(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
///
1. Il ddl di riforma costituzionale (“Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”) varato in Consiglio dei ministri lo scorso 29 maggio si propone non solo di separare le carriere dei magistrati ma va oltre: ridisegna in profondità la stessa geografia della giurisdizione.
Ecco, in sintesi, le modifiche costituzionali in preparazione.
Si creano due distinti CSM, l’uno per la carriera giudicante e l’altro per la requirente.
Si prevede il sistema del sorteggio per la designazione dei componenti: sorteggio secco per i togati, temperato per i laici, questi ultimi estratti a sorte da un elenco di avvocati e professori ordinari di università che il parlamento in seduta comune, entro sei mesi dall’insediamento, compila mediante “elezione”.
Al CSM viene tolta la materia disciplinare, che viene attribuita all’Alta Corte, composta di quindici giudici, nove dei quali saranno magistrati estratti a sorte – sei giudicanti e tre requirenti – che svolgono, o hanno svolto, funzioni di legittimità, e, i restanti sei, saranno professori ordinari di università o avvocati nominati, nel numero di tre, dal presidente della repubblica e sorteggiati, in pari numero, dal parlamento con criteri analoghi a quelli previsti per i due CSM.
Il ddl di riforma dispone che i due attuali componenti di diritto del CSM, primo presidente e procuratore generale della Corte di cassazione, faranno parte, rispettivamente, del CSM della magistratura giudicante e requirente; parallelamente, verrà a ridursi di un’unità anche la componente togata che siederà nell’Alta Corte disciplinare, visto che i magistrati avranno nove – e non dieci – seggi su quindici, non mantenendosi, dunque, l’attuale quota dei due terzi nelle decisioni sul disciplinare.
2. La separazione delle carriere appare poco più che un pretesto: basti dire che le carriere, giudicante e requirente, separate dall’art. 3 del ddl di riforma, vengono “riunificate” nell’Alta Corte che, in contraddizione rispetto alle premesse della riforma, si occuperà, in collegi misti, composti anche di giudici e pubblici ministeri, dell’applicazione delle sanzioni disciplinari per tutti indistintamente i magistrati ordinari.
L’obiettivo reale è, infatti, trasformare la natura dell’organo di autogoverno: da organo di garanzia di rilievo politico-costituzionale, a necessaria composizione rappresentativa delle diverse anime che compongono la magistratura (Corte cost., sent. n. 142/1973) e in grado di realizzare delicati bilanciamenti in materia di amministrazione della giustizia, ad organo burocratico composto di sorteggiati, secondo la logica dell’uno vale uno.
L’attuale CSM, «pietra angolare dell’ordine giudiziario» come è stato definito dal Giudice delle leggi (Corte cost., sent. n. 4/1986), sarà frazionato in due Consigli, ciascuno dei quali, privo di uno sguardo d’insieme, non avrà più competenza a garantire l’indipendenza dell’ordine giudiziario nel suo complesso, ma solo della porzione di propria competenza, settorialmente individuata con la carriera giudicante o requirente.
Estrapolare, poi, dai due CSM la materia disciplinare significherà impedire all’autogoverno di svolgere il suo compito, svilendone il ruolo: la giustizia disciplinare è posta, infatti, nelle mani del CSM perché è l’organo che cura il corretto svolgimento della funzione giurisdizionale, rispetto al quale la “disciplina” riveste un ruolo funzionale e servente, preordinato (appunto) ad assicurare la buona amministrazione della giustizia e, conseguentemente, la piena tutela ai singoli cittadini.
3. I magistrati ordinari – e soltanto loro – subiranno, oltre alla sottrazione della “disciplina” dall’ambito dell’autogoverno, la privazione dell’elettorato attivo e passivo, così contravvenendo a un basilare principio, immanente nel sistema, di uniformità delle garanzie tra le diverse magistrature. Quella ordinaria, da una parte, e quelle speciali (amministrativa, contabile e militare) dall’altra, le quali sono dotate da sempre di uno statuto costituzionale di indipendenza che rispecchia, e quasi si sovrappone, a quello dei giudici ordinari, con le intuibili ricadute che tutto questo potrà avere in un prossimo futuro.
4. Con l’obiettivo demagogico di ridurre il grado di “politicizzazione” della magistratura ordinaria, il ddl di riforma costituzionale vuole, in realtà, colpire al cuore l’associazionismo giudiziario.
È forse questo il primo, preminente obiettivo della riforma. L’associazionismo giudiziario ha assicurato, mediante rappresentanze autorevoli e soprattutto “consapevoli” in seno al CSM, l’indipendenza della magistratura per circa sessant’anni, a partire dallo storico congresso di Gardone del 1965.
Il diritto di associazione in magistratura si è sviluppato ciclicamente lungo il crinale delle tornate elettorali per il CSM, con il fisiologico confronto tra i gruppi sulle idee e i programmi, sui diversi modi di intendere la giurisdizione per salvaguardarne le essenziali prerogative di indipendenza, che è poi il “mandato costituzionale” conferito all’organo di governo autonomo della magistratura.
Non si vuole più, d’ora innanzi, che il CSM possa esprimere ‒ e confrontarsi ‒ sulle diverse opzioni ideali per le scelte sulla giurisdizione né che rappresenti le varie anime della magistratura nelle quali i gruppi associativi si riconoscono, ma si intende, col sorteggio secco, polverizzare la componente togata in tante “monadi” che dovranno interloquire in Consiglio con un gruppo di laici agguerriti perché avvinti da un’idealità politica omogenea riconducibile prevedibilmente alla maggioranza parlamentare di turno.
La polverizzazione della componente togata sarà, poi, funzionale a trasformare i due Consigli superiori in luoghi di amministrazione di interessi particolari, poco più che Uffici del personale cogestiti da magistrati-funzionari privi di rappresentatività perché designati senza una investitura elettiva.
La sottolineatura formale e inedita, grazie al nuovo art. 104 comma primo della Costituzione, dell’esistenza di due distinte “carriere”, giudicante e requirente, costituisce ulteriore tassello nel percorso in atto di gerarchizzazione della magistratura, che si rafforzerà con l’ulteriore previsione costituzionale della individuazione dei giudici dell’Alta Corte tra i soli magistrati che svolgono, o abbiano svolto, le funzioni di legittimità.
5. Consentitemi anche un’ultima, breve, notazione.
Il ddl di riforma costituzionale sulla giustizia, che si apprende da una recente intervista del ministro della difesa Crosetto (la Repubblica, 11-06-2024, Subito la giustizia, il premierato verrà dopo) avrà una corsia preferenziale in parlamento rispetto all’altro ddl di riforma costituzionale (n. 935) sul premierato, attualmente in discussione al Senato, si raccorda strettamente a quest’ultimo.
E ne spiego le ragioni.
Il ddl di riforma sul premierato prevede, all’art. 3, un premio “garantito” di maggioranza del 55% («L’articolo 92 della Costituzione è sosti¬tuito dal seguente: […] La legge disciplina il sistema elettorale delle Camere secondo i princìpi di rappresentatività e governabilità e in modo che un premio, assegnato su base nazionale, garantisca il 55 per cento dei seggi in ciascuna delle due Camere alle liste e ai candidati collegati al Presidente del Consiglio dei ministri») che darebbe alle forze della coalizione che esprimono il presidente del consiglio il potere di nominare (dopo il terzo scrutinio) un “proprio” presidente della repubblica, depotenziandone il ruolo di garante super partes degli equilibri costituzionali.
Cosa che potrebbe riproporsi agevolmente al momento della nomina dei cinque giudici della Consulta e dei dieci componenti laici dei due CSM – questi ultimi sì sorteggiati ma, s’è detto, in un paniere di “eletti” dal parlamento.
Ed è conseguenziale ritenere che quella stessa maggioranza parlamentare, beneficiando del consistente premio ad essa garantito, potrebbe fare sue tutte quelle nomine e, con la scelta di un (proprio) presidente della repubblica, influire grandemente anche sulla designazione dei cinque componenti della Corte costituzionale di nomina presidenziale, con il rischio di alterare il ruolo e la funzione delle più alte istituzioni di garanzia (presidenza della repubblica, Corte costituzionale e i due nuovi csm).
Non a caso, eminenti costituzionalisti (G. Zagrebelsky, Un colpo di grazia al sistema parlamentare, la Repubblica 30-11-2023) hanno parlato di rischio di “allineamento” o “ugualizzazione” per lo stravolgimento, senza cautele, del meccanismo di controllo e bilanciamento reciproco (check and balance) fra i poteri dello Stato.
Per questo l’intervento odierno sull’ordinamento della giurisdizione è ancor più gravido di implicazioni e richiede un’azione associativa dell’ANM che si orienti simultaneamente, senza cedimenti nei mesi a venire e con le forme che decideremo oggi tutti insieme, su tutti questi diversi, e delicatissimi, fronti.
Grazie.
*
Salvatore Casciaro
Segretario generale Anm