(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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Il tema del definitivo distacco fra le due funzioni giurisdizionali di Giudice e Pubblico Ministero riecheggia da tempo ed ha recentemente trovato espressione nella legge n. 71/2022 che, riformando l’art. 13 d.lgs. 160/2006, ha ridotto ad una sola volta nell’arco dell’intera carriera la possibilità di passare dall’una all’altra funzione. Il che rende, come dimostrato dai relativi dati statistici, la separazione delle carriere già esistente nei fatti.
L’intervento governativo sul punto non può pertanto rappresentare altro che il preludio ad una cesura radicale fra i due ordini, che sarà demandata inevitabilmente alla legge ordinaria, chiamata a ridefinire l’ordinamento giudiziario nel suo complesso: concorsi di accesso separati, con inevitabile aggravio di oneri finanziari ed organizzativi; distinte formazioni iniziali e permanenti, con irreparabile perdita del bagaglio di conoscenze e della unitaria cultura della giurisdizione che hanno reso sinora il Pubblico Ministero attore primario, non già avversatore, della cultura del contraddittorio e del giusto processo; distinte valutazioni di professionalità, senza il positivo apporto di chi, dal punto prospettico della diversa funzione, possa giudicare con senso critico l’operato dei colleghi con cui si confronta quotidianamente in processo; consigli giudiziari verosimilmente separati; consigli superiori distinti, ove la rispettiva autonomia rappresenta una pericolosa anticipazione dell’attrazione della pubblica accusa sotto l’egemonia del potere esecutivo, inquinando l’imparzialità dell’inquirente nella ricerca della prova, anche a favore dell’imputato, e riducendolo a mero portatore di un interesse di parte, in un’ottica persecutoria e competitiva del processo penale.
Consigli superiori nei quali, nonostante non muti la proporzione tra laici e togati, i magistrati perdono l’elettorato attivo in favore di un’estrazione a sorte nel dichiarato obiettivo di contrastare l’influenza delle c.d. “correnti” interne alla categoria nell’elezione dei membri togati.
Un segno di discredito e profonda sfiducia nei confronti dell’intera categoria, ritenuta incapace di poter garantire una seria e valida rappresentanza nei propri organi di autogoverno! Con la prospettiva di una radicale delegittimazione della magistratura agli occhi della pubblica opinione, si introduce una forma di democrazia diretta – unica nel suo genere rispetto ad ogni altra categoria professionale – distante dallo spirito costituzionale.
Criticità aggravate dalla difformità fra il sorteggio secco dei togati e il sorteggio temperato dei membri laici, vicini alla politica, che inevitabilmente condurrà ad un ripensamento dei delicatissimi equilibri in seno all’organo di autogoverno della magistratura.
Una separazione delle carriere di facciata, com’è reso evidente dall’assenza di alcun divieto di tramutamento espresso, dall’accesso alla magistratura giudicante di legittimità per meriti insigni degli stessi magistrati della carriera requirente (come espressamente previsto dal d.d.l. medesimo), dall’istituzione di un’Alta Corte disciplinare comune ad entrambe le funzioni che, in ragione della sua composizione, pare riproporre l’attuale CSM che la riforma mira dichiaratamente a superare. Alta Corte ove – vista la presenza di membri di nomina del Presidente della Repubblica e l’estrazione dei togati dalla sola magistratura di legittimità – appare amplificata la gerarchizzazione del potere giudiziario; ove la mancata previsione di membri supplenti e l’espresso riferimento alla composizione dei collegi inducono a ritenere che la garanzia di prevalenza dei togati sia solo apparente; ove grava infine l’autoreferenzialità della Corte medesima, chiamata a pronunciarsi sulle impugnazioni dei suoi stessi provvedimenti.
Un d.d.l. che nel complesso, oltre a presentare diversi e rilevanti dubbi di costituzionalità, rischia di alterare profondamente il bilanciamento fra poteri dello stato e lascia aperta la strada ad una preoccupante deriva autoritaria.
Ci chiediamo se il legislatore conosca le ragioni costituzionali per cui il PM debba svolgere un compito anche a tutela dell’indagato e, nel settore civile, in favore del minore; se è a conoscenza del fatto che la separazione delle carriere non abbrevierà la durata dei processi penali e civili; se sia a conoscenza dell’attuale stringente regolamento che prevede il mutamento di funzioni.
In definitiva, se conosce le ragioni che hanno spinto i nostri Padri Costituenti a realizzare un equilibrato assetto costituzionale che preveda l’indefettibilità dell’autogoverno della magistratura e la stessa rilevanza costituzionale del CSM.
Se hanno dimenticato le ragioni per cui la nostra Costituzione richieda che la magistratura sia autonoma e indipendente.
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Giuseppe Spadaro
Anm – Associazione nazionale Magistrati – Giunta distrettuale Trentino Alto Adige