudice civile a Palermo, Valentina Ricchezza, giudice del lavoro a Santa Maria Capua Vetere, Giselda Stella, giudice civile a Reggio Calabria, Enrico Zuccon, giudice penale a Verona.

È anche grazie alla loro generosa disponibilità e a quella dei tanti colleghi in vario modo impegnati che l’Associazione magistrati avrà ancora molto da dire e da fare.

 

 

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