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ALMALAUREA * RAPPORTO 2024: «L’ITALIA HA UN NUMERO DI DOTTORI DI RICERCA PARI ALLO 0,6%, IL CONFRONTO INTERNAZIONALE CI COLLOCA AGLI ULTIMI POSTI»

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13.00 - venerdì 29 novembre 2024

(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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Giunto alla IX edizione, il Rapporto 2024 di AlmaLaurea sul Profilo e sulla Condizione occupazionale dei Dottori di ricerca è stato presentato venerdì 29 novembre 2024 dalla Direttrice di AlmaLaurea, Marina Timoteo, presso l’Università degli Studi di Macerata.

Il Rapporto sul Profilo dei Dottori di ricerca ha coinvolto circa 6.100 dottori di ricerca 2023 di 43 Atenei; il Rapporto sulla Condizione occupazionale ha coinvolto oltre 6.800 dottori di ricerca di 54 Atenei. Emerge che la metà dei dottori di ricerca proviene da un corso di laurea nell’ambito STEM e che negli ultimi due anni il numero dei dottori di ricerca è in lieve ma costante aumento anche grazie ai finanziamenti nell’ambito del PNRR.
Il 40,7% dei dottori di ricerca ritiene adeguato il finanziamento ottenuto per la frequenza del dottorato, quota in forte diminuzione, soprattutto nell’ultimo anno. Il tasso di occupazione risulta in aumento e raggiunge il 91,5%, mentre le retribuzioni raggiungono i 1.900 euro mensili netti.

Per quanto riguarda il genere, tra i dottori di ricerca si confermano significative differenze a discapito delle donne, sia nei livelli occupazionali sia in quelli retributivi. Rapporto AlmaLaurea sul Profilo e sulla Condizione occupazionale dei Dottori di ricerca, giunto alla sua nona edizione, è stato presentato oggi, venerdì 29 novembre, presso l’Università degli Studi di Macerata, nell’ambito del Convegno organizzato in collaborazione con il Ministero dell’Università e della Ricerca e con il patrocinio della CRUI – Conferenza dei Rettori delle Università Italiane.

La giornata è stata aperta dai saluti istituzionali del Rettore John McCourt in rappresentanza anche della CRUI e da Elio Franzini dell’Università degli Studi di Milano e membro del Consiglio di Amministrazione AlmaLaurea.

La presentazione del Rapporto 2024 sul Profilo e sulla Condizione occupazionale dei Dottori di ricerca è stata condotta dalla Direttrice di AlmaLaurea, Marina Timoteo. A seguire si è svolta una tavola rotonda coordinata da Aurelia Sole, Coordinatrice collegio docenti del Dottorato di Ricerca in Ingegneria per l’Innovazione e lo Sviluppo Sostenibile – Università della Basilicata e Componente del Consiglio di Amministrazione AlmaLaurea.
Un dialogo a più voci tra: Antonio Felice Uricchio, Presidente ANVUR; Riccardo Pietrabissa, Rettore IUSS Pavia e Coordinatore Commissione Valorizzazione della Ricerca CRUI; Claudio Pettinari, Università di Camerino e Componente del Consiglio di Amministrazione AlmaLaurea; Enrico Montaperto, MUR, Dirigente Ufficio VI, Direzione Generale degli ordinamenti della formazione superiore e del diritto allo studio; Massimiliano Zattin, Università degli Studi di Padova, Prorettore al Dottorato e post lauream; Laura Melosi, Università degli Studi di Macerata, Direttrice della Scuola di Dottorato di Ateneo; Davide Clementi, Segretario Nazionale ADI e Membro del CUN; Michele Casali, Amministratore Delegato Gruppo Editoriale ELI.

Il Rapporto 2024 sul Profilo dei Dottori di ricerca di 43 Atenei si basa su una rilevazione che coinvolge circa 6.100 dottori di ricerca del 2023 e restituisce un’approfondita fotografia delle loro principali caratteristiche.

Il Rapporto 2024 sulla Condizione occupazionale dei dottori di ricerca di 54 Atenei si basa, invece, su un’indagine che riguarda oltre 6.800 dottori di ricerca del 2022 e analizza i risultati occupazionali raggiunti nel 2023, a un anno dal conseguimento del titolo. Se si prende a riferimento la popolazione coinvolta nell’indagine AlmaLaurea sulla Condizione occupazionale, si evidenzia che essa costituisce circa l’80% del complesso dei dottori di ricerca usciti dal sistema universitario italiano in quell’anno.

Il tasso di risposta per la rilevazione sul Profilo è pari all’89,1%; quello per la rilevazione sulla Condizione occupazionale è pari all’85,6% (considerando coloro che ai sensi del GDPR sono stati contattati avendone espresso il consenso).

Dati di confronto. L’Italia ha un numero di dottori di ricerca che è pari allo 0,6% della popolazione in età lavorativa, ossia di età 25-64 anni. Il confronto internazionale ci colloca agli ultimi posti: alle nostre spalle troviamo solo Ungheria (0,5%, unico Paese Europeo dopo l’Italia), Turchia (0,5%), Lettonia (0,5%), Cile (0,3%) e Messico (0,1%). Nel decennio 2012-2022 il numero di dottori di ricerca in Italia è andato via via diminuendo (dagli 11.600 del 2012 agli 8700 del 2022). Negli ultimi due anni, il dato è in ripresa e il forte incremento degli accessi al dottorato nel triennio 2021-2023, legato anche ai finanziamenti nell’ambito del PNRR, pone le basi per un prossimo ulteriore aumento del numero dei dottori.

 

RAPPORTO 2024 SUL PROFILO DEI DOTTORI DI RICERCA: I RISULTATI IN PRIMO PIANO

Area disciplinare. I dottori di ricerca del 2023 sono stati suddivisi in cinque aree disciplinari: il 29,5% dei dottori di ricerca fa parte dell’area di scienze della vita, il 20,6% dell’area delle scienze di base, il 19,7% dell’area di ingegneria, il 16,3% dell’area delle scienze umane e, infine, il 13,8% dell’area delle scienze economiche, giuridiche e sociali.
È interessante notare che oltre la metà dei dottori di ricerca del 2023 (53,7%) proviene da un corso di laurea nell’ambito STEM.

Dottori innovativi. Le linee guida del PNRR confermano la crescente attenzione verso i dottorati innovativi che puntano a una migliore integrazione della ricerca con i bisogni del sistema produttivo nazionale, con i contesti internazionali e con una maggiore contaminazione delle discipline. Anche l’incremento, osservato nelle indagini AlmaLaurea, dei dottori che conseguono un titolo congiunto (joint degree) o un titolo doppio/multiplo (double/multiple degree) e dei dottori industriali è un altro indicatore che conferma questa crescente attenzione. Il 13,6% dei dottori di ricerca del 2023 dichiara di aver ottenuto un titolo congiunto (joint degree) o un titolo doppio/multiplo (double/multiple degree) con forti differenze per area disciplinare: dal 18,9% di scienze umane all’10,5% di ingegneria. Tra i dottori di ricerca del 2019 questi titoli riguardavano l’8,5% dei casi.

Inoltre, il 6,9% dei dottori del 2023 ha affermato di aver svolto un dottorato in collaborazione con le imprese (dottorato industriale/dottorato in alto apprendistato). Questa forma di dottorato è più diffusa nell’area di ingegneria (10,2%) e nelle scienze di base (7,8%), mentre è meno frequente tra i dottori nelle scienze umane (4,5%). Rispetto al 2019, quando il dottorato in collaborazione con le imprese riguardava il 5,0% dei dottori di ricerca, si osserva un incremento di 1,9 punti percentuali, nonostante il dato del 2023 risulti in calo rispetto al 2022, quando la quota di dottorati in collaborazione con le imprese riguardava l’8,3% dei dottori.

Genere. Ripartizione equilibrata fra i generi: l’indagine sul Profilo dei dottori di ricerca dice che tra i dottori di ricerca del 2023 le donne rappresentano il 48,5%, un valore in linea con la più recente documentazione MUR relativa all’anno 2022. Tuttavia, il confronto con i laureati di secondo livello coinvolti nell’indagine di AlmaLaurea conferma che più si sale nella scala dell’istruzione e meno sono le donne: tra i laureati, infatti, le donne sono il 60,2%.

Inoltre, distintamente per area disciplinare si nota che la presenza femminile è molto inferiore nelle discipline STEM. Più nel dettaglio, la componente femminile tra i dottori di ricerca è inferiore al 50% nell’area delle scienze economiche, giuridiche e sociali (48,1%), delle scienze di base (36,3%) e di ingegneria (30,8%), mentre è maggioritaria nell’area delle scienze della vita (63,9%) e in quella di scienze umane (57,9%). Tali risultati sono coerenti con quanto osservato tra i laureati dove, storicamente, la maggiore presenza femminile è confermata in tutte le aree disciplinari, eccetto l’area STEM.

Origine socio-culturale. Rispetto a quanto osservato nelle indagini di AlmaLaurea sui laureati di secondo livello, anche per l’ulteriore investimento in formazione post laurea si conferma una forte selezione sulla base del contesto socio-culturale della famiglia di appartenenza. Rispetto ai laureati di secondo livello del 2023, infatti, è nettamente più elevata la quota dei dottori di ricerca che provengono da famiglie con almeno un genitore laureato: è il 45,1%, oltre 11 punti percentuali in più di quello osservato per i laureati.

Si osserva una situazione analoga analizzando il contesto socio-economico: il 32,3% dei dottori proviene da famiglie di estrazione elevata rispetto al 24,2% dei laureati di secondo livello. I dottori di ricerca in scienze economiche, giuridiche e sociali provengono più frequentemente da contesti culturalmente ed economicamente più avvantaggiati rispetto agli altri.

La selezione all’ingresso viene evidenziata anche se si prende in considerazione la riuscita, dei dottori di ricerca, nei percorsi formativi precedenti. Il 71,1% dei dottori di ricerca, laureati in Italia, ha infatti conseguito la laurea di secondo livello ottenendo il massimo dei voti (110 e lode). Tale percentuale scende al 41,2% per il complesso dei laureati di secondo livello del 2023. Tra i dottori di ricerca ha ottenuto 110 e lode il 72,5% delle donne rispetto al 69,7% degli uomini: tali differenze a favore delle donne sono particolarmente elevate nell’area di ingegneria (+4,0 punti percentuali), ossia quella a minore presenza femminile.

Cittadini stranieri. Tra i dottori di ricerca del 2023, la quota di cittadini stranieri, che comprende anche gli studenti che hanno frequentato uno o più livelli di istruzione in Italia, è complessivamente pari al 15,2%, un valore decisamente superiore a quello rilevato per i laureati di secondo livello del 2023 (6,5%). Limitando l’analisi ai dottori di ricerca di cittadinanza estera per cui si dispone dell’informazione relativa al titolo di accesso al corso di dottorato, si osserva come il 74,4% di loro abbia ottenuto la laurea all’estero. Dunque il 9,5% dei dottori di ricerca del 2023 è un cittadino straniero che, dopo aver ottenuto un titolo universitario all’estero, si reca in Italia per frequentare il dottorato. Le nazionalità più rappresentate sono l’Iran, l’India e la Cina, che insieme costituiscono più di un quarto dei dottori stranieri con laurea all’estero.

In ottica internazionale (fonte Eurostat), l’Italia nel 2022 aveva una quota di studenti iscritti a corsi di dottorato di cittadinanza estera pari al 11,8%, quota lievemente inferiore alla media europea EU27 (22,7%), ma comunque decisamente più bassa rispetto a quella di molti Paesi europei. Tra quelli con le quote più elevate vi sono Lussemburgo (91,0%), Svizzera (57,8%), Austria (40,0%), Francia (36,1%) e la Germania (22,8%) ma anche Paesi del Sud-Europa quali Portogallo (33,3%), e Spagna (20,1%).

Età al dottorato. L’età media al dottorato di ricerca è pari a 32,4 anni; tuttavia oltre la metà dei dottori del 2023 ottiene il titolo al massimo a 30 anni di età. Nel confronto internazionale (fonte OECD), l’età al conseguimento del dottorato in Italia è tra le più basse dei paesi Ocse. Nel 2021, l’età media dei dottori di ricerca in Italia era di 32,3 anni, valore più elevato solo di quelli registrati in Francia (30,5 anni) in Olanda (31,7 anni) e Germania (32,1 anni). Età medie più elevate si registrano in Regno Unito (33,1 anni) e Spagna (36,1 anni).

Motivazioni all’iscrizione e finanziamenti. Il 76,5% dei dottori di ricerca aveva intenzione di iscriversi al dottorato già al momento della laurea. La motivazione più rilevante relativa all’iscrizione al dottorato di ricerca è quella legata al miglioramento della propria formazione culturale e scientifica, dal punto di vista personale (l’80,6% dei dottori la indica come decisamente importante). Seguono le motivazioni legate alla preparazione alla carriera accademica e alla possibilità di svolgimento di attività di ricerca e studio in ambito accademico (52,1%), al miglioramento delle prospettive lavorative (40,1%), all’ottenimento di un finanziamento (36,5%) e allo svolgimento di attività di ricerca e studio in ambito non accademico (32,9%).

La fruizione di finanziamenti per la frequenza del dottorato ha riguardato l’81,8% dei dottori di ricerca del 2023, con differenze significative all’interno delle aree disciplinari: il campo di variazione oscilla dall’89,7% dei dottori in scienze di base al 75,1% dei dottori in scienze della vita. I dati AlmaLaurea evidenziano che il finanziamento ottenuto è giudicato adeguato dal 40,7% dei dottori di ricerca che hanno usufruito della borsa; tale quota è in calo rispetto al 2019, quando si attestava al 56,9%, ma la diminuzione più marcata si è rilevata nell’ultimo anno (-9,6 punti percentuali). È possibile che su tali risultati abbia inciso anche il crescente costo della vita osservato proprio negli anni più recenti.

Periodo di studio o di ricerca all’estero. Nel 2023 il 49,3% dei dottori di ricerca ha trascorso un periodo di studio all’estero, prevalentemente su base volontaria (solo per il 21,3% si è trattato di un’esperienza obbligatoria). Rispetto al complesso dei dottori del 2019, che avevano svolto questa esperienza nel 53,4% dei casi, si è registrata una riduzione di circa 4 punti percentuali. Si può però apprezzare un aumento di circa 9 punti percentuali rispetto al 2022, che indica un graduale ritorno alla normalità dopo gli anni dell’emergenza pandemica in cui tali esperienze avevano subìto un forte ridimensionamento. La partecipazione a periodi di studio o ricerca all’estero ha coinvolto il 47,3% delle donne e il 51,2% degli uomini; tuttavia, nell’area delle scienze di base, il differenziale è a favore delle donne (+6,2 punti percentuali rispetto agli uomini).

Ricerca e pubblicazioni. Il 78,4% dei dottori del 2023 è stato coinvolto in gruppi di ricerca, in particolare nelle aree delle scienze della vita (89,5%), scienze di base (89,0%) e ingegneria (84,3%), mentre nelle scienze umane e nelle scienze economiche giuridiche e sociali questa esperienza ha riguardato rispettivamente il 59,5% e il 51,9% dei dottori. Questo dato è in crescita di 6 punti percentuali rispetto a quanto si osservava tra i dottori di ricerca del 2019. Va tuttavia evidenziato come l’inserimento in gruppi di ricerca sia incentivato anche dal numero crescente di dottorati innovativi che mirano ad aumentare l’interdisciplinarietà dei corsi stessi. Un altro aspetto che caratterizza l’esperienza di dottorato è la realizzazione di pubblicazioni, che ha riguardato l’87,4% dei dottori del 2023. Anche in questo caso si evidenzia una crescita rispetto alla coorte dei dottori 2019 (circa +5 punti percentuali), concentrata in particolare nel biennio 2019-2021. Questo risultato potrebbe essere in parte l’effetto delle politiche di finanziamento legate alla valutazione della qualità della ricerca. Un ulteriore elemento da tenere in considerazione è il tempo dedicato alla ricerca, che rappresenta l’elemento centrale per chi ha deciso di intraprendere un dottorato. Il 33,5% dei dottori dichiara di dedicare alla ricerca oltre 40 ore a settimana (ben il 10,1% dedica alla ricerca più di 50 ore alla settimana).

Valutazione del dottorato. Il 63,2% dei dottori di ricerca del 2023 dichiara che, potendo tornare indietro al momento dell’iscrizione, si iscriverebbe nuovamente allo stesso corso di dottorato e allo stesso ateneo. Un elemento importante da mettere in luce riguarda la quota di chi, potendo tornare indietro, seguirebbe un dottorato all’estero: è il 18,0%, percentuale che sale al 20,1% per i dottori dell’area di scienze della vita. L’alternativa di seguire un corso di dottorato all’estero, in caso di reiscrizione, ha comunque perso “attrattività” negli anni: nel 2019 riguardava il 21,3% dei dottori di ricerca. La percezione che gli atenei esteri rappresentino un’alternativa rispetto a quelli italiani è ancora più radicata per coloro che hanno sperimentato un’esperienza di studio all’estero nel periodo del dottorato.

Intenzioni post dottorato. Le intenzioni professionali, dopo il dottorato, variano significativamente in base all’area disciplinare. In generale il 40,7% pensa di intraprendere la carriera accademica, in Italia o all’estero, il 14,9% vorrebbe ricoprire una posizione di alta professionalità alle dipendenze, nel settore pubblico o privato, mentre il 13,9% vorrebbe continuare a svolgere attività di ricerca in una struttura non accademica, in Italia o all’estero. Le aree delle scienze umane e delle scienze economiche giuridiche e sociali sono quelle più interessate alla carriera accademica (rispettivamente il 52,5% e il 48,3%).

I dottori in scienze di base, scienze della vita e in ingegneria pensano relativamente meno alla carriera accademica (38,8%, 36,7% e 33,9%, rispettivamente), ma si rivolgono con maggiore interesse alle attività di ricerca in una struttura non accademica in Italia e all’estero (18,4% scienze di base, 17,5% scienze della vita e 15,9% ingegneria). I dottori dell’area di ingegneria e scienze economiche giuridiche e sociali contano, in particolare, di far fruttare le proprie competenze alle dipendenze nel settore pubblico o privato ricoprendo posizioni ad alta professionalità alle dipendenze (rispettivamente 20,1% e 17,3%). Tra le donne risulta inferiore l’interesse nei confronti della carriera accademica, in Italia o all’estero: sono il 37,2% rispetto al 44,0% degli uomini coloro che vorrebbero intraprenderla.

 

RAPPORTO 2024 SULLA CONDIZIONE OCCUPAZIONALE DEI DOTTORI DI RICERCA: I RISULTATI IN PRIMO PIANO

Tasso di occupazione. A un anno dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca, il tasso di occupazione è complessivamente pari al 91,5%; tale valore risulta in aumento sia rispetto all’indagine del 2022 (+0,6 punti percentuali) sia, e soprattutto, rispetto a quanto rilevato nel periodo pre-pandemico, ossia nel 2019 (+2,5 punti percentuali).

I livelli occupazionali dei dottori di ricerca risultano decisamente più elevati di quelli registrati tra i laureati di secondo livello, evidenziando che la formazione post-laurea rappresenta un valore aggiunto e una tutela contro la disoccupazione: l’indagine AlmaLaurea rileva infatti che nel 2023 i laureati di secondo livello presentano un tasso di occupazione pari al 75,7% a un anno dal titolo di studio (-15,8 punti percentuali rispetto a quanto osservato tra i dottori di ricerca) e all’88,2% a cinque anni (valore comunque ancora inferiore a quello rilevato per i dottori di ricerca a un anno dal titolo).

I dati AlmaLaurea, inoltre, mostrano esiti occupazionali a un anno dal conseguimento del titolo molto buoni per i dottori di ricerca di quasi tutte le aree disciplinari, in particolare per i dottori in ingegneria, scienze di base, scienze della vita e scienze economiche, giuridiche e sociali (tasso di occupazione superiore al 90%). L’unica eccezione è rappresentata dai dottori di ricerca in scienze umane, tra i quali il tasso di occupazione raggiunge comunque valori elevati (86,9%).

Nel complesso, anche tra i dottori di ricerca si confermano le differenze di genere evidenziate da AlmaLaurea nell’indagine sui laureati, seppure risultino più contenute: a un anno dal conseguimento del titolo di dottore di ricerca il tasso di occupazione è pari al 93,0% per gli uomini e al 90,1% per le donne (+2,9 punti percentuali a favore degli uomini; tra i laureati di secondo livello: +6,4 punti a un anno e + 3,4 punti a cinque anni, punti sempre a favore degli uomini).

Professione svolta. L’84,9% degli occupati svolge una professione intellettuale, scientifica e di elevata specializzazione: in particolare, il 48,1% è un ricercatore o tecnico laureato nell’università, mentre il restante 36,8% svolge un’altra professione intellettuale, scientifica e di elevata specializzazione. Risultano decisamente contenute le quote di occupati che svolgono altre professioni. Naturalmente esiste una forte connessione tra professione svolta e area disciplinare in cui il titolo di dottore è stato conseguito.

La stragrande maggioranza dei dottori di ricerca svolge una professione a elevata specializzazione, che riguarda l’86,0% degli uomini e l’83,8% alle donne; si tratta in larga parte di ricercatori e tecnici laureati, ossia di coloro che, verosimilmente, sono orientati alla carriera accademica (49,3% tra gli uomini e 47,0% tra le donne). Tali tendenze sono confermate in tutte le aree disciplinari, pur se con diversa intensità.

Svolgimento di attività di ricerca. Il 63,0% degli occupati ha dichiarato di svolgere, nel corso di una giornata lavorativa tipo, attività di ricerca in misura elevata, il 20,6% in misura ridotta, mentre il restante 16,3% ha dichiarato di non svolgere per nulla attività di ricerca. Ad essere coinvolti in misura maggiore in attività di ricerca sono i dottori in scienze di base (70,8%) e in scienze della vita (64,5%); all’opposto, rilevano i livelli più contenuti i dottori di ricerca in scienze economiche, giuridiche e sociali (58,6%) e quelli in scienze umane (56,0%).

Settore di lavoro. Il 67,7% dei dottori di ricerca è occupato, a un anno dal titolo, nel settore pubblico, il 29,6% in quello privato, mentre il restante 2,7% è occupato nel settore non profit. Sono soprattutto i dottori di ricerca in scienze umane (73,8%) e quelli in scienze della vita (72,9%) a lavorare nel settore pubblico. Al contrario, le quote più elevate di occupati nel settore privato si rilevano tra i dottori di ricerca in ingegneria (43,5%), scienze di base (32,0%) ma anche scienze economiche, giuridiche e sociali (27,8%).

Larga parte dei dottori di ricerca dichiara di svolgere la propria attività nell’ambito del settore dei servizi (88,6%), in particolare nel ramo dell’istruzione e della ricerca (59,9%). Il settore dei servizi raccoglie la quasi totalità dei dottori di ricerca in scienze economiche, giuridiche e sociali (97,9%) e in scienze umane (96,5%). Il settore dell’industria, invece, assorbe complessivamente il 10,5% degli occupati: tale percentuale sale al 15,9% tra i dottori di ricerca in scienze di base e addirittura al 24,7% tra quelli in ingegneria. Solo lo 0,4% degli occupati ha trovato impiego nel settore dell’agricoltura: tale quota raggiunge il valore relativamente più alto tra i dottori di ricerca in scienze della vita (1,2%).

Lavoro all’estero. Il 13,7% dei dottori di ricerca lavora, a un anno dal titolo, all’estero, un valore che raggiunge il massimo (20,8%) tra i dottori di ricerca in scienze di base. Tale quota inoltre oscilla tra l’8,3% dei cittadini italiani e il 49,3% dei cittadini esteri. Da quest’ultimo dato emerge dunque che il nostro Paese trattiene, per motivi di lavoro, circa la metà dei dottori di ricerca con cittadinanza estera.

Retribuzione. I livelli retributivi dei dottori di ricerca raggiungono, nel 2023, i 1.900 euro mensili netti. In termini nominali, ossia considerando i valori effettivamente raccolti dalle dichiarazioni dei dottori di ricerca, i livelli retributivi risultano in crescita negli anni più recenti. Tuttavia, a causa dei livelli di inflazione registrati nel 2023, che hanno modificato profondamente il potere d’acquisto, le retribuzioni mensili risultano in calo, in termini reali, sia rispetto al 2022 (-1,7%) sia rispetto al 2019 (-3,5%). La contrazione dei livelli reali delle retribuzioni è in linea con quanto osservato nell’analoga indagine sui laureati. È pur vero che i livelli retributivi dei dottori di ricerca risultano nettamente più elevati rispetto a quanto osservato sia, e soprattutto, tra i laureati di secondo livello a un anno dalla laurea (+32,8%, 1.432 euro), sia tra quelli a cinque anni (+7,6%, 1.768 euro).
L’analisi per area disciplinare evidenzia forti differenziazioni nelle retribuzioni percepite: in particolare, le retribuzioni più elevate sono dichiarate dai dottori di ricerca in scienze della vita (2.084 euro) e ingegneria (1.944 euro).

In termini di differenze di genere, gli uomini percepiscono una retribuzione dell’8,3% più elevata rispetto alle donne (1.980 rispetto a 1.828 euro). Tale divario è confermato in tutte le aree disciplinari raggiungendo il valore massimo (+20,4% a favore degli uomini) tra i dottori in ingegneria e il minimo in scienze umane (+2,7%). Anche in tal caso, il differenziale di genere risulta più contenuto rispetto a quanto rilevato sui laureati di secondo livello (+14,7% a un anno e 15,3% a cinque anni). Distinguendo per sede di lavoro, si osserva che la retribuzione mensile netta è pari, in media, a 1.810 euro per coloro che lavorano in Italia e a 2.498 euro per gli occupati all’estero.

 

Diffusione del lavoro part-time

Il 94,4% degli occupati svolge un lavoro a tempo pieno, mentre il 5,4% lavora part-time, che in larga parte involontario: il 3,6% degli occupati dichiara infatti di svolgere un lavoro a tempo parziale non avendone trovato uno a tempo pieno. La più elevata percentuale di occupati a tempo parziale si rileva tra i dottori in scienze umane (13,3%); peraltro, è proprio in questa area che il part-time involontario raggiunge la quota più elevata, pari al 9,5%. Il lavoro part-time coinvolge il 6,3% delle donne e il 4,4% degli uomini, nel dettaglio quello involontario riguarda, rispettivamente, il 4,2% e il 2,9%. La diffusione di attività a tempo pieno e parziale influisce sui livelli retributivi. La retribuzione mensile netta, infatti, sfiora i 2.000 euro per gli occupati a tempo pieno (1.944 euro), mentre scende per chi lavora a tempo parziale (1.166 euro), soprattutto in caso di part-time involontario (1.092 euro).

Soddisfazione per il lavoro svolto. La valutazione che i dottori di ricerca hanno dato circa la soddisfazione per il proprio lavoro è positiva: complessivamente pari a 8,0 in media, su una scala da 1 a 10, con differenze molto contenute tra le diverse aree disciplinari.

Efficacia del titolo di dottorato. Già a un anno dal conseguimento del dottorato l’efficacia del titolo, nella percezione dei dottori, è complessivamente buona. Il 73,3% degli occupati ritiene che il titolo di dottore sia almeno efficace (ovvero “molto efficace o efficace”) per lo svolgimento del proprio lavoro. Si tratta di una quota in calo di -3,4 punti percentuali rispetto all’indagine dello scorso anno, ma in aumento di +6,3 punti rispetto a quanto osservato nella rilevazione del 2019). Il 16,6% degli occupati dichiara che il titolo è “abbastanza efficace” per lo svolgimento del proprio lavoro (+0,6 punti rispetto al 2022 e -1,9 punti rispetto al 2019), mentre il 10,1% ritiene che sia “poco o per nulla efficace” (+2,8 punti rispetto al 2022 e -4,5 punti rispetto al 2019).

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