(Il testo seguente è tratto integralmente dalla nota stampa inviata all’Agenzia Opinione) –
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Te lo faccio vedere chi sono io! Storie di italiani che trascendono l’impossibile. Ambasciatori dell’innovazione di ieri e di oggi. Sono italiani (di frotiera) e sono innovatori: storie di connazionali straordinari, spesso sconosciuti ma accomunati da un talento unico nello sfidare l’impossibile. Tra questi anche Eusebio Chini, originario della Val di Non, missionario del Seicento, scienziato visionario celebrato come padre fondatore dello stato americano dell’Arizona.
Roberto Bonzio è un cronista, un viaggiatore, un esploratore. Il suo percorso umano e professionale lo ha portato a mettere al centro della sua esistenza l’ascolto verso le storie degli altri, storie edificanti d’innovazione e creatività, fatte di prove ed errori, di ostinata ricerca e curiosità, di inventiva tutta italiana, una qualità elogiata in tutto il mondo e, paradossalmente, difficile da riconoscere in patria.
Di che cosa parliamo quando ci riferiamo al genio o all’approccio italiano? Quali caratteristiche ha il nostro sguardo peculiare sui problemi? Come facciamo luce sulla complessità? Che tipo di conoscenza siamo in grado di produrre?
Bonzio, che ha costruito una ricchissima antologia umana di Italiani di frontiera, una enciclopedia del sapere filtrato dall’empatia, dall’incontro e dal racconto di storie di vita spericolata, accesa, protesa a creare soluzioni inedite con un tocco personale, attingendo a radici culturali e valoriali disparate.
È così che da Marconi a Leonardo, da Maria Montessori ad Adriano Olivetti, da Francesca Cavallo a Federico Faggin, entrambi protagonisti di Wired Next Fest, emergono i tratti del talento transdisciplinare e meravigliosamente “generalista” tuto italiano.
Abbiamo innanzitutto un’attitudine marcata per abbracciare la complessità attraverso visioni d’insieme anziché scomporre i problemi in articolazioni di sotto-problemi più maneggevoli, per successive semplificazioni, come accade invece nella matrice di pensiero anglosassone.
Se la nostra specialità è valicare la frontiera, quella linea che delimita il pensato dall’impensato, i valori centrali che ci guidano sono un intreccio di umanità, eleganza, pensiero sistemico e sapere artigianale, la tecnologia come capolavoro dell’homo faber.
Accompagnato al piano da Alessandro Pavesi, Bonzio ha presentato una sequenza di storie di grande ispirazione scovate in Silicon Valley negli ultimi venti anni. Fra cenni autobiografici e riferimenti cinematografici e letterari, ci conduce, di testimonianza in testimonianza, a prendere consapevolezza del lato oscuro della nostra forza: la sindrome del palio di Siena, il godimento amaro riassunto nell’espressione “Sono contento di perdere purché tu perda”.
Le vicende rappresentate hanno in comune la centralità dei mentori, l’importanza dei rapporti informali, il protagonismo e il confronto aperto fra i collaboratori protagonisti delle sfide di conoscenza, la pervicacia di inseguire l’innovazione fino a raggiungere il successo attraverso percorsi non lineari, imprevedibili, indecifrabili, trasformando lo smarrimento del Major Tom della canzone di David Bowie in stupore, meraviglia e apertura di infinite possibilità.
L’immaginazione è una forma di sensibilità, una percezione aumentata, nutrita dal sogno e dalle relazioni, un incanto capace di trasformarci di fronte alle sfide più estreme da guardiani in pionieri esploratori, come in Interstellar. Ma la fortuna arride solo a chi non spegne il fuoco del desiderio e resta in ascolto, chi continua a cercare, fino a giungere al cospetto di scoperte inattese. Un elogio della curiosità e della serendipity, risorse quanto mai preziose oggi, di fronte all’accelerazione delle tecnologie, ai sistemi di IA indossabili e ai gemelli digitali con cui interagire, all’insegna di una relazione di empatIA: sintetica, artificiale o surrogata.
L’esortazione, il messaggio che ci portiamo a casa, è di osare, volare alto senza prendersi troppo sul serio, unire i puntini da splendidi generalisti (illuminante il libro in tema di David Epstein), dotati di flessibilità e conoscenza in campi diversi, per spaziare col pensiero, senza smettere mai di credere in noi stessi, nella nostra irriducibilità.
Una volontà, forse un dispetto, una consapevolezza, per esprimere il potenziale enorme che ciascuno di noi possiede, aver fiducia nelle nostre pazze idee; perché un giorno, di fronte alla persona giusta, quando meno ce l’aspettiamo, potrebbero prendere forma, contagiare creativamente molti altri e aprire nuovi orizzonti.
È così che sono nati alcuni unicorni, non dal garage ma addirittura dallo sgabuzzino. Un messaggio che arriva forte e chiaro e che non è rivolto solo agli expat ma soprattutto a chi in Italia conduce esperimenti di un “diverso presente”, ossia chi anticipa oggi futuri desiderabili.
Vista così, un vissuto alla volta, la Silicon Valley, fino a pochi anni fa osannata come Eldorado e oggi, al contrario, demonizzata come scaturigine di tutti i mali, è prima di tutto l’ambientazione perfetta per il romanzo della vita di tanti audaci, coraggiosi, talvolta emarginati che inseguono il proprio sogno, una parabola di libertà che tocca le nostre corde più profonde e ci spinge a riflettere, a chiederci qual è la nostra vocazione più profonda, cosa ci chiama, che aspirazioni abbiamo, e con chi vogliamo condividere il nostro cammino.
Covid, guerre e cambiamento climatico (o, più correttamente, surriscaldamento globale) non sono altro che, a ben guardare, una enorme opportunità. Mentre attraversiamo la più eclatante delle crisi, che ci mette di fronte al senso del limite e al rischio dell’estinzione di massa, il lavoro silenzioso di chi agisce il cambiamento, in primis le nuove generazioni, passa attraverso questa capacità di trasformare i problemi in risorse, e per farlo lo sguardo italiano, l’italian touch, neorinascimentale e olistico, sarà di grande aiuto.
Te lo faccio vedere chi sono io! Storie di italiani che trascendono l’impossibile
Roberto Bonzio è un cronista, un viaggiatore, un esploratore. Il suo percorso umano e professionale lo ha portato a mettere al centro della sua esistenza l’ascolto verso le storie degli altri, storie edificanti d’innovazione e creatività, fatte di prove ed errori, di ostinata ricerca e curiosità, di inventiva tutta italiana, una qualità elogiata in tutto il mondo e paradossalmente, difficile da riconoscere in patria.
Di che cosa parliamo quando ci riferiamo al genio o all’approccio italiano? Quali caratteristiche ha il nostro sguardo peculiare sui problemi? Come facciamo luce sulla complessità? Che tipo di conoscenza siamo in grado di produrre?
Bonzio, che ha costruito una ricchissima antologia umana di Italiani di frontiera, una enciclopedia del sapere filtrato dall’empatia, dall’incontro e dal racconto di storie di vita spericolata, accesa, protesa a creare soluzioni inedite con un tocco personale, attingendo a radici culturali e valoriali disparate.
È così che da Marconi a Leonardo, da Maria Montessori ad Adriano Olivetti, da Francesca Cavallo a Federico Faggin, entrambi protagonisti di Wired Next Fest, emergono i tratti del talento transdisciplinare e generalista italiano.
Con un’attitudine marcata per abbracciare la complessità attraverso visioni d’insieme anziché scomporre i problemi in articolazioni di sottoproblemi più maneggevoli, per successive semplificazioni, come accade invece nella matrice di pensiero anglosassone. Se la nostra specialità è valicare la frontiera, quella linea che delimita il pensato dall’impensato, i valori centrali che ci guidano sono un intreccio di umanità, eleganza, pensiero sistemico e sapere artigianale, la tecnologia come capolavoro dell’homo faber.
Accompagnato al piano da Alessandro Pavesi, Bonzio ha presentato una sequenza di storie di grande ispirazione scovate in Silicon Valley negli ultimi venti anni. Fra cenni autobiografici e riferimenti cinematografici e letterari, ci conduce di testimonianza in testimonianza a prendere consapevolezza del lato oscuro della nostra forza: la sindrome del palio di Siena, il godimento amaro riassunto nell’espressione “Sono contento di perdere purché tu perda”.
Le vicende rappresentate hanno in comune la centralità dei mentori, l’importanza dei rapporti informali, il protagonismo e il confronto aperto fra i dipendenti e collaboratori protagonisti delle sfide di conoscenza, la pervicacia di inseguire l’innovazione fino a raggiungere il successo attraverso percorsi non lineari, imprevedibili, indecifrabili, trasformando lo smarrimento del Major Tom della canzone di David Bowie in stupore, meraviglia e apertura di infinite possibilità.
L’immaginazione è una forma di sensibilità, una percezione aumentata, nutrita dal sogno e dalle relazioni, un incanto capace di trasformarci di fronte alle sfide più estreme da guardiani in pionieri esploratori. Ma la fortuna arride solo a chi non spegne il fuoco del desiderio e resta in ascolto, chi continua a cercare, fino a giungere al cospetto di scoperte inattese. Un elogio della curiosità e della serendipity, risorse quanto mai preziose oggi, di fronte all’accelerazione delle tecnologie, ai sistemi di IA indossabili e ai gemelli digitali con cui interagire, all’insegna di una relazione di empatIA sintetica, artificiale o surrogata.
L’esortazione, il messaggio che ci portiamo a casa, è di osare, volare alto senza prendersi troppo sul serio, unire i punti da splendidi generalisti, dotati di flessibilità e conoscenza in campi diversi, per spaziare col pensiero, senza smettere mai di credere in noi stessi, nella nostra irriducibilità. Una volontà, un dispetto, una consapevolezza, per esprimere il potenziale enorme che ciascuno di noi possiede, aver fiducia nelle nostre pazze idee, perché un giorno, di fronte alla persona giusta, quando meno ce l’aspettiamo, potrebbero prendere forma, contagiare creativamente molti altri e aprire nuovi orizzonti.
È così che sono nati alcuni unicorni, non dal garage ma addirittura dallo sgabuzzino. Un messaggio che arriva forte e chiaro e che non è rivolto solo agli expat ma soprattutto a chi in Italia conduce esperimenti di un “diverso presente”, chi anticipa futuri desiderabili.
Vista così, un vissuto alla volta, la Silicon Valley, fino a pochi anni fa osannata come Eldorado e oggi, al contrario, demonizzata come scaturigine di tutti i mali, è prima di tutto un set per il romanzo della vita di tanti audaci, coraggiosi, talvolta emarginati che inseguono il proprio sogno, una parabola di libertà che tocca le nostre corde più profonde e ci spinge a riflettere, a chiederci qual è la nostra vocazione più profonda, cosa ci chiama, che aspirazioni abbiamo, e con chi vogliamo condividere il nostro cammino.
Covid, guerre e cambiamento climatico (o, più correttamente, surriscaldamento globale) non sono altro che, a ben guardare, una enorme opportunità. Mentre attraversiamo la più eclatante delle crisi, che ci mette di fronte al senso del limite e al rischio dell’estinzione di massa, il lavoro silenzioso di chi agisce il cambiamento, in primis le nuove generazioni, passa attraverso questa capacità di trasformare i problemi in risorse, e per farlo lo sguardo italiano, l’italian touch, neorinascimentale e olistico, sarà di grande aiuto.
Il Wired Next Fest Trentino è organizzato da Wired Italia in partnership con Trentino Marketing per conto della Provincia autonoma di Trento – Assessorato Sviluppo Economico, Lavoro, Università e Ricerca, Trentino Sviluppo, Comune di Rovereto, APT Rovereto, Vallagarina e Monte Baldo. Insieme alla redazione di Wired Italia, hanno contribuito alla costruzione del palinsesto la Fondazione Bruno Kessler, la Fondazione Edmund Mach, Fondazione Caritro, l’Istituto provinciale per la ricerca e la sperimentazione educativa – IPRASE, il MUSE – Museo delle Scienze e la Fondazione Hub Innovazione Trentino.